Hawks, Howard (propr. Howard Winchester)
Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, nato a Goshen (Indiana) il 30 maggio 1896 e morto a Palm Springs (California) il 26 dicembre 1977. Considerato oggi uno dei più grandi registi statunitensi in seguito a un lavoro di scoperta e rivalutazione iniziato dalla critica francese a partire dagli anni Cinquanta, H. realizzò più di quaranta film, molti dei quali da lui stesso prodotti, e non solo scritti e diretti, che compongono un vasto territorio allo stesso tempo maestoso e misterioso. Il suo cinema è alimentato dall'azione incessante e ben congegnata, ma allo stesso tempo la scena caratteristica dei suoi film, che li rende subito riconoscibili, è quella di personaggi, in interni, che si fronteggiano in dialoghi altrettanto drammatici e avvincenti. Ha fatto dell'invisibilità della macchina da presa ‒ l'estetica dominante del sistema hollywoodiano ‒ la base del proprio stile, ma non c'è sua sequenza in cui, nonostante l'assenza di ogni indizio di scoperta soggettività, la levigata uniformità visiva delle inquadrature non sia gremita di continui impercettibili rilievi di recitazione, scrittura, regia. Viene ritenuto il regista dell'eroismo virile e del culto dell'uomo di fronte al pericolo, ma è difficile trovare, nel cinema della sua epoca, modelli di femminilità così poco convenzionali come quelli dei suoi film. Si cimentò con successo in ogni genere, dal western al noir, dalla commedia alla fantascienza, appropriandosi di ogni convenzione narrativa e linguistica dell'apparato immaginario hollywoodiano tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, tuttavia i suoi film ripetono e variano all'infinito lo stesso esiguo numero di schemi di intreccio e personaggi, indipendentemente dai diversi filoni cui appartengono. Nel 1974 gli venne conferito un Oscar onorario.
Proveniente da una famiglia di facoltosi commercianti e imprenditori che discendeva dai fondatori di Boston, si trasferì dal Midwest, dove era cresciuto, in California all'età di dodici anni e con la morte del nonno materno venne in possesso di una cospicua eredità. Prima di approdare definitivamente al cinema, che aveva già frequentato da ragazzo come attrezzista, H. aveva studiato ingegneria meccanica alla Cornell University di New York, aveva partecipato alla Prima guerra mondiale ed era stato sin da adolescente giocatore professionista di tennis, pilota da corsa e di aereo. La passione per l'aeronautica e l'esperienza di un'occupazione così rischiosa (un fratello di H. morì in un incidente aereo) sono massicciamente testimoniate dalla sua opera. Dal 1922 al 1926, anno in cui diresse il suo primo film (The road to glory, ambientato nel mondo delle gare automobilistiche, come pure i successivi The crowd roars, 1932, L'urlo della folla, e Red line 7000, 1965, Linea rossa 7000), di cui firmò, come in numerosi altri casi, anche il soggetto e la sceneggiatura, aveva sperimentato molti dei ruoli professionali del cinema: dal casting alla produzione esecutiva, dalla sceneggiatura al montaggio, fino alla sostituzione del regista nelle riprese. Negli otto film muti diretti dal regista (di cui due sono andati perduti, il primo e The air circus, 1928, La via delle stelle) è piuttosto agevole riscontrare progressivamente sia l'assimilazione di influenze stilistiche dell'epoca, come quella dell'Espressionismo (Paid to love, 1927), o di registi come Cecil B. DeMille (Fig leaves, 1926, Le disgrazie di Adamo) e Josef von Sternberg (Fazil, 1928, Oasi dell'amore), sia la naturale versatilità, e il raggiungimento, con A girl in every port (1928; Capitan Barbablù), che narra dell'amicizia profonda e conflittuale tra due uomini, di un'abilità incontestabile: la dinamica fluidità nell'azione.
Fu con il sonoro, tuttavia, che il potenziale della sua regia raggiunse il suo punto più alto. Il suo primo film sonoro (The dawn patrol, 1930, La squadriglia dell'aurora), ambientato nel mondo dell'aviazione della Prima guerra mondiale, fissa quella scansione di drammaturgia da camera di un gruppo assediato in un interno e lo spettacolo della sfida fisica e della fatalità incombente all'esterno, in una forma che si ritroverà con ossessiva ricorrenza in molte sue opere: i conflitti interpersonali di un gruppo di professionisti di un mestiere che implica un confronto costante con il pericolo accumulano tensioni emotive che l'impegno dell'azione modula e allevia, complica e risolve; le forze della natura si oppongono alle stilizzate schermaglie di parole, affetti e seduzioni come l'essere all'apparire. Dopo Scarface (1932), destinato a diventare un modello, che porta alle estreme conseguenze l'allegoria di violento anarchismo e cupa autodistruzione nel plot di ascesa e caduta del gangster, Tiger shark (1932; Le tigri del Pacifico), con Edward G. Robinson, storia di un gruppo di pescatori minacciati quotidianamente dagli squali, introduce nello schema dei film di H. un catalizzatore decisivo, una figura di donna all'altezza dei protagonisti maschili e del codice di comportamento di una vita messa perennemente in gioco. Uno schema che Ceiling zero (1935; Brume), con James Cagney, ambientato nuovamente in una comunità di piloti aeronautici, potenzia senza sosta fino all'acme drammatico in cui l'irreparabilità di una minaccia mortale si sovrappone a quella dei sentimenti che sottopongono l'amicizia e l'amore a pressioni altrettanto devastanti. Negli anni Trenta, H. divenne produttore dei propri film e s'impadronì definitivamente di uno stile uniforme basato sulla continuità di un montaggio incessante di brevi inquadrature, su intrecci sospinti da una raffica di eventi solidamente concatenata e soprattutto su una recitazione costruita su un'economia minuta ma precisa di gesti. Con lo stesso stile, da questo decennio in poi, realizzò alcune delle commedie più scatenate (Twentieth century, 1934, Ventesimo secolo; Bringing up baby, 1938, Susanna!; His girl Friday, 1940, La signora del venerdì; Ball of fire, 1941, Colpo di fulmine; I was a male war bride, 1949, Ero uno sposo di guerra; Monkey business, 1952, Il magnifico scherzo; Man's favorite sport?, 1964, Lo sport preferito dell'uomo), spesso incentrate su un'anticonformista inversione dei ruoli sessuali; esplorò il western (Red river, 1948, Il fiume rosso; The big sky, 1952, Il grande cielo), introducendovi temi di drammaturgia romanzesca e 'adulta' ed elementi di avventura non così frequenti nel genere; piegò la fantascienza e le fobie della guerra fredda alla propria drammaturgia dell'assedio (The thing, noto anche come The thing from another world, 1951, La "cosa" da un altro mondo, codiretto con Christian Nyby); firmò un apologo civile (Sergeant York, 1941, Il sergente York) di enorme successo. Forse le sue incursioni nel genere bellico (come Today we live, 1933, Rivalità eroica; The road to glory, 1936, Le vie della gloria; Air force, 1943, Arcipelago in fiamme o Forze aeree) e nella commedia musicale (Gentlemen prefer blondes, 1953, Gli uomini preferiscono le bionde) non possiedono lo stesso impatto innovativo e la stessa personalità dei film di altro genere. Ma un noir come The big sleep (1946; Il grande sonno) viene considerato la mimesi cinematografica più convincente della scrittura hard-boiled di R. Chandler, così come To have and have not (1944; Acque del Sud), sceneggiato con William Faulkner, è ritenuto da molti la riduzione più felice mai realizzata da un romanzo di E. Hemingway. È, tuttavia, un film come Only angels have wings (1939; Avventurieri dell'aria), ancora una volta ambientato in una comunità di aviatori che rischiano quotidianamente la vita in un angolo remoto del pianeta, a dimostrare come il suo cinema raggiunga il massimo di concretezza fisica ed essenzialità quasi geometrica, quando rifinisce ad libitum lo stesso soggetto e le stesse dinamiche tra i personaggi. Analoga considerazione può applicarsi anche a Rio Bravo (1959; Un dollaro d'onore), incentrato su uno sceriffo e il suo gruppo di collaboratori assediati in un villaggio da una banda di criminali agli ordini di un potente allevatore, e a El Dorado (1967), quasi un remake del precedente, ambientato in un contesto diverso e basato sullo stesso nucleo narrativo di A girl in every port. Così come a Hatari! (1962), che racconta le avventure di un gruppo di cacciatori di animali feroci in Africa, ai quali si aggiunge un'intraprendente fotografa. Tutti film che vedono John Wayne tra i protagonisti. Lo stesso attore fu tra i principali interpreti del film che segnò il termine della carriera di H., Rio Lobo (1970) un western amato dalla critica, in cui il regista rielabora per l'ultima volta i temi da lui preferiti e ripropone, anche se in forma meno brillante, il suo metodo inossidabile. Non c'è inquadratura che esibisca un movimento di macchina non funzionale; non esiste un suo film, o quasi, che non trasmetta allo spettatore la sensazione di una forma di robusto intrattenimento in cui si annida una cognizione spietatamente lucida del mondo. Il regista scoprì e valorizzò un'impressionante squadra di attori che non di rado offrirono prestazioni superiori a quelle rese con altri autori (John Barrymore, John Wayne, Cary Grant, Humphrey Bogart, Katharine Hepburn, Carole Lombard, Lauren Bacall, Rosalind Russell, Rock Hudson e James Caan). Pochi registi, d'altra parte, hanno saputo perfezionare con la stessa efficacia la sintassi di base della sequenza (il raccordo delle immagini sulla linea dello sguardo) o mettere a punto una tecnica di tessitura dei dialoghi pari a quella di H., capace di portare nella commedia il ritmo al parossismo, e di rafforzare negli altri generi l'intelaiatura impercettibile del montaggio. Ma se è stato il più grande ingegnere del pragmatismo hollywoodiano (alcuni critici oltranzisti sostengono che uno dei suoi film meno convincenti, Land of the pharaohs, 1955, La regina delle piramidi, che racconta dell'impresa di una gigantesca costruzione, sia anche il suo più autobiografico), al punto da essere celebrato come il più emblematico autore del cinema statunitense, appare assai riduttivo considerare la sua estetica semplicemente come un effetto della sua abilità tecnica. I film di H. presentano eroi che conoscono sia la brutalità sanguinaria sia la dolcezza fraterna, mentre le donne devono lottare per vedere riconosciuta la dignità della loro intraprendenza e la loro femminilità. Le sue opere si rivelano così macchine efficienti, alimentate da atti di fierezza, rabbia, egoismo, solidarietà, seduzione e obbligo morale, torto e soccorso, dall'inesorabilità di una natura impossibile da dominare e dalla presenza di uno humour che nessun pericolo fa mai venire meno.
P. Bogdanovich, The cinema of Howard Hawks, New York 1962.
Il cinema di Howard Hawks, a cura di A. Aprà, P. Pistagnesi, Venezia 1981.
Hawks on Hawks, ed. J. McBride, Berkeley 1982.
T. McCarthy, Howard Hawks ‒ The grey fox of Hollywood, New York 1997 (trad. it. Il cinema secondo Hawks, Parma 1992).