I cento anni del Polo Sud
È il 17 dicembre del 1911. Una foto in bianco e nero immortala un deserto di ghiacci dove quattro esploratori assistono orgogliosi allo sventolio di una bandiera norvegese issata sopra una tenda. Il loro capo – il quinto uomo del gruppo – si chiama Roald Engelbert Amundsen (1872-1928) e passerà alla storia per aver guidato la prima spedizione capace di raggiungere il Polo Sud geografico, ossia l’estremo punto meridionale dell’asse terrestre, localizzato in Antartide. Un vero e proprio continente, esteso come l’Europa, ma inadatto all’insediamento umano a causa delle avverse condizioni ambientali: mare gelato, venti tempestosi, temperatura mai sopra lo zero con una media annua intorno ai -43 °C. Circumnavigato per la prima volta da James Cook (1728-1779), divenne oggetto di sistematiche esplorazioni soltanto a partire dal 1820, con le spedizioni di James Weddell, ma fu per l’appunto il norvegese Amundsen, ‘l’ultimo vichingo’, il primo a raggiungerlo, battendo in volata l’inglese Robert Falcon Scott (1868-1912).
Prima di quest’impresa, fra il 1903 e il 1906, Amundsen aveva percorso per la prima volta, a bordo della piccola baleniera Gjöa, il ‘passaggio a Nord-Ovest’, il corridoio a nord del Canada che collega l’Oceano Atlantico al Pacifico.
Una ‘scorciatoia’ di cui si favoleggiava da secoli, ma che nessun equipaggio era mai riuscito a solcare interamente.
Forte di questo successo, l’esploratore norvegese rivolse la propria attenzione al Polo Nord, ma ebbe difficoltà nel reperire i fondi necessari. Intanto, nel settembre 1909, era giunta notizia che gli americani Robert Peary e Frederick Cook stavano per raggiungere l’Artide. Perciò Amundsen accantonò il progetto (nel 1926 riuscirà comunque a sorvolare il Polo Artico sul dirigibile Norge, pilotato dall’italiano Umberto Nobile).
Ora aveva un nuovo obiettivo: piantare una bandiera norvegese tra i ghiacci del Polo Sud, dove però stava dirigendosi anche Scott, a capo di una grande spedizione.
Nell’estate del 1910 Amundsen salpò da Christiania a bordo del Fram (‘Avanti’, una goletta in precedenza usata dal connazionale Fridtjof Nansen per le sue escursioni polari) e, in gran segreto, si diresse verso l’Antartide. Ufficialmente, si trattava di un viaggio per ricerche oceanografiche al Polo Nord. Solo quando la nave attraccò a Madeira l’equipaggio fu messo al corrente della reale destinazione. Dopodiché Amundsen spedì un telegramma a Scott: «Spiacente di informarla che il Fram sta giungendo in Antartide». Si apriva così una sfida epocale.
Nel gennaio 1911 Amundsen installò il proprio campo base presso la Baia delle Balene, da lui rinominata Framheim. In teoria, il punto di partenza del norvegese era più vicino al Polo Sud rispetto a quello scelto dall’inglese, presso lo stretto di McMurdo.
Ma in realtà il tragitto ipotizzato da Amundsen attraversava un territorio sconosciuto, mentre Scott avrebbe potuto seguire la rotta già tracciata dal suo connazionale Ernest Shackleton un paio d’anni prima. Dopo un primo infruttuoso tentativo, il 20 ottobre 1911 Amundsen lasciò il campo base con quattro uomini, altrettante slitte e 52 cani esquimesi. Due mesi più tardi, superati alte catene montuose e vasti ghiacciai, raggiungerà il traguardo, precedendo di cinque settimane Scott. Una marcia di 1400 chilometri. Gli ingredienti alla base del successo? Accurata preparazione, buon equipaggiamento, vestiario appropriato, uso oculato di sci e cani da slitta, ma soprattutto grande fortuna, «il fattore più importante di tutti», come riconoscerà lo stesso Amundsen. Quella fortuna che, purtroppo, non arriderà al suo rivale Scott e ai suoi quattro compagni, morti durante il viaggio di ritorno. La squadra di Amundsen rientrò alla base di Framheim il 25 gennaio 1912, con pochissimi cani superstiti.
La sua impresa vittoriosa sarà annunciata ufficialmente solo il 7 marzo 1912, quando giungerà a Hobart, in Australia. L’esploratore norvegese racconterà la propria impresa in un libro, tradotto nel 1913 dall’editore Treves di Milano. La conquista del Polo Sud. La spedizione norvegese del Fram verso il Polo australe, 1910-1912.
Una terra di tutti e di nessuno
L’Antartide gode di un particolare status giuridico, in virtù del trattato che, dal 1961, ha stabilito i principi guida per la gestione delle risorse del continente. Inizialmente sembrava destinato a subire la stessa sorte riservata ad altre regioni del globo: a partire dagli anni Venti, infatti, con il procedere delle esplorazioni, diverse nazioni cominciarono ad avanzare rivendicazioni su quel territorio inabitato, sulla base del principio di ‘contiguità’ con il proprio territorio nazionale (Argentina, Cile, Nuova Zelanda) o di priorità nella scoperta e nell’occupazione (Regno Unito, Francia, Norvegia) o di entrambi (Australia). La situazione potenzialmente conflittuale venutasi in tal modo a creare (specialmente tra Argentina, Regno Unito e Cile) è stata congelata dal suddetto trattato, firmato a Washington il 1° dicembre 1959 da 12 paesi ed entrato in vigore il 23 giugno 1961. Pur non pregiudicando le posizioni assunte da ciascun paese in merito alle proprie e altrui rivendicazioni, questo trattato, a cui oggi aderiscono 45 nazioni tra cui l’Italia (che lo ha sottoscritto il 18 marzo 1981), stabilisce tra l’altro: il principio della libertà di ricerca a scopo pacifico; l’interdizione di ogni attività di carattere militare; la tutela dell’ambiente e della fauna (con divieto di sfruttamento minerario).
Breve storia dell’esplorazione dell’Antartide
La storia dell’esplorazione del continente di ghiaccio inizia prima, e prosegue dopo, la famosa spedizione di Amundsen. Alla fine del 18° secolo J. Cook si avvicinò alla ‘terra australe’, tra l’altro dimostrando che essa non doveva superare il circolo polare. Le scoperte vere e proprie iniziarono però dopo il 1820. Nel 1819-21, circumnavigando la calotta polare, il russo F.G. Bellingshausen scopre le terre da lui denominate Pietro I e Alessandro I. Nel 1821, se non prima, è toccata la Terra di Graham. Poi si susseguono le scoperte dei balenieri (J. Biscoe, P. Kemp, J. Balleny). Negli stessi anni J. Dumont d’Urville avvista la Penisola di Luigi Filippo e la Terra Adelia (1838-40); Ch. Wilkies (1840) procede più a ovest e riconosce una serie di coste, che prenderanno poi il suo nome. Nel 1840-43 J.C. Ross scopre la Terra Vittoria e tocca i 70°10’ di latitudine.
Qualche decennio più tardi, nel 1897, la spedizione scientifica guidata da A. de Gerlache esplora l’arcipelago di Palmer e la Terra di Graham, che segue fino a ritrovare la Terra di Alessandro I. Nuove conoscenze giungono negli anni 1902-04 da cinque spedizioni scientifiche, tra cui quella di R.F. Scott, che esplora il Mare di Ross e si inoltra fino a 82°17’ di latitudine (1902). Una nuova spedizione, guidata nel 1908 da E. Shackleton, raggiunge gli 88°23’ di latitudine.
Tra le molte esplorazioni che seguiranno la spedizione di Amundsen e la seconda, più sfortunata, di Scott, vanno ricordate in particolare quelle compiute in aereo da R.E. Byrd, che nel 1929 scoprirà la Terra di Maria Byrd e nel 1946-47 compirà una serie di voli sul continente antartico, raggiungendo anche il Polo Sud. Per quanto riguarda l’Italia, la prima spedizione sarà organizzata dal CNR e dal CAI nel 1968-69, nella Terra Vittoria; sempre maggiore rilevanza avrà comunque la presenza italiana nel continente, specialmente dopo la spedizione del 1986, organizzata da ENEA e CNR, che stabilisce in Antartide (Baia di Terranova) la prima base ufficiale del nostro paese, il cui nome ricorda oggi Mario Zucchelli, il coordinatore del progetto Antartide dell’ENEA, prematuramente scomparso nel 2003.