I cento cavalieri
(Italia/Spagna/RFT 1964, 1965, colore, 125m); regia: Vittorio Cottafavi; produzione: Domiziana Internazionale; soggetto: Vittorio Cottafavi, José María Otero, Giorgio Prosperi; sceneggiatura: Vittorio Cottafavi, José María Otero, Giorgio Prosperi, José Luis Guarner; fotografia: Francisco Marin; montaggio: Maurizio Lucidi; scenografia: Ramiro Gomez; musica: Antonio Pérez Olea.
Intorno all'anno 1000, un paese della Castiglia viene occupato da un gruppo di guerrieri arabi che approfittano in questo modo di una tregua intercorsa tra i mori e l'esercito cristiano. All'inizio simulano intenzioni pacifiche, ma ben presto dimostrano uccidendo l'alcalde che il loro obiettivo è assoggettare la città. La popolazione, fino a quel momento non avvezza a imprese belliche, abbandona le case e nomina suo capo Don Gonzalo. Inizia così una guerriglia contro gli occupanti che prosegue con alterne vicende e si conclude vittoriosamente grazie all'apporto di un gruppo di cavalieri. Alla fine, cacciati i mori, l'ordine regnerà sul villaggio.
I cento cavalieri chiude il rapporto con il grande schermo di Vittorio Cottafavi, che da allora si dedicherà unicamente alla televisione. Fu un insuccesso commerciale piuttosto inatteso perché Cottafavi, regista colto e raffinato, aveva più volte dimostrato di essere capace di intercettare i gusti del grande pubblico con il melodramma (Traviata '53, 1953), il film di spadaccini (Il boia di Lilla, 1952), il mitologico (Ercole alla conquista di Atlantide, 1961). In tutti questi film Cottafavi ha sempre immesso molti riferimenti alla realtà contemporanea e ai temi politici e culturali che gli sono più cari, ma I cento cavalieri appare come un tentativo che va molto più in là. Sotto le apparenze di un normale film d'avventura coprodotto con la Spagna (in quegli anni era una pratica molto diffusa), si racconta una storia che è esplicitamente mutuata dall'ultima guerra mondiale e in particolare dall'occupazione di Roma da parte dei tedeschi. In una sequenza ci sono addirittura i bambini che, all'insaputa dei propri genitori, vanno a compiere un'azione di sabotaggio contro gli occupanti e vengono poi sculacciati al proprio ritorno: la stessa cosa avviene in una famosa sequenza di Roma città aperta; in molti altri passaggi, le scene di battaglia sono direttamente mutuate dai racconti di lotta partigiana. Ma la vera novità del film non è neanche questa, bensì il fatto che nel corso della vicenda le differenze tra buoni e cattivi si perdono per strada e, come in un apologo brechtiano, lo spettatore si trova a poter decidere volta per volta quali sono le ragioni delle varie parti in campo e quali gli interessi di classe che le muovono. E forse proprio questa mancanza di un preciso punto di riferimento, insieme a un cast poco nutrito dai nomi che riscuotevano il maggior successo nei film di avventura, è stato decisivo per l'insuccesso commerciale del film. Come ha dichiarato lo stesso Cottafavi, "un film che non aveva eroi, amici e nemici, chi aveva ragione e chi non l'aveva. Tutti hanno ragione e torto, e l'eroe è spesso compassionevole, un po' comico e ridicolo". Il pubblico non ebbe la percezione di una nuova lettura del medioevo, più moderna e adatta ai tempi, come avverrà invece l'anno successivo con L'armata Brancaleone di Mario Monicelli, un successo clamoroso che metterà in soffitta per un lungo tempo il medioevo delle damigelle e dei cavalieri per raccontare quello meno eroico dei soprusi e degli straccioni.
Mark Damon, l'interprete principale del film, diventerà poi un produttore e distributore di successo negli anni Ottanta, ma all'epoca faceva la spola tra l'America e l'Europa interpretando soprattutto film di serie B, con Roger Corman ma anche con gli specialisti di Cinecittà. Come spesso accade nel cinema di avventura italiano del periodo, a un attore principale bello ma poco espressivo fanno contorno un buon numero di attori di parola in ruoli secondari o da antagonista: è quanto avviene con Arnoldo Foà e Gastone Moschin, due signori del teatro italiano che garantiscono al film quell'apporto di recitazione che lo rende particolarmente interessante. Gli scenari naturali utilizzati da Cottafavi sono gli stessi che ben presto diventeranno famosi in tutto il mondo perché ricorrenti in gran parte dei western europei: in particolare, la valle di Almeria e alcune colline site proprio in Castiglia.
Interpreti e personaggi: Mark Damon (Fernando), Antonella Lualdi (Sancha), Rafael Alonso (Jaime), Manuel Gallardo (Halaf), Arnoldo Foà (Don Gonzalo), Wolfgang Preiss (Jeque), Gastone Moschin (frate Carmelo), Hans Nielsen (Don Alfonso), Barbara Frey (Laurencia), Enrico Ribulsi (conte di Castiglia), Manuel Arbó Clarin, Mario Feliciani.
M. Argentieri, I cento cavalieri, in "Cinemasessanta", n. 50, febbraio 1965.
M. Ponzi, I cento cavalieri, in "Filmcritica", n. 156-157, aprile-maggio 1965.
Entretien avec Vittorio Cottafavi, a cura di B. Tavernier, in "Positif" n. 100-101, décembre 1968-janvier 1969.
G. Legrand, Les cent cavaliers, in "Positif", n. 108, septembre 1969.
C. Beyle, Les fils du Cid, in "Écran", n. 3, mars 1972.
G. Rondolino, Vittorio Cottafavi, Bologna 1977.
R. Bassan, Le charme discret d'un petit maître, in "Revue du cinéma", n. 369, février 1982.