Vedi I cerchi concentrici della politica estera saudita dell'anno: 2012 - 2013
La politica estera dell’Arabia Saudita si può schematizzare, come spesso accade, come una serie di insiemi o cerchi concentrici. Il primo insieme riguarda i paesi confinanti e le minacce dirette alla sicurezza. Negli insiemi successivi abbiamo una struttura più complessa, data dalle molteplici fonti di legittimità e dai fattori di potenza interna e internazionale. Sul piano della legittimità è importante considerare la funzione del re saudita come Khadim al-Haramayn ash-Sharifayn, ovvero custode (letteralmente: servitore) dei due luoghi santi dell’Islam, la Mecca e Medina; sul piano della potenza, l’elemento centrale è la produzione di gas e petrolio, con la conseguente ricchezza finanziaria del paese. Abbiamo quindi altri due insiemi con una grossa intersezione, ma con tematiche non coincidenti: il mondo arabo e la comunità islamica. L’azione dell’Arabia Saudita nel mondo arabo si è usualmente presentata in modo articolato e prudente, avendo come obiettivo primario la conservazione del regime per mezzo dell’appoggio a regimi amici e/o omogenei. Questa azione si estrinseca non solo attraverso la mediazione istituzionale della Lega dei paesi arabi, ma anche per mezzo di una rete abbastanza fitta di incontri bilaterali, che trovano spazio nei mezzi di comunicazione arabi nazionali e regionali (come le televisioni), ma scarsa risonanza nella stampa internazionale. Inoltre l’Arabia Saudita si è spesso proposta come mediatore in conflitti inter-arabi, come il conflitto libanese o il conflitto intra-palestinese. Tuttavia, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da contrasti tra sauditi e siriani sulla questione libanese, dibattuta sia nei vertici arabi, sia in sedi bilaterali. Bisogna ricordare che in Libano i musulmani sunniti non sono la comunità maggioritaria, ma hanno costituito a lungo un elemento della coalizione che ha retto il paese. Questo fa sì che il punto di appoggio tradizionale della politica saudita in Libano non sia forte come in altre situazioni. Rispetto al conflitto in Palestina, l’Arabia Saudita si è spesso posta come paladina della causa palestinese, sia nelle relazioni con gli Stati Uniti, sia finanziando l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e le organizzazione umanitarie palestinesi, ma anche organizzando il blocco petrolifero dopo la guerra del 1973. Tuttavia, e nonostante la sua vicinanza al fronte (pochi chilometri separano Arabia Saudita e Israele sul Golfo di Aqaba), l’Arabia Saudita non si è mai posta come stato del fronte. Si è invece attivamente prodigata per una soluzione diplomatica del conflitto israelo-palestinese, fin dal ‘Piano Fahd’, proposto al summit arabo di Fez nel 1981, e per una soluzione ai problemi intra-palestinesi, con l’accordo della Mecca (2007). L’azione dell’Arabia Saudita nella comunità islamica è caratterizzata da prudenza politica, rigidità dottrinale, penetrazione economica attuata mediante la predicazione e la costruzione di moschee e scuole coraniche. L’obiettivo è la diffusione di un islam particolarmente rigido e dottrinario (l’interpretazione wahhabita della scuola hanbalita della giurisprudenza islamica), anche come strumento di influenza e controllo politico. Infine, il cerchio più esterno della politica estera saudita, quello delle relazioni a livello di più ampio sistema internazionale, è caratterizzato da una strana dualità. Infatti, fin dall’incontro tra re Ibn Saud e Roosevelt nel 1945, le relazioni tra Stati Uniti e regno saudita sono state strettissime. Invece le relazioni con l’Europa, partner commerciale più importante dei sauditi come importatore di greggio rispetto agli Stati Uniti, sono state caratterizzate da maggiore ambiguità. Dopo l’unificazione del paese, le relazioni con le potenze europee furono caratterizzate da ostilità o diffidenza: la Gran Bretagna all’inizio sosteneva i nemici della casa di Saud e contribuì a fermare la sua avanzata sia a nord, sia a sud; le relazioni diplomatiche con la Francia furono stabilite solo dopo la fine della Guerra d’Algeria. Il grande cambiamento intervenne con la crisi petrolifera (1973) e con il progressivo mutamento di atteggiamento di molti stati europei rispetto alla questione palestinese. Ciò nonostante, il pilastro fondamentale della politica saudita rimane il rapporto con gli Stati Uniti. La politica estera dell’Arabia saudita si scontra in tutti e tre gli insiemi fin qui considerati con l’Iran: minaccia diretta (o percepita come tale) alla sua sicurezza; elemento di sfida all’azione di controllo nei paesi arabi, soprattutto nell’area del Mashriq; sfida alla leadership religiosa nella comunità islamica, sia dal punto di vista dottrinario che da quello politico; diverso tipo di politica petrolifera. Lo scontro è religioso, tra rigorismo sunnita e attivismo rivoluzionario sciita caratteristico dell’era post-rivoluzionaria, ma riguarda parimenti l’opposizione politica tra un regime autoritario con forti tratti patrimoniali e tradizionali, sostanzialmente caratterizzato da una oligarchia chiusa, e un regime autoritario di mobilitazione, che cerca di legittimarsi anche per mezzo di pratiche pseudo-democratiche (elezioni). Tuttavia, la lettura del sistema regionale in una sorta di bipolarismo saudita-iraniano non deve portarci a sottovalutare lo spazio di manovra che si vogliono creare altri attori, come la Siria. Inoltre, le rivolte scoppiate in molti paesi arabi tra il 2010 e il 2011 ci inducono a non adottare soltanto la lente degli allineamenti tra Arabia Saudita e Iran per comprendere il riflesso regionale del mutamento in atto, in quanto potrebbe anche crearsi una situazione di diminuzione di influenza per ambedue gli attori. Infine, rispetto alle rivolte del 2011 è importante sottolineare che l’Arabia Saudita sembra aver smarrito la sua tradizionale prudenza. La reazione saudita è stata infatti di scetticismo e malcelata ostilità, fino a definire, per bocca dell’allora ministro degli interni Nayef, la rivoluzione in Egitto come risultato di un intervento straniero. Quindi tale avversione sembra una reazione di sopravvivenza, che però potrebbe cambiare di fronte alla prospettiva dell’instaurazione di regimi democratici appoggiati da Europa e Stati Uniti.