Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I Congressi Internazionali di Architettura Moderna (CIAM) vengono fondati in Svizzera nel 1928. Si tratta di un’associazione di progettisti, in gran parte vicini ai movimenti delle avanguardie artistiche, il cui obiettivo è sostenere lo sviluppo dei linguaggi razionalisti moderni in architettura e facilitarne la circolazione internazionale. Il gruppo, a cui aderiscono personaggi centrali quali Le Corbusier, Gropius, Neutra, May, van Eesteren, Giedion (che ne è il segretario), intende agire al servizio della società e promuovere una visione “rivoluzionaria” dello spazio domestico e della città.
Le occasioni
L’anno 1927 vede la coincidenza di due episodi che marcano il nuovo corso dell’architettura moderna europea: l’esposizione intitolata Die Wohnung (“La casa”) che il Werkbund tedesco organizza a Stoccarda e la conclusione del concorso internazionale per la realizzazione del palazzo della Società delle Nazioni di Ginevra. Questi due eventi fanno da premessa alla convocazione del Congresso Internazionale di Architettura Moderna (giugno 1928), meglio noto con l’acronimo CIAM.
Die Wohnung si configura come un programma espositivo articolato su più mostre, tutte incentrate sulla costruzione di un quartiere di residenze sperimentali, denominato Weissenhof Siedlung. Alla progettazione vengono invitati a partecipare alcuni architetti selezionati fra coloro che, con le opere o con gli scritti, lavorano alla definizione del rapporto fra “nuova architettura” e “nuovo modo di abitare”. A coordinare l’evento viene chiamato l’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, all’epoca vicepresidente del Werkbund, l’associazione che riunisce progettisti, industriali, artigiani, cultori dell’arte moderna con lo scopo di coniugare “bella” forma e produzione industriale di massa.
Nell’elenco dei progettisti, provenienti da cinque diversi paesi europei, brillano i nomi dei protagonisti di quella pacifica rivoluzione che intende rendere più funzionale lo spazio domestico: i tedeschi Peter Behrens, Walter Gropius e Bruno Taut, gli olandesi Jacobus Johannes P. Oud e Mart Stam, il belga Victor Bourgeois (1897-1962), lo svizzero-francese Le Corbusier. Questi, insieme a un ristretto gruppo di colleghi, ricevono il mandato di costruire un complesso di abitazioni modello (case unifamiliari, case a schiera, appartamenti), che siano dimostrative degli intenti di innovazione tecnica e riforma sociale all’origine del programma espositivo proposto dal Werkbund. La mostra si propone, infatti, di sfidare la visione tradizionalista dell’abitare e di sperimentare le potenzialità offerte alla costruzione moderna da nuovi materiali e tecniche, con l’obiettivo di risolvere i problemi tipologico-spaziali ed economici connessi all’abitazione a basso costo. La realizzazione degli alloggi sulla collina del Weissenhof risente di uno spirito di grande collegialità e da una forte unità di scopi e prassi progettuali.
Il programma del concorso per la sede ginevrina della Società delle Nazioni invece, annunciato nel 1926, appare la più coerente manifestazione di quel sentimento di internazionalità a cui gli architetti moderni, razionalisti, fanno in questi tempi continuo riferimento. È una occasione appassionante, carica di attese, come dimostra l’elevatissimo numero di progetti, più di 350, che la giuria si trova a vagliare. Ma i risultati, annunciati nel maggio del 1927, tradiscono la scarsa attenzione della committenza verso i linguaggi modernisti. Più in generale, nessuno dei progetti viene ritenuto all’altezza del programma del concorso. Successivamente, un gruppo di ambasciatori, in qualità di “saggi” nominati dalla stessa Società delle Nazioni, si rivolge a due finalisti affinché redigano un nuovo progetto: l’esito è una proposta di chiaro stampo Beaux-Arts, poi realizzata.
Quella soluzione sembra condannare la ventata di rinnovamento che percorre l’architettura. Colui che contesterà con più veemenza il giudizio della giuria e i suoi esiti finali sarà proprio Le Corbusier. Il suo progetto, ricco di suggestioni formali e ambientali, e insieme molto innovativo, è certamente fra quelli che più sinceramente si faceva portavoce di ciò che, alcuni anni dopo, sarebbe stato definito lo “stile internazionale”.
Il laboratorio dell’architettura moderna
Frutto di quel clima battagliero e, al tempo stesso, carico di speranze e di visioni utopiche che si vive in Europa alla fine degli anni Venti sono i Congrès internationaux d’architecture moderne. Alla loro nascita dà un contributo vitale una ricca nobildonna di origine svizzera, Hélène de Mandrot, la quale, su suggerimento di Le Corbusier e dello storico dell’architettura Sigfried Giedion, chiama a raccolta nel suo castello a La Sarraz (Svizzera francese) un nutrito gruppo di progettisti, molto vicini alle espressioni artistiche dei movimenti delle avanguardie. Lo stesso Le Corbusier, nel programma preparatorio del congresso, chiede un confronto su sei temi, rispetto ai quali ritiene urgente pronunciarsi: l’espressione architettonica moderna, la standardizzazione, l’igiene, l’urbanistica, l’educazione delle giovani generazioni, il rapporto con le istituzioni e con l’autorità. A conclusione di cinque giorni di dibattito, si giunge all’elaborazione di un documento, noto come “Dichiarazione di La Sarraz”, in cui si sintetizzano le finalità, il metodo di lavoro e le aree di interesse del CIAM. Vi si sottolinea non solo una visione modernista ed antiaccademica, ma anche la volontà di sviluppare un’azione collettiva, secondo un ethos basato sulla collaborazione e la militanza in prima persona.
Giedion, eletto segretario generale durante quell’incontro, riassume in quattro punti la strategia a lungo termine dei CIAM: dare voce al progetto culturale dell’architettura contemporanea; sostenere la presenza dell’idea moderna in architettura; diffondere con ogni forza quell’idea presso i tecnici e patrocinarla negli ambienti economici e sociali più diversi; cercare una soluzione ai problemi dell’architettura.
Per dare un seguito agli impegni sottoscritti a La Sarraz si dispongono gruppi di lavoro a livello nazionale, che avrebbero indicato i delegati ai successivi congressi, previsti con cadenza annuale. Il secondo Congresso si tiene a Francoforte, in Germania, nell’ottobre del 1929; cresce la partecipazione internazionale, con presenze sia dagli Stati Uniti d’America, sia dall’Unione Sovietica. Il tema scelto tocca uno dei problemi più sentiti dagli architetti dopo le distruzioni dovute al conflitto mondiale: la progettazione dell’alloggio minimo, specialmente indirizzato alle classi meno abbienti. È in questa occasione che viene introdotto il concetto di Existenzminimum, che riassumeva tanto gli aspetti spaziali quanto economico e sociali della casa popolare, e che, nei decenni successivi, diventerà uno degli slogan di maggiore successo dell’architettura del Novecento.
Il congresso viene organizzato da Ernst May , l’architetto responsabile della costruzione dei nuovi quartieri popolari promossi dalla municipalità di Francoforte. Una mostra di progetti e realizzazioni affianca le relazioni e l’esame dei casi-studio con lo scopo di documentare lo stato dell’arte nel settore della residenza a basso costo.
Nel passaggio successivo gli architetti si misurano con la scala del quartiere. Il III Congresso, nel 1930 a Bruxelles, in Belgio, sotto la direzione di Victor Bourgeois (1897-1962), mette infatti al centro del dibattito l’esame della razionale organizzazione dei quartieri di abitazione, nuova frontiera della crescita urbana. L’architetto berlinese Walter Gropius, invitato a tenere una delle relazioni introduttive, riassume il problema in una domanda, molto efficace nella sua formulazione: dobbiamo costruire case alte, medie o basse? E di conseguenza, progettare quartieri concepiti come un piano verde continuo su cui si innalzano alte torri residenziali, oppure scegliere il modello dell’edilizia unifamiliare diffusa? Molte le proposte esaminate, senza che si giunga ad alcuna scelta esclusiva, né condivisa. Nuovamente si ricorre alla formula dell’esposizione per presentare un repertorio di soluzioni ideali.
Fratture
Le incertezze politiche che attraversano l’Europa, amplificate dagli effetti prolungati della crisi del 1929, causano la momentanea interruzione dei CIAM. Intanto si era aperta la discussione sul tema del congresso, “la città funzionale”, la cui ampiezza richiede una preparazione accurata e un rilevante impegno da parte di molti, mentre si avviano i contatti per la scelta della sede del nuovo incontro. L’ipotesi che trova maggiori consensi è di ambientarlo a Mosca, ma la proposta ottiene un secco rifiuto da parte delle autorità sovietiche. La risposta colpisce Giedion tanto quanto gli architetti che aspirano a un confronto diretto con i colleghi impegnati nella realizzazione delle città nuove in Unione Sovietica. Infine, la conclusione del concorso internazionale per il Palazzo dei Soviet, i cui risultati vengono annunciati nella primavera del 1932 con la vittoria di un progetto monumentale e bolso, chiaramente antimodernista, fa svanire ogni speranza di dialogo. I progettisti, che avrebbero desiderato esprimere la loro solidarietà ai loro colleghi che si battevano per l’affermazione di un’architettura moderna e funzionale, trovano le porte chiuse.
Il IV Congresso viene convocato nell’estate del 1933 e si svolge in parte a bordo della nave Patris II, in navigazione fra Marsiglia e Atene, in parte nella capitale greca. La necessità di disporre di numerosi giorni per poter analizzare i piani regolatori delle 33 città prese in esame, e l’aspirazione, condivisa da molti, di un confronto diretto con i monumenti dell’antichità classica, alla cui ordinata armonia gli architetti razionalisti sempre più spesso si riferiscono, sembrano decisivi per raccogliere vasti consensi intorno a quella scelta. È il più lungo dei congressi (29 luglio-10 agosto), e anche il più ambizioso poiché il presidente, l’olandese Cornelis van Eesteren (1897-1988), si prefigge come obiettivo la definizione di un codice che diventi il comune denominatore nell’elaborazione dei nuovi piani. Quel documento, frutto dell’acceso dibattito fra architetti e urbanisti, sarà la “Carta di Atene” e sarà dato alle stampe, in una versione revisionata, nel 1943 a firma di Le Corbusier. In quel libretto, la cui fortuna critica sarà straordinaria, a fianco di una serie di raccomandazioni riferite alla necessità di far precedere la stesura del piano regolatore da analisi statistiche, sociologiche e ambientali, si enunciano le quattro funzioni-chiave dell’urbanistica moderna: Abitazione, Tempo libero, Lavoro, Trasporti.
Le prime due funzioni vengono scelte da Le Corbusier come temi portanti del V Congresso, che si svolge a Parigi nel 1937 in coincidenza con l’Esposizione internazionale. I CIAM sembrano risentire del clima preoccupato e delle avvisaglie di guerra che di lì a pochi anni avrebbero attraversato l’Europa, e perdere la chiarezza della propria ragione d’essere, ossia aiutare gli esseri umani a costruire una città per tutti, fatta di architetture salubri e razionali. Tuttavia dei risultati di Atene si parlerà attraverso una serie di libri, che, di fatto, marcano la conclusione dei CIAM precedenti la seconda guerra mondiale. Lo spagnolo Josep Lluis Sert pubblica, nel 1942, Can Our Cities Survive?, una raccolta di tutti i documenti prodotti nel corso del IV Congresso, e Le Corbusier, oltre alla Carta, promuove la sua visione della città moderna in La ville radieuse (1935) e Le Destin de Paris (1941).
Dopo la guerra
Cinque i congressi promossi nel secondo dopoguerra: a Bridgwater, Inghilterra, nel 1947; a Bergamo, nel 1949; a Hoddesdon, Inghilterra, nel 1951, a Aix-en-Provence, nel 1953; e infine a Dubrovnik nel 1956. L’incontro che avrebbe segnato la fine di questa straordinaria avventura della cultura architettonica del Novecento, si svolge a Otterlo, in Olanda, nel 1959. La ripresa, in Inghilterra, evidenzia l’inizio di una nuova fase. Innanzitutto si manifestano i primi segni di un cambiamento generazionale e la nascita di tensioni e divisioni interne. L’inglese si impone come lingua comune e, benché la leadership sia ancora nelle mani di Le Corbusier e Giedion, il VI Congresso viene dominato dal gruppo inglese MARS. I temi del dibattito non avrebbero più abbandonato la scala urbana, legata alla ricostruzione postbellica.
L’obiettivo del congresso è mettere in discussione le quattro categorie della Carta di Atene e lavorare per la costruzione di un ambiente fisico a misura dei bisogni materiali ed emotivi dell’umanità, piuttosto che originato dalla successione ordinata di funzioni. L’incontro seguente, a Bergamo, non vede nessun sostanziale avanzamento del dibattito quanto, invece, esacerbarsi le divisioni interne.
Il “cuore della città”, tema dell’VIII Congresso, rimane piuttosto uno slogan, distante da quelle che erano le forze che stavano cambiando il volto delle città nel secondo dopoguerra. Una certa delusione, inoltre, si fa strada fra i partecipanti più giovani, sempre più insoddisfatti dall’incapacità dei “maestri” di rinnovare i propri linguaggi. Lo scontro finale si avvicina rapidamente. Già ad Aix-en-Provence, gli inglesi Alison e Peter Smithson e l’olandese Aldo van Eyck prendono le distanze dall’urbanistica funzionalista per proporre un modello di crescita della città basato su organismi cellulari, diversamente aggregati in relazione alla densità urbana. La loro ricerca è indirizzata verso l’individuazione dei principi strutturali della crescita della città e, indirettamente, della società, non più unicamente basata sull’unità minima formata dalla famiglia.
La maniera di pensare di questi giovani architetti favorisce la nascita di un nuovo gruppo all’interno dei CIAM, Team 10. I membri rifiutano il nuovo “empirismo” professato dai colleghi del MARS, e la “nuova monumentalità” difesa dalla vecchia guardia, tanto quella idealista rappresentata da Le Corbusier, Gropius, van Eesteren e Sert, quanto quella della generazione successiva, dei Rogers , Roth e del giovane Maekawa.
A Dubrovnik, nel 1956, lo schematismo delle funzioni e la rigidità delle griglie CIAM non vengono ritenuti strumenti validi per produrre una risposta alla realtà dinamica delle megalopoli e alla tendenza verso la città diffusa. Mancano, polemicamente, Le Corbusier e Gropius e il ruolo del mediatore tocca a Sert.
Nell’incontro di Otterlo, voluto dal Team 10, l’urgenza di confrontarsi con la crescita spontanea delle città e con un progetto che tenga conto delle realtà antropologiche e geografiche a più vasta scala, segna l’abbandono totale del metodo dell’urbanistica scientifica e mette in evidenza la nascita di una coscienza ecologista, che si affianca a un progetto socio-culturale con forti connotazioni politiche. Nel 1959 Team 10 chiude, quindi, la stagione dei CIAM, ma dal suo canto non è del tutto in grado di raccoglierne l’eredità e di trasformarla, rimanendo intrappolato in un dibattito formalista e in uno scontro ideologico che genererà la sua stessa, successiva, frantumazione.