I contratti rent to buy
In un momento di grave crisi economica, particolarmente accentuata nel campo dell’edilizia, il legislatore – con l’art. 23 del d.l. 12.09.2014, n. 133, convertito, con modifiche, con l. 11.11.2014, n. 164 – ha messo a disposizione dell’autonomia privata il nuovo istituto giuridico del contratto di concessione immediata del godimento di immobile con diritto di acquisto del conduttore (cd. rent to buy). Alcune caratteristiche del nuovo istituto, tuttavia, inducono a ritenere che la prassi continuerà prevalentemente ad impiegare a tale fine alcuni istituti tradizionali e, in particolare, la vendita immediatamente traslativa con pagamento rateale del prezzo, sottoposta, a garanzia del venditore, alla condizione risolutiva del mancato integrale pagamento da parte del compratore già immesso nel possesso dell’immobile (cd. buy to rent).
Prima che l’art. 23 d.l. 12.09.2014, n. 133, convertito con modificazioni nella l. 11.11.2014, n. 164, introducesse un nuovo tipo contrattuale nell’ordinamento giuridico italiano, e salvo quanto si rileverà nei successivi §§ 2.1 e 3, vi era comunque spazio per l’autonomia privata, sulla base degli istituti di diritto comune, per combinare, in collegamento negoziale, una locazione presente e certa con una vendita futura ed eventuale.
La combinazione di tali due contratti poteva realizzarsi principalmente secondo due diversi schemi: quello della locazione con opzione di futuro acquisto e quello della locazione con preliminare di futuro acquisto.
Nella prima ipotesi, le parti concludevano un contratto di locazione nell’ambito del quale veniva concessa dal locatore aspirante venditore un’opzione di acquisto in favore del conduttore aspirante acquirente, il quale avrebbe dovuto decidere se avvalersene o meno in un arco temporale e secondo modalità stabilite nello stesso contratto di locazione a cui l’opzione accedeva.
Nella seconda ipotesi, invece, le parti decidevano di obbligarsi entrambe a procedere alla futura operazione di compravendita contro un prezzo, fissato generalmente in misura ridotta in considerazione dei canoni già pagati, individuando in un vero e proprio contratto preliminare di vendita collegato alla locazione tutti gli elementi della futura vendita e, nel contempo, rimettendo alla futura stipulazione del contratto definitivo la facoltà, se vi fosse stato accordo tra le parti sul punto, di modificare e comunque rinegoziare determinati aspetti del regolamento contrattuale, anche in prospettiva di emersione di eventuali sopravvenienze e, in ogni caso, delle diverse esigenze nel frattempo verificatesi.
Nel caso della locazione con opzione di acquisto, il conduttore che decideva di divenire acquirente esercitando l’opzione non doveva, in assenza di collaborazione di controparte, fare ricorso ad alcuna sentenza costitutiva o di accertamento dell’avvenuta conclusione di tale contratto. Infatti, gli effetti della vendita sarebbero decorsi in ogni caso dalla ricezione da parte del locatore aspirante venditore della accettazione formale della proposta irrevocabile contenuta nell’opzione, secondo il meccanismo generale di formazione del contratto a distanza di cui agli artt. 1326 ss. c.c.
In tale caso – laddove il contratto di locazione contenente l’originaria opzione di acquisto fosse stato a suo tempo stipulato in forma pubblica o privata autenticata, al pari di quanto doveva avvenire per l’atto di formale accettazione della proposta di acquisto – non sarebbe occorsa, una volta rispettate le forme richieste dall’art. 2657 c.c. ai fini della trascrizione degli atti (anche a distanza, ove la ricezione dell’accettazione da parte del proponente consti da formale relazione di notifica) nei registri immobiliari, alcuna ulteriore collaborazione da parte del medesimo locatore aspirante venditore neppure ai fini della esecuzione della trascrizione conseguente all’accettazione dell’opzione di acquisto.
Nel caso invece della locazione con preliminare di acquisto, le parti avrebbero dovuto, in ogni caso, procedere alla stipulazione di un contratto definitivo di vendita esecutivo del preliminare, sotto pena, in mancanza della disponibilità di una di esse a procedere spontaneamente a tale stipulazione, dell’instaurazione da parte dell’altro contraente di un’azione di esecuzione in forma specifica del preliminare stesso ex art. 2932 c.c.Ne conseguiva che, in tale caso, dal momento che la trascrizione del successivo contratto di vendita avrebbe comunque richiesto un autonomo atto notarile, in forma pubblica o privata autenticata, la stipulazione dell’iniziale contratto di locazione con preliminare di vendita sarebbe potuta avvenire in forma di semplice scrittura privata da sottoporre a registrazione.
L’art. 23 d.l. n. 133/2014, come si è già anticipato, ha introdotto nell’ordinamento un nuovo tipo contrattuale, che viene definito come «contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili», allo scopo:
i) di consentire che il godimento, in quanto funzionale alla futura vendita, sia regolato da norme più flessibili rispetto a quelle della locazione, in parte dettate ad hoc dal legislatore (cfr. disciplina dei co. 1-bis, 2, 4 e 5 dell’art. 23 citato), in parte prese, in forza di specifico richiamo, dalle norme in materia di diritto di usufrutto (artt. 10021007, 10121013 c.c., in quanto compatibili);
ii) di consentire che il diritto all’acquisto dell’immobile immediatamente ricevuto in godimento, rimesso a libera valutazione del conduttore, possa essere reso opponibile ai terzi – mediante una trascrizione che produce sia gli effetti dell’art. 2645 bis c.c. (per opporre il futuro acquisto, ove il relativo diritto sia tempestivamente esercitato), sia quelli dell’art. 2643, n. 8, c.c. (per opporre l’immediato godimento) – per un periodo di tempo maggiore di quello massimo triennale già garantito dal medesimo art. 2645 bis c.c., dal momento che le esigenze dei conduttori aspiranti compratori possono richiedere un tempo assai maggiore rispetto ai tre anni (la norma concede tale opponibilità per effetto della trascrizione per un periodo corrispondente «a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore ai dieci anni»: cfr. art. 23, co. 3, secondo periodo);
iii)di consentire che, in caso di esercizio del diritto di acquisto, una parte del corrispettivo pagato come canone sia imputato a titolo di prezzo di vendita, per quell’importo che la legge (art. 23, co. 1) impone all’autonomia negoziale di precisare già in sede di concessione del godimento;
iv) di disciplinare compiutamente gli effetti della risoluzione per inadempimento per causa dell’una o dell’altra delle parti (art. 23, co. 5), così come il fallimento dell’una o dell’altra delle parti medesime (art. 23, co. 6);
v) di scongiurare qualsiasi restituzione del corrispettivo pagato come canone del godimento e di consentire, per contro, che la parte di corrispettivo da imputare a prezzo della futura vendita sia interamente restituita in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto, tranne che per quella parte che viene comunque trattenuta dal concedente secondo specifica – e ad avviso di chi scrive eventuale – pattuizione contrattuale (art. 23, co. 1-bis).
Il legislatore del 2014 ha ritenuto dunque, da un lato, che la disciplina del nuovo contratto debba fornire alle parti un supporto normativo sufficientemente analitico e completo (al fine di aiutare le stesse, e soprattutto il conduttore/compratore, visto dalla legge come il contraente debole, a contenere i costi di transazione, richiedendo che ogni effetto dell’acquisto o del mancato acquisto sui pagamenti nel frattempo eseguiti sia chiarito nel dettaglio fin dalla stipulazione iniziale), e, dall’altro lato, che per realizzare l’interesse delle parti l’ordinamento debba garantire, in deroga alle regole prima esistenti, che il futuro acquisto sia opponibile ai terzi, mediante trascrizione, anche laddove il godimento provvisorio abbia una durata significativa, fissata ora, come si è visto, in dieci anni massimi.
Ne deriva, per la combinazione di tali due aspetti, che le norme che regolano il nuovo tipo contrattuale sono tendenzialmente imperative, sia per ragioni di tutela dei terzi (ordine pubblico economico), sia per ragioni di tutela del contraente ritenuto debole (il conduttore), che, con la nuova legge, se perde larga parte della disciplina protettiva del contratto di locazione, acquisisce comunque la protezione di nuove norme ad hoc (ordine pubblico di protezione).
Ogni norma dettata, pertanto, deve presumersi imperativa, sia nella parte in cui impone semplicemente all’autonomia privata di esprimersi (art. 23, co. 1), sia nella parte in cui pone limiti di tipo temporale o quantitativo (art. 23, co. 26).
L’imperatività, invece, non sussiste laddove, come nel caso del precetto contenuto nel co. 1-bis dell’art. 23, il legislatore disciplini la rinegoziazione di uno specifico aspetto contrattuale allo scopo di riorientare il regolamento contrattuale a favore del concedente (la quota dei canoni imputata a corrispettivo – secondo il co. 1 precedente – che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore) ricorrendo ad un’obbligazione riconducibile alla clausola penale ex art. 1382 c.c., dal momento che già la disciplina di quest’ultimo istituto tutela il contraente debole (art. 23, co. 1: se nulla si dice, infatti, il concedente dovrà restituire l’intera parte del corrispettivo che si imputa a prezzo, dal momento che in tale caso, non essendoci vendita, non c’è neppure il prezzo).
Qualche questione specifica è destinata a sollevare il co. 1.
Tale norma deve essere interpretata, a sua volta, alla luce degli interessi perseguiti dal legislatore, come sopra individuati.
Ne consegue:
a) che la parte di canone imputata a corrispettivo della futura vendita deve in ogni caso esistere e non deve neppure essere di valore simbolico, o nummum unum;
b) che, per contro, quando il legislatore impone che la concessione del godimento sia «immediata» non intende creare una nuova figura di actus legitimus, che non tollera termini iniziali o condizioni sospensive, ma intende solo evitare che il concedente possa, a danno della parte debole, riscuotere qualsiasi forma di corrispettivo prima che il godimento del conduttore aspirante compratore abbia avuto inizio;
c) il nuovo istituto non mette fuori gioco le forme di rent to buy talora praticate prima della riforma del 2014, dal momento che lo scopo della norma è quello di ampliare e non quello di ridurre l’autonomia privata in materia; tuttavia, l’insieme delle norme imperative poste dall’art. 23 costituirà per l’interprete un inevitabile punto di riferimento anche per la valutazione di tali contratti, non potendosi più accettare che la tutela del contraente ritenuto debole introdotta nel 2014 sia aggirata, per gli specifici profili contemplati dal legislatore (soprattutto art. 23, co.56), attraverso i citati diversi contratti collegati.
2.1 I contratti cd. buy to rent
Accanto agli istituti finora considerati – definiti nel loro insieme contratti, mutuando una terminologia diffusa a livello internazionale, rent to buy – la prassi, ormai da qualche anno, ne ha messo a punto uno diverso idoneo a svolgere la stessa funzione economica.
Si tratta, a ben vedere, di un contratto di vendita (oppure, il contratto preliminare di vendita) con pagamento di rate di prezzo periodiche per un numero prestabilito di mesi o di anni, dietro concessione immediata del possesso del bene in capo al compratore, assistita da una condizione risolutiva di inadempimento a tutela del venditore non ancora pagato integralmente.
Tale contratto, in maniera certamente atecnica (si compra a rate senza che vi sia mai alcuna forma di locazione), è stato definito come “buy to rent”, dal momento che esso costituisce, dal punto di vista giuridico, un unitario contratto di vendita, caratterizzato tuttavia dal pagamento, almeno inizialmente, di rate periodiche di prezzo di ammontare simile a quelli che avrebbero potuto essere (ma non sono) canoni di locazione.
Esso – nel presupposto che, come la giurisprudenza costante di legittimità ha ormai definitivamente chiarito, la condizione risolutiva di inadempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo sia del tutto legittima – consente di contemperare efficacemente le esigenze di chi intende privarsi immediatamente della proprietà del bene, senza essere costretto ad accettare sconti di prezzo eccessivi, e chi ha un’esigenza abitativa impellente, ma non ha la liquidità sufficiente per saldare subito l’intero prezzo.
In queste ipotesi, l’autonomia privata, per praticare efficacemente lo schema del contratto di buy to rent, potrà fare ricorso, più precisamente, all’istituto della vendita con condizione unilaterale nell’interesse del venditore di inadempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo ex artt. 1353 ss. c.c., in cui l’evento dedotto in condizione coincide con l’inadempimento qualificato da parte del compratore, così come liberamente determinato dalle stesse parti.
L’utilizzo di questo schema garantisce al compratore di non essere più esposto a rischi di trascrizioni pregiudizievoli o iscrizioni contro il venditore e a quest’ultimo, una volta fatta valere la condizione risolutiva, di potere riacquistare ex lege la piena proprietà dell’immobile alienato senza subire gli effetti degli eventuali atti pregiudizievoli compiuti o subiti dal compratore dopo il trasferimento a suo favore della proprietà (cfr. art. 1357, co. 2, c.c.).
Inoltre, qualora il bene non venga riconsegnato spontaneamente dal compratore inadempiente, il venditore potrà fare valere, pure in mancanza di titolo esecutivo, un provvedimento giudiziale d’urgenza, non dovendo cimentarsi con le complesse procedure speciali in tema di sfratto del conduttore per morosità.
Il dettato dell’art. 23 d.l. n. 133/2014, come sopra sinteticamente illustrato, non sembra a chi scrive idoneo a consentire un’applicazione su larga scala della nuova soluzione rent to buy tipizzata dal legislatore a detrimento della soluzione cd. buy to rent da ultimo richiamata.
Le persone che si mettono nell’ordine di idee di stipulare i tipi di contratto in oggetto, infatti, perseguono l’obiettivo unico e chiaro della vendita e dell’acquisto definitivo, e sono disposti ad allontanarsi dallo schema tipico di tale vendita esclusivamente per l’impossibilità degli aspiranti acquirenti di disporre, al momento, non solo delle risorse finanziarie per pagare l’intero prezzo (stante anche la loro impossibilità, nel momento in cui si vuole chiudere l’affare, di accedere a tale fine ad un adeguato finanziamento bancario ipotecario), ma anche della sicurezza di potere acquisire tali risorse finanziarie in futuro (stante l’incertezza che tali persone percepiscono con riguardo non solo alle proprie possibilità di accedere dopo qualche anno al citato finanziamento bancario, ma anche con riguardo alla possibilità di continuare ad avere un posto di lavoro che consenta loro di continuare a pagare il corrispettivo mensile pattuito).
Animus donandi ed animus vendendi, detto con la maggiore semplicità possibile, sono due stati psicologici così diversi da risultare del tutto insovrapponibili; il diritto, quando entrambe le parti perseguono un animus vendendi, difficilmente riuscirà a fare digerire un’operazione regolata alla stregua di una locazione, ovvero da norme adatte a chi persegue l’affatto diverso animus locandi, del tutto assente nel caso di specie.
Vi sono poi, due ulteriori ragioni, più specifiche, che inducono ad ipotizzare difficoltà per una applicazione su larga scala dell’istituto di cui all’art. 23 d.l. n. 133/2014.
In primo luogo, l’impiego dello schema negoziale ora al vaglio, risulta penalizzante da un punto di vista fiscale.
Invero, tratto distintivo del nuovo contratto è che vi sia un corrispettivo pagato a titolo di canone e che tale canone sia, a sua volta, suddiviso in due parti, l’una imputata a corrispettivo del godimento immediato e l’altra imputata al futuro prezzo di acquisto.
Proprio tale suddivisione determina in capo all’aspirante venditore una tassazione, a titolo di imposte sui redditi, sull’intero importo previsto a titolo di canone, inteso come parte del corrispettivo imputata al godimento del bene.
Ne consegue pertanto che, attesa l’attuale disciplina fiscale, l’uso di tale schema contrattuale difficilmente potrà riscuotere interesse in capo al concedente, laddove lo stesso disponga di un istituto alternativo che non è fiscalmente abusivo, ma è soltanto il portato di una legittima opzione.
In secondo luogo, può risultare impossibile, per molti concedenti, attenersi alla prescrizione, come si è visto imperativa, dell’art. 23, co. 4, d.l. n. 133/2014, che opera un richiamo all’art. 8 d.lgs. 20.6.2005, n. 122.
In particolare, l’art. 8 d.lgs. n. 122/2005 dispone che il notaio non possa procedere alla stipula dell’atto di vendita se, anteriormente o contestualmente alla stipula dell’atto, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell’ipoteca a garanzia o del pignoramento che eventualmente gravi sull’immobile.
È vero che, secondo taluno, l’ambito di applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 122/2005 sarebbe circoscritto al solo venditore che rivesta la qualità di costruttore e che stia negoziando un immobile da costruire ai sensi della citata legge.
Tale limitazione di ambito applicativo, tuttavia, anche se in ipotesi condivisibile per quanto riguarda l’art. 8 d.lgs. n. 122/2005, non risulta possibile per quanto riguarda il contratto di rent to buy di cui al d.l. n. 133/2014, dal momento che il richiamo alla legge del 2005 è funzionale esclusivamente all’individuazione del precetto e non anche dell’ambito applicativo, coincidente con ogni tipo di contratto riconducibile al nuovo tipo di cui all’art. 23 d.l. n. 133/2014.
Da tale specifico punto di vista, si può quindi ritenere che la nuova disciplina, nell’ottica del concedente, vada addirittura a peggiorare la situazione preesistente, posto che, prima della sua entrata in vigore, l’utilizzo di uno degli schemi del rent to buy atipico non avrebbe comunque comportato l’immediata applicazione del divieto previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 122/2005.