I contratti swap
Lo swap va annoverato come uno dei più moderni strumenti di copertura dei rischi utilizzato prevalentemente dalle banche, dalle imprese e anche dagli enti pubblici. L’utilizzo da parte di questi ultimi, in particolare degli enti locali che attraverso esso intendono attenuare la forte esposizione debitoria con istituti di credito, sovente è fonte di un rilevante contenzioso rispetto al quale non è agevole l’individuazione del plesso giurisdizionale competente a risolverlo, tra giudice amministrativo e giudice civile, accentuato dalla circostanza che in molti contratti, spesso stipulati con istituti stranieri, è di regola apposta una clausola di deroga alla giurisdizione italiana. In assenza di una scelta normativa circa il giudice esclusivamente competente a conoscere dette controversie, la giurisprudenza appare attualmente orientata a applicare anche in detto settore gli ordinari criteri di riparto di giurisdizione.
Lo swap1, in via generale, può riferirsi ad una tecnica finanziaria caratterizzata da una grande versatilità e flessibilità; tuttavia, seppure essa ha avuto un grande successo nel corso degli ultimi venti anni e quindi costituisce ormai uno strumento molto utilizzato, non è agevole attribuire una definizione unitaria a tale espressione anglosassone. In modo molto elementare al termine swap è riferibile la traduzione italiana di “barattare, dare in cambio, scambiare”.
Nell’ambito della finanza lo swap va inserito nella categoria degli strumenti derivati e, tendenzialmente, consiste nello scambio di flussi di cassa tra due controparti.
Gli swap2 rappresentano un prodotto della prassi commerciale: essi, quindi, non esistono «allo stato puro» (ossia come modello astratto), ma sono necessariamente «contaminati» dagli interessi concreti delle parti. Possiamo comunque rinvenire nella prassi quattro gruppi principali di swap, qualificabili come: a) di interessi; b) di valute; c) di merci; d) di indici di mercato3.
Dal punto di vista operativo, gli swap risultano caratterizzati dalla previsione secondo cui le parti si scambiano, in una o più date prefissate, due somme di denaro calcolate applicando ad un identico ammontare di riferimento (il cd. nozionale) due diversi parametri (di regola, tassi di interessi o di cambio o, ancora, indici di mercati regolamentati) e possono essere conclusi per finalità di controllo e gestione del rischio (il cd. hedging) ovvero per finalità speculative (il cd. trading)4.
Si tratta in generale di operazioni non standardizzate e frutto dell’accordo bilaterale delle parti. Un caso classico è il seguente: “A” stipula uno swap con “B” in forza del quale pagherà a “B” un interesse fisso,mentre “B” pagherà ad “A” un interesse legato all’andamento del mercato: se l’interesse di mercato è superiore al tasso fisso, A «vincerà» la scommessa e guadagnerà in ragione della differenza tra i due parametri, in caso contrario perderà; va puntualizzato che non vi è un limite all’entità della «perdita» ed è per questa ragione che gli strumenti derivati sono assai pericolosi. Lo swap, inoltre, può insistere su un preesistente mutuo contratto da “A” con un istituto bancario, con la conseguenza che chi ha ottenuto il prestito, invece di versare somme alla banca, in sostanza pattuisce con un soggetto terzo la modalità di ammortamento5.
I contratti di swap secondo la definizione contenuta nel reg. Banca d’Italia 2.7.1991, art. 49, sono caratterizzati dallo scambio di flussi finanziari relativi ad attività o passività specifiche espresse rispettivamente in valute o tassi d’interesse diverse ed in particolare di titoli del debito pubblico emessi a condizioni iniziali differenti, quali, ad esempio, tasso fisso contro tasso variabile e sono perciò considerati valori mobiliari, come tali attratti nella disciplina della intermediazione mobiliare della l. 2.1.1991, n. 1, che rimangono sottratti alla disciplina degli appalti di servizi quando vengono praticati come strumenti di politica monetaria o di debito pubblico.
1.1 Il rilievo del fenomeno presso gli enti pubblici
Fin dalla fine degli anni novanta del secolo appena trascorso gli enti pubblici (e in particolare gli enti locali) sono stati attratti dall’uso degli strumenti finanziari e ciò ha consentito il collocamento di “derivati” presso le p.a. nel nostro Paese. Tali enti, a causa della contrazione delle risorse (finanziarie) pubbliche e nonostante l’aleatorietà del prodotto finanziario del quale qui ci si occupa, hanno preso ad attingere al sistema dei derivati finanziari per tentare di operare forme di ristrutturazione dell’indebitamento pregresso.
Il legislatore si era preoccupato di disciplinare tale tipologia di titoli, tra i quali rientrano anche i “future”, nel Testo Unico Bancario (d.lgs. 1.9.1993, n. 385). Gli strumenti derivati sono solo richiamati dall’art. 35, l. 23.12.1994, n. 724, per poi ricevere un abbozzo di disciplina organica dalla l. 28.12.2001, n. 448 e dal regolamento attuativo (decreto del ministro dell’economia e delle finanze, emanato previo concerto con il ministro dell’interno, 1.12.2003, n. 389).
A questi sono seguiti altri interventi legislativi volti a ridurre l’ambito di discrezionalità da parte dei soggetti pubblici nel ricorso ai derivati e ciò in quanto la preoccupazione in ordine alla diffusione di tali operazioni tra gli enti locali (nel 2009 è emerso che ben 736 comuni avevano sottoscritto contratti per derivati, la maggior parte dei quali aveva poi dovuto ammettere di ipotizzare una perdita) si era ben presto manifestata presso le istituzioni cui è affidato il controllo sull’attività economica pubblica.
Sulla pericolosità delle operazioni realizzate dagli enti locali nel settore finanziario ha fatto luce la Corte dei conti nell’audizione presso la VI Commissione “finanze e tesoro” del Senato della Repubblica in data 18.2.2009, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’utilizzo e sulla diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni.
1.2 Perché una questione di giurisdizione sui contratti di swap
Un problema di giurisdizione in materia di contenzioso generato dalla stipula di un contratto swap sorge solo da quando soggetti pubblici hanno individuato in tale strumento una occasione per realizzare operazioni finanziarie e il legislatore lo ha consentito.
Appare evidente che, fin quando la stipula del contratto di swap avviene attraverso meccanismi o stilemi (interamente) civilistici non si crea, neppure in thesi, alcuna questione di giurisdizione; questa emerge quando ad un soggetto pubblico, che deve stipulare un contratto (di swap) rientrante nella (macro) famiglia dei servizi d’intermediazione finanziaria, è imposto, sia dall’ordinamento comunitario che da quello nazionale, di procedere attraverso il modello pubblicistico, trattandosi di una operazione riconducibile alla, per vero incerta quanto a perimetro identificativo, famiglia dei cd. contratti pubblici. Da qui l’esigenza di individuare: a) la tipologia della modalità di intervento della p.a., se riconducibile all’esercizio di un potere autoritativo o meno; b) la posizione soggettiva del destinatario dell’attività posta in essere dall’amministrazione; c) il giudice competente a conoscere le relative controversie.
La normativa che ha tentato di introdurre una disciplina organica (non riuscendovi a causa della incerta natura dell’operazione contrattuale sopra tratteggiata) dell’utilizzo dei derivati da parte delle p.a. non ha attribuito una competenza giurisdizionale propria (rectius, esclusiva) al giudice amministrativo e ciò ha contribuito ad alimentare una costante difficoltà ad individuare il perimetro dei confini di competenza tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa in merito alle controversie che tali operazioni possono provocare.
L’art. 133, co. 1, lett. v), c.p.a. attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l’interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico». Orbene occorre definire esattamente cosa si intenda per “debito pubblico” al fine di comprendere se in tale categoria possano ricondursi anche i contratti di swap, attraendosi quindi le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In materia si è affermato6 che nella categoria “debito pubblico” potrebbe ricomprendersi ogni strumento attraverso il quale si realizza la fideiussione dello Stato, pur se la garanzia dello Stato ha perduto di attualità perché progressivamente scomparsa a seguito del divieto comunitario di concedere aiuti di Stato alle imprese, non importa se pubbliche o private. Ma a causa della crisi economica l’intervento pubblico non è venuto meno e si è sviluppato sia sul piano interno che sul piano comunitario.
Nel dibattito in ordine alla individuazione dell’esatto perimetro nel quale ricomprendere il contenzioso in materia di debito pubblico, si inserisce a pieno titolo la questione della definizione, sotto il profilo giurisdizionale, del contenzioso in merito ai contratti derivati di swap accesi dagli enti locali, una volta confermata la duplice circostanza che il legislatore non ha ritenuto di riferire esplicitamente tale categoria di contenzioso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che detta esclusione è avvalorata dal fatto che per debito statale (attratto alla cognizione del G.a.) non può intendersi anche l’effetto negativo che è provocato all’ente locale dal contratto di swap da esso sottoscritto.
D’altronde, è appena il caso di far presente che la capacità di diritto privato degli enti pubblici territoriali è regolata dal disposto dall’art. 1 della l.
7.8.1990, n. 241, nel quale si precisa: «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».
Nonostante la pienezza della propria capacità negoziale, i comuni nella contrattualistica in esame si trovavano sovente in una posizione di debolezza nei confronti delle controparti (vale a dire nei confronti degli intermediari bancari con cui vengono stipulati i “derivati”).
Ciò posto, va da sé che il tendenziale riconoscimento del pieno godimento dei diritti da parte dei comuni (cfr. art. 11 c.c.) implica che questi ultimi, qualora versino in presenza di operazioni con irregolarità strutturali, potranno far ricorso alla giurisdizione ordinaria per conseguire l’invalidazione dei rapporti contrattuali non conformi alle prescrizioni normative dianzi esaminate. Naturalmente, gli enti pubblici potranno invocare la nullità del contratto riguardante l’attivazione del derivato solo nei casi in cui, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. quest’ultimo sia contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
In conclusione, resta spazio per la giurisdizione del giudice amministrativo solo nel caso in cui l’incipit della controversia coincida con la patologia della selezione pubblica (ovvero con il mancato utilizzo dello strumento selettivo) per la scelta del contraente pubblico, in applicazione delle disposizioni di evidenza pubblica. Nello stesso tempo però sia la stretta connessione della materia con la categoria del debito pubblico (attratta alla giurisdizione esclusiva dall’art. 133, co. 1, lett. v, c.p.a.) sia il ridottissimo confine tra l’oggetto del contratto e l’interesse pubblico sottostante meriterebbero un ripensamento del legislatore sulla attribuzione normativa della giurisdizione in materia ad un solo plesso giurisdizionale individuabile, ratione materiae, nel giudice amministrativo7.
La gran parte delle controversie in materia sono concentrate nella contestazione degli atti di autotutela con i quali la p.a. provvede ad annullare i provvedimenti di autorizzazione e di approvazione delle emissioni obbligazionarie costituenti l’oggetto del contratto di swap.
In una nota serie di decisioni pubblicate dal TAR Piemonte (si veda per tutte, 23.5.2013, n. 625) si è affermato, partendo dal consueto presupposto che la giurisdizione si determina sulla base della domanda, individuata con riferimento al cd. petitum sostanziale, identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice,ma anche, e soprattutto, della causa petendi, ossia della oggettiva natura della situazione soggettiva giuridicamente tutelata dedotta in giudizio e individuata con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono rappresentazione, che gli atti di autotutela con i quali si annullavano le deliberazioni regionali di autorizzazione alla stipulazione di contratti di swap altro non erano che negozi giuridici unilaterali di recesso dai contratti di finanza derivata e, per nulla affatto, manifestazioni dell’esercizio del generale potere autoritativo di autotutela pubblicistica. Ciò in quanto, al di là del nomen iuris adottato dalla p.a., l’intervento regionale va correttamente iscritto nel contesto di un rapporto di natura privatistica, come tale contrassegnato da posizioni paritetiche delle parti.
Nel caso degli interventi sulla finanza derivata i giudici piemontesi hanno ritenuto che l’atto di annullamento regionale assunto in sede di autotutela non radicasse le proprie ragioni in una paventata illegittimità di atti afferenti a procedure di evidenza pubblica adottati prima dell’aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, bensì si concentrasse integralmente nella fase successiva alla conclusione dei contratti di finanza derivata. Peraltro, precedentemente alla stipula dei contratti di swap, l’ente regionale non aveva svolto alcuna procedura ad evidenza pubblica, individuando direttamente il futuro contraente.
In tale occasione il TAR ha avuto modo di occuparsi, seppure con un obiter, di una seconda questione inerente al riparto di giurisdizione in materia di contratti di finanza derivata e riconducibile alla superabilità o meno della individuazione del plesso giurisdizionale competente a conoscere le controversie contrattuali (talvolta anche con riferimento ad organi giurisdizionali stranieri aventi sede nel Paese di riferimento di una delle parti contraenti) con clausola pattizia inserita nel documento contrattuale, ritenendola perfettamente valida ed efficace.
In senso opposto al TAR Piemonte, su entrambe le questioni sopra riferite, si era espresso il Consiglio di Stato nel 2011 (cfr. Cons. St., sez. V, 7.9.2011, n. 5032). In questo caso, tuttavia, il provvedimento assunto in sede di autotutela andava ad incidere su provvedimenti adottati all’esito dell’espletamento di una gara ufficiosa indetta da un comune per l’individuazione di uno o più intermediari finanziari con i quali perfezionare un’operazione di ristrutturazione del debito (di circa 100mila euro). Tale diverso presupposto di fatto, rispetto alla questione decisa dai giudici piemontesi, aveva consentito al giudice di appello di ancorare l’esercizio del potere di autotutela alla eliminazione di illegittimità attinenti allo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica. Quanto alla clausola di deroga della giurisdizione (anche in questo caso apposta con indicazione della competenza a conoscere le controversie derivanti dal contratto di swap da parte del giudice civile inglese) il Consiglio di Stato ha affermato la sua irrilevanza atteso che, ai sensi dell’art. 4, l. 31.5.1995, n. 218, la deroga alla giurisdizione italiana può riguardare solo le cause vertenti su diritti disponibili (cfr. Cass., S.U., 20.4.2010, n. 9308) e quindi solo le questioni di interpretazione ed esecuzione dell’accordo (agreement), ma non può estendersi fino a comprendere anche il sindacato sul corretto esercizio del potere amministrativo. Posto che in quel caso era stata attivata contemporaneamente la giurisdizione civile inglese, il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che il radicarsi della giurisdizione del giudice amministrativo italiano privava di ogni rilievo la contemporanea pendenza innanzi al giudice inglese della stessa controversia, non potendo configurarsi (sempre nel caso di specie) un’ipotesi di litispendenza internazionale, mancandone il presupposto fondamentale costituito proprio dall’avere ad oggetto diritti disponibili per i quali possa operare la deroga alla giurisdizione italiana.
Ancora il Consiglio di Stato nel 2013 (14.10.2013, n. 4999) ha confermato in materia l’avviso ora sintetizzato.
Al momento ed eventualmente in attesa di un intervento definitivo del legislatore nazionale il Consiglio di Stato ha recentemente composto ogni controversia sui criteri di riparto della giurisdizione in materia di controversie sui contratti di swap stipulati da p.a. con la sentenza dell’A.P., 5.5.2014, n. 13. In detta decisione si è superata anche l’obiezione, volta a valorizzare il contenuto della clausola derogatoria della giurisdizione italiana sulla scorta della previsione del reg. CE n. 44/2001, che ha sostituito la Convenzione di Bruxelles 27.9.1968, ratificata in Italia con la l. 21.6.1971, n. 804. Su tale profilo i giudici di Palazzo Spada hanno puntualizzato che la prevalenza della fonte comunitaria sulla normativa interna, anche di fonte legislativa, non esplica alcun effetto concreto, posto che, è proprio l’art. 1 del citato reg. CE nella parte in cui menziona, tra quelle escluse dall’efficacia del medesimo, la materia amministrativa, a provocare la invalidità del patto sulla deroga alla giurisdizione italiana ogni qual volta la controversia sia conoscibile dal giudice amministrativo. A rafforzare tale ricostruzione interpretativa il Consiglio di Stato richiama la pronuncia della Corte di Giustizia CE 1.10.2002 in C-167/00, Henkel, secondo cui «(...)esulano dall’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles solamente le cause tra una pubblica amministrazione e un soggetto di diritto privato, in quanto detta autorità agisca nell’esercizio della sua potestà di imperio». Nello stesso senso può essere menzionata la Relazione esplicativa della Convenzione sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, conclusa a Lugano il 30.10.2007, dove è detto che non è esclusa la applicazione della convenzione a controversie tra p.a. e privati, «purché l’amministrazione non abbia agito nell’esercizio di un potere di imperio».
Sul secondo tema, quello inerente alla individuazione dei criteri di riparto della giurisdizione, il Consiglio di Stato ripropone ancora una volta l’inossidabile insegnamento espresso dalla Corte costituzionale (6.7.2004, n. 204), ribadendo il principio secondo il quale la giurisdizione del giudice amministrativo non può essere negata se vi è stato anche solo un tratto di esercizio di potere nella vicenda controversa, senza che possa assumere ruolo determinante il nomen iuris dell’atto posto in essere dall’amministrazione.
Pertanto, se l’intervento in autotutela riguarda la procedura selettiva non potrà essere esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo,mentre dovrà indicarsi la giurisdizione dell’autorità giurisdizionale ordinaria ogni qualvolta l’intervento amministrativo abbia direttamente inciso sull’attività negoziale svolta dall’amministrazione.
1 Una delle prime approfondite analisi delle svariate possibilità applicative dello swap come tecnica finanziaria la si può trovare in Mori, M., Swap-Una tecnica finanziaria per le imprese, Padova, 1990. Una ulteriore ricognizione della figura, prima degli interventi normativi dei primi anni duemila la si rinviene in Squillace, N., La legge 2 gennaio 1991, n.1, e i contratti di swap, in Giur. comm., 1996, I, 79.
2 Molti Autori si sono occupati di approfondire il tema relativo ai contratti di swap. In particolare tra i tanti si possono segnalare Caputo Nassetti, F., I contratti derivati finanziari, Milano, 2011; De Nova, G., I contratti derivati come contratti alieni, in Riv. dir. priv., 2009, 26; Gabrielli, G., Operazioni in derivati: contratti o scommesse?, in Contr. e impr., 2009, 1136; Piccinini, V., La trasparenza nella distribuzione di strumenti finanziari derivati ed il problema dell’efficacia delle regole informative, in Contr. e impr., 2010, 505.
3 In tal senso Agostinelli, R., Problemi della pratica. Le operazioni di swap e la struttura contrattuale sottostante, in Banca borsa , 1997, I, 112.
4 Questa è la ormai celebre definizione elaborata dalla House of Lords, 24.1.1991 nel caso Hazel c. Hammersmith and Fullham London Borough. Ne tratta Agostinelli, M., Struttura e funzione dei contratti di swap, in Banca borsa, 1991, II, 433.
5 Si veda in tal senso Fracchia, F., Giudice amministrativo, crisi finanziaria globale e mercati, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010, II, 451.
6 Si veda Merusi, F., Debito pubblico e giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, I, 3.
7 Per una riflessione in tal senso si veda Capriglione, F., I «derivati» dei comuni italiani nella gestione della finanza pubblica. una problematica ancora attuale, in Banca borsa, 2014, III, 265.