Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
È a tutt’oggi impossibile individuare un gruppo di fondamenti che stia alla base delle ricerche ottocentesche in fisica. E questo soprattutto perché i vari fisici sono costretti a mutare le proprie opzioni programmatiche in funzione delle ricerche che essi perseguono.
Il meccanicismo
Nell’Ottocento molti fisici, soprattutto in pagine divulgative e in prefazioni a volumi, sostengono che tutti i fenomeni possono essere spiegati mediante le leggi del movimento. All’inizio del secolo Laplace ritiene che tali leggi, unite al principio di gravitazione, siano i fondamenti ultimi della descrizione del mondo fisico. Egli ritiene inoltre che questa descrizione stia oramai avvicinandosi a una spiegazione totale della natura in termini di moti molecolari. Anche Maxwell, nella seconda metà del secolo, sostiene un’analoga visione del ruolo da attribuire alle leggi del movimento. Ciò non significa tuttavia che i maggiori fisici dell’Ottocento realizzino ricerche su una comune fondazione meccanicista.
Secondo la concezione meccanicista, infatti, l’universo è rappresentabile con la metafora che raffigura il cosmo alla stregua di un orologio perfetto e dotato di comportamento ciclico, ma tale metafora non è conforme alla fisica di Laplace o a quella di Maxwell, che rappresentano i punti cardini di riferimento per gli studiosi.
La fisica di Laplace è infatti connessa all’idea non meccanicista secondo cui la natura osservabile è il risultato di un’evoluzione a partire da una originaria massa di gas disordinatamente dispersa nello spazio, mentre la fisica maxwelliana è collegata all’evoluzione dei processi irreversibili che implicano l’esistenza in natura di una tendenza verso la dissipazione dell’energia meccanica.
I maggiori programmi di ricerca dell’Ottocento si ispirano dunque a fondamenti di tipo evoluzionistico e non meccanicistico: la natura appare come un processo che fa emergere nuovi fenomeni e non come un orologio sempre eguale a se stesso.
Nella seconda metà del secolo è ampiamente diffusa l’opinione secondo cui la natura processuale dell’universo debba approdare alla morte termica di quest’ultimo.
Il determinismo
Nel corso dell’Ottocento la metafora del cosmo quale orologio perfetto viene sostituita con quella del processo evolutivo, ma ciò non mette in discussione l’idea che la fisica sia fondata sulle leggi del movimento.
Le equazioni differenziali che esprimono le leggi del movimento hanno infatti, per quasi tutto il secolo, un indiscutibile successo. Del resto il consenso intorno al ruolo fondazionale della meccanica è facilmente spiegabile, dato che la teoria delle equazioni differenziali, nelle sue varie elaborazioni, permette effettivamente alla fisica di questo periodo di affrontare e risolvere un insieme di fenomeni che va dai moti celesti al movimento delle cariche elettriche. Su queste multiple applicazioni della matematica si innesta la fiducia nel determinismo, inteso come possibilità di indicare con precisione il comportamento, nel passato e nel futuro, di ogni sistema fisico.
Anche il determinismo, però, non è classificabile come fondamento assoluto della fisica ottocentesca e si configura piuttosto come una speranza o una motivazione. I fisici non riescono infatti a conciliare matematicamente l’esigenza di fissare con precisione il comportamento di un sistema nel tempo e la necessità di valutare l’evoluzione del sistema con il calcolo delle probabilità.
Alla fine del secolo, grazie soprattutto all’opera di Poincaré – che rappresenta la radice dell’odierno approccio al caos deterministico – emerge la consapevolezza che un sistema deterministico può avere comportamenti non prevedibili.
La fondazione metafisica
I fisici dell’Ottocento possiedono filosofie personali (come ogni altro essere umano) che spesso tentano di collegare con le proprie ricerche. Hamilton, per esempio, ritiene che la geometria sia la scienza formale dello spazio kantiano e l’algebra sia la matematizzazione del tempo kantiano. Tuttavia non ha senso dichiarare che i teoremi algebrici e la nuova meccanica di Hamilton abbiano un’evidente fondazione metafisica; è infatti impossibile ricavare quei teoremi e quella meccanica dalle credenze filosofiche di Hamilton sul concetto kantiano di tempo.
Il fisico matematico Fourier aderisce a una visione quasi platonica del ruolo della matematica che, a suo avviso, non è un linguaggio creato dall’uomo, ma costituisce la struttura stessa del mondo. E se dal punto di vista storico è interessante rilevare questa visione metafisica del mondo, da un punto di vista fisico-matematico è impossibile mostrare come da essa Fourier ricavi l’equazione per i fenomeni di diffusione termica che ancora oggi porta il suo nome.
Sempre nella prima metà del secolo, Faraday crede in una filosofia secondo la quale la materia non è discreta, bensì continua. La scoperta faradayana dei fenomeni di induzione elettromagnetica o delle leggi dell’elettrochimica, però, non è in alcun modo spiegabile in funzione di una fondazione metafisica mirante all’abolizione del concetto di atomo esteso nello spazio.
La fondazione metodologica
L’analisi delle fonti della fisica ottocentesca mostra che molti scienziati fanno appello alla sana metodologia. A seconda degli autori, l’appello coinvolge regole metodologiche che dovrebbero risalire a Galileo, a Francis Bacon, a Descartes o a Newton. L’esame delle fonti indica tuttavia che in realtà per la fisica ottocentesca non esiste una fondazione metodologica comune. Fisici che credono di essere baconiani portano innanzi indagini di tipo matematico, fisici che elogiano Galilei come padre del metodo sperimentale ignorano che Galilei fu un eccellente fisico teorico, e fisici che predicano la necessità newtoniana di non porre ipotesi non sanno che Newton dedicò decenni a costruire ipotesi sulla struttura dell’etere gravitazionale.
Sono certamente vivaci nell’Ottocento le dispute sul vero metodo, ma si tratta di dispute che solo in rarissime occasioni mostrano una effettiva conoscenza delle fonti citate da parte dei disputanti. Eccezione degna di nota è Helmholtz, che sviluppa un documentato confronto tra le tesi di Kant sullo spazio e il tempo e le nozioni spazio-temporali che nella seconda metà del secolo emergono dalla fisica, dalla fisiologia, dalla teoria delle percezioni e dalla geometria. L’analisi di Helmholtz non è tuttavia di tipo fondazionale, tenta invece una migliore comprensione dei rapporti tra filosofia e scienza.
Esperienza e teoria
Il secolo è interamente attraversato da dibattiti sul possibile ruolo fondazionale dell’esperienza o della teoria. Molti fisici ritengono che l’esperienza sia la base unica della conoscenza e che gli apparati matematici siano, più modestamente, l’espressione economica o abbreviata del sapere sperimentale. Posizioni di questo tipo vengono assunte, sia pure con notevoli differenze, da Kelvin, Mach e Duhem. Altri studiosi, come Fourier e Boltzmann, credono invece che la conoscenza del mondo fisico abbia fondamento in strutture matematiche sempre più astratte. L’esame delle fonti mostra comunque che anche tale dibattito non è di tipo fondazionale, ma è rivolto a chiarire i rapporti tra esperienza e teoria.
In conclusione è legittimo pensare che la fisica dell’Ottocento poggia su fondamenti la cui natura non è decidibile in funzione dei documenti disponibili agli storici della scienza.