Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il problema relativo ai fondamenti della matematica si traduce, all’inizio dell’Ottocento, nel problema di porre su basi rigorose i concetti fondamentali del calcolo infinitesimale. Iniziato da Lagrange e Cauchy, quel processo culmina con l’opera di Dedekind, Cantor e Weierstrass e con il tentativo di fondare su basi aritmetiche l’intera matematica.
Premessa
Dopo l’invenzione del calcolo infinitesimale di Leibniz e Newton, la grande impresa cui si dedicano i matematici del Settecento è lo sviluppo della meccanica razionale, la scienza del secolo per eccellenza. I matematici si avventurano alla scoperta di un “continente sconosciuto”, come scrive Johann Bernoulli, un continente popolato di equazioni differenziali che descrivono i fenomeni naturali. Il nuovo calcolo, infatti, consente lo studio del moto dei corpi, della propagazione delle onde, dell’equilibrio e del moto dei fluidi. Le equazioni della meccanica celeste descrivono il “sistema del mondo”, la forma della Terra e il moto della Luna, le perturbazioni nel moto dei pianeti che interagiscono tra loro secondo le leggi stabilite da Newton.
Le voci critiche, come quella del vescovo Berkeley, che mettono radicalmente in discussione i fondamenti del nuovo calcolo, e i concetti di infinitesimo e di differenziale (o di flussione, per usare il linguaggio newtoniano) non trovano eco presso i matematici che giustificano con i grandi successi ottenuti la fede nei metodi di quel calcolo. Le Institutiones calculi differentialis (1755) e le Institutiones calculi integralis (1768-1770) di Euler, la Mécanique analytique (1788) e la Théorie des fonctions analytiques (1797) di Joseph-Louis de Lagrange (1736-1813) e i cinque volumi della Mécanique céleste (1799-1825) di Pierre-Simon de Laplace sono i grandi trattati che consegnano al nuovo secolo l’immagine più completa della nuova analisi matematica e dei suoi successi.
La “moderna analisi” di Cauchy
Nella Théorie des fonctions analytiques di Lagrange gli infinitesimi sono banditi e i concetti fondamentali del calcolo vengono definiti mediante procedure di carattere algebrico.
Così avviene per la nozione di derivata, che traduce in termini analitici l’idea intuitiva di condurre la tangente a una curva in un dato punto. La chiave di volta della teoria lagrangiana è l’assunzione che ogni funzione f (x) può essere sviluppata in serie infinita di potenze intere di una “indeterminata” i, mentre i coefficienti della serie sono “nuove funzioni di x derivate dalla primitiva funzione e indipendenti dalla quantità i”. Le successive derivate della funzione, dice Lagrange, si possono ottenere in maniera rigorosa da quello sviluppo, mediante procedure puramente algebriche effettuate su quantità finite. Ai suoi occhi, dunque, la teoria delle funzioni derivate consente di mettere il calcolo al riparo dalle critiche che si erano levate contro gli infinitesimi leibniziani e le quantità “evanescenti” di Newton.
Un passo decisivo verso la fondazione rigorosa dell’analisi matematica è effettuato da Augustin-Louis Cauchy (1789-1857) che nell’introduzione al suo Cours d’analyse (1821) – vero e proprio manifesto della moderna analisi – dichiara di voler bandire le “generalità dell’algebra”, tanto care a Lagrange, per fondare l’analisi con “rigore geometrico”. La prima delle proposizioni “un po’ dure” ad ammettersi, che Cauchy annuncia fin dall’introduzione del Cours, è che “una serie divergente non ha somma”. In realtà la stessa opinione, enunciata addirittura con le stesse parole, era stata sostenuta da Euler, così come la distinzione delle serie infinite in convergenti e divergenti era nota ai matematici del Settecento. Tuttavia era pratica comune e accettata trattare le serie in maniera formale, come somme infinite di addendi simbolici; le preoccupazioni di convergenza non erano affatto inesistenti, come spesso è stato scritto, ma sorgevano quando si aveva a che fare con calcoli numerici, come nel caso paradigmatico dei calcoli astronomici.
L’effettiva e radicale novità sostenuta da Cauchy, dunque, non consiste tanto nelle dichiarazioni di principio, quanto nelle conseguenze che egli ne trae, di bandire dall’analisi gli sviluppi puramente formali e riconoscere legittimità solo agli aspetti numerici. A questo criterio si ispira il concetto di rigore che sta a fondamento di quella che lo stesso Cauchy chiama la “moderna analisi”. Su questo fondamento si basano anche la definizione di continuità di una funzione data da Cauchy e le nozioni di infinitesimo, di derivata e di integrale, tutte definite come opportuni limiti.
L’idea che Cauchy ha della continuità di una funzione traduce in termini analitici l’immagine geometrica intuitiva che si ha della continuità quando si pensa ad una curva continua.
Quanto alla continuità di una retta o di un segmento, essa è semplicemente data, sta – per così dire – davanti agli occhi e né Cauchy, né alcun altro matematico del suo tempo sentono la necessità di definirla.
Continuità e numeri irrazionali
Una concezione aritmetica della continuità è presentata da Karl Weierstrass (1815-1897) nelle sue lezioni all’università di Berlino, prima ancora che idee analoghe siano pubblicate nel 1872 da Richard Dedekind (1831-1916) e Georg Cantor. Con la loro opera si afferma un nuovo modello di rigore in analisi e l’“aritmetizzazione” diventa la tendenza dominante in matematica. “L’uomo aritmetizza”, scrive ad esempio Dedekind nel 1888, traducendo così il celebre aforisma platonico, per esprimere che uno spirito “aritmetico” domina ormai le ricerche sui fondamenti. Anche l’idea della continuità trova formulazione rigorosa quando si abbandona l’intuizione geometrica, resa incerta dalla scoperta di geometrie non euclidee, per affidarsi all’aritmetica dei numeri razionali. Certo, questi ultimi non consentono di descrivere tutti i fenomeni della retta che, osserva Dedekind, “è infinitamente più ricca di punti che non il campo razionale di numeri”. L’“essenza della continuità”, dice ancora Dedekind, si esprime con un assioma: se “una ripartizione di tutti i punti della retta in due classi è di tale natura che ogni punto di una delle due classi stia a sinistra di ogni punto dell’altra, allora esiste uno e un sol punto dal quale questa ripartizione di tutti i punti in due classi, o questa decomposizione della retta in due parti, è prodotta”. Per descrivere “aritmeticamente” le proprietà della retta si rende dunque “indispensabile” l’ampliamento del campo dei numeri razionali, “creando nuovi numeri”, i numeri irrazionali che consentano di ottenere un campo “altrettanto continuo come lo è la retta”. Il campo dei numeri reali (razionali e irrazionali) così ottenuto è infatti in corrispondenza biunivoca coi punti della retta e soddisfa l’assioma di continuità.
Se l’insegnamento del calcolo fa sentire a Dedekind “più profondamente che mai” la mancanza di un fondamento rigoroso del calcolo differenziale e motiva le sue ricerche, per Cantor il punto di partenza è dato da raffinate questioni di analisi che riguardano la rappresentabilità delle funzioni in particolari serie di funzioni trigonometriche. Cantor definisce i numeri irrazionali con una procedura analoga a quella di Dedekind. Ma tale definizione rappresenta ai suoi occhi solo il primo passo nello studio degli insiemi infiniti di punti. Nelle mani di Cantor la teoria degli insiemi costituisce la chiave per svelare le proprietà del continuo numerico e generalizzare il concetto di numero a numeri transfiniti. E come mostra Dedekind nel 1888, anche il concetto di numero naturale si può definire a partire da quello di insieme. La teoria degli insiemi astratti, che Cantor elabora nel giro di un decennio, si annuncia dunque alla fine del secolo come il fondamento non solo dell’aritmetica ma della stessa matematica. Un fondamento che sarà messo in discussione all’inizio del Novecento con la scoperta di antinomie nella teoria degli insiemi e la conseguente “crisi dei fondamenti” che segna l’inizio di una nuova stagione per l’intera matematica.