Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In tutte le società, dalle più arcaiche a quelle contemporanee, sono necessarie forme di rappresentazione dei vincoli che legano gli individui al suo interno e all’aldilà e che mettono in scena aspirazioni e timori comuni. La novità del XX secolo è la laicizzazione dei riti, la loro moltiplicazione e la loro frammentazione.
Il senso dell’appartenenza
In tutte le società, dalle più arcaiche a quelle contemporanee, sono necessarie forme di rappresentazione della coesione interna tra gli individui, delle tensioni che le attraversano, dell’aldilà e del rapporto che gli uomini intrattengono con esso, di paure e di speranze. I riti collettivi rispondono a queste esigenze. Essi sono caratterizzati dalla “formalità” del comportamento, dal carattere fisso e ripetitivo dei gesti, dalla larga partecipazione della comunità o della parte che vi è tradizionalmente coinvolta, spesso da un apparato commisto con elementi ludici. I riti collettivi sono polivalenti e sono in grado di esprimere un arco di rappresentazioni della realtà e della sfera del desiderio molto ampio, anche perché possono utilizzare linguaggi diversi, musicale, figurativo, gestuale, verbale, sia orale che scritto; trasmettono significati largamente intesi, sebbene a volte contengano messaggi che vengono letti a diversi livelli a seconda dei destinatari; sono praticati, in genere, da attori e da spettatori, entrambi parte della scena, che partecipano tutti in maniera diretta oppure, oggi, anche attraverso i media, in ruoli interscambiabili o comunque reciprocamente indispensabili. Basta pensare a quanto avviene in occasione delle cerimonie funebri di un papa o di un sovrano, capaci di catturare l’attenzione di milioni di persone per intere giornate. Vi si può osservare l’intreccio dei numerosi riti che si accavallano: quelli connessi con il corpo morto che ricordano il rapporto fra il mondo dei vivi e l’aldilà; quelli messi in essere dai ministri del culto, ma non solo, anche, per esempio, dai rappresentanti delle varie nazioni che, con rigido cerimoniale, onorano la memoria del defunto e contemporaneamente rinnovano forme di alleanza; quelli dei partecipanti che, in lunghe code, resistono ore e giorni in fila per rendere omaggio alla salma allacciando legami identitari, di condivisione emozionale, ma anche ludici ecc.
Nei riti collettivi è frequente la compresenza di elementi laici e religiosi e, anzi, la dimensione sacrale è per lo più predominante. I riti sono beneauguranti; forzano il favore celeste a esprimersi nel sostegno della comunità; insegnano le regole che devono reggerla, a volte consentono di trasgredirle eccezionalmente; danno il senso dell’appartenenza; con la ripetitività dei gesti e delle formule attribuiscono a individui e gruppi una sistemazione e una riconoscibilità collettiva; permettono la manifestazione della ricchezza, della potenza, delle alleanze; forniscono il quadro in cui esprimere utopie, progetti, rivolte oppure, più spesso, ribadire l’ordine.
La moltiplicazione dei riti
La novità del Novecento, al di là degli aspetti formali, è essenzialmente la moltiplicazione dei riti, la loro specializzazione e la formazione di riti estranei alla sfera religiosa. Non vengono meno le grandi manifestazioni religiose cui si accompagna, in parecchi casi, un risvolto politico, dalle processioni alle peregrinazioni mariane, alle commemorazioni di defunti di rango che celebrano il trionfo della morte e della Chiesa sulle attrattive del secolo. E neppure raduni altrettanto tradizionali come i mercati, d’altronde ancora legati anch’essi a un calendario connotato religiosamente. Ma certamente, a partire dalle classi abbienti, i grandi riti collettivi tendono, durante il secolo, a scindersi in cerimonie religiose e civili, di villaggio e urbane, a privatizzarsi, a restringersi a fasce sociali e a gruppi determinati. Non a caso, fra l’altro, si diffonde l’idea dell’esistenza di “feste popolari” da recuperare, salvare dall’oblio e museificare.
All’inizio del Novecento le classi abbienti impongono i propri riti continuando ad alimentare atteggiamenti di esclusività e di distinzione con l’uso strategico di simboli, con l’abbigliamento e con una sociabilità separata. Seguendo il modello anglosassone e una tendenza già in atto nell’Ottocento, si diffondono circoli esclusivi dove ci si riunisce per conversare, leggere, giocare a carte o consumare pasti in compagnia. Anche molti sport si organizzano in club. Alcune discipline come il tennis, lo sci e il nuoto rimangono appannaggio delle classi più agiate, mentre il calcio e il ciclismo sono sport più popolari. L’uso di un cerimoniale innalza a sistemi rappresentativi diverse pratiche sociali, quali le feste, i giochi, le danze, le rappresentazioni teatrali, gli sport, gli eventi musicali. Anche gli spazi ove tali scene si svolgono sono importanti veicoli per la codificazione e la riproduzione delle relazioni sociali, siano essi al chiuso, come i teatri e i grandi alberghi, o all’aperto, come i giardini e le piazze.
Con la fine della seconda guerra mondiale e il boom economico si sviluppa la società di massa, caratterizzata dal grande numero dei consumatori, dal ridimensionamento del ruolo della famiglia come elemento di socializzazione, dalla standardizzazione della vita sociale. Il peso sempre maggiore della pubblicità e il ruolo amplificante o addirittura determinante dei media incidono nella veloce creazione di nuovi riti, che altrettanto rapidamente sono sostituiti. Innanzitutto si generalizza il tempo della vacanza: nascono luoghi di villeggiatura in numero ben superiore a quelli famosi, per pochi eletti, dell’anteguerra. Le fiere campionarie internazionali e le esposizioni universali, che celebrano quello che si ritiene l’inesauribile progresso tecnico-scientifico, richiamano migliaia di visitatori, così come anche le mostre d’arte o gli eventi culturali cui viene attribuita particolare risonanza e ai quali è demandata la manifestazione del livello intellettuale e di raffinatezza, oltre che sociale, dei presenti. Intanto molti riti si privatizzano e si frammentano, si svolgono uguali in mille case. Il rito privato in sé non è una novità: i balli, le rappresentazioni teatrali, i pranzi, le cacce del Settecento e dell’Ottocento che si svolgevano in poche dimore aristocratiche ne erano esempi grandiosi. Ma ora si svolgono in ben altro numero, con ben altra frequenza e ripetitività e con tono ben meno fastoso e ben più monotono. Si pensi alle feste di compleanno, per esempio, o all’uso di uscire con amici per andare a cena in un ristorante che si reiterano tali e quali in ogni casa.
Contemporaneamente si formano nuovi riti collettivi, capaci di coinvolgere nuovamente tutte le fasce sociali, soprattutto per quanto riguarda il mondo dello sport in generale e del calcio in particolare. Come per le forme associative, non si può dire che da solo lo sport costituisca un rito. Ma riti collettivi sono certamente quelli che vengono caricati di simboli e di azioni ripetute, magari a scopo scaramantico, e le partite che comportano il riunirsi di tifosi per condividere le emozioni dello spettacolo. A differenza di quanto avviene nei club, questa tipologia di rituale non presenta i caratteri dell’esclusività, ma è trasversale e inclusiva. Nasce un sentimento di comunanza che va dall’identificazione con un singolo atleta, al tifo per una squadra cittadina, fino al senso di appartenenza a uno Stato. Gli stadi stessi diventano luoghi multifunzionali, pensati non solo per manifestazioni sportive, ma proprio come luoghi di aggregazione. È significativo che si tratti a lungo di un mondo maschile, mentre le donne restano legate a una sociabilità in cui operano ancora distinzioni di classe. Questo dimorfismo sessuale è indicativo dei due binari su cui si muove la società: quello del lavoro, più avanzato, e quello familiare, più conservatore.
Anche il mondo giovanile pullula di elementi simbolici intesi a cancellare le differenze sociali, cui viene affidato il senso dell’identità collettiva. I grandi concerti, le serate in discoteca, gli stessi movimenti studenteschi e la moda, con i loro elementi trasgressivi, ma pur sempre omologanti, hanno come compito quello di marcare visivamente la differenza, da un lato, rispetto al mondo adulto e passato, e, dall’altro, l’appartenenza a un diverso mondo, giovane, nuovo, privo di differenziazioni sociali al suo interno, solidale.
I media rivestono un ruolo fondamentale nel proporre modelli anche a chi non partecipa direttamente agli eventi in questione. È soprattutto la televisione che contribuisce a creare miti e riti collettivi. La televisione introduce inoltre un nuovo modo di stare insieme, quello di una manciata di individui muti, affratellata dalla visione e dall’ascolto di un programma unico o comunque di un numero ridotto di programmi che pressocché tutti conoscono. Un’attenzione particolare merita la trasmissione in diretta che offre allo spettatore non solo la visione dell’evento pubblico, ma, come in un transfert, anche l’emozione dell’esperienza dandone inevitabilmente un’interpretazione e diventando, fra l’altro, il regista principale nella costruzione delle cerimonie stesse.
Ma intanto, negli ultimi decenni, nuovi riti collettivi, fuori delle case, nelle piazze, nelle strade, raccolgono folle crescenti, non solo di giovani. Spettacoli e feste nelle piazze vogliono recuperare l’idea di comunità e si moltiplicano insieme alla richiesta di pace, di difesa dell’ambiente, di trasparenza, insieme al rifiuto del consumismo, dello sfruttamento del Terzo Mondo, della prevalenza del capitale, in genere di ogni forma di prevaricazione sui più deboli. Sebbene non sempre consapevole delle rinunce che queste istanze comportano, non è da sottovalutare il messaggio trasmesso da una folla che si dichiara in favore di una società solidaristica ed esprime la volontà di inaugurare una nuova era, volontà di cui i riti collettivi sono testimonianza eloquente.