I Greci in Asia
di Laura Buccino
Periodo minoico e miceneo - Le coste dell'Asia Minore e dell'area siro-palestinese furono frequentate intensamente da mercanti egei nel II millennio a.C. I rinvenimenti sono tanto consistenti in alcuni contesti da far ipotizzare non solo relazioni mercantili, ma veri e propri stanziamenti coloniali minoici e micenei. Le testimonianze archeologiche si accordano con quelle delle fonti letterarie. I miti di fondazione di molte città microasiatiche, infatti, contengono riferimenti all'arrivo di coloni cretesi, che alludono all'esistenza di insediamenti dei Minoici o comunque di contatti commerciali risalenti all'età del Bronzo (ad es., a Chio, Erythrai, Colofone, Magnesia al Meandro, Mileto).
Mileto e Iasos, dove i recenti scavi hanno messo in luce strutture edilizie, ceramiche minoiche e iscrizioni in lineare A, sono state interpretate come stazioni commerciali nel contesto della talassocrazia cretese, che si estendeva fino alle coste dell'Asia Minore. All'inizio del Bronzo Medio, un gruppo consistente di Minoici si sarebbe inserito nel preesistente insediamento indigeno rinvenuto presso il tempio di Atena a Mileto, creandovi una base commerciale per l'acquisto dei metalli. Dopo la distruzione della città denominata dagli archeologi Mileto III, nella seconda metà del XVIII sec. a.C., nella fase successiva (cd. Mileto IV, 1700-1490/1450 a.C. ca.) la presenza minoica risulta così numerosa da prendere il sopravvento sugli abitanti indigeni.
I livelli minoici degli abitati di Iasos e Mileto mostrano una distruzione violenta, cui fanno seguito le testimonianze della presenza micenea. Anche in questo caso i rinvenimenti trovano un'eco nelle tradizioni di fondazione di Mileto. È stata ipotizzata l'identificazione del sito di Millawanda o Milawata, noto da testi hittiti che accennano a rapporti diplomatici e a più riprese bellicosi, con la Mileto micenea. Documenti archeologici della prima età micenea provengono in quantità notevole anche da Troia (fasi VI-VIIa-b).
Dal tardo XV sec. a.C. i rinvenimenti di materiale miceneo si fanno più consistenti e diffusi in un maggior numero di siti della costa microasiatica, documentando un'intensa frequentazione commerciale con fenomeni di stanziamento e importazioni di oggetti orientali anche nella Grecia continentale. Varie e numerose sono anche le testimonianze degli scambi commerciali micenei nel XIV-XIII sec. a.C. con l'area siro-palestinese (ad es., Ugarit - Ras Shamra) e con Cipro, che rivestiva un'importante funzione di tappa intermedia, come fanno supporre le sue ricche risorse minerarie e la ricorrente associazione dei prodotti micenei con quelli ciprioti nei contesti levantini. Il regno hittita non ha restituito numerosi reperti micenei: si ricordano le ceramiche provenienti da Maşat Hüyük e la spada di un tipo miceneo del XVI-XV sec. a.C. (di cui era già noto un esemplare da Smirne) dalla capitale Boğazköy-Khattusha. L'iscrizione in accadico, incisa sul bordo della lama, ricorda come "Tudkhaliya il grande re" (probabilmente il II, regnante alla fine del XV sec. a.C.) dedicò "al dio della tempesta" la spada dal bottino di guerra della vittoria sulla terra di Assuwa (localizzata in genere nell'Anatolia nord-occidentale), avvalorando l'ipotesi di una presenza coloniale micenea nell'area.
In Asia Minore, il quadro si è arricchito notevolmente grazie alle recenti indagini archeologiche. Ceramica che documenta una frequentazione micenea è stata rinvenuta negli abitati anatolici dell'età del Bronzo individuati a Smirne, a Thermi e in altre località di Lesbo, a Pitane, Gryneia e Myrina. La necropoli di Panaztepe (forse corrispondente al primo impianto di Larisa) rivela una forte influenza egea nella tipologia dei reperti e delle tombe a tholos, anche se la componente anatolica rimane percepibile nei materiali locali dei corredi e nell'uso della cremazione. In area ionica, ceramica micenea è stata restituita da Tsangli e dall'area portuale di Limantepe, presso Clazomene, dove è stato messo in luce un cospicuo insediamento dal quale provengono anche idoli micenei fittili a Phi e Psi, come da Mileto. Ben-
ché non siano emerse strutture architettoniche coeve, il rinvenimento di ceramica micenea nel santuario di Artemide a Efeso ha fatto ipotizzare già per quest'epoca l'esistenza di un culto e uno stretto rapporto, la cui natura non è stata ancora definita, con l'insediamento individuato sulla collina di Ayasuluk, i cui resti risalgono sino al IV millennio a.C. e che ha restituito ceramica micenea e prodotti locali realizzati sotto l'influsso minoico. A Colofone è stata rinvenuta una tomba a tholos e documentazioni dell'età del Bronzo nei dintorni
(Bakla Tepe e Kocabaş Tepe). Anche a Samo la ceramica micenea, emersa in quantità rilevante sia nella città sia nel luogo del futuro Heraion, ha fatto supporre uno stanziamento greco dell'età del Bronzo. A Chio, sul promontorio adiacente a Emporion, è stato individuato un insediamento tardomiceneo (XII sec. a.C.) e ceramica micenea è stata rinvenuta a Phanai, a Volissos, nella città di Chio e nell'isola di Psara. Nella necropoli di Müsgebi, presso Alicarnasso, sono state messe in luce tombe a camera di ascendenza micenea. I rinvenimenti nella necropoli di Assarlik e nella zona circostante sono ricondotti all'influenza culturale micenea e "submicenea" sugli indigeni carii.
Nel XII sec. a.C., alla fine dell'età del Bronzo, le ceramiche micenee si concentrano a Troia, a Mileto e in Cicilia, con pochi altri rinvenimenti sparsi lungo la costa e nell'immediato retroterra anatolico. L'abbondante ceramica di tipo miceneo rinvenuta in Cilicia, particolarmente a Tarso e nell'area di Kazanli Höyük nel periodo immediatamente seguente alla caduta dell'impero hittita, di recente non è più connessa all'arrivo di Micenei, ma alle intense relazioni intrattenute con Cipro (Salmeri 2003). I sostenitori dello stanziamento di Micenei sulle coste di Cilicia e Panfilia si erano basati su elementi linguistici e sulle tradizioni dei nostoi degli eroi greci, tra cui Amphilochos e Mopsos che, di ritorno dalla guerra di Troia, avrebbero fondato nell'Asia Minore meridionale le città di Mallo, il primo (Hdt., VII, 91), Perge e Mopsouhestia, "il focolare di Mopsos", il secondo (Strab., XIV, 1, 27; 5, 16). Nella questione ha assunto grande rilievo l'iscrizione bilingue di Karatepe, redatta in luvio geroglifico e fenicio tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII sec. a.C., cui si è aggiunta un'altra iscrizione bilingue rinvenuta a Çinekoy, pubblicata di recente. Se una parte della critica ha riferito il termine Danunim ai Danai e ha sostenuto l'identificazione del Muksas (fenicio MPS) ricordato come il fondatore di una dinastia neohittita con il Mopsos greco, altri studiosi la ritengono infondata, data la diffusione del nome in Grecia e Anatolia dal XIV sec. a.C., e propongono di interpretare gli Adanawa - Danunim come gli abitanti di Adana e della Cilicia.
La migrazione ionica - Il processo che portò allo stanziamento dei Greci sulle coste dell'Asia Minore e le isole antistanti in età storica è definito comunemente "migrazione (o colonizzazione) ionica", con una denominazione convenzionale che include anche le genti di stirpe eolica e dorica. Secondo l'interpretazione corrente, il fenomeno ebbe inizio nella prima età del Ferro, dopo la fine della civiltà palaziale micenea e le migrazioni doriche in Grecia, nel corso della cosiddetta Dark Age. Come punto di avvio può essere presa in considerazione la fondazione di Mileto, che la tradizione pone nell'XI sec. a.C., pur tramandando date differenti: 1077-1075 a.C. il Marmor Parium (XXVII, 1, 42-44), 1044 a.C. Eratostene (241, fr. 1 Jacoby).
La migrazione ionica va interpretata, comunque, come un lungo processo di popolamento, non pianificato complessivamente, ma risultante da una serie di iniziative differenti per consistenza e carattere e non privo di regressioni intermedie, che dovette perdurare almeno dall'XI all'VIII sec. a.C., interessando le stesse aree frequentate dai mercanti egei nel II millennio. Movimenti interni portarono anche successivamente alla fondazione di nuovi insediamenti. La comprensione e la datazione delle fasi del fenomeno è affidata alla documentazione archeologica, ancora lacunosa, e alle notizie desumibili da fonti più tarde di tipo linguistico e letterario, rappresentate dalla distribuzione geografica dei dialetti greci e dai miti di fondazione, in assenza di testi scritti coevi. A differenza della tradizione letteraria che tende a rappresentare la nascita delle città greche dell'Asia Minore come fondazioni, adottando lo schema di tipo derivativo metropoli-colonia, la formazione di queste poleis va ricostruita come un processo lento e graduale, svoltosi in parallelo e in un quadro di scambi ininterrotti da una parte e dall'altra dell'Egeo. Una continuità di presenza greca dopo la fine dell'età del Bronzo è attestata dalle stratificazioni archeologiche dell'Artemision di Efeso e di Mileto.
I Greci stabilirono le loro città prevalentemente su promontori e penisole nella fascia costiera dell'Asia Minore, ricca di insenature adatte ad allestimenti portuali, e sulle isole antistanti, inserite nella fitta rete di rotte e scambi del Mediterraneo. Il paesaggio era caratterizzato da fertili vallate percorse da grandi fiumi che sfociavano nel Mar Egeo (il Caico, l'Ermo, il Caistro, il Meandro) e permettevano i collegamenti tra la costa e gli altopiani interni. Le pianure costiere, seppur strette, erano sufficienti a garantire la sussistenza e ampi margini di sviluppo economico alle nascenti poleis. Il profilo attuale della costa microasiatica è cambiato molto rispetto all'antichità, come dimostrano, ad esempio, il progressivo allontanamento dal mare del centro urbano di Efeso e l'interramento di gran parte del Golfo di Mileto, a causa delle alluvioni del Meandro.
I coloni, al momento della fondazione e nel corso della vita delle loro città, entrarono in contatto con gli abitanti indigeni dell'Anatolia occidentale, che a seconda dei casi furono costretti con la forza ad allontanarsi dalla costa e a cedere le loro terre ai Greci o furono integrati nelle nuove comunità subendo una progressiva ellenizzazione. I Greci cercarono di appropriarsi di queste realtà locali a loro estranee attraverso l'elaborazione di miti, dove Misi, Amazzoni, Pelasgi, Bebrici, Migdoni, Lelegi e Carii trovano una loro collocazione nello spazio e nel tempo degli eroi. Gli antecedenti dei legami tra Grecia e Asia si potevano enucleare dalle vicende degli eroi migrati dal Vicino Oriente alla Grecia, come Pelope, Cadmo e Niobe, e nel repertorio mitologico ellenico furono inglobate figure leggendarie di origine orientale, come Muksas-Mopsos e Telefo.
Il "fossile-guida" della presenza greca in Asia Minore fra l'XI e il X sec. a.C. è rappresentato dalla ceramica protogeometrica. I rinvenimenti consistono in un numero piuttosto esiguo di vasi o frammenti, spesso privi del contesto originario e raramente associabili ad abitati, che non prevalgono mai quantitativamente rispetto ai manufatti locali anellenici. La documentazione più consistente proviene da Smirne, Mileto, Iasos e Coo, ma altri rinvenimenti sono attestati in Eolide, a Lesbo (Antissa, Methymna, Pirra e forse Mitilene), Pitane, Larisa, Focea, Argisa; in Ionia, a Erythrai, Clazomene, Mordogan (sul lato orientale della penisola di Erythrai), Chio forse, Teos, Klaros, Pygela, Samo, Tsangli, Melia, Didyma, Komuradasi (da identificare probabilmente con Teichiussa); in Caria, a Termera-Assarlik, Dirmil, Çömlekçi (vicino ad Alicarnasso), Stratonicea, Kaunos, Rodi, e nella lidia Sardi. È difficile stabilire in che misura la distribuzione della ceramica protogeometrica in Asia Minore corrisponda all'esistenza di insediamenti greci, che allo stato attuale delle ricerche risultano meno numerosi e anche meno strutturati rispetto a quelli di età micenea.
I dialetti dei Greci d'Asia - Il risultato del lungo processo di popolamento greco delle coste dell'Asia Minore e delle isole antistanti è la differenziazione in tre grandi aree dialettali, Eolide, Ionia e Doride, che diviene percepibile solo a distanza di vari secoli dall'avvio del fenomeno. Infatti, non abbiamo documentazione letteraria ed epigrafica relativa alla distribuzione dei dialetti della Grecia orientale prima dell'VIII sec. a.C.
Questa tripartizione geografica è spesso proiettata all'indietro dalle fonti antiche, che la fanno risalire a movimenti migratori di diversa provenienza, scaglionati nel tempo. Un'altra parte della tradizione, invece, insiste sul carattere composito dei coloni (ad es., Hdt., I, 142, 3-4 sui quattro tipi di lingua degli Ioni). Alla questione della differenziazione regionale dei dialetti microasiatici è connessa quella della ricostruzione della geografia dei "protodialetti" della Grecia continentale alla vigilia della migrazione ionica (fine del XII sec. a.C.). Secondo la teoria più corrente, la lingua di Lesbo e dell'Eolide sarebbe riconducibile ai Prototessali, che si erano stanziati in precedenza in Acaia e in Beozia; nelle città costiere da Smirne ad Alicarnasso e nelle isole adiacenti (le Sporadi settentrionali, Chio e Samo), sarebbe migrato al principio del X sec. a.C. lo ionico, configuratosi come dialetto a sé stante in Attica e in Eubea; nelle Sporadi meridionali, da Rodi a Coo e Calimno, fino a Cnido e nelle città antistanti sulla terraferma sarebbe stato diffuso il dialetto dei Dori del Peloponneso e di Creta. Infine, sulla costa centro-meridionale dell'Asia Minore si parlava il panfilio, un dialetto misto formato da elementi greco-occidentali, arcado-ciprioti ed eolici.
La Ionia - L'area abitata dagli Ioni si estendeva nella fascia costiera della Penisola Anatolica compresa tra i fiumi Ermo e Meandro. Erodoto attribuisce alla regione "il cielo più bello e il clima migliore" di tutto il mondo conosciuto: "... né le terre più a settentrione né quelle meridionali sono pari alla Ionia, né quelle a levante, né quelle a ponente..." (Hdt., I, 142, 1-2).
Una parte della tradizione letteraria attribuisce un ruolo di primo piano nella migrazione ionica ad Atene, individuandola come punto di partenza o come sede organizzativa delle spedizioni, guidate da capi ateniesi. Atene, al più tardi dai tempi di Solone, si definiva la metropoli degli Ioni e questo rapporto fu codificato in funzione della propaganda connessa alla vocazione imperialistica di Atene ai tempi della Lega delio-attica. Lo schema atenocentrico dovette essere sovrapposto alle tradizioni locali di fondazione katà poleis con l'inserimento di ecisti discendenti dal re attico Codro, come Neleo a Mileto (Strab., XIV, 1, 3; Paus., VII, 2, 3-6, mentre una tradizione alternativa riferita da Mimnermo lo riteneva proveniente da Pilo e figlio del dio Poseidone) e Androclo a Efeso, che originariamente dovevano avere costituito il legame tra i più eminenti gene di Mileto ed Efeso con Atene. I Codridi compaiono nelle archaiologiai di molte altre città ioniche, come Erythrai, Teos, Lebedo, Colofone e Miunte.
Elementi linguistici e tradizioni locali, in realtà, conservano memoria dell'originaria varietà etnica dei primi abitanti della Ionia, sottolineata da Erodoto (I, 146, 1-2; Paus., VII, 2, 3-6). L'immagine della Ionia contraddistinta da una popolazione mista di Elleni e barbari dal punto di vista degli abitanti della Grecia continentale è evidente anche dai versi di Euripide (Ba., 17-19). La rielaborazione razionale delle tradizioni locali portò alla formulazione di una sequenza ordinata di fondazioni e rinforzi coloniali, nella quale trovarono posto anche i discendenti attici di Codro. I miti davano fondamento a legami matrimoniali od ospitali, alla posizione privilegiata di un genos all'interno dell'aristocrazia locale, in concorrenza con altre famiglie, all'origine di prerogative regali o sacerdotali; potevano ricordare, inoltre, l'esistenza di una frequentazione greca sin dall'età del Bronzo, tramite riferimenti a coloni cretesi o a eroi della saga di Troia, ma anche l'arrivo di ondate più recenti o le relazioni occorse con le popolazioni trovate sul territorio.
La dodecapoli ionica. - Tra il X e il IX sec. a.C. gli Ioni si associarono in una confederazione, la cosiddetta "dodecapoli ionica", sul modello di quella degli Ioni in Acaia, che fu costituita dalle città di Chio, Erythrai, Clazomene, Teos, Lebedo, Colofone, Efeso, Samo, Priene, Miunte, Mileto e Focea (quest'ultima in territorio eolico).
Si trattava di una lega religiosa, come quelle che sorsero nelle altre regioni dialettali dei Greci d'Asia. L'area sacra nota come Panionion (Hdt., I, 143, 3; 148, 1) era il santuario di Poseidone Eliconio sul promontorio di Micale, nel territorio di Priene. All'origine dell'unione è stata ipotizzata anche un'esigenza di sostegno reciproco nella difesa contro le popolazioni autoctone, sotto la guida di Efeso, che portò a un rafforzamento dell'identità ionica. L'adesione alla lega non avvenne simultaneamente da parte di tutte le 12 città, come farebbero apparire i resoconti degli storici greci. Alcune tradizioni locali permettono, invece, di ricostruire un processo graduale verso l'acquisizione della coscienza etnica e l'aggregazione delle poleis, nel corso del quale va posta la distruzione della città di Melia da parte degli altri Ioni.
Il numero canonico appare fissato nell'VIII sec. a.C., quando i 12 membri rifiutano l'ingresso nell'unione dell'eolica Smirne, appena conquistata da Colofone. La concessione del duplice voto ai Colofoni, nel VII-VI sec. a.C., al fine di garantire una rappresentanza a Smirne salvaguardando il vincolo del numero, attesta il ruolo preminente rivestito da Colofone in quest'epoca. Solo intorno al 290 a.C. per iniziativa di Lisimaco il numero dei membri salì a 13, con l'ammissione di Nea Smyrne, giustificata con l'esigenza di reintegrare il posto un tempo occupato da Melia. La definizione di una propria identità etnico-regionale si formò precocemente tra i Greci della Ionia, che abitando una zona di frontiera tra Oriente e Occidente sentivano la necessità di distinguersi dai popoli e le civiltà vicine e di compattarsi al loro interno. Allo scopo contribuirono la formazione della confederazione, di feste Panioniche, di un "re degli Ioni", di una versione ufficiale e uniformante delle proprie origini, con una metropoli e un ecista comune, pur sopravvivendo le tradizioni di fondazione delle singole città. Le riunioni che sin dall'VIII sec. a.C. avvenivano tra tutti gli Ioni nel santuario di Apollo a Delo (panegyreis) fornirono l'occasione per la creazione di legami e alleanze tra le élites cittadine e per il consolidamento della parentela con Atene delle principali poleis della Ionia microasiatica, che costituì il fondamento della Lega delio-attica.
L'Eolide - Le genti di stirpe eolica (dal nome del mitico progenitore, il re tessalo Aiolos) si stabilirono nelle isole di Lesbo e Tenedos e nella zona costiera dell'Anatolia settentrionale, compresa tra il fiume Ermo e la Propontide. I protagonisti del movimento coloniale provenivano dalla Beozia e dalla Tessaglia, ma dovettero parteciparvi anche genti dell'Eubea, dell'Attica e del Peloponneso. La linea di confine con la Ionia non è sempre chiaramente definibile: alcune città, come Focea, Smirne e Chio, furono a lungo oggetto di contesa tra Ioni ed Eolici. Le vie di comunicazione più importanti erano costituite da una direttrice est-ovest, che percorreva la valle dell'Ermo, del resto navigabile, costituendo la parte finale della cosiddetta Strada Reale che passava per Kyme e Aigai prima di raggiungere Sardi e scendere fino a Susa, e una nord-sud, che collegava le città dell'Eolide a quelle della Misia e della Ionia.
Secondo la tradizione, la migrazione eolica era avvenuta prima di quella degli Ioni (Strab., XIII, 1, 2-4, indica uno scarto di quattro generazioni). Nelle fonti letterarie si distinguono tre ondate successive, guidate da discendenti di Agamennone e Oreste (Demir 2004). Tra gli abitanti originari dell'area, l'Iliade (X, 429) menziona Lelegi e Cilici, altre tradizioni ricordano i mitici Pelasgi (nei territori di Kyme e Larisa) e Amazzoni eponime (ad es., per le città di Pitane, Myrina, Kyme, Smirne). La documentazione archeologica dei popoli autoctoni, con i quali i centri eolici intrattennero strette relazioni, è costituita da una caratteristica ceramica grigia monocroma, affine a quella della Frigia occidentale. Questa produzione locale influenzò dal punto di vista tecnico e formale la tipica ceramica greca eolica dalla superficie grigia non dipinta (cd. Grey Ware).
Come per la Ionia, è documentata la formazione di una dodecapoli eolica, che aveva il luogo di culto comune nel santuario di Apollo a Gryneion. Erodoto (I, 149, 1) fornisce l'elenco delle poleis eoliche di età classica: Kyme, Larisa, Neonteichos, Temnos, Killa, Notion, Aigiroessa, Pitane, Aigai, Myrina e Gryneia. Con l'eccezione di Aigai e Neonteichos, si trattava di città marittime tra le più attive e rinomate dell'Egeo, dotate anche di più porti, che sfruttavano le numerose insenature della costa frastagliata. La ricchezza dell'ambiente culturale eolico è testimoniata dalla fioritura della poesia arcaica, grazie alla quale il dialetto eolico divenne vincolante per la lirica.
A Smirne gli scavi hanno messo in luce una gran quantità di ceramica grigia monocroma e protogeometrica, che data la presenza di Greci di prevalente cultura eolica intorno al 1000 a.C. L'imponente cinta muraria attesta la potenza della città sin dall'età geometrica e al tempo l'esigenza di difendersi dalle comunità vicine. L'affermazione delle ceramiche di produzione ionica parrebbe confermare la conquista da parte degli Ioni di Colofone nell'VIII sec. a.C. Come Smirne, anche il sito identificato con Larisa appare abitato nell'età del Ferro da popolazioni anatoliche, indiziate dalla ceramica grigia di produzione locale rinvenuta, fino al prevalere degli Eolici alla fine dell'VIII sec. a.C. A Kyme, città portuale che divenne la guida della Lega eolica, era vissuto nell'VIII sec. a.C., prima di condurre la famiglia in Beozia, il padre del poeta Esiodo, attivo intorno al 700 a.C., che ricorda le navigazioni del padre stesso (Op., vv. 633-40). Il mito attribuiva la fondazione di Focea a un contingente formato da coloni della Focide e del Peloponneso partito da Thorikos, sotto la guida di due Ateniesi. Il territorio collinare, donato dal re di Kyme, Ouatias, inizialmente era sufficiente per la sussistenza dei coloni (choran.... autarke, come scrive Nicolao di Damasco, in FGrHist, 90, fr. 51), ma con il tempo sarebbe divenuto esiguo, portando i Focei a sfruttare il mare piuttosto che la terra, dedicandosi alla pesca, al commercio e alla pirateria.
La Doride e le popolazioni indigene della Caria - I coloni dori, originari del Peloponneso e dell'Argolide, s'insediarono sulle coste dell'Anatolia sud-occidentale, nella regione denominata Caria, delimitata a nord dal fiume Meandro e dai monti Mesopis e Cadmo, che la separavano dalla Ionia, e confinante a sud-est con la Licia. Lungo la costa, articolata in insenature strette e allungate, si trovavano numerose isole.
La storia della fondazione di Alicarnasso (Vitr., II, 8, 12) attesta il passaggio dai rapporti bellicosi dei coloni di Argo e Trezene con gli abitanti originari del luogo, i Carii e i Lelegi, costretti a rifugiarsi sulle alture retrostanti, a una pacifica convivenza e integrazione culturale, grazie alla scoperta della fonte Salmacide. La presenza di una notevole componente caria nella popolazione di Alicarnasso è documentata ancora in età classica dall'onomastica. Le mire espansionistiche di Rodi sulla terraferma antistante determinarono la nascita di una confederazione, cosiddetta Esapoli, di cui facevano parte i tre centri dell'isola di Rodi, Ialysos, Camiro e Lindos, con Cnido, Coo e Alicarnasso e che aveva il proprio centro religioso nel santuario di Apollo al Capo Triopio, nei pressi di Cnido. Alicarnasso fu in seguito esclusa dalla lega, probabilmente per il prevalere del suo carattere ionico.
Gli abitanti indigeni della Caria sono ricordati nell'Iliade come barbarophonoi, alleati dei Troiani, che abitavano la regione di Mileto e dei monti Ftiro e Micale (II, 867-868; IV, 142; X, 428). Secondo Erodoto (I, 171, 2-5), invece, i Carii si chiamavano un tempo Leleges e prima di trasferirsi in Asia Minore avevano abitato le isole, sotto il dominio del re cretese Minosse, godendo della fama di naviganti insuperabili. Similmente Diodoro Siculo (VII, 11) riferisce che nel periodo successivo alla guerra di Troia i Carii avrebbero controllato il Mar Egeo e colonizzato le Cicladi ed Eusebio (I, 225 schol.) parla di talassocrazia caria intorno al 721 a.C. Il carattere montuoso del territorio determinò la parcellizzazione della regione in un'infinità di piccoli insediamenti, ciascuno con propri culti e tradizioni culturali.
I Carii avevano una lingua e una scrittura propria. A essi risaliva l'invenzione dei cimieri, dell'impugnatura degli scudi e della loro decorazione con emblemi (Hdt., I, 171, 4; Strab., XIV, 2, 27). La tradizione storica è ambivalente nel giudizio sui Carii, esaltati come valorosi guerrieri e mercenari (attivi anche al servizio del faraone Psammetico I), ma anche disprezzati come exolestatoi, peggiori per poneria rispetto ai Lidi e agli Egizi. L'influenza culturale greca è illustrata dai materiali emersi dagli scavi, che hanno permesso di individuare imitazioni locali della ceramica greca geometrica (dal santuario di Sinuri e dalla necropoli vicino a Mylasa, da tombe a est di Turgut e da Stratonicea), subgeometrica, dello stile delle Capre Selvatiche (dalla necropoli di Damlıboğaz, presso Mylasa) e dei vasi di Fikellura (materiali da Damlıboğaz e dai santuari di Sinuri e Labraunda). Il Periplo di Scilace di Carianda conferma la progressiva ellenizzazione nel corso del VI sec. a.C.
La presenza di insediamenti greci sulle coste dell'Asia Minore e a Cipro potrebbe aver contribuito alla ripresa delle relazioni tra il mondo egeo e il Vicino Oriente durante la Dark Age, dopo la fine della civiltà palaziale micenea. Questa rivitalizzazione dei contatti è documentata dai rinvenimenti archeologici. In particolar modo a Creta, in contesti di X-IX sec. a.C. sono attestati prodotti provenienti dall'Oriente, per lo più attraverso la mediazione di Cipro, e artisti immigrati, che influenzarono anche l'artigianato locale (ad es., ceramica, spiedi di ferro di tipo cipriota, coppe fenicie di bronzo, sostegni bronzei lavorati a giorno, a forma di tripode o più elaborati, talora forniti di ruote).
Cipro pare aver avuto una funzione fondamentale come centro di mediazione e di redistribuzione anche nella ripresa degli scambi tra i centri dell'Eubea e delle Cicladi con quelli della costa siro-palestinese nell'XI-X sec. a.C., benché non si escludano relazioni dirette tra le due aree. L'intensificazione dei contatti dal X sec. a.C. è stata messa in luce dai rinvenimenti di importazioni orientali a Lefkandì in Eubea e, a pendant, dalla presenza di ceramiche greche, prevalentemente euboiche, in una serie di siti della costa siro-palestinese, tra i quali Tiro (in quantità cospicue), nel IX-VIII sec. a.C. I circuiti commerciali, che coinvolgevano anche le coste della Tracia nell'Egeo settentrionale, implicavano una condivisione delle rotte tra mercanti greci e orientali e una grande circolazione di risorse e merci di scambio (minerali, legname, vino, olio), ma anche di uomini e di conoscenze tecniche.
Nel resto dell'area greca, le importazioni orientali risultano piuttosto sporadiche. Ad Atene, oggetti di bronzo e gioielli sono stati rinvenuti in tombe databili alla metà del IX sec. a.C. e all'influenza di artigiani immigrati dall'Oriente potrebbe risalire la produzione di oreficerie in Attica nella prima metà dell'VIII sec. a.C. (pendenti, fibule e diademi d'oro decorati a stampo con motivi animalistici di tipo orientale). Nell'VIII sec. a.C., oltre al più noto emporio di al-Mina, alla foce del fiume Oronte, i Greci frequentarono sulla costa siriana altre due stazioni commerciali poste immediatamente a sud: Tell Sukas e Ras el-Bassit, quest'ultima probabilmente da identificare con l'antica Posideion (dove alcuni localizzano l'assimilazione greca dell'alfabeto fenicio). Secondo la tradizione narrata in Erodoto (III, 91), la città si vantava di essere una fondazione dell'eroe argivo Amphilochos, di ritorno dalla guerra di Troia. Da questi porti, la ceramica greca penetrò anche nell'interno, tramite i Greci stessi o mercanti locali: in vari centri della Siria, della Palestina e dell'Assiria sono stati rinvenuti frammenti di produzione euboica, cicladica e attica.
Nell'VIII sec. a.C. le città greco-orientali appaiono solidamente organizzate e in fase di sviluppo. La rapida evoluzione socioeconomica e politica fu favorita dalle potenzialità aperte dai contatti con le civiltà del Vicino Oriente, che con i loro influssi crearono i presupposti per l'espansione dei commerci, l'ampliamento delle chorai oltre i confini iniziali e lo sviluppo della produzione artigianale e artistica. La ripresa dell'alfabeto dai Fenici agli inizi dell'VIII sec. a.C. segnò un importante punto di svolta.
La crescita economica e demografica delle poleis determinò un'espansione territoriale, spesso a danno delle popolazioni indigene e degli insediamenti più piccoli vicini, e la creazione di subcolonie. I capi di questi nuovi insediamenti greci, come Clazomene, furono scelti all'interno delle famiglie dell'élite dirigente. La tradizione attribuisce a Kyme e a Mitilene la fondazione di 30 subcolonie nell'Anatolia settentrionale. A Troia, ad esempio, il rinvenimento di Grey Ware fa ipotizzare una rioccupazione del sito da parte di genti eoliche alla fine dell'VIII sec. a.C. (Troia VIII). Nello stesso periodo gli Eolici si insediarono verosimilmente anche nell'abitato indigeno di Larisa.
Una delle città di Lesbo, Methymna, fondò Assos nella Troade, tra la fine dell'VIII e il VII sec. a.C. (Strab., XIII, 1, 58). Intorno al 700 a.C., come indicano i rinvenimenti ceramici, Lesbo dette vita anche ad altri stanziamenti sulla costa antistante (peraiai). Nello stesso arco di tempo Greci di stirpe eolica giunsero a Samotracia. Tra l'VIII e il VII sec. a.C. fondarono peraiai sulla terraferma anche l'isola di Tenedos, le isole ioniche di Chio, sulla penisola di Erythrai, e Samo, sul promontorio di Micale, così come la dorica Cnido. Efeso nel VII sec. a.C. occupò Magnesia al Meandro, che controllava importanti vie di comunicazione verso l'interno e verso nord.
Dalla metà dell'VIII sec. a.C. si data anche l'avvio della penetrazione greca in Licia, a giudicare dai rinvenimenti di ceramica geometrica a Xanthos. Questa regione montuosa nell'Asia Minore sud-occidentale era abitata da una popolazione che i Greci chiamavano Lici e ritenevano discendenti di Lykos, figlio esiliato del re Pandion di Atene. Iscrizioni in licio (una lingua ancora solo parzialmente compresa) documentano che, invece, i Lici chiamavano sé stessi Termilai. Fonti letterarie riferiscono di fondazioni greco-orientali nel tardo VIII-VII sec. a.C. in Panfilia e Cilicia, come Tarso, Phaselis, Soli, Afrodisiade, Celenderis e Nagidos (Mela, I, 77; Strab., XIV, 5, 8, 12). Sulla base dei confronti con il materiale emerso negli scavi di Kinet Höyük, oggi si tende a ritenere la ceramica tardogeometrica rinvenuta a Tarso e Mersin di produzione locale e non più indizio di stanziamenti coloniali. Anche le testimonianze linguistiche indicano la predominanza dell'elemento luvio nella popolazione, pur non potendo escludere la presenza di mercanti greci e ciprioti nella regione costiera, attirati dalle locali risorse metallifere.
Nell'VIII sec. a.C. i Greci cominciarono a entrare in contatto con importanti realtà politiche dell'Anatolia, organizzate e culturalmente avanzate, come l'impero assiro e il regno frigio, per le quali disponiamo di documenti letterari, non solo greci, archeologici e linguistici.
Una tavoletta assira di Nimrud risalente al 730 a.C. circa ricorda un'incursione di "Ioni" sulla costa fenicia, che potrebbero essere interpretati come mercenari, dediti anche alla pirateria, che avevano forse basi a Cipro. Il rinvenimento nella capitale Ninive di un frammento di skyphos euboico dell'VIII sec. a.C. è stato inteso come un indizio della presenza di Euboici tra le file dei mercenari greci (Kearsley 1999). Documenti assiri riferiscono che ad Ashdod, in Siria, i ribelli acclamarono re uno Yamani (dizione assira corrispondente al termine biblico Yawan, che potrebbe riferirsi agli Ioni, ma anche a popolazioni dell'Anatolia occidentale o a Ciprioti), ma la rivolta fu stroncata nel 712 a.C. da Sargon II (718-705 a.C.), che conquistò anche la Cilicia. Altre fonti assire testimoniano una ribellione condotta nel 696 a.C. contro il potere centrale da Kirua, governatore di Illubru (Tarso), nella quale furono coinvolti anche Greci. Kirua fu sconfitto dai generali del re Sennacherib e la città riconquistata trasformata in un avamposto dell'impero assiro. Nel corso di questa campagna militare potrebbe essere collocato lo scontro tra Assiri e Ioni tramandato dalla versione armena della Cronaca di Eusebio, che ricorda una sconfitta inflitta dall'esercito di Sennacherib ai Greci che si erano inoltrati nel territorio dei Cilici. Anche in questo caso è ipotizzabile che si trattasse di mercenari della Ionia. Nel 694 a.C. il re Sennacherib accolse alle sue dipendenze a Ninive naviganti "ionici" e fenici.
Nell'Iliade i Frigi sono annoverati tra gli alleati di Priamo, mentre Xanto di Sardi datava il loro arrivo in Asia Minore dopo la guerra di Troia. Questo popolo indoeuropeo, proveniente secondo le fonti classiche dall'Europa sud-orientale (Hdt., VII, 73), era insediato sugli altopiani centro-settentrionali dell'Anatolia, intorno ai fiumi Sangario e Halys. Nell'VIII sec. a.C. i Frigi realizzarono un regno unitario, potente e florido, che disponeva di un'enorme ricchezza dovuta alle miniere di metalli e all'oro per il quale divenne famoso il re Mida ‒ Mita di Mushki nei testi assiri (per il quale Eusebio indica i termini cronologici dal 738 al 697/6 a.C.). Le sepolture monumentali di Elmalı, in Licia, attestano l'espansione dei Frigi verso l'Anatolia meridionale.
Nonostante i Frigi nutrissero un interesse limitato per le regioni costiere, le fonti greche, soprattutto Erodoto, Xanto e Strabone, forniscono notizie sui loro primi contatti con i Greci, in particolare nelle aree di confine della Troade e dell'Eolide. Si ha notizia del matrimonio tra una principessa di Kyme eolica, di nome Ermodice o Demodice, figlia del re Agamennone, con Mida (Poll., Onomast., IX, 83). Il padre di Mida, Gordio, connesso alla leggenda del nodo insolubile, aveva sposato a sua volta una donna indigena di un villaggio della Caria, vicino ad Alicarnasso. Mida nella tradizione letteraria è indicato come il primo dei re barbari ad aver inviato doni votivi al santuario di Apollo a Delfi, cui offrì il trono su cui amministrava la giustizia, che nel V sec. a.C. era conservato nel thesauròs dei Corinzi (Hdt., I, 14, 2-3).
Agli inizi del VII sec. a.C. il regno frigio fu travolto dall'invasione dei Cimmeri. Nelle fonti greche questi sono rappresentati come un popolo nomade di arcieri a cavallo, spinto dalla pressione degli Sciti a muovere dalle proprie terre a nord del Mar Nero, attraverso il Caucaso, fin nella Penisola Anatolica, dove compirono scorrerie insieme ai Treri traci, con cui a volte vengono identificati (Strab., I, 3, 21). Gli autori greci narrano del teatrale suicidio di Mida a Gordion, dopo la libagione di sangue di toro, datato dai cronografi al 696 a.C. (Eusebio) o al 676 a.C. (Giulio Africano). La vicinanza territoriale e l'esistenza di legami matrimoniali portarono allo scambio di prodotti e influenze culturali nell'VIII-VII sec. a.C. tra l'area greca e il regno frigio, che rivestì anche un importante ruolo di tramite con il mondo assiro, come attestano i rinvenimenti archeologici.
La raffinata ceramica dipinta frigia presenta motivi analoghi al Geometrico greco, anche se le importazioni greche aumentarono solo dalla metà del VII sec. a.C. con la presenza di una certa quantità di ceramica corinzia e greco-orientale, imitata localmente, e soprattutto nel VI sec. a.C., con quella attica. Le poleis greco-orientali, da parte loro, accolsero conoscenze e tecniche provenienti dalla Frigia, soprattutto nella lavorazione dei metalli, un settore nel quale i Frigi erano molto avanzati. Sono note importazioni e rielaborazioni locali dei prodotti bronzei tipici delle botteghe frigie dall'VIII sec. a.C.: le coppe a omphalòs; le cosiddette "coppe frigie"; le fibule di bronzo frigie; i lebeti e i dinoi con anse ad anello, inserite in attacchi a rocchetto presso l'orlo e con fasce orizzontali di rinforzo, di cui sono stati rinvenuti pregiati esemplari nei ricchi tumuli funerari di Gordion, ad Ankara e in area greca nell'Heraion di Argo, a Olimpia e a Magnesia sul Sipilo. Questi recipienti bronzei furono imitati anche in versioni fittili nelle botteghe cretesi e greco-orientali (nel VII sec. a.C. a Samo e Chio, con alto piede conico) e nella ceramica grigia eolica a Troia e Larisa.
Tipiche della produzione frigia sono anche le cinture di bronzo, attestate dal tardo VIII sec. a.C. nei tumuli di Gordion, ad Ankara e a Boğazköy, che sono costituite da una banda di metallo decorata a incisione, a un'estremità della quale è fissata una linguetta con occhielli, mentre l'altra estremità è conformata a gancio e provvista di prese semicircolari, simili alle fibule frigie. I piccoli fori lungo i bordi fanno ipotizzare un rivestimento di cuoio o stoffa. Cinture di questo tipo sono state rinvenute anche nei principali santuari della Ionia, tra il 690-660 a.C. e soprattutto nella seconda metà del VII sec. a.C.: a Smirne, Erythrai, Emporion e in altre località di Chio, a Efeso, Samo, Mileto e Didyma, mentre solo frammenti isolati provengono da Olimpia e Delfi. Gli artisti ionici imitarono i modelli frigi, apportando modifiche secondo il loro gusto nella decorazione delle linguette, non più a giorno, ma a incisione, punzonatura o a rilievo, e nelle prese, con le chiusure configurate a protomi animali, di ariete o leone. Come centri di produzione in area ionica sono stati individuati Chio ed Efeso. Gli esemplari dalla Frigia appartengono a corredi funerari e accompagnano sia adulti sia bambini del ceto sociale più alto, mentre le cinture rinvenute in Ionia provengono da contesti sacrali e si ipotizza sulla base di fonti più tarde che fossero dedicate da donne prima del matrimonio o dopo un parto. Non è escluso che le portassero anche gli uomini, che in Ionia erano soliti sfoggiare ricchi ornamenti. La raffigurazione di una cintura del tipo citato su una copia romana dell'Artemide di Efeso (la cd. Grande Artemide) fa pensare che fosse tra gli attributi di una delle più antiche statue di culto dell'Artemision. Un rilievo su lamina bronzea da Olimpia con una dea alata, ritenuto di produzione greco-orientale, mostra che le cinture frigie erano in uso ancora nella prima metà del VI sec. a.C.
Le influenze frigie riguardarono anche l'ambito musicale, i culti e la produzione artistica. Dalla Frigia dovette essere introdotto presso i Greci d'Asia il culto della Grande Madre, la più importante divinità delle genti anatoliche dall'età del Bronzo, dea delle montagne, da cui provenivano le acque e i metalli, fonti di vita e ricchezza, che fu assimilata a Cibele o all'Artemide Efesia. La statua rinvenuta a Boğazköy (al Museo di Ankara) costituisce la più imponente immagine della dea in ambito frigio, che influenzò anche l'Hera di Samo e la scultura laconica. La dea è raffigurata con un copricapo elaborato, una veste lunga panneggiata ed è affiancata da due piccole figure di devoti, che suonano un doppio aulòs e un'arpa (seconda metà del VII sec. a.C.).
Nel VII sec. a.C. le città microasiatiche, governate da potenti élites aristocratiche, mostrano una notevole fioritura economica e culturale. L'inserimento nei circuiti commerciali già attivati dai mercanti euboici e cicladici accrebbe la vivacità e il volume dei traffici, che insieme al servizio dei mercenari portarono la presenza di Greci della madrepatria e dell'Asia nel Vicino Oriente.
I modelli orientali ebbero un ruolo determinante in ambito religioso e letterario, nello sviluppo delle conoscenze tecniche e scientifiche e nella produzione artistica greca, con la formazione dello stile orientalizzante. I canali d'influenza in area greca sono costituiti dalla circolazione di oggetti importati (grazie anche alla mediazione fenicia), sepolti nei corredi funerari o dedicati nei santuari; dall'attività e dall'insegnamento di artisti immigrati e infine dalla creativa rielaborazione di idee, tecniche e motivi decorativi provenienti dall'Oriente. Gli influssi orientali e i costumi misti, conseguenti alla ripresa dalle popolazioni locali di elementi linguistici, alimentari, musicali, relativi all'abbigliamento e ai culti sincretistici, dettero origine al giudizio negativo sugli Ioni deboli, servili ed effeminati, disprezzati dai Greci della madrepatria per la loro tryphè e abrosyne, tanto che secondo Erodoto (I, 143, 2-3) gli Ioni, eccetto quelli d'Asia, si vergognavano della loro stirpe.
In Eolide, Kyme fu molto attiva nei traffici mercantili in età arcaica, esportando i prodotti agricoli del fertile territorio che controllava; i rinvenimenti ceramici documentano l'esistenza di relazioni con Atene, Corinto, Rodi, Samo e Chio. Anche le ricche necropoli di Pitane e di Gryneia attestano i numerosi rapporti commerciali intrattenuti dalle città eoliche nel VII-VI sec. a.C. e a Smirne gli scavi hanno messo in luce materiali di diversa provenienza, in particolare le offerte votive rinvenute nel santuario di Atena: ceramica greco-orientale e corinzia, figurine fittili e statuette di pietra da Cipro, avori e bronzi raffinati di stile orientalizzante. Tra le città della Ionia, Mileto conobbe una particolare prosperità economica e vivacità culturale. Intrattenne rapporti commerciali anche nel Mediterraneo occidentale, in particolare con Sibari (Hdt., VI, 21, 1) e con l'Etruria, ed ebbe un ruolo preponderante nella fondazione di colonie nella Propontide, lungo le coste del Mar Nero, nel Bosforo Cimmerio, nelle penisole di Kerč e di Taman e nella Colchide, come evidenziano le fonti antiche (Strab., XIV, 1, 6; Plin., Nat. hist., V, 112: Miletus Ioniae caput... super XC urbium per cuncta maria genetrix...).
Nel Vicino Oriente la presenza di ceramica corinzia e greco-orientale nel VII sec. a.C. è attestata in Cilicia (a Tarso, Mersin, Sakçagözü), in Anatolia (Çatal Hüyük), in Siria (ad al-Mina e Zincirli), in Palestina (a Tell Abu Hawam) e a Babilonia. Un celebre passo del libro biblico di Ezechiele (27, 13) documenta agli inizi del VI sec. a.C. i rapporti commerciali di Tiro con gli Ioni, la Cilicia settentrionale e la Frigia, imperniati sulla vendita di schiavi e bronzi in cambio delle mercanzie orientali. L'emporio siriano di Tell Sukas mostra una particolare fioritura a partire dal 600 a.C., in corrispondenza dell'avvento dei Neobabilonesi, che forse incentivarono questo insediamento a scapito di al-Mina. A Tell Sukas sono stati rinvenuti un santuario di Helios, influenzato dai canoni dell'architettura greca, e importazioni di ceramica greco-orientale, attica e cipriota sino agli inizi del V sec. a.C. Babilonia ha restituito ceramica attica della metà del VI sec. a.C. e testimonianze epigrafiche della presenza di artigiani ionici.
L'attività di mercenari greci al servizio dei regni del Vicino Oriente è attestata dalle fonti letterarie e dalla documentazione archeologica. Soldati con armamento oplitico sono raffigurati su una coppa fenicia d'argento del VII sec. a.C. rinvenuta ad Amatunte, a Cipro. Un insediamento di mercenari greci, datato al tardo VIII sec. a.C. sulla base della ceramica greca, è stato individuato di recente a Tel Kabri. Un altro acquartieramento di mercenari greci è stato riconosciuto a Mezad Hashavyahu, un centro fortificato nei pressi di Ashdod, dove è stata rinvenuta ceramica greco-orientale della fine del VII sec. a.C. Poteva trattarsi di soldati al servizio dei Babilonesi fuggiti a causa dell'invasione di Nekao del 609 a.C. o di truppe al seguito del faraone. Che i Babilonesi si servissero di mercenari greci tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C. trova una conferma nelle vicende di Antimenidas, il fratello del poeta Alceo di Mitilene, che dovette partecipare a una della campagne siro-palestinesi di Nabucodonosor (Alceo, fr. 350, vedi anche Strab., XIII, 2, 3).
La Lidia, nella regione anatolica gravitante sulla valle dell'Ermo, affondava le proprie radici nel crollo dell'impero hittita, ma conobbe un processo molto lungo di consolidamento territoriale. Si rese indipendente dalla Frigia nel VII sec. a.C., divenendo a sua volta il nucleo di un grande regno anatolico e passando a controllare gli importanti giacimenti minerari microasiatici (il fiume Pattolo, i monti Tmolo, Atarneo e il distretto di Astyra). Nella capitale Sardi sono emerse, infatti, testimonianze della lavorazione dell'oro sin da tempi antichi.
Le fonti greche, in particolare Erodoto (che dedica un'intera sezione delle Storie alla Lidia: I, 6-94) e Xanto di Sardi, registrano le sequenze genealogiche dei re lidi: quella della dinastia degli Atiadi, che vantavano un discendenza da Zeus e Lydos, l'eponimo del popolo, e quella degli Eraclidi, che avrebbe regnato dall'età eroica dopo la guerra di Troia fino a Gige, in subordine al regno di Frigia. La tradizione greca poneva l'avvento di Gige sul trono di Lidia, e con lui l'ascesa della dinastia dei Mermnadi, collegati agli Atiadi, nel 680 a.C., a pochi anni dalla morte di Mida. In cambio della legittimità riconosciutagli dall'oracolo di Delfi, Gige offrì al santuario doni d'argento e d'oro, che erano identificati nel V sec. a.C. con gli anathemata detti Gygada conservati insieme al trono di Mida nel thesauròs dei Corinzi (Hdt., I, 14, 1-3). Il poeta contemporaneo Archiloco ricorda nei suoi versi (fr. 19 West = 22 Tarditi) la megale tyrannìs e la ricchezza di Gige polychrysou ("dal molto oro"). Il re lidio si serviva di mercenari greci e inviò in Egitto soldati della Ionia e della Caria assoldati dal faraone Psammetico I in funzione antiassira. Primo tra i sovrani anatolici, Gige perseguì una politica espansionistica verso le città greche della costa (Mileto, Magnesia sul Sipilo, Colofone, Smirne). È possibile che Gige arrivasse a controllare la Troade e gran parte della costa meridionale dell'Ellesponto, dal momento che sappiamo che concesse a Mileto di inviare coloni ad Abido. Alcuni Ioni di Colofone, per sfuggire al dominio lidio, si diressero in Italia meridionale, dove impiantarono la colonia di Siris, intorno al 690-680 a.C. Gige trovò la morte a Sardi combattendo contro i Cimmeri guidati da Ligdami (nel 652 a.C. secondo le cronache greche, nel 644 a.C. per le fonti assire).
I successori di Gige, Ardys (644-624 a.C.), Sadiatte (624-612 a.C.) e Aliatte (612-560 a.C.), proseguirono la politica di aggressione nei confronti delle città greche (Priene, Mileto, Smirne) e al tempo stesso portarono avanti la pratica dei legami epigamici con Efeso. All'inizio del regno di Aliatte ‒ entro l'ultimo quarto del VII sec. a.C. ‒ può essere datato l'esito del passaggio dalla circolazione di metallo pesato a quella monetaria, con la comparsa delle monete di elettro con coni figurati, come si evince dalla documentazione del deposito di fondazione dell'Artemision di Efeso. Gli studiosi discutono se attribuire l'introduzione della moneta alla Lidia o alle città greche d'Asia. La combinazione nella genesi di elementi di origine differente (la ricchezza mineraria e la struttura centralizzata della monarchia lidia, la vivacità economica delle poleis greche) può essere riflessa nelle ambivalenti testimonianze delle fonti antiche sulla collocazione dell'invenzione in area greca o lidia (Heraclid. Pont., fr. 152 Wehrli apud Arist., Fr., 611, 37; Xenoph. apud Pollux, Onomast., IX, 83; Hdt., I, 94, 1).
L'intensificazione dei rapporti tra Greci e Lidi durante il regno di Aliatte fece sì che il tema divenisse un fattore di contrapposizione politica all'interno delle poleis, dove si formarono oligarchie lidizzanti (ad es., a Kyme, Smirne, Colofone, Priene). L'adozione di costumi lidi e di un tenore di vita lussuoso da parte delle aristocrazie greche d'Asia Minore fu un fenomeno diffuso tra il VII e la prima metà del VI sec. a.C., su cui ci illuminano i rinvenimenti archeologici e i frammenti pervenutici della produzione letteraria del tempo (ad es., le Ciprie, Asio, Senofane, Alceo, Saffo e Ipponatte). Sullo sfondo della vita delle città emerge l'ombra del regno lidio, sentito al tempo stesso come una fonte di minaccia alla loro indipendenza e di attrazione. La varietà dei giudizi espressi nelle fonti riflette il dibattito esistente all'interno delle poleis d'Asia. Il legame culturale tra Greci e Lidi era rafforzato dal culto comune per l'Apollo di Delfi e l'Artemide di Efeso e dai matrimoni di aristocratici greci con membri dell'entourage dei re mermnadi. Dalla Lidia furono immesse parole nella lingua greca, come palmys per re o tyrannos, e gli aristocratici greco-orientali adottarono un abbigliamento sfarzoso, ricco di ornamenti. Si diffusero unguenti e profumi ricercati, come la celebre bakkaris, e, secondo l'opinione corrente, anche la forma vascolare di origine egizia, detta lydion, destinata a contenerli, inoltre nelle riunioni simposiastiche cibi delicati, giochi, innovazioni e strumenti musicali. I costumi lidi conobbero una notevole influenza verso la fine del VI sec. a.C. anche tra gli aristocratici di Atene, come testimonia il poeta Anacreonte di Teos, attivo alla corte del tiranno Ipparco, al quale si deve la creazione del termine Lydopathèis per coloro che ostentavano atteggiamenti lidizzanti.
I Lidi a loro volta acquisirono elementi culturali e artistici dai Greci, divenendo un popolo di usi e costumi simili (Hdt., I, 94, 1). Pare che l'alfabeto lidio, ad esempio, sia stato mutuato da quello greco probabilmente verso la metà del VII sec. a.C. Le importazioni di ceramica greca in Lidia, attestate sin dal Protogeometrico, divennero regolari dal VII sec. a.C. I vasi del Geometrico greco-orientale dettero vita a imitazioni locali, così come le importazioni dello stile delle Capre Selvatiche. I Lidi non avevano una propria ceramica figurata e si servirono dei modelli greci combinandoli in maniera eclettica con decorazioni tradizionali, come quella cosiddetta "marmorizzata", che consisteva nel rivestire la superficie del vaso con pennellate sinuose di differente intensità in vernice diluita. L'arte della Grecia orientale influenzò anche la produzione lidia di sculture, stele funerarie, avori e oreficerie. Nel corso del VI sec. a.C. anche gli antichi centri frigi, divenuti parte integrante del regno lidio, mostrano una crescente penetrazione di elementi culturali e artistici greco-orientali: nella ceramica dipinta tipica della regione; nelle lastre architettoniche fittili a rilievo; nell'articolazione e nella pittura muraria delle case di Gordion; nella scultura, come attestano due statue frammentarie di calcare rinvenute nella Città di Mida (metà del VI sec. a.C.) o una base di marmo da Ankara, decorata a rilievo con motivi floreali in stile orientalizzante e volute derivate dal capitello ionico (fine del VI sec. a.C.).
L'interazione greco-lidia raggiunge con il regno di Creso (560-546 a.C.) la dimensione di un sincretismo culturale. Un aneddoto attribuisce allo stesso futuro re un soggiorno formativo in Ionia. Creso riuscì a estendere il proprio dominio sulla Caria e su tutte le poleis della costa microasiatica, escluse le isole, che però caddero comunque sotto la sua influenza. Il controllo esercitato si concretizzava principalmente nel versamento di un tributo al sovrano, lasciando alle città greche ampi spazi di autonomia istituzionale e margini di sviluppo. Le famiglie aristocratiche continuavano a dominare l'organizzazione delle poleis, che conobbero una grande fioritura dei commerci e una notevole prosperità, rivaleggiando tra loro nelle produzioni artistiche e nelle creazioni architettoniche. Sulla scia degli altri dinasti frigi e lidi, Creso inviò doni votivi ai santuari di Delfi e Didyma (Hdt., I, 51; 92, 1-2), finanziò la ricostruzione dell'Artemision di Efeso, cui offrì colonne decorate e giovenche d'oro, e partecipò verosimilmente ad altri grandiosi progetti edilizi ionici. Sapienti greci visitarono la sua corte, tra cui Solone (Hdt., I, 30-33).
Creso sfidò la crescente potenza dei Persiani, che si erano sostituiti ai Medi nella pressione espansionistica verso ovest, cercando di coalizzare tutte le forze potenzialmente minacciate: l'Egitto, i Greci d'Asia, la Cilicia e Babilonia, ma la rapida azione di Ciro il Grande impedì ogni coordinamento possibile. La profonda interazione culturale con i Lidi spiega perché Creso sia stato visto come il difensore della grecità ed eroizzato, grazie al racconto della prodigiosa salvezza sul rogo e del trasferimento nel paese degli Iperborei. Al suo fianco combatterono gli Ioni, tra cui il filosofo Talete di Mileto, ed Egizi, forse da identificare con i mercenari greci inviati dal faraone. Erodoto (I, 45-94) narra ampiamente della spedizione di Creso, dai preparativi alla caduta di Sardi, dove l'esercito persiano entrò nel 547 a.C., concludendo la sezione con la frase lapidaria: "Così ora i Lidi erano sudditi dei Persiani".
I Greci d'Asia, che avevano rifiutato le proposte del re persiano prima della presa di Sardi, furono costretti a inviare degli ambasciatori per chiedere a Ciro di divenire suoi sudditi alle medesime condizioni di cui avevano goduto sotto i Lidi, ricevendo un netto rifiuto (Hdt., I, 141, 1-3). Solo Mileto ebbe un trattamento di favore e poté stringere con Ciro un trattato di alleanza. Di fronte a una nuova campagna militare persiana, guidata dal generale medo Harpagos, le poleis cercarono di difendersi, costruendo fortificazioni e invocando l'aiuto di Sparta. Gli abitanti di Teos, tra i quali il poeta Anacreonte, preferirono abbandonare la città e si rifugiarono ad Abdera, in Tracia (Hdt., I, 168). I Focei, che si erano già distinti per l'intraprendenza sui mari e avevano fondato numerose colonie nel Mediterraneo occidentale, si imbarcarono in gran numero alla volta di Alalia, fondando poi Elea (Velia) in Italia meridionale, intorno al 540-535 a.C. (Hdt., I, 164-165). Le fondazioni di Focea mostrano caratteri comuni, come la posizione sul mare, la scelta di un sito facilmente difendibile e una vocazione commerciale piuttosto che agricola, che avevano permesso a R. Martin la definizione di un "modello foceo", benché in realtà presentino situazioni molto variate.
Tutte le città greche dell'Asia Minore furono conquistate e anche le isole fecero atto di sottomissione ai Persiani. È possibile che alcune venissero anche invase, dal momento che il grande tempio di Hera a Samo risulta devastato dal fuoco e una necropoli nei pressi della città depredata nella stessa epoca. La conquista persiana dell'Asia Minore proseguì verso sud, con un esercito che comprendeva anche Greci della Ionia e dell'Eolide. Le città carie si unirono per un'azione comune contro i Persiani in un luogo sopra la valle del Marsia, denominato
Colonne Bianche (identificato da alcuni studiosi con l'area sacra di Gerga), che divenne la sede usuale delle riunioni del popolo cario. Il generale Harpagos, vinta la resistenza a Pedasa, conquistò la Caria nel 546/5 a.C. e nel 545-540 a.C, nonostante l'eroica difesa di Xanthos, la Licia. A Xanthos si installò una dinastia, probabilmente di origine locale, che aveva stretto legami di parentela con i sovrani persiani, cui assicurò il controllo nella regione e la raccolta del tributo. Eccetto che nel periodo in cui fu costretta da Cimone ad aderire alla Lega delio-attica, la Licia restò sempre nell'orbita persiana, anche se dal punto di vista culturale era aperta agli influssi ellenici. Tra la campagna in Caria e la conquista di Babilonia, nel 539 a.C., anche la Cilicia, retta da una dinastia di sovrani locali dalla fine dell'impero assiro, divenne un regno vassallo dei Persiani, cui pagava tributi in denaro e in esercito.
Le città greche entrarono a far parte di una satrapia, con centro amministrativo nella vecchia capitale lidia, Sardi, ed erano obbligate a fornire al Gran Re tributi e contingenti militari (Hdt., III, 67, 3). I Persiani adottarono in genere una politica tollerante verso l'organizzazione interna delle poleis, sebbene cercassero di creare relazioni di carattere personale con le famiglie aristocratiche e talora interferissero imponendo tiranni (ad es., a Kyme, Colofone, Cizico). Il commercio greco fu rilanciato con incentivi e conobbe una nuova prosperità, anche nelle aree del Vicino Oriente dove aveva subito un rallentamento a causa del dominio babilonese e in Egitto. Nell'ultimo quarto del VI sec. a.C., infatti, il porto di al-Mina fu riattivato e la ceramica attica a figure nere si diffuse in Siria, in Palestina e a Babilonia. A Samo, Policrate si impadronì del potere intorno al 533 a.C. e riuscì a mantenersi indipendente dal domino persiano, contando sulla forte flotta e le alleanze con Ligdami di Nasso e con Pisistrato di Atene. Le navi di Samo dominavano il Mediterraneo orientale, dedicandosi al commercio e alla pirateria. Policrate promosse un ambiente culturale molto vivace e si circondò nella sua corte di artisti, musici e poeti, come Ibico di Reggio e Anacreonte di Teos, che fece da pedagogo al figlio. Il tiranno fece costruire il grande acquedotto, opera di Eupalinos, il molo e ripari per le navi nel porto e rinnovò il santuario di Hera, che si arricchì di doni votivi e sculture.
In seguito alla conquista, molti Greci d'Asia giunsero in Persia, mettendo al servizio del Gran Re le proprie capacità e la propria arte. La tomba di Ciro a Pasargade, dove il re fu sepolto nel 530 a.C., a forma di tempio con camera funeraria interna, mostra influenze greche. A Pasargade sono state rinvenute anche colonne di pietra su basi di tipo ionico e rilievi, che rivelano l'influenza greca nella rappresentazione "naturalistica" delle pieghe delle vesti (530 a.C. ca.). A Susa, l'iscrizione dal palazzo del re Dario I informa che "la decorazione con cui fu ornato il muro fu portata dalla Ionia... gli scalpellini che lavoravano la pietra vennero dalla Ionia e da Sardi". Dario avviò anche la costruzione del complesso palaziale di Persepoli, dove l'influenza greca appare evidente nelle colonne scanalate e nei tori delle basi, simili a quelle di Samo, nelle modanature ad astragali e nei motivi ornamentali orientalizzanti. Di stile greco sono anche disegni preparatori per la pittura, sia quelli raffiguranti animali e teste umane incisi sul piede di una statua colossale di pietra, sia quelli su una lastra di pietra con la lotta di Apollo ed Eracle per il tripode (fine del VI sec. a.C.). Alle evidenze note si possono aggiungere graffiti greci rinvenuti nelle cave di Persepoli (Boardman 1999).
Il successore di Ciro, Cambise, nel 526/5 a.C. si volse alla conquista dell'Egitto, con un esercito che comprendeva anche i contingenti forniti dalle città di Ionia ed Eolide (Hdt., II, 1, 2; III, 1, 1). Nel 522 a.C., nonostante il sostegno fornito alla flotta, i Persiani decisero di abbattere il governo di Policrate, temendone l'eccessivo potere sui mari. Il tiranno cadde vittima di un inganno del satrapo di Sardi, Orete, e Samo fu messa a ferro e fuoco.
Le città greche della costa microasiatica mostrarono i primi segni di insofferenza con l'ascesa al trono di Dario I, che si rivelò un sovrano accentratore e istituì una serie di riforme del sistema satrapico. Furono imposti tributi fissi, stabiliti sulla base della grandezza e della varietà di risorse delle singole ripartizioni dell'impero persiano, che sostituirono i doni versati in precedenza. I primi tentativi di ribellione di poleis greche si verificarono nel 511 a.C. nell'area nord-occidentale dell'impero. Nel 499 a.C. scoppiò la cosiddetta "rivolta ionica".
Sono state avanzate varie ipotesi per spiegare l'origine della rivolta, come la limitazione dell'autonomia delle città greche a causa della politica di Dario oppure motivi economici. Erodoto (V, 35) l'attribuisce all'ambizione dei tiranni di Mileto: Istieo, che il Gran Re aveva chiamato alla sua corte a Susa, e Aristagora, il nuovo padrone della città. Questi, nel 499 a.C., insieme al satrapo di Sardi, Artafrene, tentò di occupare Nasso e di riportarvi gli esuli aristocratici, per estendere l'impero persiano nell'area delle Cicladi, ma il fallimento lo spinse a ribellarsi per evitare la punizione di Dario. Sull'esempio di Mileto, anche le altre città greche instaurarono governi democratici e si unirono alla rivolta.
I Greci occuparono e bruciarono la capitale della satrapia Sardi e riuscirono a coinvolgere nella ribellione i Carii e le città greche di Cipro, che furono attaccate dai Persiani nel 498 a.C. Gli scavi di Paphos hanno dimostrato che la città capitolò dopo un assedio del tipo di quello lidio a Smirne. Anche grazie alle defezioni, i Persiani giunsero alla vittoria definitiva nella battaglia navale di Lade, nel 494 a.C. La punizione di Mileto fu esemplare: la città fu assediata e distrutta e il santuario di Didyma saccheggiato e dato alle fiamme, come hanno confermato gli scavi archeologici; il territorio più vicino alla città fu occupato dai Persiani, mentre la parte montuosa fu data in possesso ai Carii di Pedasa. Dario trasferì in Sogdiana i Branchidi, mentre altri abitanti furono deportati a Susa e fatti insediare ad Ampe, sul Golfo Persico. Alcuni Milesi che erano riusciti a fuggire salparono con i Sami verso Zankle, in Sicilia (Hdt., VI, 18-22). La notizia di Erodoto che la città restò vuota pare contraddetta dal suo resoconto sulla partecipazione dei Milesi alla battaglia di Micale quindici anni dopo; presumibilmente rimase a Mileto una parte della popolazione, costituita da famiglie filopersiane (Erhardt 2003). A Susa sono stati rinvenuti un astragalo di bronzo iscritto, dedicato in origine nel Didymaion (al Louvre), e una protome di grifo di un lebete, che potevano far parte del bottino persiano.
Dopo la rivolta, alle poleis greche fu concessa una maggiore autonomia nella gestione interna. Il generale persiano Mardonio restaurò i regimi democratici nelle città; Artafrene restituì loro le proprie leggi (Diod. Sic., X, 23, 4), impose una regolamentazione dei rapporti reciproci, costringendole a rimettersi ai tribunali per eventuali contese, e stabilì il tributo per ciascuna, dopo averne fatto misurare i territori in parasanghe (Hdt., VI, 42, 1-2).
Nel 490 a.C., Dario condusse una spedizione contro la Grecia, per punire Eretria e Atene che avevano appoggiato la rivolta ionica. La flotta condotta da Dati comprendeva anche Greci dell'Asia Minore. La popolazione di Eretria fu deportata ad Arderikka, vicino a Susa, dove viveva ancora in una comunità ai tempi di Erodoto, mentre gli Ateniesi ebbero la meglio nella battaglia di Maratona. Dieci anni dopo, nel 480 a.C., il nuovo re Serse mosse di nuovo contro la Grecia. Anche del suo esercito e della sua flotta facevano parte numerosi Greci dell'Est.
A Salamina i comandanti sami si distinsero nel combattimento tanto da meritare elogi e ricompense da parte del Gran Re e una sola trireme passò dalla parte greca (Hdt., VIII, 82, 1; 85). La regina caria di Alicarnasso, Artemisia, celebrata da Erodoto per il suo valore e la sua lealtà, condusse personalmente in salvo le cinque navi che aveva mandato alla flotta di Serse. Solo dopo le sconfitte di Salamina e Platea il distacco degli Ioni divenne più marcato: nella battaglia di Micale, i soldati di Samo e Mileto furono considerati inaffidabili e tenuti in disparte dai Persiani. I Milesi, che erano stati posizionati nella zona grazie alla loro conoscenza dei luoghi, alla fine condussero i Persiani nelle mani dei nemici (Hdt., IX, 99-104). Dopo questa battaglia, i confederati greci riuniti nel consiglio di Samo del 479 a.C. affrontarono la questione del destino dei Greci d'Asia. Gli Ateniesi si opposero a ogni tentativo di abbandonarli a sé stessi e accolsero le isole di Samo, Chio, Lesbo e altre, non menzionate esplicitamente da Erodoto, nell'alleanza greca (Hdt., IX, 106, 3-4; Diod. Sic., XI, 37). Con questa deliberazione cominciò a prendere forma la Lega delio-attica, costituita per la difesa dei Greci d'Asia in funzione antipersiana.
Il nome indica che l'alleanza aveva la propria sede a Delo, dove si svolgevano le tradizionali assemblee ioniche, e come città guida Atene, che nella propaganda contemporanea veniva celebrata come la metropoli della Ionia. Il numero delle adesioni delle città greche d'Asia aumentò enormemente nel ventennio successivo. Già nel 478/7 a.C. Aristide aveva definito le due tipologie di contribuenti: quelli che fornivano navi (le isole più importanti, come Samo, Chio e Lesbo) e quelli che versavano un tributo in denaro (phoros), stabilito in base a un'ispezione delle risorse compiuta dallo stesso Aristide in modo che corrispondesse alla capacità economica di ciascuna città (Plut., Arist., 24). L'ingresso nella lega non comportò un cambiamento istituzionale nelle poleis microasiatiche, rette tradizionalmente da regimi aristocratici.
Intorno al 476/5 a.C. l'ateniese Cimone, figlio di Milziade, liberò dalla presenza persiana Bisanzio, Eione, alla foce dello Strimone, e Sciro con il sostegno di navi delle città d'Asia. Sconfiggendo i Persiani presso l'Eurimedonte, in una duplice battaglia navale e terrestre, la cui datazione oscilla tra il 470 e il 466 a.C., Cimone creò i presupposti per l'ingresso nella lega anche delle città greche sulla costa della Caria, della Licia e della Cilicia (Diod. Sic., XI, 60; Plut., Cim., 12-13), la cui difesa era stata ritenuta impossibile, tanto che erano stati proposti piani di trasferimento della popolazione (Hdt., IX, 106, 2-3). Man mano che la minaccia persiana si faceva più remota, le città greche d'Asia tentarono di conquistarsi maggiore autonomia all'interno dell'alleanza, scontrandosi con le mire di Atene che dopo aver ampliato la lega tendeva sempre più a considerarla alla stregua di un proprio dominio. La trasformazione da symmachia ad archè, secondo la terminologia tucididea, determinò nelle città microasiatiche crescenti malumori, che portarono a rivolte, spesso sostenute dalle finanze dei satrapi persiani. Le prime insurrezioni si verificarono intorno al 450 a.C. a Erythrai, Colofone e Mileto e gli Ateniesi risposero inviando nelle città guarnigioni e funzionari. A Erythrai fu imposta anche una boulè di tipo ateniese, mentre a Mileto fu instaurata la democrazia solo dopo una seconda rivolta.
Nel 449 a.C. la Persia e Atene conclusero un accordo, noto come Pace di Callia, che definì le rispettive zone di influenza: la costa occidentale dell'Asia Minore rientrava nella sfera di Atene; all'esercito persiano era proibito avvicinarsi a meno di tre giorni di marcia e alla flotta persiana di entrare nell'Egeo (Diod. Sic., XII, 4, 4). Negli anni seguenti, per cercare di consolidare la propria egemonia, Atene compì gli interventi più duri contro gli alleati ribelli (Thuc., III, 10, 4), ad esempio, a Samo, nel 441-439 a.C., e a Mitilene, nel 428. La volontà imperialistica di Atene e l'intento di favorire i commerci dettarono intorno al 420 a.C. il decreto che imponeva l'uso di monete e unità di misura ateniesi a tutti i membri della lega.
Nel 413 a.C., dopo la disastrosa spedizione ateniese in Sicilia, gli alleati dettero vita alla cosiddetta "guerra ionica" (413-411 a.C.), che portò alla dissoluzione del dominio ateniese in Asia Minore.
La rivolta scoppiò in Eubea, a Lesbo e a Chio e si diffuse in breve a Erythrai, Clazomene, Teos, Lebedo e Mileto. La momentanea convergenza di interessi portò a un'alleanza tra Greci d'Asia, satrapi persiani e truppe peloponnesiache. Tre trattati siglati tra Sparta e la Persia stabilirono il ritorno della sovranità persiana sulle città greche: "tutto il territorio del re, che è in Asia, sia del re; e circa il proprio territorio disponga il re come gli aggrada" (Thuc., VIII, 58, 2). Sparta, rinunciando alla difesa dei Greci d'Asia, otteneva aiuti finanziari dalla Persia per la guerra contro Atene. La situazione rimase incerta ancora a lungo, sia per i tentativi delle città microasiatiche di difendere la propria autonomia, sia per la ripresa degli interventi della flotta ateniese guidata da Alcibiade, che recuperò molte delle posizioni perdute nella zona dell'Ellesponto. Nel 408 a.C. Dario II inviò il figlio Ciro il Giovane a Sardi con l'incarico di karanos, comandante di tutte le forze persiane in Asia Minore (Xen., HG, I, 4, 3; Anab., I, 9, 7). La nascita di rapporti di collaborazione e anche di amicizia personale di Ciro con Lisandro, il navarco spartano, determinò la svolta decisiva a favore di Sparta nella guerra che si svolgeva nell'Ellesponto e lungo la costa anatolica (Diod. Sic., XIII, 17, 4; Plut., Lys., V, 3).
Alla morte di Dario II, Tissaferne accusò di complotto Ciro, che lo aveva deposto dalla satrapia di Lidia, presso il nuovo re Artaserse II e ottenne i tributi delle città greche, che il principe persiano aveva affidato a Lisandro e che si schierarono dalla parte di Ciro, tranne Mileto. La rivolta al potere centrale, nonostante l'esercito di mercenari greci reclutato grazie agli Spartani, si concluse nel 401 a.C. con la morte di Ciro nella battaglia di Cunassa, cui seguì la ritirata del contingente greco detto "dei Diecimila" dalla Mesopotamia attraverso l'altopiano dell'Armenia fino alle coste del Mar Nero, narrata da Senofonte nell'Anabasi. Tissaferne, di conseguenza, rientrò come vincitore nella sua satrapia e intimò la resa alle città greche (Xen., HG, III, 1, 3). Gli Spartani intervennero in Asia Minore per garantire la libertà delle poleis, ma in seguito allo scoppio della "guerra corinzia", nel 395 a.C. Agesilao fu costretto a tornare nel continente, segnando l'inizio di una serie di sconfitte spartane in Asia, fino a quella durissima subita a Cnido nel 394 a.C. da parte della flotta persiana guidata da Farnabazo e Conone. La situazione rimase fluida: le città microasiatiche appoggiavano ora gli Ateniesi ora gli Spartani al fine di mantenere in ogni modo la propria indipendenza, anche con divisioni interne a seconda degli orientamenti politici dei cittadini, oligarchici o democratici.
Nel 387/6 a.C. la Pace di Antalcida, dal nome del diplomatico spartano che condusse le trattative con il satrapo persiano Tiribazo, pose fine alle ingerenze della Grecia propria nell'Asia Minore, determinando la vittoria degli interessi persiani, tanto che già gli antichi la definirono anche Pace del Re: Artaserse riteneva sua legittima proprietà le città greche d'Asia, oltre a Clazomene e Cipro tra le isole, e avrebbe mosso guerra con ogni mezzo contro chi si fosse opposto (Xen., HG, V, 1, 31; Diod. Sic., XIV, 110, 3).
La crisi della potenza marittima ateniese alla fine del V sec. a.C. aveva portato al rientro nell'orbita persiana della Licia e della Caria, che la Pace di Antalcida sancì definitivamente. La Licia continuò a essere governata da dinasti locali. Nel 392 a.C. Hekatomnos di Mylasa riuscì a far innalzare la Caria al rango di satrapia, dando origine alla dinastia degli Ecatomnidi. Sotto il loro governo, l'ellenizzazione progredì profondamente tra i Carii, come documentano l'adozione di istituzioni greche, l'onomastica e la progressiva sostituzione del cario con la lingua greca nei testi epigrafici. Gli Ecatomnidi promossero, inoltre, la monumentalizzazione delle città e dei santuari principali della Caria, nella quale si distinse Mausolo (377/6-353/2 a.C.), cui si deve l'ideazione del nuovo tempio di Zeus a Labraunda, inaugurato dal successore Idrieus, e la riorganizzazione urbanistica di Alicarnasso, che scelse come nuova capitale al posto di Mylasa e al centro della quale fece erigere il suo imponente monumento funerario, il Mausoleo. Con la fine delle intromissioni greche in Asia Minore accrebbe l'instabilità politica dell'area e insorsero conflitti all'interno dell'impero persiano. Dal 380 al 360 a.C. alla cosiddetta "grande rivolta dei satrapi" presero parte i popoli della fascia costiera dell'Asia Minore sino alla Fenicia e i satrapi di Cappadocia, Lidia, Frigia Ellespontica, Caria e Misia (Diod. Sic., XV, 90, 1-93, 6).
Nel 334 a.C. Alessandro intraprese la guerra contro i Persiani progettata dal padre, con il dichiarato intento di liberare le città greche. Alla prima vittoria importante nella Troade, al Granico, nella tarda primavera del 334 a.C., seguì il solenne ingresso a Efeso e la conquista di gran parte dell'Asia Minore entro l'anno seguente. Dopo la presa di Mileto, Alessandro assediò e conquistò Alicarnasso, affidandone il governo alla principessa Ada, sorella di Mausolo, che lo aveva adottato facendo atto di sottomissione. Nell'inverno 334/3 a.C., Alessandro proseguì lungo la costa in Licia e Panfilia, ampliando le conquiste verso sud. L'esercito macedone si riunì a Gordion, dove Alessandro sciolse il celebre nodo di Gordio, impresa che secondo un oracolo avrebbe destinato l'autore al dominio dell'Asia (Arr., Anab., II, 3).
Nelle città greche microasiatiche Alessandro rimosse i governi oligarchici sostenuti dalla Persia e le guarnigioni persiane, ma prese a sua volta provvedimenti in base alle necessità della campagna militare e alla lealtà nei suoi confronti: insediò regimi democratici, che rispondevano ai suoi voleri; impose tasse e contributi finanziari per il mantenimento dell'esercito e le spese belliche; installò presidi militari per prevenire il rischio di rivolte; richiese contingenti navali e punì in maniera spietata chi esitava a schierarsi dalla sua parte o esprimeva dissensi, come Aspendos e Soli. La posizione di Priene fu definita mediante un editto, noto da un'iscrizione incisa nel tempio di Atena Poliade per documentare i privilegi ricevuti dalla città, anche se era stato comunque imposto un presidio per proteggerla finché la flotta persiana circolava nell'Egeo. L'episodio dell'ateniese Focione (Plut., Phoc., XVIII, 7-8; Ael., Var. hist., I, 25), al quale Alessandro concesse come favore personale una città dell'Asia, dimostra che il re le considerava tutte, greche e non, come una proprietà di cui disporre a piacimento.
Nel novembre del 333 a.C., la sconfitta dell'esercito persiano a Isso, in Cilicia, aprì la strada verso la Fenicia e la Siria. Alessandro espugnò Tiro, Sidone e Gaza, ottenendo il controllo dei porti e delle navi fenicie e cipriote, e proseguì verso l'Egitto. Nel 331 a.C. tornò in Fenicia e si diresse in Mesopotamia, dove la battaglia di Gaugamela in ottobre determinò la vittoria definitiva sul Gran Re. Alessandro entrò trionfalmente a Babilonia e nelle capitali dell'impero persiano, Susa e Persepoli, dove in una notte di ebbrezza incendiò il palazzo reale achemenide. Divenuto re dell'Asia, Alessandro indirizzò ai Greci un proclama, nel quale dichiarava di aver raggiunto l'obiettivo della guerra e di aver liberato le città.
Le campagne condotte tra il 330 e il 324 a.C. portarono Alessandro lontano dall'area greca: da Persepoli condusse l'esercito verso Ecbatana, in Media; avanzò in Partia, all'inseguimento del re persiano, che fu ucciso nel 330 a.C. a Hekatompylos, e poi del suo assassino, Besso, satrapo della Battriana, marciando attraverso Ircania, Aria, Drangiana e Arachosia fino alla Battriana, dove vendicò Dario; poi si spinse a nord, in Sogdiana, fino al fiume Iaxartes, e nel 327 a.C. si volse all'India, come un nuovo Dioniso, raggiungendo i Paropamisadi e i regni sull'Indo e l'Idaspe, fino alla regione del Panjab. Giunto al corso dell'Ifasi, nel 326 a.C. Alessandro decise di tornare indietro, perché l'esercito non era più in grado di proseguire oltre.
L'inclusione nell'esercito di contingenti persiani e le grandi nozze celebrate a Susa tra Alessandro e le principesse persiane Statira e Parisatide, imitate da quelle del fedele Efestione e di altri 80 ufficiali con nobili persiane e da 10.000 soldati con donne orientali, illustrano il progetto di un impero universale, grazie alla fusione culturale di vincitori e vinti. Alessandro mantenne la precedente divisione amministrativa dell'impero, ma riordinò le satrapie. Nel corso della sua vittoriosa spedizione fondò numerose città cui diede il suo nome, tra cui Alessandria della Margiana, dell'Aria, della Arachosia, del Caucaso, Eschate, sull'Oxus (forse da identificare con Ai Khanum), Bucefala e Nicea sull'Idaspe, due Alessandria sull'Indo, Alexandrou Limèn e Alessandria-Rhambacia in Gedrosia, Alessandria della Carmania e in Caldea.
La morte di Alessandro Magno a Babilonia il 13 giugno del 323 a.C. pose il problema della successione e della gestione dell'immenso impero conquistato. I generali di Alessandro, i cosiddetti Diadochi, si accordarono a Babilonia nello stesso anno per una prima spartizione del potere: a Cratero fu affidata la tutela della regalità di Filippo Arrideo, fratellastro di Alessandro (il figlio di Alessandro e Rossane non era ancora nato), Perdicca ebbe la qualifica di chiliarcos (comandante militare) d'Asia e Antipatro la strategia d'Europa. Fu stabilita anche la distribuzione dei satrapi (Diod. Sic., XVIII, 3, 1-5).
I conflitti interni tra i Diadochi scoppiarono quasi subito e con la morte di Perdicca e Cratero nel 321 a.C. si impose un riassetto dell'impero, attuato nel convegno di Triparadeisos in Siria, nel 320 a.C.: Antipatro fu nominato epimeletes dei re, Filippo Arrideo e Alessandro IV, Antigono Monoftalmo stratego d'Asia e fu decisa una nuova ripartizione delle satrapie (Diod. Sic., XVIII, 39, 5-7). Nel 311 a.C. Antigono, Cassandro, figlio di Antipatro, Lisimaco, satrapo di Tracia e Ponto, e Tolemeo, satrapo d'Egitto, conclusero un accordo che ratificava lo stato di fatto, costituendo la premessa per la formazione dei grandi Stati ellenistici. Seleuco, intanto, portava avanti la sua espansione verso Oriente a partire dalla satrapia di Babilonia. In questo periodo i Diadochi fondarono le prime capitali, che da loro presero il nome: Lysimacheia, sull'istmo del Chersoneso Tracico; Antigoneia sul fiume Oronte; Seleucia sul Tigri, vicino a Babilonia.
Dopo l'uccisione del figlio di Alessandro a opera di Cassandro nel 310/9 a.C., nel 306 a.C. Antigono e il figlio Demetrio Poliorcete, presa Cipro, assunsero il titolo di basileus, imitati ben presto da Tolemeo, Seleuco, Cassandro e Lisimaco (tra il 305 e il 304 a.C.), dando avvio alla nascita formale dei regni ellenistici e delle principali dinastie. Antigono fu sconfitto, grazie a un'offensiva a tenaglia, dalla coalizione formata da Lisimaco, Cassandro, Tolemeo e Seleuco e trovò la morte nella battaglia di Ipso nel 301 a.C., con la quale si può dire consolidato l'assetto complessivo dei regni. I vincitori si spartirono i possessi di Antigono: a Seleuco andarono la Siria e l'Asia Minore meridionale; ai Tolemei, il territorio della Cilicia a sud del Tauro fino al Mar Egeo, le isole e avamposti sulla costa in Panfilia, Licia e Caria; al fratello di Cassandro, Plistarco, un'altra parte della costa meridionale e a Lisimaco l'Anatolia occidentale. Grazie alle vittorie contro Demetrio nel 286/5 a.C. e contro Lisimaco, nella battaglia di Curupedio del 281 a.C., Seleuco si impadronì dei loro possedimenti in Asia Minore, ma nello stesso anno fu assassinato da Tolemeo Cerauno.
Il grande regno di Seleuco I Nicatore (305-281 a.C.), fondatore della dinastia dei Seleucidi, corrispondeva grosso modo all'antico impero persiano, estendendosi dall'area siro-fenicia alla Battriana. Al pari degli altri Stati ellenistici, comprendeva elementi etnici eterogenei, città, villaggi, insediamenti militari e proprietà sacrali. Le poleis greche d'Asia Minore rivestirono un ruolo importante nell'approvvigionamento di soldati e coloni. All'azione di conquista Seleuco, infatti, unì quella di fondatore di numerose città in Anatolia, in Mesopotamia, in Siria e nelle province d'Oriente. Anche nell'ellenizzazione della Cilicia, in cui la presenza greca era rimasta in una posizione marginale, svolse un ruolo fondamentale l'attività di colonizzazione e di rifondazione di città da parte dei Seleucidi e dei Tolemei che si dividevano il controllo della regione: Tarso fu rifondata con il nome di Antiochia sul Cidno; Seleuco I fondò Seleucia al Calicadno; un generale dei Tolemei, Aetos, fondò Arsinoe tra il 279 e il 253 a.C., che come la città di Berenice prese il nome da una principessa tolemaica. Il processo di ellenizzazione risulta evidente a Soli, a giudicare dalla documentazione linguistica ed epigrafica e dalla fiorente vita intellettuale che originò alcuni protagonisti della cultura ellenistica: il poeta comico Philemon, l'astronomo Arato e i filosofi Clearco e Crisippo. Al principio del II sec. a.C. l'uso del greco risulta attestato in tutte le aree urbane e costiere della Cilicia.
Anche nelle regioni interne della Penisola Anatolica, come la Frigia, dopo l'inglobamento nel regno seleucide l'ellenizzazione progredì intensamente, come testimoniano la prevalenza del greco sulle lingue locali nelle testimonianze epigrafiche e onomastiche, la diffusione di culti e di istituzioni proprie delle poleis greche, l'adozione del calendario macedone e l'uniformità della produzione artistica. La Caria interna, nella quale era rimasta prevalente l'economia di villaggio, subì intensi influssi culturali greci, anche per mezzo della fondazione di colonie greco-macedoni, come Stratonicea, Antiochia al Meandro, Apollonia sul Salbake. Alcuni santuari consacrati a divinità indigene mantennero una condizione di indipendenza quali piccoli stati sacerdotali, come il santuario di Artemide ad Amyzon e quello di Zeus a Labraunda. I sovrani ellenistici rispettavano i privilegi di queste proprietà templari e svolsero un ruolo di mediazione nei frequenti conflitti di interesse con le città. In età ellenistica fiorirono anche i santuari di Ecate a Lagina e di Afrodite ad Afrodisiade.
Nel 281 a.C., la sconfitta di Lisimaco e la fine del suo regno tra la Tracia e la Propontide furono all'origine di un fenomeno determinante per la storia successiva dell'Asia Minore: le ondate di migrazione delle tribù celtiche. I Galati entrarono per la prima volta in Anatolia nel 278 a.C., sulla base di un accordo con alcune città greche del Ponto, come Eraclea, Bisanzio e Calcedonia, e con il re Nicomede di Bitinia, che aveva bisogno del loro sostegno per reprimere la rivolta del fratello Zipoite. In seguito alle vittorie riportate da Filetero di Pergamo nel 277 a.C. e da Antioco I nella cosiddetta "battaglia degli elefanti", nel 275/4 a.C., i Galati furono indotti a stabilirsi, con un lungo processo, nel cuore dell'Anatolia, in una regione della Frigia comprendente l'antica Ankara, che da loro prese il nome di Galazia. Contro i Galati combatterono a più riprese sia i sovrani seleucidi, sia gli Attalidi, presentandosi come i difensori della grecità contro i barbari. In Galazia, nella città di Pessinunte, si trovava il principale santuario di Cibele, fondato secondo la tradizione greca dal re Mida, che aveva un governo teocratico retto dal battakes, il più importante dei sacerdoti. Nel 204 a.C., per ordine dei Libri Sibillini, il simulacro aniconico della dea (la cd. "pietra nera"), che si riteneva caduto dal cielo, fu portato a Roma, nel tempio della Magna Mater.
Il rifiuto di Tolemeo a cedere a Seleuco la regione siro-fenicia denominata Celesiria, fondamentale per le comunicazioni e per le risorse di legname necessarie al mantenimento di una flotta, originò un contenzioso infinito tra i due regni, che portò a ben sei guerre (le cd. "guerre di Siria"), succedutesi dal 274 al 168 a.C., che coinvolsero anche le aree vicine. Con la terza guerra di Siria, scoppiata nel 246 a.C. a causa di lotte dinastiche, il dominio tolemaico avanzò fino a occupare Seleucia Pieria, una delle quattro importanti città fondate da Seleuco I in Siria. Dopo il 240 a.C. lotte di successione scatenarono la cosiddetta "guerra dei fratelli" fra Seleuco II (246-225 a.C.) e Antioco Ierace, che fino al 228 a.C. governò l'Asia Minore occidentale.
La dinastia che regnò a Pergamo, in Misia, ebbe origine da Filetero (282-263 a.C.), che aveva avuto l'incarico di amministrare il tesoro di Lisimaco nella roccaforte sull'acropoli, ma nel 282 a.C. passò dalla parte di Seleuco, ottenendo come ricompensa di essere nominato dinasta del luogo. I suoi discendenti, detti Attalidi dal nome del capostipite, conservarono il privilegio ottenuto e ampliarono il territorio, riuscendo a formare un regno indipendente a scapito dei Seleucidi ed estremamente ricco nonostante le modeste dimensioni. Attalo I (241-197 a.C.) per primo si fregiò del titolo di basileus, dopo aver riportato importanti vittorie sui Galati alle fonti del Caico, nel 238 a.C., e su Antioco Ierace nel 228 a.C. I sovrani pergameni si distinsero anche in seguito nell'attività militare, sia contro i Galati sia contro i Seleucidi, e nella promozione della cultura e dell'arte.
Al principio del III sec. a.C., in seguito ai rivolgimenti causati dalla battaglia di Ipso, si formarono altri regni autonomi nella Penisola Anatolica. La Bitinia, sulla costa meridionale del Mar Nero, governata per secoli da una dinastia locale, riuscì ad affermare la propria indipendenza con Zipoite, che nel 297 a.C. assunse il titolo di re. La capitale Nicomedia fu fondata da Nicomede I (280-255 ca. a.C.) nel 264 a.C., sul golfo di Astakos. Nell'Anatolia nord-orientale, Mitridate I (302/1-266/5 a.C.), appartenente a una nobile famiglia persiana e figlio del signore di Cio, nella Propontide, fondò il regno della Cappadocia Pontica o Ponto, esteso sulla riva meridionale del Mar Nero, a ovest della Bitinia. La capitale fu Amasia, dove cinque tombe scavate a grande altezza nella roccia del monte sovrastante la città sono state identificate con i sepolcri dei primi re citati da Strabone, originario della città (XII, 3, 39). Nel 183 a.C. la capitale fu trasferita a Sinope, illustre città greca, conquistata dal re Farnace I
(185-170 a.C.). Nella stessa area riuscì a ritagliarsi una propria autonomia la lega delle città greche del Nord: Eraclea Pontica, che era stata donata da Lisimaco alla moglie Arsinoe II, approfittando delle difficoltà sorte nel passaggio di potere da Seleuco al figlio Antioco I (281-261 a.C.), si rese indipendente insieme a Bisanzio e Calcedonia, continuando a opporsi ai Seleucidi per decenni. Il regno di Cappadocia, nell'interno della Penisola Anatolica, fu riconosciuto nel 256/5 a.C. da Antioco II (261-246 a.C.). L'artefice dell'indipendenza fu Ariaramne, anche se il primo dinasta ad avere il titolo di re fu nel 230 a.C. il figlio, Ariarate III, che aveva sposato la figlia del re seleucide, Stratonice.
Intorno alla metà del III sec. a.C., già durante il regno di Antioco II o subito dopo la sua morte, avvenne il distacco dal dominio seleucide delle satrapie nord-orientali, un processo legato ai movimenti di genti iraniche nell'Asia Centrale: la Battriana, con il satrapo Diodoto I, intorno al 256 a.C.; la Partia, a opera di Andragora e poi di Arsace, che lo uccise nel 248 a.C., e l'Ircania, con Tiridate, fratello di Arsace, nel 237 a.C. Antioco III detto il Grande (223-187 a.C.) cercò di opporsi alla frantumazione del regno seleucide e di ricostituire un vasto dominio asiatico: nelle satrapie superiori, combatté contro i ribelli Molone e Alessandro (222-220 a.C.); per il possesso della Celesiria condusse la quarta (219-217 a.C.) e la quinta guerra di Siria (202-200 a.C.); in Asia Minore, represse la rivolta di Acheo (220-213 a.C.); per tentare di riconquistare la Partia e la Battriana, guidò una campagna militare fino all'Indo (212-205/4 a.C.); nel Chersoneso Tracico, promosse la ricostruzione di Lysimacheia (196 a.C.).
Nel 192 a.C. Antioco III entrò in contrasto anche con i Romani, che avevano cominciato a interessarsi al Mediterraneo orientale e si erano inseriti nelle dinamiche di potere dell'area. Nel 189 a.C. il console Manlio Vulsone ai piedi del Monte Olimpo, in Frigia, sgominò i Galati insieme ai fratelli del re pergameno Eumene II (197-168 a.C.). La sconfitta definitiva subita da Antioco presso Magnesia sul Sipilo nel 189 a.C. e la conseguente Pace di Apamea del 188 a.C. segnarono l'avvio del declino del regno seleucide, che dovette cedere i suoi territori occidentali, al di là del Tauro. La situazione avvantaggiò, in particolare, i re di Pergamo, alleati con i Romani dai tempi di Attalo I, che ingrandirono il loro dominio ottenendo l'Asia Minore centrale e occidentale fino al Chersoneso Tracico, mentre Caria e Licia in buona parte andarono a Rodi.
L'affacciarsi della potenza romana nel Vicino Oriente accelerò il processo di disintegrazione in atto nell'enorme regno seleucide. Nella regione anatolica tra il fiume Eufrate e la catena del Tauro, il regno di Commagene fu uno degli ultimi a formarsi a opera del governatore Tolemeo, nel 162 a.C., sul finire del regno di Antioco IV (175-164 a.C.). La capitale divenne la città di Samosata, fondata dal successore di Tolemeo, Samos. Le monete, i santuari, tra cui quello di Zeus Dolicheno, i resti architettonici e la produzione artistica della regione mostrano la caratteristica unione di elementi culturali greci e orientali, di ascendenza anatolica e in particolare iranica. Un ulteriore restringimento del regno seleucide fu determinato dalle conquiste dei Parti, il cui re Mitridate nel 141 a.C. occupò la Media e Seleucia sul Tigri, arrivando in Mesopotamia.
Della crescente instabilità politica nel Mediterraneo orientale durante la seconda metà del II sec. a.C. approfittarono i pirati, che avevano scelto come base le coste frastagliate dell'Asia Minore meridionale. Le fonti letterarie identificano complessivamente Cilici e Pamphili come pirati, in contrasto con la condotta dei Lici, descritti come un popolo ellenizzato che viveva in città ben organizzate, confederate in una lega, cui Roma concesse notevole autonomia. I pirati imperversarono lungo la rotta commerciale che costeggiava il litorale cilicio collegando la Siria al Mediterraneo occidentale e si arricchirono grazie al commercio di schiavi, venduti a Creta, Rodi e soprattutto a Delo per la crescente domanda di Roma. Dopo la battaglia di Pidna nel 168 a.C., il Senato aveva deciso di togliere a Rodi la sovranità sulle zone della Licia e della Caria ottenute con la Pace di Apamea e di fare di Delo un porto franco, così che Rodi non fu più in grado di opporsi con successo alla pirateria. Inoltre, come l'Egitto e Cipro guardò ai pirati come un mezzo per indebolire ulteriormente i Seleucidi.
L'inclusione dei regni ellenistici nell'orbita romana avvenne per fasi successive, che portarono alla creazione di varie province. Nel 133 a.C., Attalo III lasciò per testamento il regno in eredità ai Romani, disponendo che Pergamo divenisse una città libera. L'organizzazione in Asia Minore della provincia di Asia avvenne nel 129 a.C., dopo la morte di Antioco VII mentre combatteva contro i Parti. Nicomede IV Filopatore nel 74 a.C. lasciò la Bitinia in eredità ai Romani. Nell'88 a.C. il re del Ponto Mitridate VI Eupatore detto il Grande (120-63 a.C.) invase la provincia di Asia e alleatosi con il re Tigrane di Armenia, suo genero (95-55 a.C.), organizzò una strenua resistenza alla conquista romana. A Mitridate fu dato appoggio anche dai pirati della Cilicia, debellati nel 67 a.C. da Pompeo, che in breve riuscì a sconfiggere anche Mitridate. Alla fine delle guerre mitridatiche, dopo il 63 a.C. il generale romano riorganizzò l'assetto dell'Oriente, creando le province di Cilicia, Bithynia et Pontus e Syria, cui nel 18 d.C. fu annessa la Commagene, per cui l'Eufrate divenne la frontiera orientale dell'Impero romano.
Età arcaica e classica - Le principali testimonianze di età arcaica vengono da Smirne, Mileto e Chio. I circuiti murari del IX-VIII sec. a.C., documentati a Smirne, Melia, Iasos e a Emporion di Chio, sembrano indicare una priorità delle fortificazioni delle città greco-orientali rispetto a quelle della Grecia continentale, per esigenze di difesa dalle popolazioni anatoliche. La tecnica in opera poligonale attestata dalle nuove mura di Smirne è utilizzata in altri centri eolici nel VII-VI sec. a.C. (Assos, Kyme, Larisa, Focea e a Lesbo). Per la Mileto di età arcaica le indagini degli ultimi anni (nell'area del tempio di Atena e sulla collina di Kalabaktepe) hanno fornito importanti informazioni sull'ampiezza, l'organizzazione e l'evoluzione della città.
Per l'età classica è noto l'abitato di Larisa in Eolide, caratterizzato da una nuova cinta muraria e da case a peristilio sulla sommità del colle. La stessa tipologia abitativa, ritenuta di origine rurale, è attestata a Colofone. Tra la fine del V e la metà del IV sec. a.C. furono ristrutturate le installazioni portuali di Kyme e costruite quelle di Elea, con una tecnica analoga che fa pensare a un unico progetto. A Mileto, gli scavi recenti (a Kalabaktepe, sull'altura del teatro, presso lo stadio, a ovest del bouleuterion e sotto il cd. Heroon III) inducono a ipotizzare una continuità di vita anche dopo la distruzione persiana (494 a.C.). Una ricostruzione sistematica secondo un piano regolare ebbe luogo dopo la metà del V sec. a.C., tenendo conto del sistema stradale a reticolo che la città arcaica possedeva già almeno in alcune parti. La celebre pianta, ampiamente ipotetica, pubblicata da Th. Wiegand e A. von Gerkan nel 1924 ha trovato conferma grazie alle recenti analisi geofisiche nel principio di ortogonalità, anche se non nei dettagli (dimensioni e posizione delle insulae).
I criteri urbanistici messi a punto da Ippodamo di Mileto costituirono un modello per la pianificazione di numerose città dell'Asia Minore in età tardoclassica ed ellenistica (ad es., per quella di Alicarnasso, di altri centri della Caria e di Cnido sotto Mausolo e per quella di Pytheos a Priene, alla metà del IV sec. a.C.). Priene, Alicarnasso, Cnido, Colofone, Erythrai, Assos e più tardi Eraclea al Latmo furono circondate da possenti cinte murarie, costruite in tecnica poligonale e isodoma e provviste di torri.
Età ellenistica - Le indagini archeologiche degli ultimi anni hanno profondamente modificato la conoscenza delle città dell'Asia Minore ellenistica (ad es., Pergamo, Troia, Neandria, Limyra, Aizanoi, Sardi, Cnido, Alicarnasso, Mylasa, Afrodisiade, Sagalasso, Sillyon e Patara). Lo sviluppo della Survey Archeology, grazie all'impiego di tecnologie avanzate, ha permesso di arricchire il repertorio di piante di città disponibili per analisi comparative nelle varie regioni.
Con i profondi mutamenti politici seguiti alle conquiste di Alessandro Magno cambiò radicalmente il ruolo e quindi l'organizzazione e l'aspetto della polis. Le tradizionali città-stato con le loro chorai si trovarono inserite in grandi regni e acquisirono una loro dimensione instaurando un rapporto "personale" basato sullo scambio di doni, onorificenze e benefici con il basileus, che ricompensava i cittadini dell'appoggio politico e militare con decreti di libertà, esenzione da tributi e guarnigioni o monumenti, nella dinamica dell'evergetismo. La perdita dell'autonomia accelerò l'emergere della dimensione individuale dei cittadini, che spesso si volsero altrove per cercare i punti di riferimento e i valori garantiti in passato dalla polis.
Colonie e sinecismi. - Alle città storiche, alcune delle quali conobbero un grande sviluppo, come Mileto, se ne aggiunsero molte di nuova fondazione, a opera dello stesso Alessandro e dei sovrani ellenistici, in particolar modo dei Seleucidi nel III sec. a.C., che proseguirono una politica già avviata dagli Antigonidi (ad es., Alessandria nella Troade, Nikasa, Antigoneia). La nascita dei nuovi centri urbani fu determinata da motivazioni varie: per innestare cittadini greci, greco-orientali e macedoni nelle aree orientali di recente conquista, al fine di promuovervi la diffusione della lingua e della cultura greca; per razionalizzare lo sfruttamento agricolo e concretizzare ‒ con i nomi dinastici, il piano urbanistico e i monumenti delle città ‒ la celebrazione del sovrano e della sua famiglia.
La popolazione delle fondazioni, o rifondazioni, ellenistiche dovette essere mista sin dalle origini, comprendendo elementi greci di varia provenienza e indigeni, che furono coinvolti nei processi di urbanizzazione. I coloni erano motivati dalla prospettiva di ottenere lotti di terra. Papiri e iscrizioni rinvenuti ad Antiochia di Siria, Dura-Europos, Susa e più di recente ad Arsinoe di Cilicia documentano la suddivisione del territorio in ekades e poi in kleroi e la loro distribuzione ai nuovi venuti, a volte a scapito degli autoctoni. Le colonie militari (katoikiai), create dai Seleucidi e dagli Attalidi, erano costituite per lo più da mercenari che avevano militato al servizio del regno e avevano una natura mista, agricola e militare, costituendo presidi per rendere più sicuri i territori e le vie carovaniere e agevolare la mobilitazione militare in caso di necessità. Si verificarono anche sinecismi, su iniziativa del potere centrale, per facilitare il controllo del territorio a scopi difensivi, economici, fiscali o amministrativi, ma anche a opera delle città stesse, che si rafforzarono assorbendo insediamenti vicini. Un caso esemplare è costituito da Efeso, che Lisimaco rifondò intorno al 295 a.C. con il nome di Arsinoeia. Lo stesso Lisimaco e Antigono, o secondo altre tradizioni Alessandro, disposero la rifondazione di Nea Smyrne.
Seleuco I fondò Seleucia sul Tigri vicino a Babilonia, come capitale orientale del regno, trasferendovi coloni greci e babilonesi (Paus., I, 16, 3; Strab., XVI, 1, 5). La città fu impiantata su un'area enorme (550 ha), allo sbocco del canale che univa l'Eufrate al Tigri, sul quale si apriva un porto fluviale. Le foto aeree e le ricerche sul terreno hanno rivelato uno schema ortogonale e resti di edifici di tipo ellenistico, ma costruiti di mattoni, secondo la tecnica tradizionale locale. Le istituzioni, le testimonianze numismatiche, architettoniche e artistiche, come i sigilli dell'archivio con i ritratti dei Seleucidi impressi sulle cretule, rivelano la presenza greca in un contesto mesopotamico. Anche Babilonia fu dotata di edifici greci, come il teatro e l'agorà, e vide la diffusione di nomi greci, pur mantenendo le sue tradizioni culturali, religiose e di autonomia governativa, così come nella capitale persiana di Susa, rifondata con il nome di Seleucia sull'Eulaios, le evidenze architettoniche, epigrafiche e numismatiche attestano la presenza greca.
Dopo la battaglia di Ipso del 301 a.C., Seleuco I decise di fondare quattro grandi città nella regione in seguito denominata Siria Seleucide: Antiochia sull'Oronte, Seleucia Pieria, Laodicea al Mare e Apamea sull'Oronte, che formarono una sorta di quadrilatero di grande importanza strategica e commerciale, aperto sul mare con i porti di Seleucia e Laodicea (Strab., XVI, 2, 4-10; Arr., Anab., VII, 22, 5; Amm. Marc., XIV, 8, 6). Le città sorsero in corrispondenza di arterie mercantili preesistenti, in seguito monumentalizzate, e avevano un analogo impianto ortogonale, per il quale si è ipotizzato un medesimo architetto, con un asse principale intersecato da due perpendicolari.
Schemi urbanistici. - Gli impianti di età ellenistica mostrano, in genere, un'applicazione dei principi urbanistici stabiliti in età classica, con sistemi stradali ortogonali, distinti in assi principali e secondari, che delineano isolati rettangolari, e una ripartizione funzionale dei quartieri, entro cinte murarie atte a fronteggiare macchine da guerra sempre più avanzate. Anche le città più modeste si allineano allo standard urbanistico diffuso, attestando quel processo di livellamento tipico di altri ambiti della cultura ellenistica, dal quale emergono le città capitali.
Nei principali centri dell'Asia Minore del III sec. a.C. si rivela fondamentale l'influenza della topografia sull'impianto urbano. Esemplare il caso dell'acropoli di Pergamo, articolata in grandi terrazze, con soluzioni architettoniche di notevole effetto scenografico, visibili da più lati. Sistemazioni a terrazze digradanti sono attestate anche altrove (ad es., Kremna, Sagalasso, Termesso). Le indagini recenti condotte da W. Radt, incentrate sui quartieri abitativi della città bassa e sulle mura, hanno modificato la visione dell'organizzazione e dello sviluppo urbano di Pergamo. Un analogo schema urbanistico a griglia è stato messo in luce nella città bassa di Troia (II sec. a.C.) da recenti prospezioni geofisiche ed è possibile che quello emerso di recente ad Afrodisiade risalga allo stesso periodo, con le amplissime agorài nord e sud che occupano l'area centrale. Anche per Sagalasso in Pisidia, uno dei centri più studiati negli ultimi anni, risultano maggiormente evidenti le origini ellenistiche, soprattutto nel caso delle due ampie agorài trapezoidali che occupavano due delle principali terrazze sulle quali era costruita la città.
Impianti regolari sono documentati anche da alcune delle città "carovaniere", secondo la definizione di M. Rostovzev (1932), fondate o ripianificate in età ellenistica lungo importanti arterie mercantili, con un reticolo di strade ortogonali che distinguono isolati rettangolari, come emerso a Gerasa, Damasco, Dura-Europos e Philadelpheia. La vocazione commerciale di questi centri è attestata dalle ampie dimensioni dell'asse viario principale e dell'agorà. A Palmira, indagini recenti stanno portando alla luce livelli di media età ellenistica (III-II sec. a.C.) a sud della città romana, lungo il Wadi al-Qubur.
Tipologie edilizie. - Un elemento caratteristico delle città capitali è costituito dal palazzo reale, solitamente eretto sull'acropoli, per ragioni difensive e simboliche. Vi erano previste sale di rappresentanza e spazi aperti al pubblico, in occasione di udienze, banchetti, festività e cerimonie religiose. Attorno al palazzo si disponevano importanti impianti, nei quali si concentrava la vita religiosa e culturale della città, come teatri, santuari ed heroa. I sovrani seleucidi avevano a disposizione più residenze nelle capitali di nuova fondazione, ma continuarono a servirsi anche di quelle di epoca persiana. A Pergamo, il palazzo reale sull'acropoli era strettamente connesso al teatro e al santuario di Atena. All'interno del complesso si susseguivano edifici di grandi dimensioni e corti di raccordo.
Gli impianti urbani si arricchirono di apparati di rappresentanza e di spazi pubblici amplificati. Le porte urbiche, gli assi viari e le piazze furono enfatizzati da quinte architettoniche elaborate, propilei ed esedre. Accanto agli edifici religiosi tradizionali comparvero strutture destinate al culto del sovrano, assimilato a un dio nell'iconografia monetale e scultorea e negli epiteti ufficiali. La diffusione del culto dinastico favoriva il legame con i sudditi ed esprimeva la coesione della famiglia regnante. Le forme degli edifici sono differenziate, ma di frequente i re furono onorati alla stregua di eroi fondatori con temene, altari e immagini, collocati in posizione eminente nel contesto urbano (ad es., a Pergamo e Priene), come già accaduto per Alessandro. All'interno della città furono inseriti anche monumenti funebri e commemorativi, che per mezzo della loro posizione, ornamentazione e dimensioni celebravano privati che si erano distinti per particolari benemerenze (ad es., l'heroon di Diodoro Pasparo nell'agorà di Pergamo, il cd. Heroon I a Mileto e i monumenti commemorativi disposti lungo la cd. Via dei Cureti a Efeso). Le attestazioni di onore ai sovrani e a privati, affidate a monumenti, decreti iscritti e statue onorarie, si concentrarono nelle agorài (ad es., a Priene).
Tipica delle città ellenistiche è la differenziazione di più agorài, a destinazione specifica (commerciale e civile-giudiziaria), talora disposte su diversi livelli (ad es., a Pergamo, Efeso, Magnesia al Meandro e Mileto). Le stoài assunsero un ruolo importante nella definizione degli spazi e nel superamento dei dislivelli naturali, sia nelle aree pubbliche sia nei santuari e adempivano più funzioni, ospitando passeggiate coperte, botteghe, uffici, magazzini e conferendo sfondi architettonici alle piazze. Rimangono gli edifici caratteristici della polis classica, come il bouleuterion e il ginnasio, anche se cambiano le loro valenze semantiche. I bouleuteria di solito sono edifici di grandi dimensioni, collocati in prossimità dell'agorà e senza dubbio polifunzionali, che ospitavano culti e adunanze varie (ad es., ad Assos, Kyme, Teos, Priene, Mileto e Termesso). La presenza di iscrizioni e statue in onore di sovrani documenta una caratteristica ambivalenza tra la dimensione civica e il potere monarchico.
La perdita d'importanza della partecipazione dei cittadini alla vita politica corrispose a un aumento della dimensione culturale delle città, nelle quali si moltiplicarono e si monumentalizzarono gli edifici legati all'esigenza di cultura e formazione personale: ginnasi, teatri, stadi, biblioteche, accademie e musei. Queste strutture celebravano il valore della cultura ellenica e al tempo stesso il mecenatismo dei monarchi. Pergamo, in particolare, divenne sede di un'importante scuola retorica, filologica e grammaticale e di una ricca biblioteca. Un grande sviluppo conobbe il ginnasio, luogo fondamentale per l'educazione dei giovani e per l'affermazione dell'identità cittadina e della continuità della cultura greca, nel quale trovarono posto anche attività connesse alla vita della comunità: tribunali, attività di svago e culturali, celebrazioni di festività religiose e del culto dinastico. Le città principali avevano anche più ginnasi, uno in posizione centrale vicino all'agorà e un altro periferico. Nel III sec. a.C. la struttura è solitamente incentrata su un cortile circondato da ambienti su tutti i lati, mentre nel II sec. a.C. si delinea un tipo standard, caratterizzato da un peristilio allungato con stanze annesse sui lati brevi, con ricco apparato ornamentale e scultoreo. L'ingresso era evidenziato da un propileo assiale, che in età ellenistica è tipico anche di stoài, bouleuteria e santuari. L'edilizia privata riflette l'articolazione sociale e si diversifica fortemente, con le residenze più ricche costituite da grandi case a peristilio, con sale di rappresentanza e per banchetti sontuosamente decorate con stucchi e pitture.
Evergetismo. - La munificenza privata e regale contribuì alla diffusione degli stimoli artistici e letterari e all'abbellimento delle aree urbane. L'evergetismo dinastico cominciò sin dal tempo dei Diadochi, al fine di attrarre le città nella propria sfera d'influenza e legarle nel rapporto obbligante di sostegno reciproco per mezzo di donazioni e concessioni di privilegi politici e fiscali. I sovrani ellenistici finanziarono nei santuari e nelle città greche ginnasi, stoài, teatri, scuole, donari, nonché arredi per edifici e feste, privilegiando i luoghi nei quali si svolgevano la vita culturale e affollate cerimonie religiose e combinando la volontà di migliorare le strutture e l'aspetto urbano con le mire di propaganda politica e di esaltazione dinastica.
I re di Pergamo, presentandosi come protettori della cultura greca contro i barbari, dedicarono edifici e splendidi monumenti plastici, che celebravano le loro vittorie sui Galati, nella propria capitale, ma anche nelle città e nei santuari più importanti della Grecia (Atene, Delo, Delfi) e dell'Asia Minore (decreto della Lega ionica in onore di Eumene II; ginnasio a Mileto; stoài a Termesso). Gli Attalidi fornirono alle città beneficate anche architetti e manodopera, come dimostrano le caratteristiche forme architettoniche delle opere da loro commissionate e le terrazze artificiali costruite ad Aigai in Eolide, che somigliano molto a quelle di Pergamo. Anche i Seleucidi offrirono doni notevoli alle città principali dell'Asia Minore. Antioco I finanziò una stoà lunga quasi 200 m nell'agorà sud di Mileto, davanti alla quale doveva passare la processione sacra verso Didyma. In questo portico, come in quelli fatti erigere a Sardi, furono predisposti spazi da affittare per botteghe, i cui proventi erano destinati alla costruzione del nuovo tempio di Apollo a Didyma, al quale Seleuco restituì la statua di culto arcaica di Kanachos. In nome di Antioco IV Epifane, furono eretti il bouleuterion di Mileto e una statua-ritratto in quello di Teos.
Età arcaica - L'antichità del culto nei grandi santuari extraurbani della Ionia è testimoniata dalle fonti e dai rinvenimenti archeologici. Le origini si perdono in età protostorica, prima della migrazione dei Greci (Hdt., I, 157, 3; Paus., VII, 2, 6).
A Didyma, il culto di una dea anatolica della natura lasciò il posto a quello di Apollo, dalla connotazione oracolare e purificatrice diffusa in altri luoghi sacri della Grecia orientale, come Klaros e Gryneion. I più antichi resti rinvenuti nel santuario appartengono a un recinto sacro di epoca tardogeometrica (Sekòs I). Le origini remote dell'area sacra di Efeso erano evidenziate anche dal legame mitico con le Amazzoni (Call., Dian., vv. 237-258; Paus., VII, 2, 6-7). La tradizione locale poneva la nascita di Artemide e pertanto l'inizio del culto nel II millennio a.C. L'esistenza già nell'età del Bronzo di attività di culto intorno all'altare principale pare confermata dai rinvenimenti di ceramica, di una doppia ascia di bronzo e di una grande testa fittile, probabilmente pertinente a una figura femminile, che rimanda per tipologia e tecnica all'orizzonte egeo e può essere datata nella tarda età del Bronzo (XIII-XII sec. a.C.). Il primo tempio dell'Artemision (cd. Tempio A) è un periptero della seconda metà dell'VIII sec. a.C., con 4 × 6 colonne lignee intorno alla cella, che doveva ospitare la statua di culto: uno xoanon ligneo ornato da gioielli di ambra, cristallo, faïence e argilla invetriata a forma di frutti, semi, teste umane e animali, eretto su una base rettangolare con sei colonne, a formare una sorta di baldacchino.
Dopo che il tempio fu distrutto alla fine del VII sec. a.C. dai Cimmeri, venne iniziata la costruzione di due edifici, rimasti incompiuti: il cosiddetto Tempio C, costituito da un recinto sacro (sekòs), forse circondato da una fila di colonne prostila, e il cosiddetto Hekatompedon, più a ovest, un edificio di difficile interpretazione, nel quale compare l'uso del marmo (un altare o un edificio sacro?). Il mito attribuiva la fondazione dell'Heraion di Samo ai Lelegi e ai Ninfi (Athen., 672ab). All'originaria dea anatolica della natura gli Ioni assimilarono Hera, sovrintendente alla sfera delle nozze e della fertilità. Gli scavi, condotti dall'Istituto Archeologico Germanico e dalla Sovrintendenza greca, hanno accresciuto la nostra conoscenza dell'area sacra e delle sue fasi, mettendo in luce la sua importanza sovraregionale. Anche in questo caso i rinvenimenti fanno ipotizzare un culto dell'età del Bronzo e una prima fase del santuario di VIII-VII sec. a.C.
La nascita dell'ordine ionico e i grandi templi del VI sec. a.C. - L'ordine ionico si formò nelle città greche dell'Asia Minore, combinando stimoli di varia provenienza: l'architettura monumentale egiziana, i palazzi e gli edifici sacri orientali (il fregio ionico, ad es., pare derivato dal rilievo continuo assiro), l'eredità delle tradizioni egee e geometriche e gli esempi di ordine dorico della Grecia continentale. Nella sua forma canonica, l'ordine ionico microasiatico è contraddistinto da una base più complessa di quella attica, articolata in un cilindro inferiore a profilo concavo, solcato da scozie orizzontali in vari schemi, e una sezione superiore a toro liscio o scanalato; la parte inferiore delle colonne poteva essere decorata con rilievi figurati (cd. columnae caelatae).
La prima affermazione dell'ordine ionico in Asia Minore si ha intorno al 570-560 a.C. nel nuovo tempio diptero di Hera a Samo, attribuito a Rhoikos e Theodoros (Hdt., III, 60, 4). In studi recenti, a Theodoros è assegnato il progetto di questo edificio e a Rhoikos il successivo tempio di Policrate (Kienast 1998). Intorno al 560 a.C. si cominciò a costruire il grande altare rettangolare "a recinto", aperto con una scalinata davanti al tempio, che rappresenta il modello degli altari ionici fino al Grande Altare di Pergamo. Nello stesso periodo fu avviata la costruzione del nuovo tempio di Artemide a Efeso (cd. Tempio D), un diptero sul modello e in concorrenza con l'Heraion di Samo, ma di dimensioni ancora maggiori e costruito interamente di marmo. Le fonti tramandano i nomi dell'architetto cretese Chersifrone, di Metagenes, suo figlio, e di Theodoros di Samo. La cella era probabilmente ipetrale per motivi cultuali e ospitava la statua di culto di Endoios (Plin., Nat. hist., XVI, 79, 213-216). La monumentalità del progetto architettonico si integrava con la ricchezza dell'apparato decorativo. In base alla testimonianza delle fonti e alle dediche iscritte sulle colonne scolpite a rilievo, Creso partecipò alla costruzione del tempio e offrì doni votivi alla dea. È stata ipotizzata l'elaborazione di un complesso piano politico dietro l'iniziativa del re lidio, che avrebbe favorito l'affermazione del culto di Artemide sulle numerose divinità venerate in precedenza nel santuario, legate a singole eterie aristocratiche (Bammer-Muss 1996).
Il terzo grande diptero ionico della prima metà del VI sec. a.C. fu quello eretto nel santuario di Apollo a Didyma, di cui rimangono pochi resti, obliterati dalle ricostruzioni successive. Le alte colonne sulla fronte erano decorate nei tamburi inferiori con korai rese ad altorilievo, nel tentativo di emulare il modello efesio. Il naiskos ospitava la statua di culto di bronzo, opera di Kanachos di Sicione, depredata dai Persiani e recuperata a Ecbatana da Seleuco I. Al VI sec. a.C. risale anche la realizzazione della lunga via processionale, che collegava Didyma con il santuario principale di Mileto, quello di Apollo Delphinios (cd. Via Sacra). Numerosi altri edifici di culto dovettero sorgere nel VI sec. a.C. nelle città greco-orientali (a Chio, Erythrai, Magnesia al Meandro, Samo, Miunte e a Mileto: tempio di Atena, santuari di Apollo Delphinios e di Artemide Kithone, sulla terrazza est della collina di Kalabaktepe). Nello stesso secolo furono edificati anche il tempio ionico e l'altare di Apollo nel santuario di Klaros, pertinente alla città di Colofone, che aveva grande fama come sede oracolare. Le forme ornamentali dell'ordine ionico furono impiegate nel corso del VI sec. a.C. anche in costruzioni non templari, come nell'altare di Poseidone a Capo Monodendri, presso Mileto.
Il capitello eolico. - In una trentina di siti della Troade e dell'Eolide (tra cui Neandria, Kyme, Larisa, Smirne e Mitilene, Eressos, Klopedi nell'isola di Lesbo), sono stati messi in luce esemplari di un "dialetto architettonico", che rimane limitato a determinati elementi: basi, capitelli e la modanatura denominata "kymation lesbio", databili a partire dal 580-570 a.C. Il capitello eolico, dal valore altamente ornamentale, si articola in due ampie volute simmetriche, che si innalzano seguendo la verticale del fusto per svilupparsi verso l'esterno. La parte intermedia tra le volute è decorata da una palmetta aperta a ventaglio. Tra gli elementi decorativi compaiono anche corone di foglie, che si è proposto di posizionare in vario modo nelle colonne (ad es., nel tempio di Atena a Smirne). I fusti delle colonne potevano essere di pietra o lignei, lisci o scanalati. L'impiego di questo tipo di colonna negli edifici templari cessò alla fine del VI sec. a.C. con l'affermazione dell'ordine ionico, anche se sopravvisse in monumenti minori, come i sostegni dei doni votivi e gli elementi di mobilio, fino all'età ellenistica e si diffuse in Italia meridionale e in Etruria.
Capitelli eolici furono impiegati anche nel cosiddetto "palazzo" costruito a Larisa nel VI sec. a.C., che secondo la ricostruzione proposta dagli scavatori presenta una facciata a colonne tra due ali sporgenti e le stanze disposte su un asse parallelo alla fronte, secondo una tipologia vicino-orientale (cd. bīt ḫilāni). Sono documentati anche altri tipi di capitelli ornamentali, come quelli a corona di foglie sperimentati su colonne votive, ma anche in un edificio templare di Focea, o gli esemplari a forma di palma che ornavano la facciata dei thesauròi dei Clazomeni (ante 548 a.C.) e dei Massalioti (530-510 a.C.) a Delfi. Dall'area eolica (Neandria, Kebren, Larisa e Smirne) provengono anche lastre di terracotta policroma, con fregi figurati a rilievo o solo dipinte, che rivestivano la trabeazione lignea di edifici. L'inizio della produzione è posto intorno al 570 a.C. Esemplari simili provengono anche dalla Frigia (Euromos, Haubayramlar, Gordion, Düver, Pazarlı) e da Sardi e mostrano l'influsso greco in stile e soggetti, a volte modificati o fraintesi.
L'ordine dorico. - Intorno al 540-520 a.C. venne costruito ad Assos, nella Troade, l'unico tempio dorico della Grecia orientale arcaica. L'edificio, eretto in onore di Atena Poliàs sull'acropoli, era un periptero di 6 × 13 colonne costruito in basalto, con pronao distilo in antis e stretta cella, senza opistodomo. La purezza dell'ordine era contaminata dalla giustapposizione al tradizionale fregio di triglifi e metope di uno ionico scolpito sull'architrave, che illustrava episodi del mito di Eracle, scene di banchetto, tori e sfingi affrontate (i rilievi sono conservati al Louvre, a Boston e a Istanbul).
Età classica - Dopo la stasi creativa seguita alla conquista persiana, la rinascita dell'architettura ionica in Asia Minore è legata alla figura di Pytheos. I suoi trattati, che esprimevano una concezione matematica dell'architettura, con piante modulari a reticolo e proporzioni geometriche tra i singoli elementi, furono studiati e utilizzati ampiamente da Vitruvio.
A Pytheos è attribuito il piccolo tempio periptero nel santuario di Zeus a Labraunda. Per lo stesso committente, Mausolo, Pytheos partecipò alla progettazione del suo monumento funerario ad Alicarnasso e intorno al 352 a.C. fu incaricato della costruzione del tempio principale di Priene, che diventerà esemplare per l'architettura ionica d'Asia. Per il capitello, in particolare, Pytheos elaborò uno schema di successo, basato su un modulo di rapporti 1:2:3 per altezza, profondità e larghezza delle volute e con un abaco quadrato a coronamento. Nella seconda metà del IV sec. a.C. fu ricostruito l'Artemision di Efeso, che era andato distrutto nel 356 a.C. a causa di un incendio appiccato da un certo Erostrato, nella stessa notte in cui secondo le fonti nacque Alessandro Magno. Gli abitanti di Efeso rifiutarono l'offerta del Macedone di finanziare la ricostruzione, che sostennero con i propri mezzi. Il nuovo edificio doveva essere un diptero di notevoli dimensioni, con poche modifiche rispetto al precedente: la grande platea di fondazione, per regolarizzare il terreno disomogeneo; l'alta crepidine di 13 gradini; la scalinata all'interno della cella e l'aggiunta dell'opistodomo. Anche in questo caso, le colonne della fronte erano decorate con rilievi sui tamburi inferiori.
La statua di culto, nota da numerose repliche e dalla raffigurazione su monete di Efeso della metà del II sec. a.C., era di dimensioni inferiori al vero e presentava tratti arcaici nella posa rigida e frontale e nel materiale ligneo. Notevoli varianti iconografiche riguardano gli attributi mobili: le vesti e i gioielli, che dovevano essere sostituiti per usura o esigenze di culto. Sono state proposte numerose teorie riguardo l'esegesi dei simboli che ornano la statua (le Nikai e i segni zodiacali nel pettorale, le ghirlande di fiori al collo, le protomi di animali sulla veste, le protuberanze all'altezza della vita, i cd. "seni").
Età ellenistica - Durante l'età ellenistica, nelle principali città dell'Asia Minore la prosperità economica e l'evergetismo di re e privati resero possibile l'attuazione di sontuosi progetti architettonici: il nuovo tempio di Apollo a Didyma, ricostruito a partire dalla metà del IV sec. a.C. dopo lo smantellamento dell'edificio arcaico, incendiato dai Persiani nel 494 a.C.; il grande tempio pseudodiptero di Artemide-Cibele, eretto a Sardi intorno al 300 a.C.; il Grande Altare e il tempio di Asclepio a Pergamo.
Hermogenes di Priene, intorno al 150-130 a.C., sviluppò le formule esistenti per l'ordine ionico, stabilendo le distanze ideali tra le colonne e sistematizzando lo schema dello pseudodiptero, con effetti di ombre e contrasti profondi. Scrisse trattati, noti a Vitruvio, in cui illustrava i canoni applicati nei suoi edifici: i templi di Artemide Leukophryene e di Zeus Sosipolis a Magnesia e il tempio di Dioniso a Teos. L'Artemision aveva un pronao grande quanto la cella, divisa in tre navate, e un opistodomo, nel rapporto di 2:2:1. Le basi delle colonne erano riccamente decorate. Il frontone era scandito da tre aperture rettangolari, probabilmente al fine di alleggerire il peso sulle fronti che avevano un ampio intercolumnio centrale, secondo la tradizione microasiatica. Le lastre del fregio ionico rappresentano un'Amazzonomachia, riprendendo la tradizione del Mausoleo di Alicarnasso nella scelta iconografica, negli schemi compositivi e nelle proporzioni delle figure. Nella prima metà del II sec. a.C. furono costruiti l'altare di Artemide a Magnesia, quello di Atena a Priene e il Grande Altare di Pergamo, i quali ripetono uno schema "a recinto" su tre lati, che sostengono un colonnato, con scalinata centrale che conduce allo spazio contenente l'altare, il tutto ornato da sculture a tutto tondo e rilievi.
Nelle regioni dell'Asia Minore si osservano varie tipologie di architettura funeraria, che riflettono le differenti identità etniche, ma anche gli stretti rapporti reciproci esistenti. Sotto l'influsso dei grandi tumuli della Frigia e della Lidia, anche nelle necropoli delle città greche di Pitane, Larisa, Smirne, Chio, Clazomene ed Efeso e nella Troade si diffusero tumuli che ricoprono tombe a inumazione, a cista o a sarcofago, o sepolture a incinerazione entro vasi.
Tombe rupestri - Nell'Anatolia interna, la sepoltura entro roccia era concepita come una sorta di divinizzazione, sin dal tempo del sovrano hittita Tudkhaliya IV (XIII sec. a.C.). Le tombe rupestri con facciate scolpite erano diffuse in Frigia, a parte i tumuli funerari della zona di Gordion. L'apertura principale, da cui si accedeva alla camera funeraria, era posta solitamente a notevole altezza, secondo un costume iranico, e inquadrata da elementi architettonici, come lesene o pilastri, cornici e timpano sovrastante, a volte ornati da rilievi. Nella valle di Kohnus, la Tomba Crollata era decorata con un leone e un rilievo scolpito sopra l'ingresso, che raffigura due guerrieri ai lati di un gorgoneion dal significato apotropaico. Tombe rupestri sono diffuse anche in Caria e in Licia, dove una stessa necropoli può ospitare tipologie funerarie alternative (sarcofagi su alti basamenti e pilastri). Alcune sono decorate con rilievi attribuibili ad artisti di formazione greca, come quello con Bellerofonte da Tlos (al British Museum). Le esperienze maturate in queste regioni influenzarono l'architettura funeraria delle vicine città greche. Ai rilievi con scene di caccia a cavallo, che ornavano le tombe della Licia e della Cilicia (ad es., monumento di Kadyanda, stele di Yalnizdam) si ispira la tomba di Alceta a Termesso, dove il fratello di Perdicca morì nel 319 a.C. nel corso delle lotte tra i Diadochi. Nella roccia sono ricavate anche le klinai e i vasi per il rituale all'interno della camera funeraria.
Monumenti lici - In Licia, la popolazione indigena mantenne usi funerari caratteristici, che mostrano la progressiva penetrazione di stilemi ellenici. Le tipologie funerarie più diffuse sono costituite dalle tombe rupestri, dai sarcofagi e dalle cosiddette "tombe a pilastro". In questi monumenti, risalenti al periodo compreso tra la conquista persiana (545-540 a.C.) e il IV sec. a.C., le camere funerarie erano costruite sopra massicci pilastri di pietra a sezione quadrangolare, di altezze varie, che raggiungono i 7 m. Le camere variano molto per aspetto e dimensioni: possono essere grandi, con rilievi su tutti i lati, oppure sono incavate nel lato superiore del pilastro e chiuse da una lastra, per sepolture a inumazione o cremazione. Finora è nota una cinquantina di esemplari e il numero si è accresciuto negli ultimi anni (ad Asaralti, Xanthos, Tlos, Limyra). È stato ipotizzato che questa tipologia fosse stata creata per i dinasti della Licia e poi ripresa da membri del ceto aristocratico. I rilievi che ornano le pareti di alcune tombe sono attribuibili a maestranze greco-orientali, che traducono nel loro stile iconografie anatolico-persiane dettate dalla committenza locale, per celebrarne lo status aristocratico e i successi bellici. Si ricordano da Xanthos il Pilastro del Leone, tra i più antichi monumenti noti del genere (seconda metà del VI sec. a.C.); la Tomba delle Arpie (480-470 a.C.) e il cosiddetto Pilastro Iscritto, dedicato dal dinasta Kherei (ultimo trentennio del V sec. a.C.).
Di recente è stata pubblicata una tomba a pilastro da Limyra, che rappresenta l'esemplare rinvenuto più a oriente in Licia e uno dei più tardi della serie (seconda metà del IV sec. a.C.). Un rilievo con un banchetto funebre è scolpito sul lato anteriore del pilastro, a differenza dei monumenti più antichi decorati su tutti i lati. Ancora più recente è forse il pilastro da Hoiran, da porre verso la fine del IV sec. a.C. La più grande e più spettacolare delle tombe monumentali licie è il Monumento delle Nereidi, da Xanthos (al British Museum). Il sepolcro, databile alla fine del V sec. a.C., fu probabilmente costruito per il dinasta Arbinas e la sua famiglia, in forma di tempietto ionico su alto basamento. La commistione di componenti greche, licie e persiane nel programma figurativo rivela un contesto caratterizzato da intensi contatti culturali. Il linguaggio formale è greco, così come la ripresa di divinità e figure mitiche e i caratteri architettonici e decorativi, mentre l'iconografia sottende un'ideologia orientale a esaltazione delle virtù di governo e militari del dinasta, rappresentato come il Gran Re persiano in attività di caccia, di guerra e di corte, attorniato dal suo seguito e dalla sua famiglia. La concezione del Monumento delle Nereidi venne ripresa, tra l'altro, dall'heroon di Trysa, decorato da rilievi figurati (fine del V sec. a.C.), e da quello del re Pericle, a Limyra (prima metà del IV sec. a.C.), con ricca ornamentazione architettonica e cariatidi a sostegno della trabeazione.
Il Mausoleo di Alicarnasso - Il satrapo della Caria, Mausolo (377/6-353/2 a.C.), fece costruire il suo monumento funerario al centro di Alicarnasso, conformemente all'uso greco di onorare gli eroi fondatori con monumenti all'interno della polis. L'esecuzione fu affidata ad artisti greci: Pytheos e Satyros furono gli architetti; come scultori lavorarono Skopas sul lato est dell'edificio, Leochares a ovest, Timotheos a sud e il cario Bryaxis a nord (Vitr., VII, praef. 12; Plin., Nat. hist., XXXVI, 30). La costruzione avviata intorno al 360 a.C. si protrasse oltre la morte del satrapo e della moglie e sorella Artemisia, nel 351 a.C.
Il Mausoleo, alto quasi 50 m, si ergeva su un'ampia terrazza, che si affacciava a est sull'agorà e a nord costeggiava la strada principale di Alicarnasso. Il recinto funerario, circondato da un muro, ospitava feste e forse agoni sportivi in onore del defunto e dovevano trovarvi posto doni votivi e sculture, come il gruppo con un cavaliere persiano che abbatte un leopardo, oltre a leoni, tori, arieti e cinghiali con funzione di guardiani. Nel 1856, C.T. Newton riscoprì le fondazioni del monumento e portò alla luce numerosi frammenti architettonici e scultorei di varie dimensioni. Studi successivi hanno mirato a perfezionare la brillante ricostruzione di Newton, cercando di combinare i dati archeologici con quelli delle fonti. Dal 1966 K. Jeppesen dell'Istituto Archeologico Danese ha ricominciato le ricerche, allestendo un museo sul luogo, e sulla base dei nuovi rinvenimenti ha proposto varie ricostruzioni. Un modello alternativo esposto nell'Antikensammlung di Berlino, che si deve a W. Hoepfner, rappresenta il monumento come un edificio "a griglia ortogonale", con il lato breve di 100 piedi, come il tempio di Atena a Priene dello stesso Pytheos. La posizione spostata verso l'angolo est della terrazza sarebbe stata concepita in modo che dalla porta del temenos agli spettatori apparisse in prospettiva un edificio quadrato. Elementi architettonici, sculture e pittura armonizzavano tra loro in un complesso calcolato nei minimi dettagli, dall'elaborata simbologia.
Il sepolcro era costituito da tre parti sovrapposte. Un massiccio basamento, tipico della tradizione iranica che elevava il defunto al di sopra della sfera umana, conteneva la camera funeraria, in posizione decentrata al di sotto della terrazza e chiusa da un pesante blocco di basalto. La camera doveva essere ornata da un fregio di marmo pentelico con una corsa di carri. Nel corridoio di accesso all'anticamera, Jeppesen ha trovato resti di un sarcofago di marmo riferibile ad Artemisia e sulle scale che scendevano alla camera scheletri di ovini e cavalli, sacrificati per il viaggio di Mausolo negli Inferi. Hoepfner rifiuta la ricostruzione di Jeppesen e G. Waywell del basamento articolato in due gradini, che avrebbero ospitato sculture raffiguranti episodi di vita del satrapo. La cornice superiore era decorata dal fregio con Amazzonomachia. Sono rimasti frammenti di un altro fregio con la lotta tra Centauri e Lapiti.
L'alto podio sosteneva un piano colonnato, a forma di tempio ionico. Per i plinti delle colonne, i piedistalli delle sculture e probabilmente per la parete della cella fu impiegata una pietra bluastra locale,
il resto era di marmo dipinto. Hoepfner ha ricostruito due file di colonne che correvano intorno alla cella. Sono rimasti frammenti delle basi ionico-asiatiche, del ricco soffitto a cassettoni, della trabeazione, della sima ornata da fiori e tralci e dei gocciolatoi a protome leonina. Non si può calcolare con esattezza il numero delle statue di marmo poste tra le colonne, che dovevano rappresentare i familiari e gli antenati del re, ma sembra fossero 60 o più. Due di queste, ritenute in precedenza Mausolo e Artemisia, sono conservate quasi interamente (al British Museum): la prima, alta 3 m e con il retro abbastanza piatto, doveva essere una delle sculture della fila retrostante, appoggiata alla parete esterna della cella; l'altra, che misura 2,7 m, doveva appartenere alla fila anteriore. Gli spettatori nella riduzione prospettica a distanza vedevano entrambe le serie delle stesse dimensioni. Le figure, sia femminili sia maschili, portano ricchi abiti e acconciature di foggia persiana, ma il trattamento delle superfici e dei panneggi appare prettamente greco.
Il tetto aveva la forma di una piramide di 24 gradini con una colossale quadriga a coronamento, che Plinio attribuisce a Pytheos. Nella visione dal basso, la quadriga sembrava posta direttamente sul piano colonnato. Jeppesen ha dimostrato che il gradino inferiore del tetto era più largo e conteneva incassi per sculture poco più grandi del vero, molte delle quali raffiguravano leoni, posti a due a due in corrispondenza di una colonna, mentre cavalli condotti da aurighi in costume persiano sono ipotizzati agli angoli. Le altre sculture, a giudicare dal rinvenimento delle teste di Apollo e di Hermes, rappresentavano divinità, probabilmente i Dodici Dei. Una testa barbata pertinente a questa serie potrebbe essere un ritratto di Mausolo, accolto nell'Olimpo raffigurato sul margine del tetto grazie alle proprie imprese e alla sua nobile origine. Le statue dei Dodici Dei, del re e della regina dovevano corrispondere alle colonne del lato principale est del monumento.
Età ellenistica - I sepolcri di età ellenistica mostrano un repertorio architettonico vario, anche se pochi emularono la dimensione monumentale del Mausoleo di Alicarnasso. Le forme di ostentazione dei sovrani si limitarono principalmente agli apparati sontuosi, per quanto effimeri, allestiti per il rogo e il trasporto del defunto, sul modello della mirabile pira di Efestione e del carro funebre di Alessandro decorato dai dipinti di Apelle.
Il mausoleo di Belevi fu costruito circa 14 km a nord-est di Efeso, su una terrazza, ma non fu mai ultimato. Sul podio, ricavato in parte nella roccia, si elevava un colonnato corinzio, sormontato da sculture di cavalli, e il tetto a gradini era coronato da una quadriga. Il sepolcro si ispira al Mausoleo di Alicarnasso, ma riprende anche spunti iranici nella decorazione ed elementi di età classica, come le metope del Partenone, scolpite con Centauromachie. Le indagini archeologiche riprese in anni recenti dall'Istituto Archeologico Austriaco hanno portato a un riesame del monumento, basato su proporzioni precise e un modulo di base (Heinz - Ruggendorfer 2003). Il sarcofago all'interno della camera funeraria mostra una figura recumbente sul coperchio lavorata a tutto tondo, un elemento eccezionale per l'Oriente greco prima dell'età romana. La cassa è scolpita a rilievo per rappresentare una kline, ornata con un fregio di Sirene musicanti, una panca con cuscini e un poggiapiedi. Si è molto discusso in passato sulla pertinenza di coperchio e cassa, che dalle ultime analisi risultano sicuramente contemporanei. La datazione è posta in genere alla fine del IV sec. a.C. (forse la tomba era destinata a Lisimaco, anche se non vi fu sepolto effettivamente?).
Fuori dalla città di Pergamo si elevano tumuli grandiosi, che sono ritenuti sepolcri regali. Le fonti informano, inoltre, dell'esistenza del temenos Nikatoreion, dedicato a Seleucia Pieria da Antioco I al padre defunto nel 281 a.C., probabilmente costituito da un tempio entro un recinto sacro (App., Syr., 63, 336), e del monumento fatto costruire da Nicomede I di Bitinia (280-255 ca. a.C.) alla moglie Ditizele a Nicomedia (Arriano, in FGrHist, 156 fr. 29). Caratteristici del regno di Commagene sono i monumenti funerari adibiti a luoghi di culto (hierothesia), come quello di Arsameia al Nymphaios, costruito da Mitridate Callinico (ca. 100-70 a.C.), e quello di Nemrud Dağ, realizzato dal figlio, il philoromaios Antioco I (69-36 a.C.). Nel grandioso complesso si combinavano tradizioni greche e iraniche con un programma articolato in iscrizioni e sculture in onore del sovrano, discendente dei re seleucidi e achemenidi.
Avori - Dal Vicino Oriente furono importati in area greca dalla fine dell'VIII sec. a.C. avori siriani, fenici e assiri (figurine femminili del tipo di Astarte, leoni, sigilli, intarsi e fibule "a occhiali"). Nel VII sec. a.C. botteghe di intagliatori che avevano appreso la tecnica dagli artigiani orientali (forse Fenici itineranti) si formarono ad Atene, nel Peloponneso e in Asia Minore. Le scuole di Samo e di Efeso, i cui santuari hanno restituito eccellenti avori tra gli ex voto, si svilupparono nella seconda metà del VII sec. a.C. sulla scorta di modelli anatolici (neohittiti e frigi) e nord-siriani.
La produzione greco-orientale appare caratterizzata da raffinati passaggi di piano, superfici morbide e fluenti, cura dei dettagli e accentuato decorativismo. Gli avori frigi dovettero influenzare le creazioni ioniche nella moda dei copricapi, delle vesti, degli accessori e nei motivi decorativi tessili, mediando le tradizioni assire e anatoliche. A maestri greco-orientali sono attribuiti il cosiddetto Maestro dei Leoni rinvenuto a Delfi e la figura femminile su una sfinge, sormontata da una testa di cigno, pertinente alla fiancata di una lira (a Berlino). Tra gli avori rinvenuti nell'Heraion di Samo si ricordano un kouros inginocchiato (terzo quarto del VII sec. a.C.) e una testa con gli occhi lavorati separatamente (VI sec. a.C.).
Una classe significativa della produzione di Efeso, nota dagli scavi dell'Artemision, è rappresentata dalle statuette femminili interpretate come sacerdotesse, offerenti o divinità. Per l'affinità tipologica e stilistica con il cosiddetto Megabyzos (fine VII-VI sec. a.C.), lo splendido gruppo di una donna con due bambini dal Tumulo D di Elmalı (al Museo di Antalya) è stato attribuito di recente alla scuola di Efeso e più precisamente allo stesso artista (Işik 2001). Gli avori di Efeso contribuirono al lungo processo di "ionizzazione" del linguaggio formale orientale. La sintesi tra i modelli anatolici e la sensibilità artistica greca determinò la nascita di uno stile naturalistico, evidente nell'immediatezza delle espressioni, nell'incarnato vivace, nella collocazione spaziale e nella concezione organica dei corpi degli avori efesini. Dagli esemplari più antichi di tipo orientale, con corpi informi, teste sferiche, volti larghi e carnosi, si passa a quelli con tratti più individuali e vesti orientali, per arrivare alla piena ellenizzazione anche dell'abbigliamento, sul finire dell'attività dell'officina (secondo quarto del VI sec. a.C.).
Bronzi - Prodotti della toreutica orientale raggiunsero il mondo greco sin dall'età geometrica: placchette, statuette, phialai, vasi con anse ad arco e ad anello, rhytà e grandi lebeti con attaches sulla spalla a forma di Sirena, protomi o animali interi (toro, cervo, capra, leone, creature alate), imitati in loco e adattati al gusto greco. L'Heraion di Samo tra la fine dell'VIII e il VII sec. a.C. ha restituito bronzi di produzione cipriota, egiziana, frigia, hittita, assira, siriana, urartea, caucasica e del Luristan (Giuliano 2004).
Una nota tipologia è quella dei grandi lebeti ornati con protomi di grifo, prodotti dal 700 al 620 circa a.C. e tipici del mondo greco, dove erano dedicati nei santuari su alti supporti, lavorati a parte. Le protomi erano lavorate inizialmente in lamina bronzea martellata con dettagli a sbalzo, cui seguirono ben presto le serie a fusione di alto valore plastico. Un recente studio (Gehrig 2004) analizza gli esemplari provenienti dall'Heraion di Samo, il luogo di rinvenimento principale insieme al santuario di Zeus a Olimpia, individuando officine attive a Samo, cui attribuisce anche esemplari di provenienza diversa (Chio, Klaros, Efeso, Mileto e Didyma). I bronzetti di Samo dispiegano un'ampia gamma di tipologie, tra cui l'offerente stante, il cavaliere, il banchettante semidisteso, con caratteri comuni: la testa grande, gli occhi e il naso prominenti, il petto stretto e i contorni tondeggianti. Di particolare pregio appaiono un suonatore di aulòs e un kouros dalla ricercata acconciatura (530 a.C. ca.).
La scuola toreutica di Samo trovò un esponente illustre in Theodoros, che le fonti citano come autore del cratere e della pergola d'oro nel palazzo reale di Persepoli (Ath., XII, 514f), del cratere d'argento offerto da Creso al santuario di Delfi e dell'anello di Policrate, ma anche come incisore di gemme, inventore della fusione di sculture di bronzo, scultore egli stesso e architetto (metà del VI sec. a.C.). La tradizione greco-orientale nella lavorazione dei metalli è confermata dalle opere di Glaukos di Chio, artefice del cratere d'argento e del sostegno di ferro decorato a sbalzo dedicati da Aliatte a Delfi (Hdt., I, 25, 2; Paus., X, 16, 1), e di Bion di Mileto, autore della Nike e del tripode d'oro offerti da Gelone di Siracusa nello stesso santuario nel 480 a.C. (Ath., VI, 231f; Diod. Sic., XI, 26, 7).
Periodo arcaico - La statuaria di pietra nella Grecia orientale è attestata dagli inizi del VII sec. a.C., con le opere di stile dedalico (perirrhanteria dall'Heraion di Samo, sostenuti da figurine di dee con leoni). I kouroi e le korai di dimensioni colossali rinvenuti a Samo, Nasso e Thera imitano modelli egizi, rielaborati dagli artisti greci nel VII sec. a.C. La nascita di questa scultura monumentale presuppone maestranze specializzate nella lavorazione del marmo e una committenza in grado di sostenere spese elevate. Nel corso del VI sec. a.C. lo stile ionico si diffuse in tutto il mondo greco e in Etruria, anche per la migrazione di artisti in seguito alla pressione persiana sulle coste dell'Asia Minore.
Elementi distintivi delle figure ioniche arcaiche sono le proporzioni slanciate, i contorni fluidi e arrotondati, il trattamento mobile della superficie, la resa morbida dell'incarnato, l'attenzione ai valori decorativi, la forma sferica delle teste, i volti larghi dai piani appiattiti, gli occhi di forma allungata e le labbra sottili atteggiate nel tipico sorriso arcaico. Un elemento caratteristico è costituito anche dalle iscrizioni, degli artisti o dei dedicanti, incise sul corpo e non sulla base delle sculture. I centri di produzione principali sono localizzabili a Samo e Mileto, che mostrano stretti contatti tra loro e con la Grecia insulare. Il tipo del kouros nudo, impiegato per dediche votive e per statue funerarie, da Samo fu adottato a Mileto; altri rinvenimenti provengono da Klaros, Mylasa, Keramos, Cnido e dalle colonie milesie di Artace e Histria. L'invenzione del kouros panneggiato, caratteristico dell'area greco-orientale, è attribuita alla scuola di Mileto, intorno alla metà del VI sec. a.C. La presenza della chlamys sopra un leggero chitone, aderente alle forme molli e flessuose del corpo e animata da panneggi ornamentali, può essere ricondotta all'influenza vicino-orientale.
Numerose korai, vestite con chitone e/o himation e a volte velate, furono dedicate come agalmata nei santuari di Samo, Mileto e Didyma dal primo quarto alla fine del VI sec. a.C. Altri esemplari provengono da Erythrai, Clazomene, Klaros e Theangela, in Caria. Spesso tengono in mano attributi, offerti alla divinità: una melagrana, un fiore, una lepre, una colomba, un uccellino, una pernice. Intorno al 570-560 a.C., un eminente personaggio di nome Cheramyes dedicò almeno quattro sculture nell'Heraion di Samo, che potevano far parte di un unico gruppo votivo: un kouros frammentario, una kore con la lepre (a Berlino), la cosiddetta Hera di Samo (al Louvre) e la sua "gemella", rinvenuta nel 1984 da H. Kyrieleis (al Museo Archeologico di Samo). Le figure femminili, che sono state attribuite allo stesso scultore, rivelano la stessa concezione artistica nella forma a colonna della parte inferiore del corpo, nei contorni sinuosi e arrotondati e nella delicatezza delle pieghe incise a linee parallele. Due korai frammentarie da Chio (560 a.C. ca.) mostrano una resa particolare del panneggio della veste, sotto forma di linee ondulate.
A scultori di Mileto dovrebbe risalire il tipo di kore che afferra lateralmente un lembo del chitone, poco prima della metà del VI sec. a.C., una ripresa realistica che offrì suggestivi spunti creativi. Geneleos, che eseguì tra il 560 e il 550 a.C. un gruppo votivo di famiglia dedicato nell'Heraion di Samo, costituito da sei statue allineate (una donna seduta, un uomo semidisteso e al centro i figli, un kouros e tre fanciulle stanti), combinò il motivo della kore avanzante con il piede destro con quello del chitone sollevato sul lato. Il pieno sviluppo delle korai ioniche si compie nell'ultimo quarto del VI sec. a.C., con la comparsa degli orli a zig-zag e la resa della caduta naturale del panneggio. Nell'area di Mileto sono attestate sin dalla prima età arcaica figure di leoni di marmo, di un tipo di derivazione egizia, nei santuari e nella tomba di Kazartepe (metà del VI sec. a.C.). Lungo la Via Sacra del santuario di Didyma, oltre ai leoni era collocata una serie di monumentali figure maschili e femminili solennemente sedute in trono (VI-V sec. a.C.). In alcuni casi i personaggi sono identificati dalle iscrizioni presenti (ad es., quella sulla statua di Chares, governante di Teichiussa; un'altra reca inciso il nome dello scultore Eudemos). Alla stessa tipologia appartiene la statua maschile seduta da Tigani, a Samo, dedicata da Aiakes, come informa l'iscrizione, un personaggio noto anche dalle fonti e identificato con il padre del tiranno Policrate (540 a.C. ca.).
La statua iscritta di banchettante semidisteso da Miunte (a Berlino) attesta un'altra iconografia tipica del mondo ionico, tramandata anche dal gruppo di Geneleos e da bronzetti (metà del VI sec.
a.C.). Esemplari di plastica arcaica emersi nel corso di indagini recenti nei dintorni di Efeso arricchiscono la documentazione sulla produzione artistica locale in relazione all'edificazione del tempio di Artemide, decorato con rilievi sulle colonne, raffiguranti processioni sacre, e con un lungo fregio sulla sima. Le colonne sulla fronte del tempio di Apollo a Didyma erano scolpite con korai solennemente abbigliate, che dovevano raffigurare le giovani che prendevano parte alla processione lungo la Via Sacra. In un contesto architettonico erano inserite anche le due korai della fronte del thesauròs degli Cnidi, dedicato a Delfi nel 545/4 a.C. Testimonianze di scultura ionica sono state rinvenute anche in Frigia, da dove a loro volta i Greci d'Asia ripresero nella seconda metà del VI sec. a.C. l'iconografia della Grande Dea, rappresentata all'interno di una nicchia o un tempietto, stante o seduta in trono con un leoncino sulle ginocchia o fiancheggiata da leoni, assimilandola a Cibele o alla Artemide Efesia. Numerosi esemplari sono stati rinvenuti a Kyme, Focea, Smirne, Chio, Clazomene e a Sardi.
Le stele greco-orientali possono essere coronate da un elaborato motivo floreale, costituito da una palmetta fiancheggiata da volute o girali (cd. anthemion). Il tipo si sviluppa a Samo nel VI sec. a.C., sulla scorta di precedenti esempi attici (cd. "gruppo policratico"). I soggetti sono vari: si incontrano figure di atleti e guerrieri (celebre la cd. Stele Borgia, da Sardi, al Museo di Napoli, del 480 a.C. ca.) e scene con il defunto attorniato da familiari o servitori (rilievo con il medico a Basilea, del 480 a.C. ca.). In età classica aumenta l'altezza del rilievo e si intensifica l'influsso attico, come mostra un grande rilievo da Mileto (al Museo di Smirne) con il defunto seduto a metà su una roccia (seconda metà del IV sec. a.C.). La produzione conosce un incremento notevole in età ellenistica, a partire dal III sec. a.C.
La classe delle stele funerarie cosiddette "greco-persiane", provenienti da vari siti della Frigia Ellespontica e della Misia (Ödemiş, Çavuşköy, Daskyleion, Altintaş), attesta una singolare commistione di motivi greci, persiani e anatolici (fine VI-V sec. a.C.). Il campo del rilievo è articolato in registri sovrapposti, dove sono raffigurati fregi zoomorfi, sfingi presso l'albero della vita e scene di vita tipiche dell'aristocrazia persiana, accompagnate talora da iscrizioni in aramaico: cacce, banchetti funebri, sacrifici alla divinità, cerimonie con musicanti, cortei con carri e cavalieri. Le terminazioni a palmetta si ispirano al modello delle stele greco-orientali e si riscontrano influssi stilistici greci.
Età classica - Nella Grecia orientale era possibile ammirare opere dei più importanti scultori greci del V sec. a.C.: Mirone eseguì uno Zeus colossale per Samo, di cui rimangono repliche in bronzetti e in marmo, e la decorazione scultorea dell'Artemision di Efeso fu arricchita dalle statue di Amazzoni ferite eseguite in gara da Fidia, Kresilas, Phradmon e Policleto (438-435 a.C.), tutte collocate nel frontone (Plin., Nat. hist., XXXIV, 53).
Echi della grande scultura tardoclassica si colgono nei rilievi che decoravano le colonne del tempio di Artemide ricostruito nel tardo IV sec. a.C. Le fonti documentano l'attività di Prassitele e Skopas nel cantiere di Efeso: il primo eseguì delle statue poste tra le colonne del nuovo altare, mentre Skopas è menzionato esplicitamente per la decorazione di una colonna del tempio (Plin., Nat. hist., XXXVI, 95). Gli studiosi hanno tentato di attribuire, su base stilistica, le lastre rimaste del fregio con Amazzonomachia del Mausoleo di Alicarnasso agli scultori citati da Plinio, riconoscendo gli schemi geometrici, il pathos dei volti e la veemenza di Skopas, le equilibrate composizioni di Timotheos e i corpi estremamente allungati, le linee oblique e i mantelli agitati delle figure di Leochares (360-340 a.C. ca.). Il nome di Leochares è stato avvicinato anche alla Demetra di Cnido, rinvenuta nel santuario della dea e datata intorno al 350-330 a.C. Anche Lisippo realizzò varie opere in Oriente, mentre seguiva la spedizione di Alessandro. Le fonti ricordano a Efeso l'Alessandro con la lancia, eseguito dopo il solenne ingresso del Macedone nella città conquistata; a Myndos, in Caria, l'Eros distratto e a Sagalasso, in Pisidia, il gruppo di Alessandro a cavallo contro un nemico alla presenza di Zeus.
Età ellenistica - La scultura della prima età ellenistica si sviluppa sulla scia dei grandi maestri tardoclassici. A un allievo di Lisippo, Eutychides, è attribuita la monumentale Tyche di Antiochia di bronzo, personificazione della città fondata da Seleuco I, nota da repliche di marmo, bronzetti e monete.
La dea è seduta con le gambe incrociate e la testa frontale, coperta dalla corona turrita e da un velo sul retro. La mano sinistra poggia sul sedile roccioso (il Monte Silpio), mentre la destra tiene un fascio di spighe, simbolo di fertilità. Ai suoi piedi un giovane che nuota simboleggia il fiume Oronte. Alla lezione formale di Prassitele e Lisippo attinse lo scultore bitinio Doidalses, che su commissione del re Nicomede I eseguì la celebre immagine dell'Afrodite accovacciata in atto di lavarsi, della quale sono rimaste numerose repliche di età romana (metà del III sec. a.C.). Lo stile della scultura, dalle forme piene e sensuali e dalla pettinatura raccolta a fiocco, risponde pienamente al gusto del primo ellenismo microasiatico. Il tipo ritrattistico di Alessandro Magno, con la fluente capigliatura distinta dall'anastolè al centro della fronte, il volto imberbe e lo sguardo determinato, ispirò le immagini dei Diadochi e dei sovrani ellenistici. Essi mostrano tratti individuali, la chioma cinta dal diadema regale e spesso attributi divini, che li distanziano dalla sfera umana e giustificano il culto loro tributato. Le necessità di propaganda evidenziano a seconda dei casi la continuità dinastica o il valore militare.
Tra i vari centri di scultura attivi nel corso dell'età ellenistica si distinguono Rodi, dove le fonti ricordano un numero altissimo di opere, Smirne (si ricorda il rilievo con Peithò ed Elena) e la scuola di Pergamo. Gli Attalidi commissionarono monumenti celebrativi ad artisti noti dalle fonti e dalla documentazione epigrafica, sin dai tempi di Filetero. Le creazioni pergamene si caratterizzano per la collocazione nello spazio, in cui viene coinvolto lo spettatore, la composizione per assi contrastanti, il dinamismo delle figure, l'attento studio fisionomico ed etnografico, la resa vigorosa e chiaroscurata della muscolatura e la ricerca espressiva di formule di pathos, che ha fatto parlare di un "barocco ellenistico".
Un rilievo votivo di Cizico rappresenta la prima attestazione dei Galati nell'arte greca ed è stato interpretato come un riflesso del monumento eseguito dagli scultori ateniesi Nikeratos e Phyromachos a Cizico per Filetero. Attalo I dedicò numerosi donari a Pergamo, a Delfi e a Delo per celebrare le sue vittorie sui Galati e sui Seleucidi. Epigonos fu incaricato, tra gli altri, dell'esecuzione sulla terrazza del santuario di Atena del Grande Donario e del Donario Circolare, di cui dovevano fare parte gli originali del Galata Morente (ai Musei Capitolini) e del Galata che uccide sé stesso e la moglie (a Palazzo Altemps). Sculture di più ridotte dimensioni formavano il cosiddetto Piccolo Donario, dedicato da Attalo II alla metà del II sec. a.C. sia a Pergamo, nel santuario di Atena, sia sull'Acropoli di Atene. Le figure disposte su basamenti adiacenti erano articolate in quattro scene: Gigantomachia, Amazzonomachia, Battaglia di Maratona e Galatomachia.
Il monumento più spettacolare dell'arte pergamena è costituito dal Grande Altare, dedicato dal re Eumene II tra il 180 e il 160 a.C. Gli acroteri raffiguravano divinità, quadrighe, centauri e cavalli alati. Sculture femminili, che personificavano le città e le regioni sottomesse, ornavano il colonnato ionico che si ergeva sopra il basamento, scolpito con un fregio raffigurante la lotta degli dei contro i Giganti. Sulle lastre rimangono iscritti i nomi di alcuni esecutori, originari di Pergamo, Efeso, Rodi e dell'Attica, mentre il progetto nel suo insieme è stato attribuito a Phyromachos o a Menekrates. I rilievi sono impressionanti per il vigore drammatico delle figure, lavorate quasi a tutto tondo. L'affollata composizione rivela un eccezionale virtuosismo tecnico, una cura attenta e grande varietà nei dettagli, un concitato dinamismo, un uso diffuso del chiaroscuro nelle capigliature e nelle muscolature possenti, volti tormentati e altamente patetici che esprimono il dolore degli sconfitti e contrastano con la solennità olimpica degli dei. Molto differente la concezione del fregio di Telefo, il mitico antenato della dinastia pergamena, che decora il cortile con l'altare vero e proprio, sviluppandosi in senso cronologico e in proporzioni minori, con un composto tono narrativo. L'atmosfera ariosa e l'ambientazione paesaggistica rivelano l'adesione ai canoni pittorici e al genere dei rilievi votivi e funerari, molto diffusi in età ellenistica.
È infine da ricordare la grande produzione di figurine fittili di Myrina, derivata per imitazione da quelle cosiddette "tanagrine". Fabbricate tra il III e il I sec. a.C., sono di quasi esclusiva destinazione funeraria.
Sarcofagi greco-orientali - Sarcofagi di pietra. - A Samo è stato rinvenuto un eccezionale sarcofago a cassone di marmo, che imita la forma di un sacello funerario, con coperchio a doppio spiovente e la cassa decorata con cornice aggettante e lesene ioniche sui lati (metà del VI sec. a.C.). Sarcofagi arcaici di marmo e calcare locale sono stati messi in luce nella necropoli di Mileto, presso il villaggio di Yeni Balat. In età ellenistica sono attestati sarcofagi a ghirlande (da Burdur e Çanakkale), con corone (da Side), osteoteche decorate e sarcofagi configurati a kline, come quelli della tomba di Alceta a Termesso e del mausoleo di Belevi.
Sarcofagi fittili di Clazomene. - Questa classe fu prodotta a Clazomene dal 550-530 al 470 a.C. La pittura era limitata al bordo superiore sporgente, sopra un'ingubbiatura color crema. L'esterno della cassa era lasciato grezzo, mentre l'interno era lisciato e verniciato di nero. La copertura è costituita in genere da lastre fittili o di pietra. Pochi esemplari più elaborati hanno pannelli dipinti sulla cassa e coperchi a forma di tetto.
Sono attestati oltre 130 esemplari, la maggior parte dal territorio di Clazomene, molti da Smirne e Teos, altri da Methymna, Pitane, Mordogan, Efeso e Rodi. Raramente erano esportati in luoghi distanti, essendo manufatti ingombranti e pesanti. Dovevano essere sicuramente oggetti di pregio e raramente sono accompagnati da offerte funebri, almeno durevoli. Imitazioni locali sono state rinvenute a Efeso, a Sardi e ad Abdera. I sarcofagi sono distinti in due gruppi a seconda della decorazione ornamentale o figurata. Il primo gruppo, e il più numeroso, è formato dal cosiddetto "tipo Monastirakia". I sarcofagi figurati furono decorati inizialmente con animali a risparmio, nello stile delle Capre Selvatiche, in seguito in una sorta di tecnica a figure nere, con i dettagli interni dipinti in bianco, simile allo stile della ceramica clazomenia, ma con crescenti influssi attici. Pochi esemplari tardi sperimentano una tecnica che si può definire a figure rosse, anche se il fondo ingobbiato è color crema. Sono state distinte varie mani di pittori.
Sarcofagi della Troade - Sarcofago di Polissena. - Nell'ampia pianura del fiume Biga, in prossimità dell'omonima città moderna, è stata individuata una delle più importanti necropoli aristocratiche a tumuli di epoca tardoarcaica-protoclassica della Troade settentrionale. La regione era nella sfera politica e culturale di Daskyleion, capitale della Frigia Ellespontica, e gli occupanti di queste tombe potevano essere legati alla corte satrapica.
Nel 1994 il Museo di Çanakkale ha scavato il cosiddetto Tumulo Kizöldün, vicino al campo della storica battaglia del Granico, rinvenendo all'interno due sarcofagi tardoarcaici. Quello più piccolo, non decorato, conteneva lo scheletro di una bambina di 8-9 anni (il nome locale Kizöldün in turco significa "ragazza morta") e numerosi doni funerari. La scoperta più importante è costituita dal sarcofago al centro del tumulo, purtroppo depredato in antico, che rappresenta il più antico sarcofago lapideo con scene figurate a rilievo finora ritrovato in Asia Minore, che va ad aggiungersi al corpus dei monumenti eseguiti da artisti greci in regioni soggette al dominio persiano. Le acconciature degli uomini, la resa dei corpi e del panneggio inducono a una datazione intorno al 520-500 a.C. I resti appartengono a un defunto di circa 40 anni, anche se l'iconografia farebbe pensare a una donna come destinataria originale. Il sarcofago è eseguito in marmo della vicina isola di Proconneso, come la maggior parte dei rilievi della zona, e poggia su una base a due gradini; il coperchio imita un tetto a doppio spiovente. Sopra l'architrave a due fasce c'è una cornice straordinariamente elaborata, con una serie di ovoli alle due estremità e una fila di astragali e dentelli al centro. Ai quattro angoli sono scolpite palmette in rilievo.
I rilievi occupano tutti e quattro i lati della cassa. La superficie non è dipinta, ma dal momento che alcune parti appaiono incompiute il sarcofago potrebbe essere stato utilizzato prima di essere finito. Su uno dei lati lunghi è raffigurato il sacrificio di Polissena per mano di Neottolemo, vicino al sepolcro di Achille e al cospetto di sei Troiane piangenti. La scena di compianto continua sul lato corto adiacente a destra, dove sono raffigurate tre donne, due stanti e un'anziana velata, forse la madre Ecuba, seduta sotto un albero spoglio. Sull'altro lato lungo è rappresentata una celebrazione funebre, con offerta di doni a una donna velata seduta a sinistra, musicanti femminili e quattro guerrieri danzanti. Il lato corto adiacente a destra rappresenta lo stesso genere di iconografia: un simposio con cinque figure femminili. I paralleli iconografici più vicini della stessa epoca per la rappresentazione di banchetti sepolcrali sono offerti da monumenti dell'Asia Minore: una stele funeraria di Daskyleion, la Tomba delle Arpie a Xanthos e le pitture delle tombe vicino a Elmalı, in Licia. La scena del sacrificio trova confronti nelle anfore tirreniche e nel mondo etrusco, dove si osservano un gusto analogo per scene cruente, elementi di paesaggio e paralleli formali (ad es., nei rilievi chiusini).
Sarcofago di Çan. - Un altro sarcofago di marmo di Proconneso è stato rinvenuto nel 1998 in una tomba a camera entro un tumulo vicino alla città di Çan, a metà strada tra Troia e Daskyleion. Il sarcofago, sfortunatamente molto danneggiato e depredato, fu probabilmente realizzato per un dinasta della Frigia Ellespontica, nel primo quarto del IV sec. a.C. Appartiene, infatti, a quella serie di monumenti comuni in Asia Minore dalla tarda età arcaica che narrano scene di vita del potente locale, derivate dall'iconografia regale di lunga tradizione nel Vicino Oriente. I resti dello scheletro appartengono a un giovane morto intorno ai 20 anni.
Il coperchio si può ricostruire a forma di tetto. Mancano gli ornamenti architettonici del sarcofago di Polissena e degli esemplari figurati di Sidone; i rilievi occupano insolitamente solo due lati della cassa. Straordinariamente sono rimasti i colori della pittura che ricopriva la superficie scolpita: rosso, porpora, ocra, blu e verde, con un uso minimo del nero. La fronte consiste in due scene giustapposte di caccia al cinghiale e al cervo, divise da un albero spoglio, che possono aver avuto luogo in paradeisoi (i giardini reali che servivano per l'acclimatazione di piante poi diffuse in Occidente e per l'allevamento di animali rari, come i pavoni), della cui esistenza nell'area di Daskyleion riferisce Senofonte (HG, IV, 1, 15, 33-35). I cavalieri sono vestiti alla persiana e quello della caccia al cervo mostra un volto molto individualizzato, che si inquadra nel contesto di avvio della ritrattistica nell'Asia Minore occidentale, attestato dalle monete (da dove si trasferirà nella Grecia continentale). Sul lato breve l'iconografia passa dalla caccia alla guerra: la figura centrale a cavallo punta la lancia contro un caduto, forse un Greco, mentre lo scudiero è stante a sinistra. Il paesaggio roccioso rappresentato sulla destra permette forse di localizzare la battaglia nell'area di Daskyleion, dove il comandante spartano Agesilao compì devastazioni nel 395 a.C.
Sarcofagi lici - In Licia, la produzione dei sarcofagi tipici della regione inizia nel V sec. a.C., si intensifica nel corso del secolo seguente e prosegue sino all'età ellenistica. Le casse, poste su basamenti elevati, presentano una ricca decorazione e sono ricoperte da alti coperchi dal profilo ogivale, che riproducono la struttura di tetti lignei, anche questi riccamente scolpiti sui lati, nei frontoni e sulla trave di colmo sporgente. Nella tipica versione licia, la cornice superiore della cassa è ornata con kymation ionico e astragali, mentre manca il kymation lesbio in quella inferiore, presente nei modelli attici.
Le raffigurazioni si riferiscono ad attività del defunto allusive al suo ceto sociale: "quadri di famiglia", scene di udienza, di banchetto, di caccia, uomini solennemente seduti in atto di conversare, cavalieri e quadrighe in corsa. Dal profilo curvo del coperchio sporgono leoni rannicchiati o protomi leonine, posti su lastre ortogonali, un simbolo regale molto diffuso in Licia. Tra gli esemplari più celebri, la Tomba di Payava da Xanthos (al British Museum) è databile intorno al 375-360 a.C. Come questa, altri sarcofagi dello stesso tipo conservano iscrizioni in licio e in greco che permettono di conoscere il nome del defunto: il sarcofago di Merehi, di cui rimane solo il coperchio decorato con una quadriga che combatte contro la Chimera; un esemplare che si trova in situ a nord della città di Kyaneai, con la dedica di Xudalije, figlio di Muraza; il sarcofago di Dereimis e Aischylos a Trysa e di Xñtabura a Limyra.
Sarcofagi di Sidone - Di ispirazione greca sono alcuni dei cosiddetti "sarcofagi antropoidi", una tipologia di origine egiziana attestata in Fenicia dal 470 alla seconda metà del IV sec. a.C. I sarcofagi giungevano sbozzati a Sidone e venivano decorati sul posto con coperchi di forma umana, in stile ellenizzante. Nella necropoli reale di Sidone furono rinvenuti nel 1887 quattro sarcofagi monumentali di marmo pario, decorati da artisti greci per dinasti locali con fregi figurati a rilievo (il Sarcofago del Satrapo, il Sarcofago Licio, il Sarcofago delle Piangenti e il Sarcofago di Alessandro), insieme ad alcuni lisci, a tre con cassa liscia e ricche ornamentazioni architettoniche e a due esemplari egiziani, quello di Tabnit e quello di Eshmunazar.
Il Sarcofago del Satrapo è datato nella seconda metà del V sec. a.C. Le cornici della cassa sono ornate da un kymation ionico e lesbio. I quattro lati presentano tipiche scene di vita di un sovrano orientale (banchetto, caccia alla pantera, partenza sul carro), incorniciate da una larga banda di palmette e fiori di loto. Il Sarcofago Licio, attribuito a re Baana, è databile nell'ultimo decennio del V sec. a.C. Il coperchio imita la forma di un tetto a doppio spiovente, con acroteri ad acanto, palmette sulla sommità dei timpani e leoni recumbenti come gronde ai quattro angoli. Cornici elaborate inquadrano i margini della cassa. Rimangono tracce della ricca policromia. Sui lati lunghi sono raffigurate scene di caccia al leone e al cinghiale, che rivelano la tipica ideologia monarchica persiana alla base della committenza. Su uno dei lati corti due Centauri si contendono un cervo, l'altro mostra i Centauri che uccidono il lapita Kaineus, colpendolo sulla testa con un'anfora e un masso fino a spingerlo sottoterra. Nei timpani sono due Sfingi sedute e due Grifoni alati.
Il Sarcofago delle Piangenti, che appartiene al tipo dei "sarcofagi a colonne", è attribuito al re Straton, morto nel 359/8 a.C. Diciotto figure femminili sono raffigurate in atteggiamento di compianto sui lati, separate tra loro da colonne ioniche. Le donne mostrano differenti
posizioni, stanti o sedute sul listello a rilievo che attraversa la cassa, dando profondità alla scena. L'idea della morte è enfatizzata dal corteo funebre con carri, cavalli, animali sacrificali rappresentato sui due lati lunghi del coperchio a forma di tetto a doppio spiovente. Nei timpani è raffigurata una donna seduta su un tumulo funerario, affiancata da due giovani dolenti, e al di sopra scene di conversazione tra uomini e un piccolo acroterio centrale. Il celebre Sarcofago di Alessandro dovette essere realizzato per il re Abdalonimo, morto tra il 315 e il 312 a.C. Il coperchio è a forma di tetto. I lati lunghi della cassa, inquadrati da preziose cornici, rappresentano una battaglia tra Greci e Persiani e scene di caccia al leone e al cervo, nelle quali compare Alessandro. Sui lati corti sono un'altra scena di battaglia e una caccia alla pantera. Scene di battaglia tornano anche nei timpani. I rilievi, coperti in origine da un ricco cromatismo, rivelano attente caratterizzazioni delle figure e cura dei particolari e una calcolata composizione articolata in gruppi.
Ceramica protogeometrica - Rinvenimenti di ceramica protogeometrica, prodotta ad Atene dall'inizio dell'età del Ferro (XI sec. a.C.), sono attestati in numerosi siti dell'area greco-orientale, senza essere mai prevalenti sui manufatti locali. Solamente la necropoli di Coo ha restituito materiale sufficiente al riconoscimento di una scuola locale, attiva nel 950-850 a.C.
La decorazione richiama quella del tardo Protogeometrico e del primo Geometrico attico, rispetto ai quali ha uno scarto di cinquant'anni, ma si sono riscontrate anche affinità con la ceramica argiva e influenze cipriote. Più dipendenti dai modelli attici risultano i frammenti pubblicati da Smirne, Mileto e dalle tombe di Assarlik, Dirmil e Çömlekçi in Caria, che documentano una fase anteriore a quella di Coo (Protogeometrico antico).
Ceramica geometrica - Le attestazioni nella Grecia orientale cominciano con il medio Geometrico (850-745 a.C.) sulla base della sequenza attica, seguito dal tardo Geometrico (745-680 a.C.), che in alcuni luoghi continuò anche dopo che scuole più intraprendenti si erano volte agli stili orientalizzanti, nella seconda metà del VII sec. a.C.
Dal tardo Geometrico è possibile distinguere differenti scuole greco-orientali, sebbene con caratteri abbastanza comuni: Smirne, Chio, Samo, Mileto, Rodi e Coo. Viene ripreso il sistema decorativo attico a metope, ma non mancano prestiti dalla ceramica corinzia; motivi tipici greco-orientali sono i triangoli o le losanghe tratteggiate con uncini sporgenti e il cosiddetto "ornamento ad albero". A Samo sono attestati uccelli, cavalli e una versione della prothesis. La produzione a Chio mostra già caratteri propri: un'ingubbiatura color crema, che durante il VII sec. a.C. diviene più fine e passa al bianco puro, e figure di uomini e animali più frequenti che in altre scuole greco-orientali. Uno stile peculiare è stato riconosciuto anche in Caria e a Sardi, dove furono imitate le importazioni greco-orientali.
Coppe a uccelli, a rosette e a occhioni - Nel primo quarto del VII sec. a.C. (Subgeometrico) le coppe a uccelli si evolvono dalle kotylai, semplificando la decorazione e appiattendone la forma. In genere sono ritenute un'invenzione rodia, ma furono prodotte anche in altri centri greco-orientali ed esportate con successo.
Le coppe hanno una vasca poco profonda e labbro non distinto. La decorazione è costituita da volatili dipinti in un pannello al centro della fascia compresa tra le anse e semplici motivi geometrici. Una decorazione simile presentano le oinochoai a uccelli, prodotte a Chio, Samo, Rodi e in altre località. Intorno al 600 a.C. le coppe a uccelli furono soppiantate dalle coppe a rosette, che ripresero la forma precedente aumentando le dimensioni e sostituendo gli uccelli con una rosetta a sette punti (ultimo quarto del VII - seconda metà del VI sec. a.C.); talora le rosette sono tre, che possono essere chiuse in pannelli. Una variante è costituita dalle coppe a fiori di loto. In base alle analisi dell'argilla, la maggior parte di questi vasi fu realizzata nella Ionia del Nord, a Clazomene o nei pressi, mentre le coppe a occhioni sono attribuibili al gruppo denominato convenzionalmente Sud-Ionico 3, forse da localizzare in Eolide. La produzione di questa tipologia dura fino al primo quarto del VI sec. a.C. Non sono comuni, ma furono largamente esportate. Sono rivestite di solito da un'ingubbiatura chiara e nella fascia tra le anse presentano un paio di grandi occhi con sopracciglia e un breve naso delineato da motivi a spirale.
Stile delle Capre Selvatiche (Wild Goat Style) - Questo stile domina la produzione orientalizzante greco-orientale per circa un secolo (metà del VII - metà del VI sec. a.C.); la denominazione deriva dagli animali raffigurati con più frequenza, che allora vivevano sui monti dello Zagros. In passato era nota come "ceramica rodia", poiché Rodi, da dove provenivano i primi abbondanti rinvenimenti, era considerata il luogo di produzione, ma le analisi dell'argilla hanno contraddetto questa teoria.
I vasi, attestati in varie forme, mostrano un'ingubbiatura crema-biancastra. La decorazione è costituita da fregi sovrapposti con teorie di animali (capre, cani, leoni, sfingi, grifi, lepri e più raramente cinghiali, arieti e volpi) e una profusione di ornamenti riempitivi di vario genere, che suggeriscono modelli tessili. Le figure sono disegnate con la linea nera di contorno e rese a risparmio, senza uso di incisione, con aggiunte in bianco e porpora. La periodizzazione tradizionale distingue tre fasi: antica, media e tarda, con ulteriori suddivisioni interne. Una classificazione alternativa, seguita soprattutto dagli studiosi tedeschi, individua i gruppi di Camiro, Euphorbos e Vlastos. Le officine dello stile antico (650-640 a.C.) e del medio I (640-625 a.C.) sono localizzate nella Ionia meridionale. Il centro principale era Mileto, cui le analisi dell'argilla attribuiscono lo stile medio II (625-600 a.C.). Scuole secondarie sono state riconosciute a Efeso e Chio ed è stato individuato anche il gruppo Sud-Ionico 3, forse attivo in Eolide. Non sappiamo con certezza se alla fine del VII sec. a.C. Mileto cessò la produzione o, più verosimilmente, la continuò fino alla metà del VI sec. a.C., con prodotti sempre più scadenti, destinati quasi esclusivamente al mercato interno.
Per lo stile tardo (610 a.C. - seconda metà del VI sec. a.C.), le analisi dell'argilla hanno permesso di individuare due centri di produzione nella Ionia settentrionale, strettamente legati, ma che impiegano tipi di argilla differenti: Clazomene e un gruppo provvisoriamente detto Nord-Ionico 2, da localizzare a Teos o a Clazomene stessa. Lo stile tardo si distingue per l'impiego della tecnica a figure nere, sebbene in concorrenza con quella a risparmio, e il frequente uso di incisioni e fu anch'esso notevolmente esportato. Versioni locali dello stile medio delle Capre Selvatiche sono state individuate in Eolide (Pitane e Larisa), in Lidia (Sardi), in area dorica (Calimno e Coo) e in Caria, dove le imitazioni si datano dal 600 a.C., fin quando presumibilmente continuò il Subgeometrico locale, alla metà del VI sec. a.C. La maggior parte dei rinvenimenti viene dalla necropoli di Damlıboğaz, presso Mylasa, che per ora è considerata il centro di fabbricazione. La produzione si distingue per la predilezione per alcuni animali (oche, cani e capre), riempitivi (barrette e meandri) e forme (oinochoe con bocca trilobata).
Coppe ioniche - Queste coppe sono decorate con bande orizzontali di vernice nera alternate a fasce risparmiate, all'interno e all'esterno. Le analisi dell'argilla hanno dimostrato che Samo e Mileto erano importanti centri di produzione; altre officine dovevano essere attive nella Ionia meridionale e forse in Eolide (gruppo cd. Sud-Ionico 3). Le coppe ioniche, prodotte dall'ultimo quarto del VII al VI sec. a.C., furono esportate nel Mediterraneo orientale, nel Mar Nero e in Occidente.
Tra i vari sistemi di classificazione proposti, i più noti sono quelli di G. Vallet e F. Villard del 1955 (che individuarono cinque tipi: A1, A2, B1, B2 e B3) e di J. Hayes (che distinse i tipi I-XI e un gruppo samio). Le coppe ioniche differiscono per dimensioni, profondità e profilo della vasca e nell'altezza del piede; il labbro è in genere breve. Un piccolo gruppo, dalla forma molto raffinata, con pareti sottili, fa uso di bande colorate, bianche e porpora (ultimo terzo del VII sec. a.C.). Un gruppo più ampio predilige sottili linee color porpora (ultimo quarto del VII - inizi del VI sec. a.C.). Una variante, riconoscibile per il labbro a strisce, è diffusa a Samo.
Stile di Fikellura - L'analisi dell'argilla e la frequenza dei rinvenimenti indicano Mileto come luogo di fabbricazione di questo stile a figure nere, che prende il nome da una località di Rodi dove furono effettuati i primi ritrovamenti (560-494 a.C.). La produzione si sviluppa dallo stile delle Capre Selvatiche medio I, cui rimandano argilla, ingubbiatura, vernice e l'impiego della tecnica a risparmio, senza incisione, anche se le teste delle figure non sono più delineate a contorno; l'incarnato femminile è nero come quello degli uomini.
La forma più diffusa è l'anfora, ma sono caratteristici anche amphoriskoi dalla forma allungata e oinochoai. La scena principale si sposta progressivamente dalla spalla al ventre del vaso. Alla fauna tradizionale dello stile delle Capre Selvatiche si aggiunge la pernice. Le figure umane sono frequenti: per lo più comasti danzanti, ma anche banchetti e qualche soggetto mitologico. I riempitivi sono piccoli e radi. Sul vaso sono distribuiti semplici ornamenti: doppia treccia o meandro, sul collo; volute, fiori di loto, tralci di edera, palmette, squame, raggi, bande di crescenti, ecc., sul corpo. Sono stati distinti vari pittori. Imitazioni locali dello stile furono realizzate sul Mar Nero (Histria e Olbia) e in Caria, come mostrano i rinvenimenti da Damlıboğaz e dai santuari di Sinuri e Labraunda (datati alla seconda metà del VI sec. a.C.).
Coppe ioniche dei Piccoli Maestri - La produzione, documentata dal 560-550 al 525 a.C. circa, è attribuita a Mileto e a Samo: alcuni intraprendenti ceramisti greco-orientali svilupparono la forma delle coppe ioniche e imitarono i nuovi tipi prodotti ad Atene. Non è ricostruibile una scuola coerente ed è possibile che questi pittori lavorassero separatamente e che non dipingessero solo coppe.
La decorazione non segue regole ferree: può essere sull'esterno o all'interno del labbro, nella fascia tra le anse o nell'interno, dipinto interamente o con un tondo centrale. Il repertorio include figure umane impegnate in varie attività, animali affrontati o in fila, delfini che nuotano. Il labbro è ornato da steli con foglie di edera e mirto su entrambi i lati. In una rara variante, nella zona delle anse compaiono ornamenti plastici (astragali, teste di toro, mani). A parte alcuni esemplari, come la famosa coppa con l'uomo tra tralci vegetali (al Louvre, metà del VI sec. a.C.), che mostrano piena aderenza allo stile di Fikellura, con i dettagli interni resi a risparmio, l'uso dell'incisione è normale.
Ceramica di Clazomene - Dallo stile tardo delle Capre Selvatiche nel secondo quarto del VI sec. a.C. si sviluppò nella Ionia settentrionale uno stile a figure nere denominato "di Clazomene", cui va attribuita effettivamente una parte dei vasi, per le analisi dell'argilla. Gruppi affini sono assegnati a Focea, Erythrai e Teos. La produzione è databile dal 560 al 510 a.C. e conosce un'ampia diffusione in Oriente e in Egitto.
Sono abbondanti le lumeggiature in porpora e soprattutto in bianco, spesso steso direttamente sull'argilla. I dettagli interni e i contorni vengono solitamente incisi, come nei modelli attici, mentre sul bianco spesso sono verniciati. La decorazione copre l'intera superficie del vaso, compreso il piede e il labbro. La scena principale raffigura spesso una teoria di donne ammantate, in processione o che si tengono per mano in una danza. Esemplari più avanzati mostrano soggetti più ambiziosi: comasti, Satiri e Menadi, cavalieri, battaglie con carri, protomi di cavallo e scene mitologiche, tra cui Odisseo e Circe, Edipo e la Sfinge, Prometeo ed Efesto. I riempitivi sono stati abbandonati. In alternativa, il corpo può essere decorato a piccole squame colorate. Nei campi secondari (su collo, spalla e parte inferiore del corpo) ricorrono figure di comasti, Sirene, Sfingi, gru in volo, che mostrano uno spettacolare contrasto tra parti bianche e nere, cigni ad ali spiegate, animali dello stile delle Capre Selvatiche, galli di tipo attico. Un cratere a colonnette è decorato con un cammello, forse il primo nell'arte greca. Gli ornamenti accessori comprendono file di crescenti e lingue, a colori alternati, trecce, punti, gocce e larghe bande di vernice nera alleggerite da strisce porpora. Sono state riconosciute varie officine.
Vasi decorati a bande - La decorazione a bande è caratteristica dei lydia, prodotti nella parte meridionale della regione greco-orientale, in Lidia, ma anche in Attica, Laconia, nelle colonie d'Occidente e in Etruria (metà - fine del VI sec. a.C.). La stessa decorazione si trova su anfore di fine qualità, alabastra, vasi ad anello con beccuccio verticale e askòi, prodotti probabilmente nella Ionia del Nord e ampiamente esportati e imitati nel VI sec. a.C.
Grey Ware o "bucchero eolico" e "bucchero rodio"- In Eolide, i Greci adottarono la tecnica della ceramica grigia di tradizione anatolica. La superficie dei vasi, cotti fino ad arrivare a un colore grigio chiaro, è spesso lisciata o ricoperta con uno strato di argilla più fine, raramente decorata a incisione o a rilievo. La produzione continuò dall'età del Ferro all'età ellenistica.
Rinvenimenti di Grey Ware sono attestati a Lesbo, a Troia e in altri siti della Troade, a Pergamo, Myrina, Larisa, Focea e Smirne (fino al VII sec. a.C.). Sono state ipotizzate produzioni locali sulla base di differenze nell'argilla, ma al momento i dati pubblicati non sono sufficienti per conclusioni sicure. Nei pochi esemplari decorati è incisa una linea o un gruppo di linee ondulate; alcuni pezzi dell'VIII-VII sec. a.C. presentano meandri e triangoli tratteggiati; su frammenti più tardi da Mitilene sono raffigurati schematici animali. La decorazione a rilievo, costituita da piccole protuberanze, è nota soprattutto dal deposito votivo di Larisa e può essere una peculiarità dell'Eolide meridionale. Si trovano anche figure modellate e qualche impronta di sigillo. Una produzione minore, denominata "bucchero rodio" dal materiale proveniente da Rodi, tecnicamente simile alla Grey Ware eolica, ma con la superficie più scura, è localizzabile nell'area meridionale della Grecia orientale a giudicare dalla distribuzione dei rinvenimenti (tardo VII - primo VI sec. a.C.). I vasi possono essere decorati con costolature verticali, linee incise intorno al corpo o con boccioli di loto dipinti in bianco e porpora.
Anfore da trasporto - In passato, sotto la denominazione di "anfore ioniche" era compresa una serie eterogenea di contenitori da trasporto, che includeva anche manufatti della Grecia propria e delle colonie d'Occidente. Attualmente si preferisce parlare di "anfore greco-orientali". Erano utilizzate per il trasporto di generi alimentari (vino, olio d'oliva e pesce) e si diffusero a partire dall'età arcaica in tutto il Mediterraneo.
Le analisi delle argille e le recenti indagini archeologiche hanno permesso di distinguere numerose classi, spesso attribuibili a una determinata area di produzione: sono state riconosciute anfore realizzate a Lesbo, Chio, Clazomene, Samo e Mileto. La forte disparità che si osserva nella distribuzione di questi contenitori greco-orientali dipende da fattori come l'origine dei coloni, i rapporti con le popolazioni locali, la distanza geografica, le condizioni economiche e politiche e la regolarità dei traffici commerciali. Le anfore di Samo e Mileto risultano più diffuse in Sicilia e in Etruria (forse perché contenevano olio), mentre nel Mar Nero predominano i prodotti di Chio, seguiti da quelli di Lesbo e Clazomene, conformemente a una maggiore richiesta di vino.
Ceramica a rilievo - In età ellenistica si diffonde in tutta l'area greca la ceramica decorata a rilievo, con l'impiego di matrici e punzoni (fine del III - metà del I sec. a.C.). La forma più diffusa era quella delle coppe emisferiche (già definite "megaresi"), ma venivano realizzate anche altre tipologie di vasi e utensili.
La decorazione, distribuita su fregi sovrapposti, presenta motivi molto vari. Nella Grecia orientale si afferma una produzione cosiddetta "ionica", particolarmente intensa nel II sec. a.C., che si distingue per particolarità nella forma e nel repertorio ornamentale, privilegiante motivi geometrici, vegetali e temi omerici. Le officine principali sono localizzate a Pergamo, Myrina, Efeso, Samo, Mileto e Rodi.
Pittura - Il primo pittore noto della Grecia orientale è Boularchos, autore di un quadro che raffigurava la distruzione di Magnesia al Meandro (Plin., Nat. hist., VII, 125; XXXV, 55). Se la scena si riferiva alla caduta della città a opera di Treri e Cimmeri (metà del VII sec. a.C.), sarebbe contraddetta la datazione di Plinio, che collocava l'opera al tempo di Romolo e affermava che il re lidio Candaule, l'ultimo della dinastia degli Eraclidi prima di Gige (690-680 a.C. ca.), l'aveva acquistata a peso d'oro. Al VI sec. a.C. risalgono interessanti testimonianze dell'attività di pittori ionici in Asia Minore, anche nelle regioni interne di Licia e Frigia.
Nella cosiddetta Casa Dipinta di Gordion sono stati rinvenuti frammenti di affreschi, dai quali si è ricostruito un fregio continuo con scene di banchetto che si sviluppava sulle pareti nord, sud e forse est; la pittura è a tempera, con disegno preparatorio in rosso. I frammenti raffigurano gruppi di donne che portano vasi, con i volti resi di profilo, ma gli occhi frontali dalle lunghe ciglia, incarnato bianco, elaborati copricapi e vesti colorate; una figura che rivolge un gesto di saluto a un giovane, forse a lato di una porta, e un'altra che solleva la mano verso la bocca, in un atteggiamento di imbarazzo o supplica. Sempre in Frigia, nel tumulo di Tatarli sono state messe in luce assi di legno di ginepro, dipinte su registri sovrapposti: nel frontone, leoni affrontati in posa araldica; nel fregio sottostante, due coppie di opliti in corsa inginocchiata, impegnati in combattimento o nella danza in armi; sotto ancora, un corteo di tre carri, guidato da due grandi uomini che avanzano ad ampi passi (seconda metà del VI sec. a.C.).
Larisa ha restituito lastre architettoniche fittili decorate a rilievo e solo dipinte, tra cui una con un profilo maschile a linea di contorno, dalla barba a punta e piccoli baffi. Una lastra di pietra frammentaria, con incisioni preparatorie alla pittura, dal Tesoro degli Achemenidi di Persepoli, raffigura l'episodio mitico della contesa di Apollo ed Eracle per il tripode alla presenza di Artemide e per lo stile può essere ricondotta ad artisti ionici (500 a.C. ca.), così come gli animali e le teste umane incisi sul piede di una statua colossale di pietra, sempre da Persepoli. Le pitture tombali rinvenute in Licia, presso Elmalı, documentano la cultura composita della regione e presentano singolari analogie, ancora non del tutto chiarite, con la pittura etrusca. Le pareti della tomba a camera in un tumulo a Kızılbel erano dipinte con fregi figurati sovrapposti in uno stile misto, greco-orientale e anatolico (525 a.C. ca.). Ai temi mitologici di derivazione greca (le Gorgoni e Medusa con i figli, Pegaso e Chrysaor, e l'agguato di Achille a Troilo), si accompagnano scene di vita della classe dirigente locale, che emulava l'aristocrazia persiana: il banchetto del defunto, una supplica a un dignitario seduto, armamento e partenza di guerrieri, una navigazione, sacrifici, processioni di donne, carri e cavalieri, agoni sportivi, cacce al cervo, al cinghiale e al leone.
Le pitture dei tumuli lidi di Uşak, nella valle dell'Ermo (tra le quali un bel volto femminile di profilo che annusa un fiore), mostrano legami con quelle frigie e licie e pertanto la stretta connessione delle culture anatoliche nel VI sec. a.C. Più tarda è la tomba di Karaburun, nel tumulo II presso Elmalı (470 a.C. ca.). Sulle pareti sono raffigurati: il banchetto del defunto recumbente sulla kline, con la moglie e i servitori, una scena di battaglia e un corteo di carri. Si osservano crescenti influssi persiani nell'abbigliamento del defunto, nell'iconografia della moglie con profumo e fazzoletto e nel vasellame metallico raffigurato. La tavolozza di colori appare più varia rispetto alle pitture precedenti. Due klinai di marmo riccamente dipinte sono state rinvenute nella camera funeraria all'interno del Tumulo Dedetepe, scavato nel 1994 in Troade (480-460 a.C.). Entrambe presentano lo stesso schema decorativo, costituito da motivi geometrici, vegetali e capitelli ionici, sulla testata e sulla base del letto. Il confronto migliore è offerto forse dalle klinai di pietra del Tumulo Aketepe in Lidia, di epoca tardoarcaica, sebbene la serie dei colori attestata a Dedetepe sia più ricca (rosso, blu, verde, giallo e nero).
Al tardo V sec. a.C. risale il disegno scoperto nei cassettoni del soffitto del Monumento delle Nereidi di Xanthos, che raffigura una testa femminile resa di trequarti. Rimangono tracce di foglie o fiori e di una serie di astragali e di un kymation ionico sulla cornice. L'impiego della linea pura richiama la maniera di Parrasio di Efeso, pittore celebre per la sicurezza del tratto e la capacità di esaltare il volume delle figure con il solo disegno (attivo ad Atene nella seconda metà del V sec. a.C.). Di origine microasiatica era anche il più famoso pittore dell'Ellenismo, Apelle di Colofone, attivo a partire dal 360 a.C. La sua akmè, posta negli anni 332-329 a.C., corrisponde al periodo in cui fu al servizio di Alessandro Magno, che seguì in Asia come ritrattista ufficiale. Dopo la battaglia del Granico, dipinse il celebre quadro di Alessandro-Zeus per il santuario di Artemide a Efeso, una copia del quale è stata riconosciuta in una pittura della Casa dei Vettii di Pompei. Dalla Grecia orientale provenivano anche Aetion, cui le fonti attribuiscono un dipinto con le Nozze di Alessandro e Rossane, e Theon di Samo, pittore attivo alla corte di Macedonia sotto Demetrio Poliorcete, del quale era famoso un quadro con oplita avanzante.
Sul Sarcofago di Alessandro da Sidone (ultimo quarto del IV sec. a.C.), oltre alla rifinitura policroma dei rilievi comparivano anche scene solo dipinte, come quella di sapore prettamente persiano all'interno di uno scudo, che raffigura un'udienza presso il Gran Re. Dalla necropoli di Sidone proviene anche una serie di stele dipinte (al Museo di Istanbul). Alcuni esemplari appartenevano a mercenari greci che servirono nelle armate dei re seleucidi (ad es., la stele di Dioskourides). Pitture del I stile orientale, che riproducono l'articolazione architettonica di uno spazio in zone sovrapposte, sono state rinvenute ad Assos, Pergamo (Palazzo IV), Erythrai, Colofone, Magnesia al Meandro, Priene, Mileto, Alicarnasso e Cnido.
Mosaici - Mosaici a ciottoli sono attestati nelle città microasiatiche nel primo Ellenismo, dopo gli esempi arcaici di Gordion (ad es., ad Assos, nella cella del tempio di Atena e nel bouleuterion; a Pergamo, nell'Asklepieion; a Kyme; a Erythrai e a Tarso). Il mosaico tessellato compare nel III sec. a.C. e nel corso del II secolo sostituisce il mosaico a ciottoli. In questi pavimenti, fasce decorative a meandri, ovoli, dentelli, rese con effetto illusionistico plastico, inquadravano un pannello centrale con scena figurata. Dal II sec. a.C. si diffonde anche l'opus vermiculatum, con tessere finissime.
Gli scavi di Pergamo hanno restituito esemplari significativi, come il mosaico di Hephaistion, dalla sala dei banchetti del Palazzo V (prima metà del II sec. a.C.). Il riquadro centrale è andato perduto, a parte la firma del mosaicista, Hephaistion, apposta entro un cartiglio. Rimangono le cornici concentriche: la più esterna con motivo a merli, quelle interne con meandro prospettico, onde, doppia treccia e uno splendido fregio policromo con tralci vegetali animati da fiori, frutti, animali ed Eroti. Dalla cosiddetta Stanza dell'Altare del complesso palaziale pergameno, forse dedicata a Dioniso, provengono resti di un mosaico con maschere teatrali e una grande composizione rettangolare, delimitata da una doppia cornice a motivi geometrici, fermata da quattro fiori agli angoli. Il campo centrale era diviso in fasce orizzontali: quella inferiore decorata da un fregio di ghirlande strette da tenie, cariche di foglie e frutti e popolate di volatili e farfalle; lo stesso motivo doveva ripetersi nella fascia più alta, perduta, mentre nella zona centrale due pinakes, uno dei quali conserva un pappagallo su sfondo scuro, erano disposti ai lati di un'ampia scena figurata, perduta.
Le fonti ricordano Sosos come autore di mosaici a Pergamo, tra i quali il famoso asaratos oikos, un pavimento con le immagini di resti di un banchetto non spazzati, e le colombe che si specchiano nell'acqua di un vaso (fine del III-II sec. a.C.). Un soggetto simile è documentato in un mosaico tardoellenistico dalla casa del console Attalo, con uccellini che bevono da un vaso in una scena di giardino, meandro prospettico e dadi a rilievo. Altri mosaici tardoellenistici provengono da Alicarnasso, dal Letoon di Xanthos e da Samosata. La firma di Dioskourides di Samo (II-I sec. a.C.) compare su due emblemata a mosaico con scene della Commedia Nuova dalla Villa di Cicerone di Pompei (al Museo Archeologico Nazionale di Napoli).
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Urbanistica:
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Mausoleo di Belevi:
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Sui bronzi:
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di Poul Pedersen
Città (gr. ῾ΑλιϰαϱνασσόϚ; lat. Halicarnassus) tra le maggiori della Caria, situata sul versante sud-occidentale dell'Asia Minore presso l'odierna Bodrum (Turchia).
Si ritiene che A. sia stata fondata dai Dori peloponnesiaci di Trezene alla fine del II millennio a.C. (Strab., XIV, 656). Non restano tracce della città di tale epoca, ma a Müsgebi (7 km ca. a ovest di A.) è stata esplorata un'importante necropoli del Tardo Miceneo da Y. Boysal; nella medesima zona sono state altresì rinvenute tombe di età protogeometrica. In età arcaica mercenari della Caria furono impegnati in Egitto, poiché A. aveva interessi economici nella città greca di Naukratis. Inizialmente A. appartenne all'Esapoli dorica, ne venne poi esclusa presumibilmente a causa del suo carattere più marcatamente ionico. Benché la lingua e le tradizioni sia locali, dei Carii e dei Lelegi, sia persiane dovettero avere una certa importanza nel contesto culturale di A., è innegabile che l'influenza predominante fu di ambito greco. Come il resto dell'Asia Minore, la Caria cadde sotto il dominio della Lidia intorno al 560 a.C. e nel 546 a.C. divenne parte dell'impero persiano. Dal punto di vista archeologico, il periodo arcaico è rappresentato da scarsi e quasi casuali rinvenimenti di ceramica e di elementi scultorei e architettonici. La prosperità di A. ebbe inizio nella prima metà del V sec. a.C.: la città era governata dal concilio di Salmacide e di A. insieme a dinasti locali, come la prima regina Artemisia, che nel 480 a.C. combatté con Serse a Salamina. Per qualche tempo dopo le guerre persiane A. fece parte della Lega delia, a cui però contribuì in modo non adeguato al suo rango.
Il periodo in cui A. acquisì maggiore importanza fu il IV sec. a.C., quando, nel 392 a.C., Hekatomnos di Mylasa divenne satrapo di Caria. A. raggiunse l'apice del suo sviluppo nei decenni immediatamente posteriori al 377 a.C., quando Mausolo subentrò al padre ed elesse A. come nuova capitale. Durante il regno di Mausolo, affiancato nel governo dalle sorelle Artemisia e Ada e dai fratelli Idrieus e Pixodaros, fiorì il cosiddetto "rinascimento ionico", che grande influenza doveva esercitare nell'età ellenistica e romana. Ada, che fu estromessa dal governo dal fratello minore Pixodaros, adottò Alessandro nel 334 a.C.; nello stesso anno quest'ultimo cinse A. d'assedio (Arr., Anab., I, 20; Diod. Sic., XII, 23) e riportò Ada al comando della satrapia, che detenne per diversi anni. Per gran parte del III sec. a.C. la città fu soggetta alla supremazia dei Tolemei, che consentirono agli abitanti di A. di erigere un ginnasio; iscrizioni testimoniano che a essi fu dedicata una stoà. A. riacquistò l'indipendenza nel 197 a.C., quindi nel 129 a.C. entrò a far parte della provincia romana d'Asia. Nei primi anni del I sec. a.C. A. fu saccheggiata da pirati e forse da Verre. Successivamente attraversò un periodo di pace durante il governo del proconsole d'Asia Q. Tullio Cicerone, come testimoniano le sue lettere al fratello M. Tullio Cicerone. Se la città non sembra avere avuto particolare importanza in epoca imperiale, i rinvenimenti archeologici testimoniano invece una certa prosperità nella Tarda Antichità.
Gli aspetti più noti della topografia di A. sono quelli riferibili alla risistemazione del IV sec. a.C.; è tuttavia possibile farsi un'idea del suo aspetto nella prima metà del V sec. a.C., quando la città godé di una considerevole fioritura culturale. Un'iscrizione di questo periodo reca un decreto emesso dagli Alicarnassesi, dai Salmacidi e da Ligdami (l'ultimo tiranno della dinastia). Sembra che A. nel V sec. a.C. fosse una "doppia-città" come attestato anche dalle evidenze archeologiche. Scavi nell'area del Mausoleo testimoniano la presenza di importanti tombe già prima del IV sec. a.C.; forse questo sepolcreto separava a est il quartiere greco da un quartiere di origini carie, Salmacide, situato più a ovest nei pressi dell'omonima fontana. Il santuario di Demetra nella parte orientale della città esisteva probabilmente già in questo periodo, come sembra confermare la datazione al V sec. a.C. di alcune terrecotte ivi rinvenute da C.T. Newton. Alcuni pregevoli frammenti architettonici appartenenti a uno o più edifici ionici della prima metà del V sec. a.C. evidenziano una stretta relazione con l'architettura di Samo, in particolare con il tempio di Policrate, e sono forse da porre in relazione con il santuario di Apollo della penisola di Zephyrion. Non sono state rinvenute tracce delle fortificazioni arcaiche e di quelle del V sec. a.C.
Probabilmente Mausolo stabilì la residenza dinastica ad A. agli inizi del suo regno. Il progetto per la nuova capitale fu di vastissima scala; questo gli consentì di proclamarsi heros ktistes e di fare erigere la sua tomba monumentale al centro della città. A. ebbe un nuovo piano urbanistico e fu racchiusa da una possente cinta muraria; per raggiungere una popolazione adeguata alle nuove strutture vi vennero trasferiti gli abitanti di sei città limitrofe. La rifondazione di A. definì l'assetto topografico della città per il resto dell'antichità e ancora oggi il suo impianto viario sopravvive in larga parte in quello di Bodrum.
L'intensa attività edilizia intrapresa sia ad A. sia in altre località della Caria (Labraunda, Amyzon, Priene) da Pytheos e da altri architetti durante il regno della dinastia ecatomnide è stata definita nel suo complesso "rinascimento ionico". Dal punto di vista della tecnica trae ispirazione dalle contemporanee realizzazioni architettoniche della Grecia continentale, ma nell'estetica e nel gusto esso dipende dallo stile ionico arcaico dell'Asia Minore occidentale. Tale indirizzo artistico costituì un'importante fonte di ispirazione per Hermogenes e per altri architetti microasiatici, nonché per Vitruvio, il quale cita Pytheos tra i suoi riferimenti. La descrizione di A. data dall'architetto romano (Vitr., II, 8) è di cruciale importanza per lo studio topografico della città. Egli, infatti, paragonando la forma dell'impianto urbano a quella di un teatro, così la illustra: il foro (agorà) si trova presso la baia, al livello più basso, appunto come l'orchestra di un teatro. In mezzo alla curva ascendente della "cavea" è una larga strada (platea), che ricorda la praecinctio di un teatro. Al centro di quest'ultima si trova il celebre Mausoleo, la cui eccezionale realizzazione lo colloca tra le Sette Meraviglie del Mondo. Alla sommità dell'acropoli (forse da intendersi come il punto mediano superiore di un immaginario arco della cavea) è un santuario di Ares, con un acrolito colossale opera di Leochares o di Timotheos. All'estremità destra della sommità della cavea di tale immaginario teatro è un santuario dedicato a Venere e a Mercurio, presso la fontana di Salmacide. Vitruvio descrive poi il palazzo reale costruito secondo il progetto di Mausolo stesso. Egli riferisce come dal palazzo si potesse godere la vista del foro, della baia e dell'intero circuito delle mura urbiche verso destra. A sinistra si trova un approdo segreto, protetto dalle rocce e nascosto alla vista.
Le fortificazioni menzionate da Vitruvio, e più in dettaglio da Arriano e da Diodoro Siculo nel resoconto dell'assedio di A. da parte di Alessandro Magno, possono ancora essere seguite per gran parte del loro sviluppo. Il sistema difensivo era costituito sostanzialmente da due possenti fortezze, una per ciascun lato della baia, collegate da mura che descrivevano all'incirca la forma di un ferro di cavallo, sfruttando ogni elemento di difesa e di protezione naturale per un'estensione di 6-7 km circa. Le due fortezze, Salmacide a ovest e Zephyrion a est, devono essere le due acropoli menzionate da Arriano e senza dubbio esse erano usate come piazzeforti dai soldati persiani quando, nel 334 a.C., Alessandro lasciò la città con il grosso dell'esercito. La parte meridionale del circuito delle mura urbiche è completamente perduta, ma è probabile che il loro tracciato seguisse, su questo lato, il letto del fiume fino al mare prima di piegare verso sud-ovest, tagliando un'altura per congiungersi poco oltre con la fortezza di Zephyrion. Le due porte principali della città erano quelle di Mylasa a est e quella di Myndos, l'unica conservata, a ovest. Quest'ultima era dotata di due torri aggettanti rispetto al profilo delle mura, in modo da formare una piccola corte protetta.
Le necropoli della città si trovano esternamente alle due principali porte di accesso, a est e a ovest. La necropoli orientale, adiacente alla strada di Mylasa per il tratto compreso tra il passo montano e la porta, è la più rilevante. Gli scavi di Newton hanno evidenziato tombe di tipo e di epoche diversi. Un'importante sepoltura (detta Tomba di una Principessa di Caria), contenente un ricco corredo di gioielli, è stata rinvenuta nel 1989; databile al tardo IV sec. a.C., potrebbe appartenere a un membro della dinastia ecatomnide.
Quando Mausolo rifondò A. nel 370 a.C. circa, venne realizzato un piano urbanistico e viario ortogonale comparabile a quello di Rodi e di Priene. La via principale, la platea menzionata da Vitruvio, è stata localizzata subito a nord della vasta terrazza del Mausoleo: orientata in direzione est-ovest, è larga 15 m e termina a ovest nella porta di Myndos. È indubbio che già nella fase iniziale della progettazione urbanistica fossero ricavate aree per importanti strutture come l'agorà, il Mausoleo e il santuario di Ares. I pozzi e le cisterne antiche, collegati da cunicoli, sono ancora in uso in alcune zone della città moderna, così come tuttora esistono gallerie sotterranee scavate nella roccia che potrebbero essere quanto resta di antichi acquedotti. L'agorà doveva essere situata vicino alla baia, al centro della città; tale ipotesi è rafforzata dalla scoperta di un frammento dell'Editto dei Prezzi dioclezianeo a est della terrazza del Mausoleo.
Il santuario dedicato ad Ares (o a Marte) è citato da Vitruvio; benché il passo vitruviano non trovi facile riscontro nella topografia della zona, sulla base della nota similitudine che l'autore stabilisce con la struttura di un teatro è tuttavia possibile ipotizzare che la costruzione si trovasse in una posizione paragonabile a quella del punto centrale della curva superiore di una cavea. È pressoché certa la localizzazione del santuario su un vasto terrazzamento nella parte settentrionale della città. Come quella del Mausoleo, questa piattaforma ha una larghezza di 105 m circa; di essa si conserva, nell'angolo nord, un tratto del muro di contenimento di conci bugnati. La ricostruzione del tempio suggerita da W.R. Lethaby (1915) prevede un prostilo a quattro colonne, ma è più probabile che l'edificio riprendesse, in scala minore, il tempio di Atena a Priene.
La menzione vitruviana di un santuario dedicato a Hermes e ad Afrodite (o a Mercurio e a Venere) sulla sommità destra del distretto di Salmacide non è, per ora, suffragata dalla ricerca archeologica. La citazione suggerisce, poi, che il palazzo si trovasse sulla penisola rocciosa di Zephyrion, dov'è ora il castello crociato di S. Pietro; Newton ritiene invece che esso fosse posto su un'altura più all'interno. La muratura dell'edificio era forse realizzata in mattoni crudi con finitura di intonaco traslucido e rivestita da sottili lastre marmoree. Scavi recenti nella penisola di Zephyrion hanno portato alla luce resti architettonici attribuibili al palazzo. Particolare è un vasto terrazzamento prospiciente la baia verso ovest, che sostiene una serie di ambienti di dimensioni diverse, disposti ad angolo retto rispetto al muro di terrazzamento e a livelli sfalsati per seguire la conformazione della roccia. Se un tempio di Apollo fosse esistito già agli inizi dell'età classica, come prima ipotizzato, esso probabilmente sarebbe rimasto intatto anche dopo la costruzione del palazzo di Mausolo. Il porto segreto del palazzo potrebbe rintracciarsi in una porzione di terreno di fronte al terrazzamento, il cui livello consentiva l'accesso sia dal mare sia dalla baia principale. In tal caso esso non doveva essere di vaste proporzioni. In alternativa, l'approdo va ricercato in quel tratto orientale della baia dove ancora si trova un molo parzialmente sommerso, in posizione speculare rispetto alla descrizione datane da Vitruvio. Un santuario di Demetra, già menzionato anticamente, fu localizzato da Newton in un'area a est e distante 300 m circa dal Mausoleo. Egli scavò alcune fondazioni orientate sia secondo l'andamento della pianta della città sia secondo un asse disposto da nord-ovest a sud-est.
Circa 200 m a nord del presunto santuario di Demetra si trovano le rovine di una chiesa e di un piccolo monastero denominato Haghia Marina da Newton. Egli vi condusse scavi limitati in un'area all'interno di una piccola terrazza racchiusa da robuste mura di contenimento in conci bugnati, che hanno restituito frammenti di intonaco con affreschi e parti di mosaici riconducibili all'età ellenistica. Iscrizioni presenti su alcuni blocchi delle mura hanno suggerito che l'edificio in questione fosse un ginnasio, ma tale ipotesi appare improbabile. La presenza di frammenti di basi e di rocchi di colonna (diam. 75-80 cm ca.), di un capitello ionico e di alcune antefisse di marmo bianco di pregevole fattura testimonia l'esistenza in quest'area di un tempio di tarda età classica, la cui localizzazione è tuttora incerta. Il gymnasium di A. andrebbe identificato con la stoà dorica, che si trova 100 m circa a ovest della zona di Haghia Marina.
Lo stadio, rinvenuto nel 1988, è stato oggetto di indagini da parte del Museo di Bodrum sul lato orientale. L'orientamento dello stadio differisce da quello dell'impianto urbano. Negli anni Settanta del Novecento scavi diretti da Ü. Serdaroğlu hanno rinvenuto la skenè e l'auditorium del teatro di A. in buono stato di conservazione. La costruzione, che aveva 53 ordini di sedili di pietra e un diametro di 110 m circa, era fondamentalmente di tipo ellenistico, benché la sua costruzione risalga probabilmente al IV sec. a.C. Sono documentate diverse fasi edilizie; in età romana la scena venne abbellita da una fronte di marmo, ricavata forse dal temenos del Mausoleo.
L'architettura domestica del periodo classico ed ellenistico in A. è rappresentata da una struttura muraria in conci bugnati, orientata in senso est-ovest. Al periodo ellenistico appartengono i resti di una casa nella zona occidentale della città. Più numerosi sono i resti di abitazioni di epoca tardoromana con pavimenti musivi, a testimonianza della fioritura di A. anche nella Tarda Antichità. Una casa di vaste proporzioni, databile al V sec. d.C., fu rinvenuta da Newton nella zona occidentale di A. Una porzione più vasta dello stesso edificio è stata nuovamente indagata tra il 1990 e il 1994 sotto la direzione di B. Poulsen. L'abitazione occupava un'area di 2000 m2 circa: gran parte degli ambienti era abbellita da mosaici policromi, alcuni dei quali ancora in situ, altri ora al British Museum. Le rovine di una villa romana, situata presso la costa, giacciono semisommerse sul versante orientale della collina di Salmacide; a essa sembra appartenere una stoà che si estende lungo il mare, sulla cui riva è ancora visibile un mosaico in bianco e nero con delfini. Un'interessante iscrizione qui scoperta nel 1995 suggerisce che questi resti potrebbero essere relativi alla fontana di Salmacide.
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di Marcello Spanu
Antica città, dal nome in parte semitico e in parte greco (τὰ Δοῦϱα, ΕὔϱωποϚ), situata sulla riva destra dell'Eufrate; fu fondata agli inizi dell'età ellenistica da un Nicanore (Isid. Char., I, 428), personaggio da identificare con un satrapo non altrimenti noto, se non con lo stesso Seleuco I Nicatore.
Attorno alla fine del II sec. a.C. D.-E. fu conquistata dai Parti; occupata per un breve periodo in occasione della spedizione di Traiano, la città fu quindi presa nel 165 d.C. da Lucio Vero, costituendo uno dei principali avamposti del limes orientale, sino alla sua distruzione avvenuta poco dopo il 256 d.C. per mano dei Sasanidi. In seguito essa non fu più occupata stabilmente: nel IV secolo Giuliano l'Apostata, nel corso della sua fatale spedizione contro i Persiani, ebbe modo di cacciare presso le rovine di D.-E. un leone (Amm. Marc., XXIII, 5, 8). Il sito è stato oggetto di scavi estesi negli anni Venti e Trenta del Novecento (1922-1923: F. Cumont; 1928-1936: Yale University), che hanno messo in luce buona parte dell'area urbana, con la scoperta di importanti testimonianze scultoree, pittoriche e papiracee che hanno contribuito in modo rilevante a delineare il panorama storico e storico-artistico dell'area orientale dell'Impero romano.
Della prima fase della città non sussistono grandi evidenze monumentali: della fondazione ellenistica rimane essenzialmente l'impianto urbanistico regolare, con isolati rettangolari di 35,2 × 70,4 m, divisi da strade larghe mediamente 6,35 e 8,45 m, a eccezione dell'asse principale est-ovest ampio circa 13 m. A questo stesso periodo è da attribuire la prima fase delle mura, costituite da uno zoccolo di pietra e da un elevato di blocchi: nonostante la graduale sostituzione dell'alzato con mattoni crudi, avvenuta tra l'occupazione partica e quella romana, il tracciato del circuito murario rimase sostanzialmente immutato, con due porte principali (una a ovest, la cd. Porta di Palmira, l'altra verso l'Eufrate, ora distrutta), tre porte secondarie e numerose torri, ubicate soprattutto sui lati ovest e sud della città. Gli elementi principali di questa prima fase erano probabilmente ubicati presso l'area dell'acropoli (in gran parte distrutta dall'erosione dell'Eufrate), in corrispondenza di un'altura (dove erano lo Strategeion e un tempio probabilmente dedicato a Zeus Olimpio) e nell'area centrale della città, dove erano l'agorà (di ampiezza pari a otto isolati) e un tempio dedicato in origine con tutta probabilità ad Apollo e Artemide.
Con la conquista partica D.-E. subì gradualmente sostanziali evoluzioni architettoniche e artistiche, in parte dovute anche alla diversa funzione che la città assunse, trasformandosi da città-fortezza a centro agricolo (grazie alla fertilità del proprio territorio) e soprattutto emporium, sito sulla rotta carovaniera tra Palmira e la Mesopotamia. In questo senso risulta particolarmente significativo il cambiamento dell'agorà, il cui ampio spazio aperto venne interamente occupato da numerose case-botteghe. Durante questo periodo, particolarmente prospero per la città, non si registra la costruzione di molti edifici amministrativi (solo il palazzo dell'acropoli fu ricostruito, lo Strategeion fu semplicemente ingrandito), mentre si può riscontrare un'intensa attività nell'edilizia residenziale e nella costruzione di numerosi templi, contraddistinti da caratteristiche tipicamente orientali di ispirazione mesopotamica. Questi santuari sono per lo più dedicati a divinità del Pantheon locale, come si può riscontrare per i templi di Artemide Nanaia, terminato nel 33/2 a.C., di Zeus Megistos, di Atargatis, eretto tra il 31 e il 91 d.C., di Artemide Azzanathkona, di Bel, costruito prima del 50-51 d.C., di Zeus Kyrios, di Aphlad, del 54 d.C., dei Gadde (delle "fortune"), di Zeus Theòs e di Adone, i quali presentano uno schema planimetrico molto simile. In genere si tratta di complessi a pianta quadrangolare chiusi da mura con un unico ingresso; l'interno è costituito da una corte a cielo aperto con una serie di piccoli vani (da intendere come donari privati) addossati ai muri di recinzione e con il tempio vero e proprio (con cella articolata in uno o più vani) ubicato sul lato di fondo. Anche per quanto riguarda l'architettura domestica, si può generalmente riscontrare l'adozione di un singolo schema planimetrico ripetuto senza molte varianti: le case, accessibili da un unico ingresso, prevedono una parte riservata per le donne e sono articolate in un cortile principale (quasi sempre sprovvisto di peristilio) sul quale si affacciano numerosi vani, tra cui uno di dimensioni più grandi, destinato verosimilmente a stanza di ricevimento.
Dopo la breve occupazione traianea (in occasione della quale fu eretto un arco trionfale nei pressi della città), la definitiva conquista romana modificò presto l'aspetto della città, anche perché pochi anni prima (nel 160 d.C.) un terremoto aveva causato notevoli danni. Negli anni successivi furono costruiti nuovi edifici, tra cui il mitreo, la cui prima fase è del 168 d.C., mentre presso l'area dell'agorà fu eretto un mercato con corte aperta, circondata da portici e botteghe. Nel volgere di poco tempo, comunque, D.-E. fu interessata da ben più profondi mutamenti: la città infatti vide il rapido aumento della guarnigione presente, recuperando il suo ruolo originale di centro militare. I principali acquartieramenti furono dislocati nella parte settentrionale della città, delimitati da un muro. In questa area sono da ricordare alcuni impianti termali, uno dei quali rimase distrutto da un incendio e obliterato nel 216 d.C. dalla costruzione di un piccolo anfiteatro, il pretorio, la cui edificazione rimaneggiò una parte del tempio di Azzanathkona, adibendola a centro amministrativo delle coorti ausiliarie (in quest'area fu rinvenuto il Feriale Duranum), abitazioni di ufficiali e il cosiddetto "palazzo del dux ripae", realizzato attorno al 220 d.C. e costituito da due vaste corti colonnate, attorno alle quali si articolavano i vari ambienti del complesso. Oltre alle già menzionate opere di fortificazione, necessarie per respingere gli attacchi dei Sasanidi, tra le costruzioni realizzate negli ultimi decenni di vita della città sono infine da ricordare la chiesa, la sinagoga e il cosiddetto "tempio di Giove Dolicheno". Quest'ultimo presenta caratteristiche compositive che lo distinguono dagli altri templi della città: pur essendo costituito da una corte centrale con cappelle perimetrali, dove erano venerate varie divinità, in luogo del consueto tempio principale sul lato di fondo vi erano infatti due naòi indipendenti, divisi da un lungo corridoio e dedicati con tutta probabilità a Giove Dolicheno e a Turmasgade.
La successione delle varie dominazioni, il progressivo arrivo di culture diverse comportò a D.-E. la formazione di una società composita. All'aristocrazia greco-macedone subentrò una nuova classe con onomastica semitica e iranica, che impose costumi orientali, perpetuatisi anche dopo la conquista romana, quando la commistione di tradizioni differenti fu incrementata dall'arrivo di contingenti militari misti. Ciò è particolarmente riscontrabile nell'ambito della religione: nelle iscrizioni della città i nomi delle divinità sono riportati per lo più in greco, ma è chiaro dalla loro iconografia che si tratta di sincretismi con dei semitici: questo vale sia per i casi dove fu conservato il nome originale (come Artemide Azzanathkona, Artemide Nanaia), sia laddove le divinità presentano nomi greci, pur essendo tuttavia raffigurate con abbigliamento e acconciature partiche (come Adone e i vari Zeus Kyrios, Zeus Megistos e Zeus Theòs, da intendere come equivalenti dei semitici Baal e Baal Shamin). La presenza delle varie componenti culturali presenti nella città è del resto apprezzabile soprattutto nelle numerose pitture, eccezionalmente conservatesi, che gli scavi hanno restituito. L'originalità stilistica di tali testimonianze, frutto di artisti locali, è stata oggetto di ampie discussioni nello studio degli sviluppi artistici dell'età tardoantica.
Le pitture di D.-E. sono costituite per lo più dalle decorazioni parietali di edifici di culto, sebbene non manchino esemplificazioni provenienti da case private o di altra natura, come pannelli lignei o scudi da parata. Nell'ambito dei motivi religiosi è interessante notare come i soggetti di ispirazione occidentale, per quanto presenti, non svolgano assolutamente un ruolo predominante, essendo di gran lunga preferiti iconografie, abbigliamenti e acconciature tipicamente orientali. In molti casi si tratta di composizioni paratattiche, con proporzioni diversificate in base all'importanza dei personaggi raffigurati; le figure umane sono rappresentate quasi sempre frontalmente, in pose statiche con vaghi accenni di movimento apprezzabili solo nella posizione degli arti.
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di Roberta Belli Pasqua
Città (gr. ΜίλητοϚ; lat. Miletus) dell'Asia Minore, capitale della Ionia, situata sul golfo in cui sfociava il fiume Meandro, di fronte al promontorio di Micale.
La città occupava una penisola frastagliata, segnata dai promontori di Humeitepe a nord, di Kalehtepe a nord-ovest e dalla collina di Kalabaktepe a meridione, ed era dotata secondo le fonti (Strab., XIV, 1, 6) di quattro porti, due dei quali sono ancora conservati: il cosiddetto Porto dei Leoni, in corrispondenza di un'insenatura stretta e profonda, e il Porto del Teatro, in una seconda insenatura più ampia, delimitata dal complesso del teatro e dal santuario di Atena. Rispetto all'età antica la fisionomia della zona in cui sorse la città è mutata a causa dell'interramento del golfo milesio, profondo all'origine 25 km, dovuto al cambiamento di corso e alle frequenti alluvioni del fiume Meandro.
Le origini più antiche della città sono attribuite ad ambiente cretese (Strab., XII, 8, 5; XIV, 1, 6: fondazione a opera di Sarpedonte, fratello di Minosse) e a tale ambito sembrano riferirsi anche il culto di Apollo Delphinios, presente a M., e le affinità con il toponimo Milatos, città di Creta. L'esistenza di una fase minoica e di una successiva fase micenea sono peraltro testimoniate da rinvenimenti archeologici (II millennio a.C.). Nella seconda metà dell'XI sec. a.C. il sito dovette essere oggetto di una colonizzazione ionica, il cui ecista fu Neleo di Pilo o di Atene (Strab., XIV, 1, 3; Paus., VII, 2, 4-5), a seguito della quale i nuovi colonizzatori si unirono all'elemento indigeno cario. Nel corso dell'VIII e del VII sec. a.C., M. ebbe il suo momento di massima fioritura, dovuta alla presenza di una classe aristocratica mercantile, che sfruttò le potenzialità offerte dalla posizione geografica della città, sviluppando il commercio di prodotti, quali la lana dell'Anatolia, e successivamente dando forte impulso ai commerci transmarini, in particolare con l'Egitto e il Mar Nero. Conseguenza di tali sviluppi furono la fondazione di numerose colonie (90 secondo la tradizione), tra cui Naukratis in Egitto, Cizico sul Mar di Marmara, Sinope, Amisos e Olbia nella regione del Mar Nero.
Governata da un regime di tipo tirannico, iniziato con Trasibulo alla fine del VI sec. a.C., M. entrò verso la metà dello stesso secolo nell'orbita del governo persiano. Ispiratrice nel 499 a.C. della rivolta delle città ioniche contro il re persiano, venne distrutta dall'esercito di quest'ultimo nel 494 a.C., perse parte del suo territorio e gran parte degli abitanti furono deportati. Ricostruita successivamente alla battaglia di Micale, essa non riacquistò tuttavia il suo ruolo di guida delle città ioniche d'Asia Minore, pur rimanendo durante l'età ellenistica e romana uno dei più attivi centri artistici e commerciali d'Asia.
L'impianto della città come è conservato attualmente risale alla ricostruzione successiva alla distruzione persiana (494 a.C.); una parte della critica scientifica ha attribuito a Ippodamo una partecipazione nella progettazione della nuova città, che si sviluppa secondo un impianto a scacchiera regolare, preferendo pertanto una cronologia "alta" per l'urbanista milesio, ma nessuna fonte in realtà fa menzione della partecipazione di quest'ultimo alla ricostruzione di M. Peraltro la divisione delle città secondo assi ortogonali è già attestata in epoca precedente all'attività di Ippodamo, che è da interpretarsi piuttosto come un codificatore che come inventore. Viene, invece, riconosciuto che l'esperienza attuata a M. con la ricostruzione deve aver contribuito alla formazione dell'urbanista e influenzato le sue realizzazioni future.
La città di M. si articolava intorno ai tre nuclei principali, già menzionati, di Kalabaktepe, Kalehtepe e Humeitepe. L'occupazione della collina di Kalabaktepe è attestata da insediamenti (abitazioni, botteghe) fin dall'VIII sec. a.C., ma viene respinta l'ipotesi che essa abbia svolto la funzione di acropoli al momento della fondazione; distrutta durante l'occupazione persiana, riprese a vivere sotto forma di un piccolo borgo. L'impianto urbano era ripartito in aree funzionali, tra cui si possono distinguere le zone del Porto dei Leoni, "dell'agorà nord", la "piazza del bouleuterion", la zona "dell'agorà sud", la zona del Porto del Teatro, infine la zona "dell'agorà ovest e dell'Athenaion". Presso il Porto dei Leoni, così chiamato dalle due statue di leoni poste all'ingresso della stretta insenatura su cui si affacciava il porto, era situato uno dei luoghi di culto principali della città: il santuario di Apollo Delphinios, dio tutelare di M. L'agorà settentrionale è la più antica delle tre piazze di M.: la sua realizzazione iniziò alla fine del IV sec. a.C. e proseguì nel corso dell'età ellenistica e fino a età adrianea, attraverso la costruzione di portici e di botteghe, che conferiscono alla struttura l'aspetto di un insieme concluso in sé.
Centro politico e monumentale della città era, invece, la piazza del bouleuterion, edificio dedicato ad Apollo Didymaios, a Hestia Boulaia e al popolo dai fratelli Timarchos e Herakleidas, ministri siriaci di origine milesia, per conto di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.). Dava accesso all'edificio un propylon monumentale che immetteva in un cortile con porticato a forma di ferro di cavallo; quattro porte conducevano nell'interno, in cui al di là di un corridoio trasversale era la gradinata vera e propria, di 18 gradini, divisa in tre cunei da quattro scalette. In età romana, nel cortile fu aggiunto un monumento onorario a pianta rettangolare. A età romana risale anche l'ingresso monumentale all'agorà meridionale, realizzato in età antonina. L'agorà meridionale è il più vasto complesso di M. e occupa l'area di 20 isolati. Delimitata in origine sul lato orientale (inizi del III sec. a.C.) da una stoà dorica a una sola navata, con doppia fila di botteghe aperte rispettivamente verso l'interno e verso l'esterno, e da una seconda stoà dorica, indipendente dalla prima, sul lato nord-occidentale, priva di botteghe, la piazza fu progressivamente chiusa mediante la costruzione di un'altra serie di stoài, fino ad assumere nell'età antonina l'aspetto di una struttura chiusa con l'ingresso monumentale a nord. Il teatro ellenistico-romano è uno dei più grandi tra quelli conservati.
Per quanto riguarda i luoghi di culto, essi dovevano essere presenti in gran numero nella città, nonostante se ne sia conservato un numero ridotto. Oltre al tempio di Apollo Delphinios già ricordato, rimangono resti di un santuario di Atena, situato presso l'agorà occidentale, con tempio ionico esastilo, e di un santuario di Dioniso, presso l'agorà settentrionale; un luogo di culto è attestato anche nell'estrema punta della penisola, dove è stato rinvenuto un tempio prostilo ionico di grandi dimensioni, dedicato con probabilità a Demetra, la cui costruzione viene attribuita alla fine del III - inizi del II sec. a.C. La città, inoltre, era legata al santuario di Apollo Philesios a Didyma, a cui la collegava una Via Sacra.
Nella Tarda Antichità, M. fu ancora una città importante, sebbene l'area dell'insediamento fosse ridotta; fu costruita una cinta difensiva utilizzando materiale di spoglio dagli edifici di età precedente e il teatro fu fortificato; presso il tempio di Dioniso, cui parzialmente si sovrappose, si trovava il complesso episcopale, costituito dalla chiesa costruita dal patriarca Ciriaco (595-605) e dalla residenza del vescovo, che aveva ambienti privati e sale di rappresentanza disposte attorno a un cortile a peristilio. Il complesso dovette essere abbandonato in epoca tardocomnena.
W. Müller-Wiener, s.v. Mileto, in EAA, II Suppl. 1971-1994, III, 1995, pp. 661-65 (con bibl. prec.); R. Senff, Die archaische Wohnbebauung am Kalabaktepe in Milet, in F. Krinzinger (ed.), Die Ägäis und das westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen 8. bis 5. Jh. v. Chr. Akten des Symposions (Wien, 24. bis 27. März 1999), Wien 2000, pp. 29-37; V.B. Gorman, Miletos, the Ornament of Ionia. A History of the City to 400 B.C.E., Ann Arbor 2001; A.M. Greaves, Miletos. A History, London 2002; G. Lang, Klassische Antike Stätten Anatoliens, II, Norderstedt 2003, pp. 76-99.
Età tardoantica e medievale:
W. Müller-Wiener, Riflessioni sulle caratteristiche dei palazzi episcopali, in FelRav, 125-26 (1983), pp. 110-12; E. Zanini, Introduzione all'archeologia bizantina, Roma 1994, pp. 160-62 (con bibl. ult.).
di Klaus Tuchelt
Sede di un santuario regionale nell'area di confine cario-ionica, famoso per l'oracolo della fonte di Apollo (Hdt., I, 92; Paus., VII, 2, 6), collegato a M. tramite una via delle processioni lunga oltre 20 km. Evidenze archeologiche sono documentate nel sito dal 700 a.C. circa; rinvenimenti di ossidiana dell'età neolitica provengono da un'area 4 km a sud. La tradizione scritta sull'epoca di fondazione pregreca esiste solo dal periodo ellenistico-romano. Rimangono oltre 600 iscrizioni che riguardano i culti, le dediche, l'attività edilizia, il boschetto di alloro e l'insediamento. Secondo la leggenda, fu il luogo dell'unione di Zeus e Latona; in epoca pregreca (Hdt., I, 157; Paus., VII, 2, 6) vi si venerava probabilmente una divinità femminile della natura. Profeti, sacerdoti ed eponimi in età pre-ellenistica erano i Branchidi, presumibilmente un'associazione di membri della cerchia dell'oligarchia locale, che si riconducevano al mitico fondatore Branchos (Call., Fr., n. 229, ed. Pfeiffer). Nel VI sec. a.C. si sviluppò l'attività edilizia (costruzione del Tempio II di Apollo) e fu realizzata la via delle processioni che giungeva fino a M.
Intorno al 700 a.C. l'area della fonte di Apollo si trovava in un avvallamento del terreno e a nord-ovest su un banco di roccia. Nel santuario di Apollo, a ovest dell'adyton, sono stati rinvenuti resti di fondazioni per muri di mattoni di un recinto, nel quale si trovava il luogo sacro della fonte (Sekòs I). Intorno al 600 a.C. fu costruita la stoà di sud-ovest. Circa 100 m a est dell'area della fonte verso il pendio, una struttura a semicerchio delimita una piazza con un edificio circolare privo di copertura, la cui interpretazione come "altare principale" è incerta (i più recenti rinvenimenti sono del IV sec. a.C.). Nella prima metà del VI sec. a.C. l'area della fonte fu ampliata con l'edificazione del Tempio II di Apollo (diptero). A ovest dell'adyton sono conservate le fondazioni di calcare della cella ipetrale con cinque pilastri aggettanti e i resti dei muri del cosiddetto naiskos, che è stato interpretato come la struttura che aveva al proprio interno la fonte, con la funzione di protezione del luogo sacro e sede dell'oracolo (manteion). Elementi edilizi di poros e di marmo documentano l'avvio della costruzione nella prima metà del VI sec. a.C.
Dopo la metà del IV sec. a.C. ci fu un sistematico smantellamento e l'inizio della costruzione del tempio ellenistico-romano (Tempio III di Apollo) che occupa quasi due volte e mezzo la superficie del precedente edificio (stilobate 51,13 × 109,34 m). Iscrizioni (III-II sec. a.C.) e disegni sulle pareti interne documentano il processo costruttivo. Il marmo proveniva dalle cave di Eraclea al Latmo. Intorno al 170 a.C. fu elevato il nucleo dell'edificio con la cella ipetrale (adyton con pareti dallo zoccolo alto 5 m e alzato di 20 m con pilastri; cd. naiskos intorno al 230 a.C.) e prodromos (due strette gallerie verso la cella nel pronao cd. dodekastylos e grande portale con soglia alta 1,5 m; cd. Sala delle Due Colonne con rampe di scale, parete a tre ingressi e scalinata esterna verso la cella). La peristasi (dal II sec. d.C. sopraelevata con un fregio a gorgoni) e la zona del tetto rimasero incompiute. Dopo il 250 d.C. vennero murati gli intercolumni orientali e la scala davanti al grande portale. Nel V-VI secolo una basilica provvista di matronei fu impiantata sul tempio. Dopo un terremoto nel VII secolo il tempio fu fortificato come castello. Incendiato nel X secolo, nel 1493 fu distrutto a causa di un terremoto; nel XIX secolo avvennero spoliazioni del materiale lapideo.
Per quanto riguarda il santuario di Artemide, il culto della divinità è testimoniato dal VI sec. a.C., lo hieròn e la statua di culto dal III sec. a.C. Intorno al 700 a.C. il bacino della fonte venne recintato. Nel VI sec. a.C. si ebbero ampliamenti verso nord-ovest (bacini per attingere l'acqua con canali di scolo, spostamento del muro di peribolo). Nel III-I sec. a.C. i bacini esauriti furono sostituiti da fontane. Il complesso delle singole costruzioni è separato dalla Via Sacra tramite muri, davanti ai quali nel II-I sec. a.C. furono eretti colonnati. Nel II sec. d.C. il santuario fu riorganizzato ("stoà di peribolo", edificio occidentale). Nel IV sec. d.C. il santuario fu distrutto presumibilmente a causa di un terremoto e cessò di esistere.
Nella seconda metà del VI sec. a.C. fu costruita una strada da M. a Didyma (Via Sacra) larga 5-6 m, lunga oltre 20 km; scavi e documenti con il regolamento del culto attestano processioni con luoghi dedicati a divinità locali. Al culmine della sella c'era un'area di culto di membri dell'oligarchia milesia (ca. 530 fino al IV sec. a.C.) con ricco arredo scultoreo (figure sedute, sfingi). Nell'ultimo settore della strada bisogna supporre il percorso della via processionale a ovest e a sud del tempio di Apollo (cd. Stadion). Nella zona della Via Sacra si trovano impianti ellenistico-romani (luoghi di culto, sale, edifici nord ed est come costruzioni a cortile); al di fuori del santuario sono conservate strutture funerarie per lo più di epoca romana. Iscrizioni documentano luoghi di culto, di insediamento ed edifici profani finora non identificati.
Dagli inizi del VI sec. a.C. sono rappresentate tutte le principali tipologie scultoree: kouroi, figure sedute maschili e femminili, korai, figure panneggiate stanti e giacenti, sculture di leoni e di sfingi, scultura architettonica. Intorno al 500 a.C., M. commissionò a Kanachos di Sicione la fusione in bronzo di una statua di Apollo (Plin., Nat. hist., XXXIV, 75; Paus., II, 10, 4; IX, 10, 2), che fu depredata dai Persiani e restituita in età ellenistica grazie ai sovrani seleucidi (Paus., I, 16, 3; VIII, 46, 3). La ceramica (rinvenimenti in strato) è locale, le importazioni sono rare. Ceramica votiva sembra essere presente dall'età tardoellenistica nel santuario di Artemide (vasi con anse a staffa). I bronzi sono costituiti per la maggior parte da vasi, quelli figurati sono rari. I rinvenimenti di ossa animali oltre che dalle offerte sacrificali provengono da un deposito di ossa non bruciate nel santuario di Artemide secondo il rito "cario" (Suid., s.v. karikòn thyma).
K. Tuchelt, Ein archaischer Kesselträger aus Didyma, in Anadolu, 23 (1984-97), pp. 27-35; Id., Branchidai - Didyma. Geschichte, Ausgrabung und Wiederentdeckung eines antiken Heiligtums, 1765 bis 1990, in AW, 22 (1991) (con bibl. ult.); Id., Drei Heiligtümer von Didyma und ihre Grundzüge, in RA, 1991, pp. 85-98; Id., Tieropfer in Didyma - ein Nachtrag, in AA, 1992, pp. 61-81; Id., Notizen über Ausgrabung und Denkmalpflege in Didyma, in AW, 25 (1994), pp. 2-31; L. Haselberger, Eine ‟Krepis von 200 Fuss gestreckter Länge". Bauarbeiten am jüngeren Apollontempel von Didyma nach Urkunde nr. 42, in IstMitt, 46 (1996), pp. 153-78; K. Tuchelt - P. Schneider - T.G. Schattner, Didyma, III, 1. Ein Kultbezirk an der Heiligen Strasse von Milet nach Didyma, Mainz a.Rh. 1996; H. Bumke - A. Herda - E. Röver, Bericht über die Ausgrabungen 1994 an der Heiligen Strasse von Milet nach Didyma. Das Heiligtum der Nymphen?, in AA, 2000, pp. 57-97; K. Tuchelt, Der Vorplatz des Apollontempels von Didyma und seine Umgebung. Eine Fallstudie zur Rekonstruktion von Befund, Prozess und Gestalt, in ÖJh, 69 (2000), pp. 311-56; B.E. Borg, Marmor für Apoll. Ein Beitrag zur Baugeschichte des jüngeren Didymaion und der historischen Topographie seiner Umgebung, in J. Bergmann (ed.), Wissenschaft mit Enthusiasmus. Beiträge zu antiken Bildnissen und zur historischen Landeskunde. Klaus Fittschen gewidmet, Rahden 2001, pp. 79-101; W. Günther, Spenden für Didyma. Zu einer Stiftung aus Naukratis, in K. Geus - K. Zimmermann (edd.), Punica, Libyca, Ptolemaica. Festschrift für Werner Huss zum 65. Geburtstag dargebracht von Schülern, Freunden und Kollegen, Leuven 2001, pp. 185-98; A.M. Greaves, Miletos. A History, London 2002, pp. 109-29; G. Lang, Klassische Antike Stätten Anatoliens, II, Norderstedt 2003, pp. 273-77.
di Alessandra Bravi
Sulla vetta del N.D. (2150 m s.l.m.), uno dei più alti rilievi del Tauro orientale, si erge il monumento sepolcrale di Antioco I di Commagene (69-36 a.C.), in un punto visibile da ogni parte del regno.
Questo hierothesion (luogo sepolcrale consacrato da un culto) costituisce una testimonianza preziosa del culto dinastico tributato agli Orontidi, dinastia insediata nella Commagene che si lega a quella seleucide con il matrimonio tra Mitridate I Callinico (100-69 a.C.) e Laodike (figlia di Antioco VIII Grypos). Il figlio di Mitridate, Antioco I (Theòs, Dikaios, Epiphanes), fonda un culto dinastico basato sulla divinizzazione del sovrano e la creazione di un Pantheon sincretistico, che raccoglie le tradizioni religiose arsacide e seleucide. Le caratteristiche essenziali della nuova fondazione cultuale sono testimoniate dai rilievi e dalle iscrizioni provenienti dai grandi hierothesia disseminati in vari centri della Commagene: tra questi, Arsameia al Nymphaios (sepoltura e culto di Mitridate I), Arsameia sull'Eufrate (culto funerario di Samos II, padre di Mitridate I). La fitta rete di santuari e luoghi di culto permetteva una partecipazione del popolo di tutta la regione alla vita religiosa: Antioco I e le divinità paredre a N.D. erano venerati dai fedeli con processioni sacre due volte al mese, inoltre nel giorno del compleanno di Antioco (16 Audnaios) e in quello della sua ascesa al trono (10 Loos).
Le caratteristiche del culto di stato fondato da Antioco vennero in luce grazie agli scavi archeologici che si susseguirono in Commagene dall'ultimo ventennio del XIX secolo. Nel 1881-82 K. Sester, un ingegnere stradale, comunicò a Berlino di aver scoperto sulla vetta del N.D. statue colossali; nel 1883 una spedizione tedesca guidata da K. Humann e O. Puchstein e una turca diretta da Osman Hamdi Bey intraprendono le ricerche sul N.D. Nel 1951 F.K. Dörner scopre Arsameia al Nymphaios, dove rinviene, due anni dopo, il rilievo con la dexiosis tra Antioco I (un tempo ritenuto Mitridate I) ed Eracle e la grande iscrizione rupestre.
Antioco I realizzò il grande complesso funerario di N.D. nei suoi ultimi anni di vita; il programma comprende l'allestimento di 18 statue monumentali raffiguranti divinità e animali, 8 sculture di animali di formato minore e 96 rilievi, soltanto sulle terrazze che circondavano il tumulo funerario a est e a ovest; infine una terrazza era stata ricavata sul lato nord, dove sono state rinvenute stele con iscrizioni e rilievi, forse rappresentanti una processione di divinità o scene di offerta, assieme ai resti di un'aquila colossale. Antioco I annuncia nell'iscrizione di N.D. riguardo le statue divine, i rilievi con dexiosis e gli antenati che "le immagini delle loro forme in molteplici modi sono prodotti, come ci trasmettono antiche notizie di Persiani ed Elleni ‒ le oltremodo felici radici della mia stirpe" (righe 27-31). Il processo di fusione greco-iranico si evidenzia nei testi, dove Zeus-Oromasdes, Apollo-Mithra-Helios-Hermes, Artagnes-Eracle-Ares vengono denominati "dei patrii di Persiani e Macedoni".
Ciascuna delle terrazze ovest ed est era dominata da un gruppo di cinque statue sedute, protette dal grande tumulo alle spalle, che guardavano l'orizzonte, fiancheggiate alle estremità da figure animali colossali, un'aquila e un leone. L'iscrizione correva nella parte posteriore dei troni, con i nomi delle divinità Zeus-Oromasdes, Apollo-Mithra-Helios-Hermes, Artagnes-Eracle-Ares, seguiva infine la personificazione della Commagene, con polos e cornucopia nella sinistra, accanto all'immagine del sovrano Antioco. Davanti alle statue, sul gradino inferiore del podio (terrazza orientale), o allineati con esse (terrazza occidentale) figurano cinque rilievi che rappresentano scene di dexiosis tra il sovrano e le quattro divinità di stato e il cosiddetto "oroscopo del Leone". La rappresentazione dell'oroscopo del Leone è stata interpretata come una costellazione, che pone il governo di Antioco sotto buoni auspici.
Come le epiclesi delle divinità raffigurate dalle statue monumentali esprimono la visione religiosa tipica del sincretismo greco-iranico, i rilievi con gli antenati divinizzati del re completano il significato del monumento, con la doppia linea di discendenza, seleucide (Alessandro Magno) e achemenide (Dario I), dichiarata dal re nelle iscrizioni. Il gruppo più cospicuo di sculture è infatti rappresentato dalla cosiddetta "galleria degli antenati". La discendenza paterna viene rappresentata da 15 stele (sul lato nord della terrazza occidentale e su quello sud di quella orientale), che fa capo a Dario I. La linea materna è documentata da 17 personaggi (effigiati su rilievi collocati a sud sulla terrazza orientale, a ovest in quella occidentale), a partire da Alessandro Magno. Su ciascuna delle due terrazze erano inoltre rilievi con scene di investitura. Secondo la ricostruzione di Dörner e di J.H. Young la galleria degli antenati consisteva di due serie, l'una patrilineare (15 basamenti, dal primo al quinto i Gran Re achemenidi, dal sesto al dodicesimo satrapi e sovrani idarnidi, dal tredicesimo al quindicesimo i re della Commagene, fino a Mitridate I Callinico), l'altra matrilineare (seleucide, 17 basi, con varie ipotesi per gli elementi intermedi, da Alessandro Magno ad Antioco VIII Grypos, seguito da rappresentanti femminili della dinastia), identiche sulle terrazze orientale e occidentale. Gli scavi hanno inoltre rivelato che i personaggi contemporanei erano rappresentati in una seconda serie, i cui resti sono stati rinvenuti dietro alla galleria degli antenati sulla terrazza orientale (una serie analoga doveva comparire sulla terrazza occidentale).
Il complesso di N.D. esprime la nuova concezione politica di Antioco I. La rappresentazione del potere regale è esemplificata dalla concordia tra il dinasta e gli dei che erano stati garanti del potere per i sovrani ellenistici: Zeus, Apollo ed Eracle. A Sofraz Köy le divinità dinastiche erano ancora tratte dalla tradizione ellenistica: Apollo Epekoos e Artemide Diktynna. La svolta si realizza forse proprio in coincidenza con la data segnata dall'oroscopo del Leone il 7 Luglio del 62 a.C.: la rivalutazione della componente orientale e autoctona coincide con l'avvento dell'Impero romano in Commagene. A N.D., alla fine del regno di Antioco I, il sincretismo con gli elementi iranici ha la funzione di realizzare la trasformazione di una regalità concepita sulla scia della tradizione greco-ellenistica in una sorta di teocrazia universale: sui troni celesti, dove anche l'anima del re è destinata a dimorare, siede primo tra tutti Zeus-Oromasdes, l'antico persiano Ahura Mazda, (protettore del re dei re Dario I), che risiede sulla cima dei monti (Hdt. I, 131; Strab., XV, 3, 13).
Bibliografia
F.K. Dörner, Die Entdeckung von Arsameia am Nymphenfluss und die Ausgrabungen im Hierothesion des Mithradates Kallinikos von Kommagene, in Neue deutsche Ausgrabungen im Mittelmeergebiet und im Vorderen Orient, Berlin 1959, pp. 71-88; Id., Kommagene. Ein wiederentdecktes Königreich. II, Gundholzen - Böblingen 1967; S. Sahin, Forschungen in Kommagene, 2. Topographie, in EpigrAnat, 18 (1991), pp. 114-32; H. Waldmann, Der kommagenische Mazdaismus, Tübingen 1991; T.B. Goell - H.G. Bachmann - H. Brokamp, Nemrud Dagi. The Hierothesion of Antiochus I of Commagene, Winona Lake 1996; B. Jacobs, Die Galerien der Ahnen des Königs Antiochos I. von Kommagene auf dem Nemrud Dagi, in J.M. Højte (ed.), Images of Ancestors, Aarhus 2002, pp. 75-88; T. Utecht - V. Schulz-Rincke - A. Grothkopf, Warum kein rechter Winkel? Zur Architektur des Hierothesion von Antiochos I. auf dem Nemrud Dagi, in Neue Forschungen zur Religionsgeschichte Kleinasiens. Elmar Schwertheim zum 60. Geburtstag gewidmet, Bonn 2003, pp. 97-114.
di Roberta Belli Pasqua
Città (gr. Πϱιήνη; lat. Priene) dell'Asia Minore (Turchia), situata nella regione della Caria.
L'impianto urbanistico della città attualmente conservato risale alla metà del IV sec. a.C., quando P. fu trasferita dalla sua sede originaria a causa delle frequenti inondazioni del fiume Meandro e rifondata alle pendici del Monte Micale. A testimonianza della città più antica rimangono alcune monete di elettro, databili al 500 a.C., contrassegnate dalla testa di Atena, divinità poliade a cui nella nuova fondazione fu dedicato un importante tempio. Anche se dovette essere uno dei più antichi insediamenti ionici nella regione, P. non ricoprì mai un ruolo importante nella vita politica della grecità d'Oriente; la città dovette subire l'influenza delle vicine Samo e Mileto; stretti dovevano essere anche i suoi rapporti con Atene, che ne patrocinò la nuova fondazione. Passata sotto l'influenza del regno di Pergamo nell'età ellenistica, entrò a far parte dei domini dei Romani nella seconda metà del II sec. a.C. (133 a.C.), pur conservando una certa autonomia attestata, ad esempio, dalla coniazione di monete. In età bizantina, fu sede di un'importante diocesi.
La P. del IV secolo si articola su quattro terrazze scenograficamente orientate a meridione secondo una conformazione a teatro (theatroeidès), costituendo un preciso antecedente per altre esperienze urbanistiche di età ellenistica, come la città di Pergamo; la forte pendenza del terreno, dovuta al fatto che la città si sviluppa in senso nord-sud lungo le pendici del Monte Micale, determina un dislivello tra la terrazza più bassa e l'acropoli (Teloneion) di circa 345 m; quest'ultima, inoltre, è isolata dal resto dell'impianto urbano e accessibile con difficoltà. Sulle quattro terrazze, tra loro parallele, si dislocano le zone funzionali, pubbliche e religiose, più significative: il ginnasio e lo stadio sulla terrazza inferiore (30 m s.l.m.); l'agorà e il tempio di Zeus Olympios sulla seconda terrazza (79 m s.l.m.); il santuario di Atena, il teatro e il ginnasio sulla terza (97 m s.l.m.) e infine il santuario di Demetra sull'ultima (130 m s.l.m.). Nel suo insieme, l'impianto della città viene considerato ispirato ai principi dell'urbanistica tradizionalmente definita "di tipo ippodameo", caratterizzata da una disposizione secondo assi ortogonali e da una divisione dell'area in zone funzionali; tuttavia, la fisionomia del suolo, poco adatta alla rigida applicazione di principi teorici, ne ha condizionato la messa in opera determinando delle soluzioni di compromesso che non devono aver facilitato le comunicazioni all'interno della nuova fondazione. La città è percorsa da grandi vie di scorrimento orientate solo in senso est-ovest (larghe 7,36 m le maggiori, 4,44 m le minori); di queste la principale, partendo da ovest, sbocca in corrispondenza dell'agorà, centro amministrativo e commerciale di P.; i percorsi viari in senso nord-sud sono invece rappresentati da ripide scalinate, come quella di 72 gradini che permette l'accesso al tempio di Atena.
Quest'ultimo risulta di grande importanza per lo studio dell'architettura ionico-asiatica del IV secolo: viene, infatti, considerato un modello di quel "classicismo ionico", che è stato riconosciuto proprio delle realizzazioni dell'architettura tardoclassica d'Asia Minore. Nel suo insieme, l'edificio riprende elementi propri dell'architettura asiatica (progettazione su griglia ortogonale e pronao profondo) uniti a elementi di importazione dall'architettura della Grecia continentale, quali la crepidine di tre gradini, l'introduzione dell'opistodomo e la mancata differenziazione tra le due fronti dell'edificio. Al tempio si opponeva l'altare realizzato in forme monumentali, successivamente ricostruito in età ellenistica. Il periodo di edificazione si colloca tra il 350 e il 330 a.C. Nel 334 il tempio doveva essere ancora in costruzione come dimostra la dedica ad Atena Poliàs da parte di Alessandro Magno, incisa sull'anta meridionale del pronao (ora a Londra, British Museum), evidentemente apposta in riferimento a una donazione fatta dal condottiero macedone per i lavori di costruzione; quest'ultima dovette comunque essere ultimata più tardi, se ancora nel II sec. a.C. un'ulteriore donazione, a opera di Oroferne di Cappadocia, permise di ultimare l'opistodomo e di dedicare nella cella la statua di culto, copia di dimensioni ridotte dell'Atena Parthenos.
Il santuario di Atena rappresentava il fulcro religioso della città e si collocava sulla più alta delle terrazze urbane, a dominare in modo significativo l'intero impianto urbanistico; il centro commerciale e politico, rappresentato invece dall'agorà, in modo altrettanto simbolico era collocato sulla terrazza immediatamente inferiore al santuario e in comunicazione con esso. Si tratta di uno spazio aperto, con un'estensione pari a circa due dei blocchi di isolati regolari (35,4 × 47,2 m ciascuno) in cui era stata divisa l'area urbana al momento della progettazione, ed era circondato su tre lati da stoài di ordine dorico, costruite probabilmente a partire dal III sec. a.C; il quarto lato era occupato dalla principale via di scorrimento, carrabile, della città; al centro si trovava un altare dedicato a Hermes; a oriente di quest'ultimo era un tempio di Asclepio databile agli inizi dell'età ellenistica. Particolarmente imponente è la stoà (lungh. 116 m, largh. 12 m), realizzata nella seconda metà del II sec. a.C. su questo lato settentrionale, nota da un'iscrizione come la Stoà Sacra: era preceduta da tre gradini e da una zona a cielo aperto pavimentata in marmo; il porticato aveva 49 colonne doriche in facciata e 24 colonne ioniche che lo dividevano al suo interno nel senso della lunghezza; sul lato di fondo si apriva una serie di ambienti, in uno dei quali in età romana fu installato un culto alla dea Roma e poi ad Augusto; numerose iscrizioni incise sui muri laterali della stoà hanno fornito importanti informazioni sulla storia della città e sulla vita dei suoi abitanti. Adiacente al lato orientale dell'agorà era il temenos di Zeus Olympios, costruito nel III sec. a.C.: il tempio, prostilo tetrastilo di ordine ionico, riprende spunti dall'Athenaion di Pytheos.
Nella categoria degli edifici destinati a funzione pubblica rientra l'ekklesiasterion, luogo di riunione dell'assemblea popolare, realizzato attorno al 150 a.C. La struttura (20,25 × 21,2 m), che era in grado di accogliere 700 persone, rientra nella tipologia degli edifici pubblici di età ellenistica a pianta quadrata con sedili disposti su tre lati; al suo interno si accedeva mediante due ingressi sul lato principale che fiancheggiavano un'apertura non accessibile, coperta da un arco, ma che permetteva di vedere l'altare posto al centro della sala; l'interno dell'edificio era completato da una decorazione con fregio dorico, cornici e timpano.
Sulla terrazza superiore oltre al teatro (la cavea poteva ospitare 5000 spettatori ed era dotata di sedili con zampe di leone per i posti d'onore; la scena era decorata con colonne doriche), realizzato in età ellenistica ma ampiamente rimaneggiato in periodo romano, si estendeva il quartiere residenziale. Gli scavi effettuati, in particolare alla fine del XIX secolo, e l'eccezionale stato di conservazione del tessuto urbanistico hanno permesso di ricostruire in buona parte anche l'edilizia privata presente nella città. Alla rigida divisione in lotti determinata dallo schema ortogonale corrisponde una libera articolazione della pianta interna delle case di abitazione, anche a due piani, che avevano muri ben costruiti in blocchi squadrati, spesso decorati con modanature in corrispondenza degli ingressi, e tetti a doppio spiovente coperti con tegole; talvolta i muri erano interrotti da finestre. Le case avevano cortile centrale su cui si affacciavano gli ambienti; alcuni esemplari erano forniti di impianti igienici. Un acquedotto approvvigionava la città di acqua, che era possibile attingere anche da fontane pubbliche; canali a cielo aperto permettevano l'eliminazione delle acque di scarico. Nelle vicinanze della terrazza del teatro era il santuario di Serapide dedicato da Tolemeo II.
All'età bizantina si possono ascrivere alcuni edifici di culto rinvenuti nella città e la residenza episcopale, costituita da una chiesa a tre navate con vani annessi, sorta alle pendici del Monte Micale a sud del teatro.
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di Roberta Belli Pasqua
Città (gr. ΣάϱδειϚ, ΣάϱδιϚ; lat. Sardes) dell'Asia Minore (Turchia), situata sulla pianura del fiume Ermo, ai piedi del Monte Tmolo, celebre nell'antichità per i giacimenti d'oro presenti nelle sabbie del fiume Pattolo.
Il sito sembra essere stato abitato fin dal III millennio a.C., come attestano rinvenimenti di tombe e frammenti ceramici che dal Miceneo IIIC giungono fino al Protogeometrico. Nel 680 a.C. fu conquistato da Gige, che fondò la dinastia dei Mermnadi, sotto il cui dominio S. divenne la capitale del regno della Lidia. Tra il 650 e il 550 a.C. ebbe un periodo di massimo splendore, favorito dalla ricchezza economica derivata dallo sfruttamento dei giacimenti auriferi e dalla abilità dei suoi artigiani di purificare l'oro. A S. si attribuisce l'invenzione della monetazione e l'adozione di un sistema monetario bimetallico. La ricchezza e l'importanza del centro lidio nell'età orientalizzante e arcaica è ulteriormente avvalorata dalle notizie circa le preziose donazioni che i sovrani mermnadi avrebbero effettuato nei santuari greci, anche a conferma dei rapporti tra il mondo lidio e la Grecia continentale: Gige (680-652 a.C.) avrebbe donato manufatti d'oro e d'argento nel santuario di Apollo a Delfi; Aliatte (612-560 a.C.) avrebbe dedicato nel medesimo santuario un cratere d'argento su sostegno di ferro, realizzato da Glaukos di Chio; Creso, invece, avrebbe fatto realizzare i rilievi che decoravano le colonne dell'Artemision arcaico di Efeso (Hdt., I, 92).
Anche per quanto riguarda la ceramica, a S. e alla cultura lidia si riferisce una classe con caratteristiche proprie nell'uso di elementi decorativi e di forme (ad es., il lydion, vaso per unguenti di forma tonda su piede conico), prodotta localmente fino al V sec. a.C. inoltrato. La ricchezza di S. e del suo re Creso (560-546 a.C.) divenne proverbiale per tutto il mondo greco, così come la tragica fine di quest'ultimo in seguito all'avanzata dei Persiani. Conquistata da Ciro nel 547 a.C., S. entrò a far parte dell'impero persiano e costituì il punto di arrivo, a occidente, della Strada Reale che, partendo da Susa, collegava la Persia al Mediterraneo. Dopo un periodo di dominio da parte di Alessandro Magno e dei suoi successori, fu conquistata da Seleuco I (282 a.C.) e successivamente distrutta da Antioco III (213 a.C.), che ne promosse la ricostruzione. Nel 180 a.C. divenne parte del regno di Pergamo e, insieme a esso, fu lasciata in eredità ai Romani da Attalo III (133 a.C.). Anche in età romana fu un centro prospero e importante; nell'Apocalisse figura come una delle Sette Chiese d'Asia. Fu distrutta da Khusraw II, re dei Sasanidi, nel 616 d.C.
La città di epoca lidia aveva un impianto regolare (Hdt., V, 101) e si estendeva a sud fino alla valle del Pattolo e lungo la via sacra che conduceva al tempio di Artemide. Gli scavi effettuati nel sito hanno riportato alla luce numerose abitazioni cosiddette "a cella unica", realizzate con uno zoccolo di pietrame, elevato in mattoni crudi e copertura con canne, paglia e fango; l'alzato in mattoni crudi su fondazioni di blocchi di pietra sembra essere stato utilizzato anche per realizzare edifici di maggiori dimensioni e per la cinta muraria della città. Il palazzo del re si trovava sull'acropoli, ma finora non è stato rinvenuto. Nelle necropoli sono state rinvenute tombe a camera e si conservano anche delle sepolture a tumulo presso il limite settentrionale dell'impianto urbano e nella necropoli di Bin Tepe; le tre più grandi tra queste si datano alla fine del VII o agli inizi del VI sec. a.C. e sono state attribuite ad alcuni dei re mermnadi: Gige e Aliatte. All'età persiana risale invece la cosiddetta "tomba a piramide", una costruzione su podio a gradini simile alla tomba di Ciro il Grande a Pasargade, che è stata interpretata come la sepoltura di Abradatas, luogotenente di Ciro morto durante la conquista persiana della città.
All'età ellenistica risale la prima costruzione del tempio di Artemide. Esso sorge in un luogo che doveva essere originariamente riservato al culto della dea frigia Cibele, alla quale si sovrappose in età greca Artemide, secondo un fenomeno attestato anche per altri luoghi di culto: ciò spiegherebbe l'orientamento dell'edificio templare a occidente, come era consueto per il culto di Cibele, anziché a oriente come avveniva invece per la divinità greca. Nell'età pre-ellenistica il culto doveva avvenire all'aperto, con la sola presenza di un altare, resti del quale, datati alla fine del V sec. a.C., sono stati rinvenuti durante gli scavi compiuti nel sito dall'Università di Princeton (cd. Edificio Lidio). Intorno al 300 a.C., successivamente alla conquista della città da parte di Alessandro Magno, dovette iniziare la costruzione del grandioso tempio, che forse non fu mai ultimato e subì rifacimenti e trasformazioni fino all'età romana. L'edificio, di ordine ionico, rientra nella categoria dei templi pseudodipteri, cioè con le colonne esterne lungo i lati lunghi distanziate dai muri della cella come se fosse frapposta una seconda fila di colonne; non è certo se tale tipologia fosse stata progettata fin dall'inizio o se sia stata realizzata in corso d'opera.
Nell'età ellenistica furono realizzati anche il primo impianto del teatro (muro di recinzione della cavea) situato ai piedi dell'acropoli e la pianta dello stadio. Nel 17 d.C. la città fu distrutta da un terremoto e si dovette procedere a una ripianificazione totale: l'impianto doveva svilupparsi attorno a un'arteria principale colonnata, orientata est-ovest, larga 12,5 m e fiancheggiata da portici e da tabernae; l'edificazione del centro urbano richiese tuttavia numerosi anni. Il complesso principale conservato è costituito dalle terme, situate nella parte nord-occidentale della città, che affiancano una tipologia propria dell'età romana a elementi peculiari degli impianti dei ginnasi di tradizione greca. Di particolare interesse è la sinagoga che è stata costruita, in più fasi cronologiche, all'interno dell'edificio pubblico; la struttura occupa la parte sud-orientale delle terme ed è costituita da due ambienti di pianta rettangolare disposti lungo un asse est-ovest. La costruzione testimonia l'importanza e la disponibilità economica della comunità ebraica della città, che deve aver compreso tra le 5000 e le 10.000 persone. Dall'edificio provengono una menorah di marmo con iscritto il nome Sokrates e numerose iscrizioni con i nomi dei membri della sinagoga. Lungo il lato meridionale del complesso delle terme è conservata una serie di botteghe, aperte sulla strada principale, che devono essere state in uso dal 400 al 600 d.C.
Agli inizi del VII secolo il nucleo urbano subì un restringimento a causa delle frequenti incursioni dei Sasanidi, con conseguente abbandono dei quartieri commerciali che erano sorti presso la via colonnata che attraversava la città; intorno alla metà del medesimo secolo l'acropoli fu trasformata in fortezza, le cui mura furono costruite con materiale di reimpiego prelevato da edifici di età precedente. Si ricordano, inoltre, una chiesa nelle vicinanze dell'Artemision, databile tra il IV e il VI secolo, e un secondo edificio di culto, di maggiori dimensioni, di età giustinianea, conservato a nord della strada moderna che attraversa il sito; infine, la cosiddetta Casa dei Bronzi, da cui provengono numerosi oggetti liturgici di bronzo. Nel X secolo, durante il regno di Costantino Porfirogenito, S. è ancora considerata la terza città dell'Asia Minore dopo Efeso e Smirne.
G.M.A. Hanfmann - D.G. Mitten, s.v. Sardi, in EAA, VII, 1966, pp. 44-47 (con bibl. prec.); E. Akurgal, Ancient Civilizations and Ruins of Turkey, Istanbul 19856, pp. 124-32; H. Botermann, Die Synagoge von Sardes. Eine Synagoge aus dem 4. Jahrhundert?, in ZNW, 81 (1990), pp. 103-21; J.S. Crawford, The Byzantine Shops at Sardis, Cambridge (Mass.) 1990; C.J. Ratté, Lydian Masonry and Monumental Architecture at Sardis, Ann Arbor 1990; C.H. Greenewalt Jr., When a Mighty Empire Was Destroyed. The Common Man at the Fall of Sardis, ca. 546 B.C., in ProcAmPhilSoc, 136 (1992), pp. 247-71; C. Ratté, Archaic Architectural Terracottas. A Study in Tile Replication, Display and Technique. The Archaeological Exploration of Sardis, Atlanta 1994; E.R.M. Dusinberre, Satrapal Sardis. Aspects of Empire in an Achaemenid Capital, Ann Arbor 1997; M. Spanu, s.v. Sardi, in EAA, II Suppl. 1971-1994, V, 1997, pp. 160-62 (con bibl. ult.); A. Ramage - P. Craddock - M.R. Cowell, King Croesus' Gold. Excavations at Sardis and the History of Gold Refining, London 2000; J.H. Kroll, The Greek Inscriptions of the Sardis Synagoge, in HarvTheolR, 94 (2001), pp. 5-127; C.H. Greenewalt et al., The City of Sardis: Approaches in Graphic Recording, Cambridge 2003; G. Lang, Klassische Antike Stätten Anatoliens, II, Norderstedt 2003, pp. 372-84.
Età tardoantica:
E. Zanini, Introduzione all'archeologia bizantina, Roma 1994, pp. 160, 200 (con bibl. ult.).
di Alessandra Bravi
Antica città (gr. ΞάνθοϚ; licio Arñna) della Licia, all'estremità sud-occidentale della Penisola Anatolica. I resti della città, per un'estensione di circa 30 ha, si distribuiscono sulle pendici di una altura rocciosa (cd. "acropoli romana" o "acropoli alta", alt. 130 m) e su un colle più basso, a sud-ovest di questa ultima, la cosiddetta "acropoli licia", dove un tempo si pensava fosse concentrata l'intera città.
Prima della conquista persiana, nella parte sud-orientale dell'acropoli sorgeva un edificio; sono state trovate ceramiche locali o sud-anatoliche, ceramiche greche cui si aggiungono, nel secondo venticinquennio del VI sec. a.C., le prime importazioni attiche a figure nere. La città entrò nel VI secolo nell'orbita politica dell'impero persiano (prima satrapia). La conquista persiana causò la distruzione dei più antichi edifici sull'acropoli: poco dopo l'incendio persiano, nell'angolo sud-est viene edificato un nuovo palazzo. Un edificio di culto sorge ora al centro dell'acropoli (rettangolare, ingresso principale a ovest), costruito a ortostati e diviso in tre celle, con favissa al di sotto della cella centrale, che ha restituito ceramica attica, di Fikellura, figurine ioniche e una testa di kouros milesio. Ma l'acropoli licia non costituiva l'unica area urbanizzata. Nel 1988 e nel 1998 sono venuti alla luce nel settore sud-est della città due bassorilievi databili alla fine dell'arcaismo, che costituiscono una spia dell'area di estensione in epoca preclassica. X. era dunque una grande città, almeno dal VI secolo, e la sua espansione continua in epoca classica.
Tra il 525 e il 470 fioriscono le relazioni commerciali con la Grecia, in particolare con l'Attica (la città fu forse soggetta alla Lega delio-attica fino al 440), come testimonia l'abbondanza di ritrovamenti di ceramica su tutta la superficie dell'acropoli licia. Anche la cinta muraria risente dei contatti più frequenti con il mondo greco: dalla fine del VI secolo compare l'apparato poligonale lesbio, che resterà in uso fino all'epoca romana. Un gruppo di case (fine VI - inizi V sec. a.C.) di legno su basamento di pietra si colloca nel solco della tradizione anatolica; forse bruciarono nel corso della spedizione ateniese di Cimone (470 a.C.). Al VI secolo appartengono i primi monumenti funerari tipicamente lici, le tombe-pilastri, di cui X. possiede il maggior numero. Nel 540 circa viene innalzato il Pilastro del Leone, di stile indigeno orientalizzante, formato da un corpo monolitico, rivestito da un fregio nella parte più alta, e sormontato da un sarcofago. Altri pilastri si ergevano ai piedi dell'acropoli, come quello di cui resta una lastra con lottatori (525 ca., oggi al Museo di Istanbul) in uno stile che rivela influssi rodi. Tra il 500 e il 470 si data la Tomba delle Arpie: un pilastro di calcare grigio-blu locale con fregio di lastre di marmo che chiudono la camera funeraria.
In epoca classica, X. era la residenza del dinasta locale la cui autorità era soggetta al Gran Re. Al V secolo risalgono forse un secondo tempio (a tre celle, rettangolare) sulla sommità dell'acropoli licia, parte delle mura che la circondano e tre monumenti funerari, uno decorato da fregi di galli, uccelli, satiri e centauri; una scena di banchetto funebre; processioni; figure di peplophoroi ionizzanti; infine un rilievo con Nike reimpiegato nel teatro, legati alla tradizione formale subarcaica. Tra il 430 e il 410 si data il Pilastro Iscritto, la più lunga iscrizione licia conosciuta, di oltre 100 linee, seguita da un poema in greco di sei versi (pilastro e fregio, diviso tra Londra e Istanbul, raggiungono un'altezza di 5,58 m).
All'inizio del IV secolo (secondo P. Demargne 410-400) un dinasta di nome Arbinas, forse l'ultimo membro degli Harpagidi, fa costruire la sua tomba, conosciuta come il Monumento delle Nereidi. Se l'iconografia dei bassorilievi è improntata all'Oriente, il loro stile è greco. Il monumento poggia su uno zoccolo, cui si sovrappone un alto podio coronato da due fregi a rilievo. Su questo corpo sopraelevato si erge un tempietto ionico che racchiudeva la cella, all'interno della quale erano quattro letti funebri. I fregi dello zoccolo illustrano le vittorie del dinasta. La tradizione orientale si esprime nelle teorie di personaggi e nella rappresentazione della presa di una città, elementi tipici neoassiri. Il fregio sull'architrave raffigura una caccia e una consegna delle offerte. Sui frontoni, il dinasta è raffigurato in vesti sia militari (a cavallo) che civili, a fianco della moglie mentre riceve dignitari. Gli acroteri principali, con scene di rapimento, e le statue tra gli intercolumni sono ispirati alla tradizione attica. Le statue femminili tra gli intercolumni, interpretate come Ninfe locali o Eliyãna, divinità licie presenti nel Letoon, assumono l'aspetto delle Nereidi di tradizione greca ed esprimono la glorificazione del defunto, Arbinas, che nel Letoon dedicò una statua raffigurante sé stesso in onore di Leto.
Nel IV secolo il grado di ellenizzazione della cultura formale di X. è dimostrato dagli ultimi pilastri e dai sarcofagi: il pilastro dell'acropoli domina la vallata ed è circondato da tombe a facciata e da sarcofagi. Il più significativo di questi è il cosiddetto Sarcofago di Payava, imponente esemplare licio di pietra con copertura a ogiva, che raffigura nei rilievi (al British Museum di Londra) iconografie dinastiche tradizionali con un senso dello spazio tipicamente greco, come nella rappresentazione della quadriga che trasporta Payava in una sorta di apoteosi; nel fregio dello zoccolo il dinasta combatte a cavallo tra i nemici ed è raffigurato in una scena di udienza.
Tratti culturali lici o di origine persiana tendono a scomparire sotto l'influenza greca, come mostra la brusca sparizione dell'epigrafia licia al momento della conquista di Alessandro nel 334/3 (Arr., Anab., I, 24, 4; Plut., Alex., XVII). Dal 309 al 197 la città è sotto il dominio di Antigonidi, Seleucidi e poi dei Tolemei (Diod. Sic., XX, 27). L'epoca ellenistica ha lasciato poche testimonianze. Tracce di un teatro sono state individuate sotto il teatro romano e nella stessa area, a sud-ovest sul fiume, una necropoli con tombe a cista, datate da Demargne al III sec. a.C., è in prossimità del pilastro delle Arpie. Nel III-II secolo furono rinforzate le opere difensive sul troncone orientale in corrispondenza della Porta Nord, con l'aggiunta di due torri. Resti di muri lungo il fianco sud dell'acropoli romana fanno supporre l'esistenza di un quartiere residenziale su terrazze, forse in uso fino all'epoca bizantina.
L'epoca romana si apre a X. con il sacco operato in città dalle truppe di Bruto (42 a.C.); nel 41 Antonio diede impulso alla ricostruzione (App., Bell. civ., IV, 10, 76-80); un culto a Cesare divinizzato si impianta probabilmente nel Letoon. Nel 43 d.C. la Lycia viene unita alla Pamphylia in una provincia imperiale. X. riceve il titolo onorifico di "metropolis" dell'ethnos dei Lici. In epoca vespasianea un arco-porta venne eretto presso la Porta Sud per iniziativa di Sextus Marcius Priscus, governatore di Lycia, sotto il quale passava la via che conduceva al Letoon. Nel periodo medio- e tardoimperiale si verifica una grande crescita edilizia. Nel II sec. d.C. ha luogo la ricostruzione del teatro, tra l'acropoli licia e l'agorà. Complessi termali sorgevano a est del teatro e sulle pendici meridionali dell'acropoli fuori dalla cinta urbana. La romanizzazione trasforma la città, regolarizzando due assi viari principali, piazze, colonnati corinzi. Una piazza porticata sorge dietro la scena del teatro, la cosiddetta agorà romana, forse proprio nel luogo dove era la agorà classica. A ovest un edificio a tre navate absidato poteva essere una basilica, poi convertita in chiesa. A est dell'agorà un arco a tre fornici (Agora Gate) marca l'incrocio tra la via proveniente dalla Porta Sud e il decumanus (est-ovest), forse colonnato. All'estremità orientale del decumanus era un dipylon monumentale, oltre il quale il decumano incontrava il cardo in una piazza pavimentata, bordata di edifici sul lato nord, tra i quali un edificio a dromos (di epoca classica). Due piazze rettangolari porticate si aprivano lungo il percorso dei due assi viari principali.
La conquista romana si rende evidente negli usi funerari, con lo spostamento delle necropoli al di fuori dell'area urbana. Una necropoli romana si sviluppò a nord-est della città: tra le tombe era un heroon, al cui interno furono rinvenuti i frammenti di un sarcofago attico con scene di battaglia, di un secondo esemplare con Eroti, infine di un terzo con corteggio marino. Un mausoleo scavato da Ch. Fellows nella pianura a sud della città conteneva due sarcofagi attici, un sarcofago a colonne, infine un esemplare locale con scene di caccia.
Una certa vitalità mantenne X. in epoca bizantina. Alla fine del V secolo sorsero dimore aristocratiche e chiese. Sulla vecchia acropoli licia, livellata e spogliata, vengono costruite ricche abitazioni, del tipo ellenistico a peristilio, con marmi e mosaici, di cui è un esempio la Casa di Meleagro e Atalanta. Una grande basilica (74 × 29 m) venne eretta a est del cardo, con atrio bordato da tre portici e da un nartece sul lato orientale, collegato da due ingressi alle navate laterali e triplice ingresso monumentale su quella centrale. Le nostre conoscenze su X. bizantina sono state arricchite dallo scavo di tre chiese: una a ovest dell'agorà romana, una seconda nel suo angolo sud-ovest, una terza al centro di una larga piazza, con annessi e cimitero. La peste del 542, una invasione persiana e le incursioni della flotta araba nel VII secolo causarono lo spopolamento della città. Nel VII secolo furono ricostruite le fortificazioni attuando una massiccia spoliazione dei monumenti antichi. Nominata nel De thematibus (XIV, 15 ss., Thema Kibyrrheoten) di Costantino Porfirogenito, X. esisteva ancora nell'XI secolo, poco prima della sua presa da parte dei Selgiuchidi.
Secondo Strabone (XIV, 3, 6), a 10 stadi di cammino dalla bocca dello Xanthos si raggiunge il Letoon, il santuario dedicato al culto di una divinità femminile anatolica. I rinvenimenti ceramici più antichi attestano che il culto venne probabilmente fondato nel VII secolo, intorno a una fonte sacra.
Tra il VI e il V secolo, sotto l'amministrazione persiana, il santuario assunse forma monumentale. Su una terrazza sopraelevata si ergevano almeno due edifici templari, allineati a est: il futuro tempio di Apollo, di tipo licio con fondazioni di calcare e probabile alzato di legno; un secondo edificio, al centro del quale viene inglobata una roccia (futuro tempio di Artemide). A un livello inferiore era un piazzale ampio, percorso da ovest a est da una via sacra. Nel IV secolo i dinasti lici ristrutturano il Letoon, in cui venne edificato il tempio ovest (A), poi dedicato a Latona. All'epoca di Artaserse III (358 o 338 a.C.) risale un'iscrizione trilingue (in licio, greco e sunto in aramaico), che menziona un altare e sacrifici per due divinità.
Nel II secolo, quando X. si emancipa da Rodi e il Letoon diviene il santuario federale delle città della Lega, vengono costruiti i portici sul lato ovest e il teatro e ricostruiti gli edifici di culto. Il tempio di Leto era di ordine ionico (6 × 11 colonne), con un ordine interno di semicolonne corinzie; l'edificio centrale era costituito da una cella senza peristilio forse destinata al culto di Artemide; il tempio dorico a est, con un mosaico al centro che raffigura i simboli apollinei (lira, arco e faretra), era probabilmente dedicato ad Apollo.
In epoca augustea il santuario ricevette nuovo impulso con la fondazione del culto della famiglia imperiale, celebrato probabilmente nella sala di accoglienza annessa al portico settentrionale, dove sono state rinvenute sei basi con statue di marmo della famiglia di Agrippa. In epoca adrianea, attorno al bacino e al ninfeo ellenistico, sul lato opposto alla fonte, prende posto un portico a semicerchio, dietro al quale uno spazio rettangolare era destinato a ospitare la statua dell'imperatore. L'ingresso dal portico sulla via sacra viene sottolineato con la costruzione di propilei monumentali, dai quali partiva una via pavimentata. Gli ultimi interventi risalgono a età antonina, come rivela la base di una statua di Opramoas di Rhodiapolis, benefattore vissuto durante il regno di Antonino Pio.
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