I laici 'fondatori'
La storia dell’Italia unita è segnata, nei suoi rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, da un arcipelago di realtà religiose che riguardano non soltanto le istituzioni, ma anche e soprattutto le multiformi esperienze di vita cristiana vissuta. Non esiste una rassegna compiuta che abbia dato conto ovvero sistematizzato ruolo e significato per la società italiana, oltre che per la comunità ecclesiale, di tale vivaio.
Eppure già solo i numeri dicono di un sostrato considerevole e diffuso sull’intera penisola, con caratterizzazioni proprie e sensibilità diverse. Il minimo comun denominatore è la natura associativa di queste realtà. Si tratta infatti di sodalizi, movimenti, istituti, enti, opere che hanno inteso raggruppare attorno a un’idea o ispirazione gruppi di cristiani comuni. E la loro fondazione è avvenuta in stragrande maggioranza per opera di laici, o con il loro determinante concorso. Nelle rare volte in cui a dar vita a queste realtà sono stati sacerdoti o religiosi, ciò è avvenuto con l’intento preciso di realizzare una specifica vocazione laicale, ritenuta non ancora sufficientemente valorizzata all’interno della Chiesa. Ogni percorso è avvenuto previo riconoscimento e approvazione della gerarchia ecclesiastica. Per alcune esperienze che hanno portato alla nascita di istituti secolari l’iter è stato comune: intuizione della vocazione da parte di un laico fondatore, erezione canonica, decreto di lode, approvazione definitiva. Questo per quanto riguarda il versante ecclesiastico. Ma molti gruppi e opere hanno cercato anche il riconoscimento civile dallo Stato italiano, per meglio inquadrarsi dal punto di vista normativo e per le agevolazioni che hanno ottenuto rispetto alle attività no profit che in alcuni casi sono state collegate. Sui 75 istituti secolari che compongono oggi l’assemblea della conferenza italiana, quasi la metà sono nati per iniziativa di laici dopo l’Unità d’Italia. Ma al di là dell’esperienza singolare della laicità consacrata, per la quale è decisiva la costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia del 1947, che ampliò il riconoscimento della ‘consacrazione’ e delle forme canoniche degli stati di perfezione, va tenuto in considerazione il cammino generale di discernimento fondato sulla convinzione del laicato di costituire autonomamente una risorsa aggiuntiva per la Chiesa. Una maturazione che ha portato a riconoscere le nuove esperienze vocazionali come modalità concrete di vivere il Vangelo in un mondo in profonda e continua trasformazione. La Chiesa ha accompagnato questo fiorire di carismi e intuizioni, valutando di volta in volta la peculiarità delle proposte, che hanno avuto all’origine una comune richiesta di incarnare un ideale di perfezione senza dover necessariamente abbracciare la vita conventuale o monastica. I laici fondatori hanno insomma fatto penetrare nella realtà ecclesiale l’opportunità di istituire nuove forme di vita con cui dare ai cristiani comuni la possibilità di servire la Chiesa, specie quando si è trattato di aprire ai semplici battezzati strade inedite con diaconie riconosciute. Non a caso molte realtà associative hanno avuto a capo figure carismatiche femminili, alle prese con la definizione del ruolo della donna nella comunità ecclesiale, stante l’inaccessibilità del sacramento dell’ordine. Sono diverse le fondatrici laiche che nel corso del Novecento hanno cercato d’incarnare l’ideale della contemplazione nell’azione e della consacrazione religiosa all’interno di una vita pienamente secolarizzata. Nelle realtà degli istituti secolari, del resto, la prevalenza di vocazioni è di gran lunga appannaggio dell’universo femminile.
In questa rassegna non s’intende dar conto di questi fatti vissuti e ‘istituiti’ nella Chiesa1. Solo in quanto realtà fondate da laici esse sono qui prese in considerazione, perché rappresentano altrettante soluzioni alle diverse istanze di partecipazione dei laici stessi alla missione della Chiesa e di difesa dei valori cristiani nella società secolarizzata. Le loro opere, perciò, si possono a ragione ricondurre nell’alveo generale del movimento cattolico. Benché questa galleria possa dare l’impressione di mettere insieme figure semisconosciute o di secondo piano nell’istituzione ecclesiastica, assume un valore certamente maggiore il complesso delle attività e il significato per le chiese locali che esse hanno avuto e possono continuare ad avere oggi. Molte di queste realtà, che non si possono racchiudere in una categoria singola (sono istituti di perfezione, ma anche movimenti religiosi, congregazioni laicali, opere di misericordia, enti benefattori, ecc.) hanno alle spalle un passato più o meno lungo, in cui a momenti di maggiore fioritura sono seguiti altri di difficoltà e declino – quasi sempre coincidenti con la scomparsa del fondatore – talora superati con un ripensamento e un adattamento dell’intuizione originaria. Quasi tutte le esperienze hanno poi travalicato i confini nazionali: la diffusione nei paesi di missione è stata in molti casi l’ancora di salvezza che ha evitato la loro riduzione ai minimi termini, se non la scomparsa. Negli anni successivi al concilio Vaticano II, in coincidenza con la grande espansione dei movimenti e l’ascesa della loro influenza, si sono anche importate nuove aggregazioni ed esperienze ecclesiali per laici2. Ciò ha coinciso con la riduzione degli spazi strategici degli istituti secolari, rispetto ai tempi di Pio XII e di Paolo VI. Negli anni Ottanta del Novecento il contesto ecclesiale cambia e gli effetti sono evidenti: la linea che si afferma decisamente è quella che pone al centro i nuovi movimenti ecclesiali. Mentre declina il laicato organizzato autonomamente nello spazio diocesano, è la ‘comunità cristiana’ a proporsi come soggetto immediato e integrale di vita e d’azione anche civile. La nuova ecclesiologia oscura il ruolo precedentemente attribuito a quelle realtà ecclesiali che avevano una funzione mediatrice e si presentavano come cerniera preziosa e discreta fra Chiesa e società.
In precedenza, comunque, è con la progressiva rilevanza data alla figura cristiana del battezzato che erano nate forme nuove di vocazione, di spiritualità, di opere e di strumenti culturali; il tutto va compreso in connessione all’evoluzione concettuale e all’autocomprensione della Chiesa. Nell’Italia unita fu da questo punto di vista significativo il processo di fondazione della Società della gioventù cattolica: tra il febbraio e il giugno 1867 due giovani studenti, Mario Fani di Viterbo e Giovanni Acquaderni di Bologna, elaborarono un documento finalizzato a offrire un programma educativo fondato sull’istruzione religiosa di tutti i semplici battezzati. Secondo il viterbese occorreva «pensare alla carità verso i giovani, che dalle audacie della rivoluzione si trovano impediti perfino di mostrarsi cristiani»3. E così nacque l’idea dei circoli di Gioventù cattolica, dediti alla diffusione della buona stampa e della devozione verso il papa. Furono intesi come strumenti nuovi per tempi nuovi. Con una funzione essenzialmente polemica e intransigente, perché se l’esercito del clero rappresentava l’insieme dei generali, cionondimeno servivano soldati semplici per la battaglia cattolica. E i laici diAzione cattolica a ciò dovevano servire. Se lo Stato, che avrebbe dovuto aiutare e difendere la Chiesa, abdicava a questa funzione, il laicato cattolico doveva surrogarlo. Padre Matteo Liberatore, dalle pagine de «La Civiltà cattolica», era stato perentorio:
«il laicato cattolico ha diritto di pretendere che lo Stato civile colle sue leggi nulla ordini, che sia contrario al dogma o alla morale cattolica; perché lo Stato è costituito non per infrangere, ma per tutelare i diritti dei sudditi. Primo di tutti i diritti è quello della coscienza religiosa. Ecco perché è necessaria l’azione cattolica: perché è necessario che si propaghi e trionfi».
Sarà poi il carattere formativo dell’Azione cattolica a differenziare la sua opera da quella del più generale movimento cattolico. Con la sua caratteristica forma organizzativa, l’Azione cattolica andrà a monopolizzare il laicato cattolico per larga parte del Novecento: al primo nucleo della Gioventù cattolica andranno via via saldandosi vari rami – secondo la definizione classica che veniva utilizzata prima dello statuto del 1969 – che hanno una diversa genesi. Talvolta alla loro origine vi è la figura di un fondatore o di una fondatrice, talaltra nascono su sollecitazione della gerarchia oppure come sintesi delle due possibilità. Nascono così l’Unione donne cattoliche (1908), la Gioventù femminile (1918), la Federazione uomini cattolici (1922) e i movimenti collegati: la Federazione universitaria (1896) e il Movimento laureati (1932).
Accanto all’Azione cattolica va annoverata, per l’importanza avuta nella formazione giovanile, la fondazione dell’Associazione scout cattolici italiani (Asci), avvenuta nel 1916 per opera del conte Mario di Carpegna, guardia nobile del papa. Anche in Italia si diffuse precocemente il movimento giovanile di Robert Baden-Powell dedicato all’educazione dei giovani sotto il profilo fisico, mentale e spirituale. Lo scautismo italiano, a dire il vero, non fu accolto inizialmente con grande favore: per papa Benedetto XV era un sistema educativo troppo laico, oltre che non cattolico (Baden-Powell era anglicano). Qualcuno lo sospettava anche di aderenze con la massoneria. Ma fu accettato come ripiego necessario per arginare la diffusione di certo associazionismo ludico-sportivo laico tra i giovani dell’Azione cattolica. Per questo gli esploratori italiani si dotarono anche di simboli nuovi, come la bandiera bianca con il giglio verde, per esprimere la loro assoluta devozione verso il papa. Superata la quarantena imposta dal regime fascista, che sciolse le associazioni scout per far confluire tutti i ragazzi nelle proprie organizzazioni, il movimento riprese l’attività nel secondo dopoguerra, sviluppandosi notevolmente negli anni Cinquanta e Sessanta. Le evoluzioni educative e pedagogiche determinarono poi la revisione di scopo e natura dello scautismo: nel 1974 i rami maschile e femminile furono uniti nell’Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani), che introduceva la coeducazione con attività comuni di ragazzi e ragazze, una minore caratterizzazione confessionale e un distacco dall’impegno politico. Al movimento scout si riferiscono oggi ancora numerose associazioni, dedite soprattutto all’animazione estiva dei ragazzi: oltre all’Agesci, che conta circa 180 mila aderenti, vi sono tra le più significative l’Unione internazionale delle guide e scout d’Europa (19.000 soci) e il Corpo nazionale giovani esploratori ed esploratrici italiani (12.000 soci)4.
Nel solco dell’impegno laicale fiorirono altre importanti opere, più o meno collegate all’Azione cattolica. Tra queste ebbero particolare rilievo quei gruppi o movimenti che poi divennero congregazioni religiose o istituti secolari riconosciuti dalla Chiesa. Un primo esempio è quello offerto dalle Figlie di Nostra Signora di Lourdes, fondate dalla ‘signorina’ Giovannina Mazzone a Casale Monferrato (Alessandria). Si tratta di un’esperienza vocazionale laicale che abbraccia due secoli e che si collega direttamente alla devozione mariana e al modello di spiritualità di s. Bernadette Soubirous5. La fondatrice aveva già dato vita, non ancora ventenne, a un oratorio femminile, cui fecero seguito numerose altre iniziative. Fu il vescovo casalese Albino Pella a insistere per istituzionalizzare quella multiforme realtà, consigliando la Mazzone di chiedere il riconoscimento per una congregazione religiosa laicale, che avrebbe fatto dell’educazione, della collaborazione con le opere parrocchiali e dell’accoglienza i punti principali della propria ragion d’essere.
Il primo istituto secolare femminile riconosciuto dalla Chiesa fu quello fondato da Elena da Persico e denominato Filiae Reginae Apostolorum6. Attivo nel Nord-Est (il sodalizio fu eretto canonicamente nel 1931 dal vescovo di Trento, Celestino Endrici e i primi gruppi sorsero a Venezia e Trieste), fu poi definitivamente approvato dalla Santa Sede nel 1954. Le Figlie della Regina degli Apostoli sono una proiezione del carisma e dell’intuizione vocazionale della nobile veronese, consacratasi a Dio come ‘vergine nel mondo’, che nel 1904 aveva assunto la direzione di «Azione muliebre», il periodico cattolico femminile dedicato alla promozione sociale della donna che dirigerà per oltre quarant’anni. Quest’attività la portò a iscriversi al Partito popolare di Sturzo, dopo aver partecipato attivamente alle Settimane sociali dei cattolici (nel 1908 aveva presentato una relazione dal titolo La questione femminile in Italia e il dovere della donna cattolica nei tempi presenti) e alla fondazione dell’Unione delle donne cattoliche. Aderì poi al fascismo, di cui condivise le battaglie morali e le campagne demografiche. L’istituto secolare fu caratterizzato da uno stile di vita di impegno laicale nelle pieghe della società, nelle comuni condizioni e senza segni distintivi, sulla scorta dei consigli ricevuti da padre Agostino Gemelli. Le donne consacrate appartenenti al sodalizio decisero di posporre al loro nome la sigla Fra e fecero della Villa da Persico di Affi, nel veronese, il centro delle attività. Oggi vi ha sede anche la Fondazione Elena da Persico, con gli archivi e la biblioteca. Le Figlie della Regina degli Apostoli a fine 2008 erano circa 400, sparse per tutta Italia e anche in Francia, Inghilterra e Brasile.
A Elisabetta Seneci si deve invece l’istituzione della prima congregazione del Terz’ordine carmelitano, sorta a San Pietro in Castello, in provincia di Brescia, nel 1875. Fu anch’essa un’associazione femminile di perfezione nel mondo, ispirata ai valori della tradizione spirituale carmelitana. Nel 1930 fu eretta una seconda sezione del Terz’ordine, appositamente per donne sposate. Dopo il concilio Vaticano II divenne una Pia unione, assumendo la denominazione di Cenacolo carmelitano e impiantandosi nella diocesi siciliana di Ragusa. Ai voti di castità, povertà e obbedienza, il sodalizio aggiunse alcune scelte connotanti, quali l’apostolato e la vita comunitaria scandita da momenti di orazione, gesti di mortificazione e diffusione dell’ideale contemplativo del Carmelo7.
Molte analogie intercorrono tra questa e altre esperienze religiose femminili. Decisamente importante è quella che ha avuto come ispiratori e fondatori padre Agostino Gemelli e Armida Barelli e che va sotto il nome di Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo8. Nel novembre del 1919 era sorta ad Assisi la Congregazione delle terziarie francescane del regno sociale del Sacro Cuore, cui aveva prontamente aderito laBarelli, che si era consacrata nel 1910 e che era rimasta sempre combattuta sulla scelta di entrare in convento, dal momento che Gemelli le aveva fatto pressioni perché cercasse la via della perfezione e della santificazione restando laica. Su quest’idea fondamentale si costruì nel 1927 l’inquadramento giuridico delle Missionarie, che divennero un pio sodalizio grazie anche al sostegno propagandistico in cui si impegnò il braccio destro diGemelli, monsignor Francesco Olgiati. Il contesto ambrosiano ebbe un suo indiscutibile ruolo: in ambito laicale era sorta nel 1920 su iniziativa di don Giovanni Rossi, segretario del cardinale milanese Andrea Carlo Ferrari, la Comunità (poi Compagnia) di S. Paolo, che si dedicò a molteplici opere nel campo dell’istruzione e dell’animazione giovanile, dei pellegrinaggi, dell’editoria e dell’edilizia, organizzando e gestendo poi anche le iniziative legate al nome dell’Opera cardinal Ferrari9. Insieme al ramo maschile e all’Opera della Regalità, costituiti nel 1928, la fondazione delle Missionarie fu invece uno dei tasselli fondamentali nel progetto di costruzione dell’Università Cattolica che padre Gemelli ideò con il preciso scopo di selezionare e formare giovani laici e consacrati attraverso una cultura scientifica cristianamente ispirata. Una fonte estremamente significativa di quel progetto complessivo fu il fascicolo pubblicato da monsignor Olgiati pro manuscripto nel 1927 e intitolato Per una nuova fioritura di gigli, con il quale l’ideale di vita era descritto anche rispetto al carattere elitario che esso consapevolmente conteneva. Gemelli dirà che «i Missionari debbono essere gli strumenti per rendere di nuovo soprannaturale la vita della società moderna»10. E scelse come motto di tutta l’Opera della Regalità il monito paolino della prima lettera ai Corinzi «oportet illum regnare» (1 Cor 15, 25). La perdurante fortuna di quell’intuizione è indicata nei numeri odierni: oltre 2.000 Missionarie in Italia e quasi 500 presenti in una trentina di paesi di tutto il mondo.
Alla spiritualità francescana si deve anche la nascita, nel 1929, di un altro istituto femminile fondato dall’insegnante bresciana Vincenza Stroppa e denominato Piccola famiglia, cui si sarebbe poi aggiunto nel 1935 l’aggettivo ‘francescana’. All’origine di questo sodalizio vi fu anche un altro personaggio influente: padre Ireneo Mazzotti, fratello minore di Arcangelo (il direttore spirituale di Gemelli e della Barelli), entrambi frati minori della Provincia lombarda. Fu proprio Gemelli a consigliare alla Stroppa di porsi sotto la direzione spirituale di padre Ireneo. Dallo scambio e dal confronto reciproco nacque un regolamento di vita, poi proposto a un primo gruppo di terziarie francescane11. L’idea fondamentale che animò i due cofondatori era che l’unione vera con Dio si vive nella cella dell’anima, mentre è all’esterno, in qualsiasi luogo dove ci si trovi a operare, che si deve vivere all’insegna della carità. Perché è nel mondo che la Famiglia è chiamata a testimoniare Dio: nelle sue circolari la Stroppa amava descrivere la realtà mondana come un deserto assetato di divino, e tuttavia bello, in quanto già abitato da Gesù Cristo che lo ha redento12. Negli anni il sodalizio si è reso autonomo, svincolandosi dall’Ordine dei frati minori (l’approvazione della Santa Sede come istituto di diritto pontificio porta la data del 1 gennaio 1983) e ha stabilito nel cenacolo Maria Assunta di Ome (Brescia) il proprio centro. Le sorelle sono circa 700, perlopiù italiane, e hanno una rivista trimestrale di collegamento dal titolo «Vita di famiglia».
Di dimensioni ridotte, ma con un’ispirazione simile, è l’istituto secolare femminile Unio Filiarum Dei, fondato a Treviso nel 1924 da Ippolita Teresa Eranci13. Canonicamente eretto da monsignor Giacinto Longhin nel 1948, l’istituto fu elevato al grado di diritto pontificio nel 1970 da papa Paolo VI. La casa di spiritualità S. Martino è stato il luogo in cui le laiche consacrate hanno svolto il principale servizio ecclesiale, che si è poi collegato alle missioni in Brasile con progetti educativi a favore dei bambini. Vita interiore e preghiera contemplativa sono i capisaldi della scelta vocazionale delle affiliate. Nel 2008 esse erano un centinaio, distribuite tra Veneto, specie nella sede trevigiana, Germania e Brasile.
La storia degli istituti secolari italiani è piuttosto sconosciuta anche perché abbastanza difficile da ricostruire sulla base delle fonti disponibili. Non si conoscono molte vicende interne, che offrono uno spaccato significativo sulle dinamiche e sui rapporti che si sono creati all’interno del cattolicesimo italiano. Talora si è trattato di fatti che hanno fatto emergere sensibilità diverse, su cui ci si è confrontati dialetticamente e in qualche caso anche divaricati. Il caso tra i più eclatanti di una frattura, ancorché sopita nelle forme della correzione fraterna, è quello dall’Opera della Regalità di padre Gemelli, o meglio dal sodalizio maschile dei Missionari della Regalità, che ebbe come protagonista Giuseppe Lazzati, fondatore dei Milites Christi Regis. Era il 1938: un gruppo di appartenenti al sodalizio di padre Gemelli decideva di uscirne, per dar vita a una nuova esperienza. A guidare questo sparuto gruppo, composto inizialmente da una decina di giovani, era il presidente della Gioventù cattolica milanese, che già si era segnalato all’attenzione del cardinale Ildefonso Schuster per il suo carisma di formatore14. I contrasti personali con il Fratello maggiore, ovvero con il presidente laico del sodalizio, Luigi Gedda, sono stati addotti dalla storiografia interna come causa di questa separazione. In realtà la scelta di Lazzati di uscire dai Missionari e di fondare i Milites Christi fu «il risultato di un itinerario complesso, nel quale si intersecano elementi diversi, tra i quali vi sono certamente una maturazione spirituale personale, la presa di distanza dal modello di sodalizio gemelliano (ma non dalla persona e dalla personalità di Gemelli) e una qualche forma di avversione nei confronti del Fratello maggiore Gedda»15. In un documento preparato per la prima udienza con il nuovo arcivescovo di Milano, monsignorGiovanni Battista Montini, nel febbraio 1955, Lazzati spiegò che la ragione fondamentale della separazione
«fu l’aver constatato la subordinazione fatta, almeno in pratica, della personale vocazione dei singoli ad un fine specifico concretato in una opera: l’Università Cattolica. In pratica fu più volte dato di constatare quanto questo fosse dannoso per i singoli e per il Sodalizio, in ordine alla scelta delle vocazioni, alla formazione degli ammessi, al governo del Sodalizio: si mirava ad avere uomini che servissero per l’Università più che anime impegnate a seguire con generosa fedeltà una vocazione sostanzialmente religiosa»16.
Il documento è interessante perché spiega come all’interno del cattolicesimo ambrosiano si siano sperimentati percorsi diversi rispetto all’impegno nelle attività secolari e al servizio nella Chiesa. La preoccupazione diLazzati va dunque letta come il sintomo di una propensione religiosa che non lega la realizzazione della vocazione laicale a una singola opera, ma che ha come termine ultimo di riferimento una fede cristiana che diventi operante per la missione stessa della Chiesa universale. È su questa falsariga che l’istituto secolare lazzatiano crebbe e si consolidò, trovando nei documenti pontifici Provida Mater Ecclesia del 1947 e Primo feliciter del 1948 la conferma delle proprie peculiarità religiose. Nel 1952 arrivò poi l’erezione canonica diocesana, cui seguì nel 1963 il riconoscimento come istituto secolare di diritto pontificio. Nel corso degli anni molti membri stranieri vi hanno aderito, provenienti soprattutto da Polonia, India, Nuova Zelanda, Congo, Uganda e Venezuela. Si diventa membri del sodalizio pronunciando i voti annuali di povertà, castità nel celibato e obbedienza. Questo atto è preceduto da quattro anni di formazione o ‘aspirantato’. Dopo dieci anni dai primi voti, si può chiedere di pronunciare i voti perpetui. La sede spirituale dell’istituto si trova presso l’eremo di S. Salvatore, vicino Erba (Como), dove riposa la salma di Lazzati, che è scomparso nel 1986. Nel 1991 la Chiesa di Milano ha avviato per lui il processo di canonizzazione, conclusosi, per la parte di competenza diocesana, nel 1996. La causa ha poi seguito il previsto iter presso la competente congregazione ecclesiastica romana.
Un’altra costola dei Missionari della Regalità andò a formare, a partire dal 1942, la Società operaia di Luigi Gedda. Anche il presidente del sodalizio gemelliano, dunque, si staccò dal gruppo per fondarne uno proprio17. L’atto generativo, secondo una testimonianza autobiografica, fu la partecipazione di un gruppo di giovani di Azione cattolica a un corso di esercizi spirituali, al termine dei quali fu redatto un documento in data 3 settembre 1942 che prese la forma di un vero e proprio credo (infatti fu denominato simbolo, come il credo niceno), che da allora sarebbe stato ripetuto quotidianamente dopo la partecipazione alla comunione eucaristica. Il futuro dirigente dell’Azione cattolica, lo stratega dei Comitati civici, l’uomo dalle capacità organizzative e promozionali che incantarono papa Pio XII, ebbe modo di dar vita anche a un sodalizio per laici consacrati. La Società fu pensata come una sorta di corpo scelto di militanti, che dovevano avere come comun denominatore la spiritualità del Getsemani, ovvero il culto della passione di Cristo, con particolare riferimento all’agonia nell’orto degli ulivi, esempio sublime di obbedienza divina. L’incontro con questo tipo di opzione religiosa avvenne nel 1940, nel monastero dei Passionisti al Celio di Roma: fu in quel contesto che Gedda venne conquistato dall’idea di concepire le sofferenze umane non solo come espiazione dei peccati, ma anche come partecipazione ai dolori sofferti da Gesù Cristo per cancellarli. Su questo nucleo originario si svilupperà l’aggregazione di laici che con Gedda condivisero ideali e lotte, facilitati nell’adesione dal fatto che la consacrazione non escludeva, a differenza degli altri sodalizi, la possibilità di sposarsi e avere una famiglia. All’organizzazione della Società operaia, quando non alla stessa direzione, soprintese in alcuni periodi la sorella Mary Gedda, scomparsa nel 1985. La diffusione tra le fila dell’Azione cattolica fu precoce e larga, con la costituzione di diversi ‘reparti’ autorizzati dai vescovi italiani; ma in generale rimase legata alle alterne fortune diGedda e del blocco clerico-moderato che in lui si riconobbe, arrivando a ottenere il riconoscimento del Pontificio consiglio per i laici solo nel 1981. Le prospettive di espansione, soprattutto in Terra Santa e in Argentina, le opere legate ai diversi centri di spiritualità denominati ‘Getsemani’ e alle riviste «Tabor» e «La voce dei Getsemani», i processi di beatificazione di alcuni ‘operai’ (in particolare di Alberto Marvelli, proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 2004), sono i frutti che, dopo la scomparsa di Gedda nel 2000, rimangono legati a questa esperienza religiosa che è testimone di un passato e di una visione di Chiesa che ha avuto un’influenza considerevole nel cattolicesimo italiano. Ma l’approfondimento del significato spirituale, teologico e organizzativo che l’opera di Gedda ha rappresentato dagli anni Trenta alla conclusione del pontificato pacelliano è ancora tutto da svolgere18.
La consacrazione vissuta nel mondo fu alla base anche dell’esperienza delle Piccole Apostole di Cristo Re, fondate a Lucca nel 1935 da Maria Valenti con l’assistenza di don Giuseppe Casali. Si tratta di un sodalizio di dimensioni ridotte, che venne stabilizzato con l’erezione in ente morale nel 1958, sotto la denominazione di Istituto Regnum Christi. Con l’aiuto del vescovo ausiliare monsignor Enrico Bartoletti, nel 1971, le costituzioni dell’Istituto furono riviste alla luce delle novità positive dei documenti seguiti al concilio Vaticano II: l’ideale di perfezione fu individuato nell’animazione cristiana degli ambienti di lavoro e delle realtà temporali in genere. La missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo è divenuta, negli anni Settanta, una delle azioni specifiche che le Piccole Apostole hanno scelto: sono così nati ‘cenacoli’ in Rwanda e negli Stati Uniti, di cui si è avuto notizia dall’organo di collegamento mensile «Regnum Christi». Oggi le appartenenti al sodalizio sono solo una settantina, si dedicano soprattutto all’organizzazione di pellegrinaggi a Lourdes e continuano ad avere a Lucca la loro sede centrale.
Alla spiritualità legata a s. Camillo de Lellis si deve ricondurre invece la nascita delle Missionarie degli infermi ‘Cristo Speranza’, fondate da Germana Sommaruga19. Lo stile camilliano di approccio alla sofferenza e di assistenza degli infermi furono alla base di questa scelta di consacrazione secolare, la cui prima idea risale al 1936, quando la Sommaruga si era trasferita dalla Sardegna a Milano per frequentare l’Università cattolica. Qui ebbe modo di dedicarsi agli studi sulla vita e l’opera del religioso che alla fine del secolo XVI fondò l’Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi. E nello spirito di s. Camillo diede vita al movimento di laiche che, restando nel mondo, si dovevano prender cura dei malati, specie dei miserevoli e abbandonati. Il padre Angelo Carazzo diede appoggio e sostegno al progetto, consegnando poi l’idea dell’istituto alla custodia del vescovo di Cremona monsignor Giovanni Cazzani, che nel 1948 riconobbe l’istituto di diritto diocesano. L’approvazione definitiva pontificia avvenne nel 1961, con papa Giovanni XXIII. Fin dagli anni Sessanta le Missionarie degli infermi fondarono propri gruppi in Francia, Belgio e Polonia, sbarcando poi anche in America Latina, Asia e Africa. Attualmente vi sono due rami di associati: le collaboratrici ‘Cristo Speranza’, nubili, coniugate o vedove; le comunità familiari ‘Cristo Speranza’, unite dal sacramento del matrimonio e arricchite dall’esperienza di vita familiare. L’istituto ha preso come proprio motto e programma un aforisma della mistica francese Madeleine Delbrêl: «Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della santità».
Altro istituto secolare che ha legato le proprie fortune alla Chiesa ambrosiana è quello di Ezia Fiorentino, fondatrice insieme al cardinale Ildefonso Schuster delle Missionarie del sacerdozio regale di Cristo20. Si tratta di un sodalizio che presenta molte analogie con quello di Lazzati. Infatti il bacino da cui vennero le prime vocazioni fu quello dell’Azione cattolica, in quanto la Fiorentino era stata nominata nel 1938 presidente diocesana della Gioventù femminile, che a quel tempo arrivava a contare su tutto il territorio nazionale quasi 100 mila aderenti. Il cardinale Schuster riconobbe a livello diocesano l’istituto nel 1945, indirizzandolo in modo particolare alle opere di sostegno per i seminari e le vocazioni sacerdotali, mentre il decreto di lode che lo rese di diritto pontificio venne nel 1969. La Fiorentino diede per prima l’esempio di come vivere la consacrazione nel mondo, non rinunciando a un impegno in prima linea sul fronte sociale e civile: fu consigliere e assessore comunale fino al 1960, si spese in svariate attività socio-assistenziali per Milano, divenendo nel periodo 1957-1966 vicepresidente dell’Ente comunale assistenza, che raggruppava e gestiva le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a Milano. Questa esperienza venne trasferita sull’istituto, che sviluppò un servizio apostolico nel settore ospedaliero, in cui le missionarie affiancarono i cappellani dei nosocomi. Questa specifica diaconia ha permesso al sodalizio di espandersi e di radicarsi in molte diocesi italiane, tra cui Brindisi, Como, Cuneo, Fidenza, Forlì, Lodi e Trento. Dagli anni Settanta sono stati anche valicati i confini nazionali: l’istituto opera infatti in Belgio e Francia, trovando una nuova fioritura di vocazioni in Venezuela, Etiopia e Congo.
All’attività socio-assistenziale sono dedicate una miriade di esperienze cattoliche che si sono disseminate su tutto il territorio nazionale nel corso del Novecento. Alcune di queste si sono date parimenti la struttura giuridica e religiosa di istituti secolari. È il caso delle Volontarie della carità, fondate da Lucia Schiavinato a San Donà di Piave (Venezia) nel 1954. Il sodalizio raccolse le laiche consacrate che avevano accompagnato fin dagli anni Trenta la Schiavinato nell’istituzione dei ‘piccoli rifugi’, strutture riservate all’accoglienza di persone bisognose di assistenza. In pratica, si trattava di forme primordiali di casa-famiglia, esperienza divenuta poi più popolare negli anni Settanta, soprattutto per impulso della Comunità riminese papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi. L’approvazione diocesana delle Volontarie, del resto, arrivò solo nel 1968 grazie a monsignor Giuseppe Carraro, mentre il riconoscimento di diritto pontificio è del 1999, quando già erano trascorsi più di vent’anni dalla scomparsa della fondatrice (la Schiavinato morì a Verona il 17 novembre 1976 e proprio nel 1999 è stata avviata la causa di beatificazione, per la quale è in corso la redazione della positio super virtutibus). Incarnando un modo nuovo e moderno di essere chiesa, l’istituto ha sperimentato campi d’azione inediti come l’apertura di centri di riabilitazione per ex prostitute, la cui prima struttura risale al 1957, prima della legge Merlin che chiuse le case di tolleranza. Oggi l’istituto delle Volontarie della carità opera sia in Italia che in Albania e Brasile, associando laici, sacerdoti e coppie che si impegnano a tendere alla perfezione evangelica mantenendo il proprio stato di vita. L’eredità della Schiavinato comprende anche altre opere come la Fondazione onlus di culto e religione ‘piccolo rifugio’, le associazioni dei volontari e la pubblicazione periodica di riferimento «L’amore vince», che traduce il motto latino Amor vincit scelto come emblema dell’istituto.
Esperienza analoga ai ‘piccoli rifugi’ è quella di Marianna Saltini, detta mamma Nina, che a Carpi, in provincia di Modena, ha fondato la Casa della Divina Provvidenza21. Dal 1936 al 1957, anno della morte di mamma Nina, che era sorella del fondatore di Nomadelfia don Zeno Saltini, sono state ospitate più di mille bambine orfane o abbandonate, perlopiù provenienti da famiglie povere o figlie di prostitute. Una nuova famiglia allargata, dunque, come vero e proprio stile di vita, pur eccentrico e paradossale. Ma che ha incontrato attenzione, interesse e sostegno nella Chiesa e nella comunità civile. Infatti mamma Nina è stata dichiarata serva di Dio nel 2002 daGiovanni Paolo II e la sua opera è tuttora attiva e riconosciuta nel contesto modenese.
Nel secondo dopoguerra si inserisce la nascita e lo sviluppo di un singolare gruppo di laiche consacrate, denominate Spigolatrici della Chiesa, nate nel 1947 a Lippiano di Città di Castello (Perugia) su iniziativa di Pia Tavernelli22. Il nome deriva da un’ispirazione biblica e intende delineare il profilo vocazionale specifico delle associate: come nel libro di Rut si narra di quando la protagonista decise di andare a lavorare per guadagnarsi da vivere ‘spigolando’ i campi d’orzo, così la Tavernelli pensò che le laiche consacrate potessero e dovessero servire in modo originale la Chiesa, dentro la quale c’è un padrone del campo che è Cristo Gesù e c’è bisogno di andare alla ricerca delle ‘spighe’ dimenticate nel solco (ovvero i poveri e i bisognosi), in comunione con i pastori e con tutto il popolo di Dio. Questa ispirazione si concretizza nello stare in mezzo al mondo, senza particolari forme di vita e impegnandosi piuttosto nel lavoro professionale, nel volontariato e nella catechesi, avendo come obiettivo principale l’animazione cristiana e la promozione umana. La spiritualità delle Spigolatrici è soprattutto eucaristica e mariana. L’idea centrale di tutta l’attività apostolica è riparare i tradimenti ricevuti da Gesù (altro motivo tipico della spiritualità cattolica tradizionalista), per compartecipare attraverso la comunione eucaristica alla missione redentiva. Invocando Maria come Madonna della fiducia, le Spigolatrici si ispirano a lei come seguace più perfetta di Cristo. Nel 2001 la fondatrice è scomparsa e nel 2007 l’istituto è stato riconosciuto di diritto pontificio, potendo annoverare tra i paesi in cui si è diffuso, oltre all’Italia, Malta, Svizzera, Polonia, Brasile, Argentina e India.
Consacrate a Cristo per mezzo di Maria, secondo la dottrina di s. Luigi Maria Grignion de Montfort, sono invece le Missionarie di Maria Regina dei Cuori, fondate a Reggio Calabria da Ester Biroccio nel 1948. Inizialmente si trattava di un gruppo di giovani laiche che erano state impegnate nelle missioni popolari. Poi, nel 1954, divennero un ‘pio sodalizio’ e cominciarono a estendere la loro presenza al Centro e al Nord Italia. Nel 1959, grazie al vescovo di Alatri monsignor Edoardo Facchini, ottennero un primo riconoscimento diocesano. Negli anni Settanta e Ottanta si avviarono a una riforma sostanziale, ponendo mano alla redazione di nuove costituzioni. Si stabilì che le Missionarie potessero essere nubili o vedove e che si consacrassero seguendo il carisma sacerdotale mariano; successivamente si è aperta l’adesione alle coppie sposate. L’istituto non ha opere proprie e, pur non contando molti membri, è presente non solo in Italia, ma anche in Perù e Colombia.
Come detto in precedenza, non si deve circoscrivere alla fondazione di istituti secolari il complesso delle opere fondate da laici per laici, specie nel clima di rinnovamento della Chiesa culminato nella celebrazione del concilio Vaticano II. Vi sono altre iniziative sorte sulla scorta della riflessione maturata attorno alla figura del laico nella Chiesa e in rapporto alle realtà temporali. Dalla teologia francese, in particolare, si mutuò in Italia una concezione nuova della Chiesa, pensata a partire dalla totalità di coloro che la costituiscono e non dalla presenza privilegiata di qualcuno. Un’ecclesiologia che si riverberava sulle esperienze laicali nel campo sociale, culturale e politico.
Significativa, da questo punto di vista, è la parabola che negli anni della ricostruzione e dell’impegno politico portò tra gli altriGiuseppe Dossetti a ideare realtà diverse all’insegna dell’autonomia delle scelte laicali rispetto alla gerarchia. Da Civitas humana (l’associazione costituita a Roma nel 1946 insieme a Giorgio La Pira, Amintore Fanfani e Giuseppe Lazzati) a «Cronache sociali» (il periodico quindicinale del movimento d’opinione dossettiano tra il 1947 e il 1951), passando per i Gruppi servire (che avevano una funzione aggregatrice e fermentatrice del mondo giovanile), fino ad arrivare al Centro di documentazione (frutto dell’esigenza di dedicarsi alla ricerca, scaturita durante il secondo incontro di autocritica del dossettismo, svoltosi a Rossena, e avviato poi nel novembre del 1952 nei locali di via San Vitale 114 a Bologna), c’è un fil rouge che si può esprimere come esercizio della responsabilità del cattolico rispetto alla sua appartenenza tanto alla polis che alla comunità ecclesiale. Fu grazie a queste esperienze che molte iniziative dei laici, non solo in campo politico, vennero sdoganate dalla gerarchia ecclesiastica e dalle sue ingiunzioni. Una percezione che si affermò lentamente ma che contaminò altri contesti, prolungandosi nel corso degli anni Sessanta attorno alla questione cruciale del principio di indipendenza dei laici nella sfera di loro responsabilità.
Tra le altre imprese culturali fondate da laici, prima che il concilio riconoscesse la libertas inquirendi sive clericis sive laicis, vale la pena menzionare l’Istituto storico dei Servi di Maria, fondato a Roma nel 1959 dal professor Franco Andrea Dal Pino. Si tratta di un’istituzione che si giovò anzitutto dell’acquisizione di una maggiore importanza della storia nella cultura contemporanea: una volta dissequestrata dalla forma radicale dello ‘storicismo’, essa andò recuperando nel Novecento la sua istanza essenziale di dimensione permanente e insuperabile della conoscenza umana. Tanto più la storia religiosa, che istituzioni come quella dell’Ordine dei servi di Maria hanno cercato di far conoscere nel percorso di otto secoli a servizio della Chiesa e della società. Sono così nate le edizioni delle collane «Monumenta OSM», «Scrinium historiae» e della rivista «Studi storici dell’Ordine dei Servi di Maria», mentre religiosi come David Maria Turoldo e Camillo De Piaz sono stati i più rappresentativi per la storia dell’ordine e per il rinnovamento del cattolicesimo italiano nel Novecento.
Al senso spirituale della presenza della religione nella società si legò la fondazione del Movimento dei Focolari, nato con la consacrazione nella cappella dei Cappuccini di Trento di Chiara Lubich, il 7 dicembre 1943. Una realtà ecclesiale votata alla realizzazione della carità cristiana, che in poco più di mezzo secolo è arrivata ad avere oltre due milioni di aderenti e simpatizzanti. Storicamente fu determinante il ruolo del cofondatoreIgino Giordani, conosciuto dalla Lubich, che lo ribattezzò Foco, in Parlamento, quand’egli era stato eletto nel 194823. Nei ritiri estivi sulle Dolomiti vennero poi i momenti mistici: è lì che Chiara ebbe le visioni celesti (per più giorni, dopo la comunione mattutina, ‘entra in paradiso’). Il movimento, che nel 1968 aprì il fortunato ramo giovanile, denominato Gen (generazione nuova), crebbe fino a diventare il fenomeno della Chiesa degli anni Ottanta e a sorpassare tutti gli altri movimenti ecclesiali. La grande amicizia e il legame con Giovanni Paolo II sono stati decisivi per le fortune dei Focolarini: dal papa polacco essi ottennero di poter avere per sempre a capo una donna. Il tronco portante del movimento sono stati i ‘focolari’, nuclei di vita comune composti da sole donne o da soli uomini, con voto di castità. Anche le coppie sposate possono però aderire, aggregandosi a focolari separati, maschile e femminile. Ci sono poi i volontari, che non fanno vita comune e animano a loro volta un movimento a più ampio raggio, chiamato Umanità nuova. I giovani che vi aderiscono sono divisi per età e sesso. Infine ci sono i rami ecclesiastici: cardinali, vescovi, preti, religiosi e religiose, seminaristi. Tra le opere più importanti vi è certamente l’editrice Città nuova, nata in primis per pubblicare le opere di Chiara, perché tutto ruota attorno alla sua biografia e al suo genio religioso. Nel postconcilio hanno trovato spazio nel Movimento il cammino ecumenico e il dialogo interreligioso, ma senza un approfondimento teologico. Negli anni recenti, con il progetto Economia di comunione e il Movimento politico per l’unità i Focolarini si sono lanciati nei settori emergenti del no profit, delle banche etiche, della fraternità come categoria politica trasversale. Realtà come la cittadella di Loppiano (dove nel 2008 si è insediato l’Istituto universitario Sophia), i meeting del Genfest e del Familyfest, i gruppi artistico-musicali del Gen verde e Gen rosso, i Centri Mariapoli, sono i riferimenti più noti e obbligati per gli eredi della Lubich. Dopo la sua scomparsa, avvenuta il 14 marzo 2008, è stata eletta presidente del Movimento Maria Voce.
È in pieno clima conciliare, invece, che nacque a Torino, da un’intuizione di Ernesto Olivero, il Sermig (Servizio missionario giovani). Nel 1964 il giovane Olivero, insieme alla moglie Maria Cerrato, raccolse un gruppo di giovani, con coppie di sposi, monaci e monache, che avevano il desiderio di impegnarsi a fianco dei poveri e degli emarginati nella città della Fiat. Il sogno di debellare la fame nel mondo con opere di giustizia e di sviluppo trovò nel cardinale Michele Pellegrino, divenuto arcivescovo di Torino nel 1965, il primo sensibile sostenitore. Fu però con l’insediamento nel vecchio arsenale militare del quartiere degradato di Borgo Dora, trasformato in Arsenale della pace nel 1983, che il movimento spiccò definitivamente il volo. La destrezza di Olivero, passato a lavorare in una filiale della Banca San Paolo, unita all’amicizia nei confronti di esponenti politici ed ecclesiali di spicco (in particolare il rapporto privilegiato instaurato con papa Giovanni Paolo II), portarono il Sermig a identificarsi con l’Arsenale della pace, definito un ‘monastero di laici’, in cui migliaia di immigrati, tossicodipendenti, malati di Aids, senza tetto, hanno trovato nel corso degli anni rifugio e assistenza. Oltre alla struttura torinese, è stato fondato nel 1996 l’Arsenale della speranza a San Paolo del Brasile e nel 2003 l’Arsenale dell’incontro ad Amman, in Giordania. Con il premio Artigiano della pace, assegnato dal 1981 a personalità di rilievo nazionale e mondiale, il Sermig si è imposto all’attenzione sul tema della pace, ideando in collaborazione con l’agenzia Armando Testa la bandiera che è divenuta il simbolo attraverso cui l’Arsenale si è fatto conoscere in tutto il mondo nelle campagne pacifiste contro le guerre in Iraq e Medio Oriente. I giovani che scelgono di trasferirsi a vivere negli Arsenali possono aderire alla Fraternità della speranza e optare per il celibato: si tratta di un ordine religioso già riconosciuto a livello diocesano, la cui regola è stata redatta dallo stesso Olivero e presentata direttamente a papa Wojtyla nell’udienza dell’8 dicembre 199624. Nella visita a Torino per l’ostensione della Sindone, il 2 maggio 2010, papa Benedetto XVI ha acconsentito all’inedita intitolazione della nuova chiesa del Sermig a Maria madre dei giovani.
La pace, i poveri e il Vangelo sono anche i tre elementi che caratterizzano l’immagine pubblica della Comunità di S. Egidio, la cui data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. È questo il giorno in cui alcuni giovani del liceo Virgilio di Roma, raccolti da don Luigi Iannaccone e Andrea Riccardi, danno vita a una cellula di Gioventù studentesca, l’organizzazione fondata a Milano da don Luigi Giussani che dopo la bufera del Sessantotto prenderà il nome di Comunione e liberazione. Tra gli elementi fondanti e originari vanno annoverati il clima di rinnovamento introdotto dal concilio e il primato della Parola di Dio in tutte le sue dimensioni25. Nel 1972 i percorsi si separarono e il gruppo facente capo aRiccardi si stabilì nell’ex monastero di S. Egidio, a Trastevere. È la fase monastica del movimento, in collegamento con il monastero belga di Chevetogne, con il padre Emmanuel Lanne e la rivista «Irénikon». La struttura leggera, legata al carisma di Riccardi e all’élite dirigente, che decide di astenersi dall’impegno politico, porta S. Egidio a una stabilità gradita agli interlocutori ecclesiali. Austerità e pauperismo sono i tratti distintivi dell’operare della Comunità: i pasti agli indigenti, l’assistenza agli anziani, l’animazione dei ragazzi difficili di periferia, impegnano gli aderenti romani, entrando così rapidamente nelle grazie del cardinale Ugo Poletti, vicario di Roma. Ma anche altri porporati come Carlo Maria Martini, Achille Silvestrini e Roger Etchegaray sono divenuti per motivi diversi conoscitori e amici di S. Egidio. Con Giovanni Paolo II l’intesa è stata totale. S. Egidio è diventata ‘l’Onu di Trastevere’, offrendosi come sede di importanti trattative di pace. Un salto di qualità, dagli anni Novanta in poi, che porta Riccardi e la comunità alla ribalta mondiale, con un peso sempre maggiore all’interno del mondo cattolico.
L’impressione di diventare ‘una chiesa nella Chiesa’ accomuna però diversi movimenti laicali. Di parallelismo è stato accusato il Cammino neocatecumenale, fondato dal pittore spagnolo Francisco José Gomez Argüello, meglio conosciuto come Kiko, e dall’ex suora Carmen Hernández. L’esperienza è nata a metà degli anni Sessanta a Madrid e nel 1968 è sbarcata su invito di monsignor Dino Torreggiani a Roma, dove è stata poi collocata la direzione mondiale. In mezzo secolo è diventato tra i movimenti più rigogliosi, essendo presente in più di 900 diocesi e avendo raggiunto un milione di seguaci. Le vocazioni, crollate nei seminari diocesani, presso i neocatecumenali sono in costante aumento, grazie alla rete internazionale di oltre 75 seminari denominati Redemptoris Mater. Una fioritura che ha portato a ritagliarsi a tratti uno spazio separato nella Chiesa, con un proprio catechismo, una propria gerarchia, un insieme di propri rituali (tra cui spiccano le celebrazioni di messe praticamente a porte chiuse). Il risveglio della fede, attraverso la riscoperta del battesimo, è il fine ultimo dell’itinerario di formazione proposto dai neocatecumenali26. Essi seguono alla lettera quanto dice il loro fondatore, perché ciò è il frutto di esperienze mistiche e di apparizioni mariane individuali. Ma questi aspetti critici sono stati rimossi, se non superati, con l’approvazione definitiva dello statuto da parte delle gerarchie ecclesiastiche, avvenuta l’11 maggio 200827. Anche il dottorato honoris causa in Sacra teologia del matrimonio e Famiglia, consegnato a Kiko il 13 maggio 2009 presso il Pontificio istituto Giovanni Paolo II, che ha sede nella Pontificia università lateranense, è considerato un riconoscimento del contributo teologico e pastorale del Cammino neocatecumenale.
La definizione di istituto ‘atipico’ è stata introdotta negli anni del postconcilio per realtà ecclesiali non catalogabili secondo alcun modello tradizionale. È il caso del gruppo Seguimi, fondato il 19 marzo 1965 da padre Anastasio Gutiérrez, claretiano di origine argentina, insieme a Paola Majocchi28. Un’esperienza su cui vale la pena soffermarsi, a titolo esemplificativo, per il cammino che ha dovuto affrontare in ordine al riconoscimento ecclesiale e all’articolazione che è riuscita a ottenere nel corso degli anni. La Majocchi era entrata nella congregazione delle Figlie del Sacratissimo Cuore di Gesù di Modena. Quando ne uscì, nonostante le aperture del clima conciliare, non trovò certo terreno fertile per sperimentare un nuovo cammino vocazionale. Con padre Gutiérrez diede allora vita a un gruppo laicale, che non avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di diventare un istituto di vita consacrata (essendo la Majocchi, per l’appunto, un’ex religiosa). Ma nessuna opera di apostolato venne in un primo tempo consentita. Quando fu poi esaminato lo statuto, che faceva riferimento alla libertà di associazione entro la Chiesa sotto forma di pia unione, le cose cambiarono. Nonostante qualche remora, ci fu l’approvazione, cui seguì la richiesta allo Stato di riconoscere l’ente civile collegato al gruppo, che nel frattempo aveva acquistato Villalda, una casa immersa nel verde del quartiere Aurelio a Roma. Ma Seguimi ha continuato a rimanere fuori dagli schemi: è un gruppo laico di formazione umano-cristiana, senza essere irreggimentato come congregazione religiosa, istituto secolare o società di vita apostolica. Nel 1984 il Pontificio consiglio per i laici riconobbe questa realtà ibrida, accettando che i suoi membri fossero religiosi in quanto alla sostanza, ma non nella forma, essendo persone consacrate per così dire teologicamente, ma non pubblicamente. Con la scomparsa di padre Gutiérrez (nel 1998) e della Majocchi, Seguimi è entrata in una fase nuova, da decifrare nonostante l’allargamento dei membri ai laici sposati e ai sacerdoti, oltre alla diffusione dei propri centri in Spagna, Congo, Camerun, Burundi e Colombia.
Come fenomeno altrettanto indefinito, a metà tra movimento devozionale, associazione spirituale ed ente benefico, merita di esser considerato quello dei Gruppi di preghiera di padre Pio, nati a San Giovanni Rotondo (Foggia) negli anni in cui fu progettata e realizzata la Casa sollievo della sofferenza (1947-1956), ma che hanno conosciuto un autentico boom dopo la scomparsa del frate cappuccino di Pietrelcina (1968) e in connessione con la diffusione della sua popolarità e devozione. Nel 1950, sul bollettino della Casa sollievo, Guglielmo Sanguinetti, figlio spirituale e medico di fiducia di padre Pio, invitava quanti stavano collaborando al più straordinario miracolo di padre Pio a formare dei gruppi di preghiera. L’immediata facilità dell’organizzazione ne decretò da subito il successo: bastava che un gruppo di fedeli si riunisse per pregare insieme, guidati da un sacerdote con l’approvazione del vescovo diocesano, dichiarando di fare tutto questo in nome dell’opera del fraticello di San Giovanni Rotondo. In molte parrocchie i gruppi fissarono un appuntamento mensile per la recita del rosario, celebrazione della messa e ascolto di una meditazione ispirata alla vita di padre Pio. L’irresistibile ascesa delle sue quotazioni ecclesiali29 segnerà la fortuna e la capillare irradiazione tuttora in corso dei gruppi, che nel 1986 hanno avuto dal Vaticano l’approvazione dello statuto. In esso si precisa che l’Associazione internazionale dei gruppi di preghiera presiede all’organizzazione e al riconoscimento dell’attività dei singoli gruppi, che vengono aggregati solo con l’approvazione di una direzione generale. Il controllo, come gli strumenti di collegamento (in particolare il fortunatissimo organo ufficiale «La Casa sollievo della sofferenza»), sono accentrati a San Giovanni Rotondo. Il direttore generale, però, è nominato dal cardinale Segretario di Stato. Dietro queste norme statutarie c’è la volontà di regolamentare la gestione delle opere di padre Pio, che vengono stimate con cifre davvero imponenti: ogni anno passano dieci milioni di pellegrini nel santuario e 60 mila pazienti nella struttura ospedaliera. I gruppi di preghiera riconosciuti e operanti in Italia e nel mondo sono oltre 3.400.
La storia dell’Italia religiosa include anche quelle istituzioni dedite alle opere di misericordia, alcune delle quali sono state pensate per i laici e grazie all’impulso dato da laici. Difficile darne un quadro esaustivo, ma ugualmente si possono enucleare degli exempla significativi. La federazione italiana della Società di S. Vincenzo de’ Paoli30 è uno di questi. A distanza di oltre un secolo e mezzo dalla nascita a Roma della prima conferenza di S. Vincenzo, sul territorio nazionale insistono ancora circa 2.000 gruppi gravitanti nell’orbita della famiglia vincenziana, con 20.000 confratelli organizzati in un consiglio nazionale, che ha sede a Roma, in consigli regionali o interregionali e in centri di livello diocesano. Il mondo dei poveri e degli emarginati è stato e continua a essere il settore specifico in cui si esercita l’apostolato vincenziano, che rappresenta una tessera all’interno del vasto e variegato mosaico del volontariato cattolico. La consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali e la consulta nazionale delle aggregazioni laicali, che dipendono dalla Cei, hanno il compito di coordinare tutto ciò che esprime il mondo cattolico impegnato nella solidarietà.
Un caso esemplare di laico fondatore e benefattore è sicuramente quello di Bartolo Longo, beatificato daGiovanni Paolo II nel 1980. A Longo si deve la costruzione, tra il 1876 e il 1887, del santuario della Beata Vergine del rosario di Pompei, nel napoletano31. La chiesa fu poi ampliata negli anni Trenta del Novecento e dichiarata basilica pontificia, con sede vescovile, come per Loreto. Ma è il complesso delle opere sociali, collegate al santuario, che ha fatto di Pompei un luogo religioso di interesse internazionale. L’orfanotrofio femminile, l’istituto per i figli dei carcerati, gli asili, le scuole, gli ospizi per gli anziani, l’ospedale, la Casa del pellegrino, i laboratori sono quanto Longo ha messo in piedi e poi donato alla Santa Sede, chiedendo per sé solamente di esser sepolto nella cripta della chiesa. Se si guarda ai radicali cambiamenti avuti grazie agli scavi della città sepolta e alle opere di Longo, si può facilmente comprendere il motivo dell’attribuzione dell’appellativo di ‘Fondatore della nuova Pompei’.
Un’impresa anche finanziaria, quella di Pompei, che richiama per analogia l’intraprendente attività bancaria del coetaneo bresciano Giuseppe Tovini, fondatore della Banca di Valle Camonica e del Banco Ambrosiano, beatificato anch’egli da Giovanni Paolo II, nel 199832. Nel vasto e dinamico contesto bancario lombardo di fine Ottocento, Tovini progettò di fondare una banca che difendesse e affermasse specificatamente gli interessi dei cattolici. La proposta fu avanzata nel marzo 1895 e appoggiata dal cardinale Andrea Carlo Ferrari di Milano: una banca cattolica, si pensava, avrebbe giovato enormemente alle istituzioni cattoliche. Tovini intendeva costituire un centro per la compravendita di titoli pubblici per conto di terzi, quindi senza speculazione, salvo una piccola provvigione. Gli istituti religiosi, come pure i privati cattolici, avrebbero così avuto un banco di loro fiducia, diretto da persone schiettamente cattoliche. E sull’esempio della Banca San Paolo, nello statuto si sarebbero introdotte la ‘nominalità’ delle azioni, la clausola di esclusione di elementi contrari alla Chiesa cattolica e la ricusa dell’intento speculativo. Con una storica circolare del 5 ottobre 1895, Tovini diffuse l’iniziativa del Banco Sant’Ambrogio, presentato come istituto direttamente promosso dal comitato regionale dell’Opera dei congressi. Il valore dell’iniziativa, che pure va contestualizzata, sta nello stimolo offerto ai cattolici lombardi per il superamento della cultura del reddito agrario, a favore di un’apertura allo spirito d’impresa. Da allora nel mondo cattolico si sviluppò un processo di apertura verso il credito cooperativo, che considera l’iniziativa economica non come un valore in sé, ma per i frutti che produce a difesa della promozione sociale delle opere cattoliche.
Il tema della scuola e dell’educazione, assolutamente centrale per il cattolicesimo italiano, ha avuto accanto a figure di religiosi, importanti figure di laici impegnati in questo campo. Per il Novecento tra i protagonisti va sicuramente inserito Gesualdo Nosengo, fondatore e primo presidente dell’Uciim (Unione cattolica italiana insegnanti medi), nata a Roma il 18 giugno 194433. I prodromi di quest’impegno nel campo scolastico si manifestarono già nella fondazione del gruppo denominato Compagnia di Gesù maestro, nel 1934, durante la partecipazione al circolo culturale del Paedagogium dell’Università Cattolica di Milano. Dell’Uciim, Nosengo sarà poi animatore sino alla morte. Lo scopo di questa particolare unione professionale è quello di animare la realtà della scuola, difendendo la libertà d’insegnamento e la qualificazione dei docenti cattolici. L’organo ufficiale «La scuola e l’uomo», insieme ad altre riviste quali «Ricerche didattiche» (1950), «Fede e scuola» (1962) e volumi dedicati a tematiche pedagogiche sono gli strumenti attraverso i quali l’Unione si è fatta conoscere nel mondo dell’insegnamento. Sono stati organizzati anche diversi convegni, seminari e corsi di aggiornamento.
Anche l’attività missionaria della Chiesa è stata oggetto di riflessione e impegno del laicato cattolico italiano. Per tutti valga l’esempio di Marcello Candia, che nel 1961 vendette l’azienda ereditata dal padre e iniziò a costruire un grande ospedale a Macapà, in Brasile, dove si trasferì definitivamente pochi anni dopo. Già nel 1947 Candia aveva fondato a Milano l’Unione medici missionari italiani e, successivamente, l’Associazione laici in aiuto alle missioni: due organizzazioni che cercavano di incanalare le energie di quei cristiani comuni che da anni avevano seguito il proprio desiderio di cooperare con sacerdoti e religiosi missionari. Le prime partenze di medici e volontari italiani per le missioni, infatti, erano state iniziative dovute solo alla generosità dei singoli. In Brasile, poi, Candia ha costruito altri ospedali, ma anche lebbrosari, centri sociali e di accoglienza, conventi e scuole. E i carmeli di Macapà e Belo Horizonte sono diventati importanti centri di spiritualità missionaria. Nel 1991 il cardinale Carlo Maria Martini ha acconsentito all’apertura del processo di canonizzazione.
Esperienze coeve, simili a quelle di Candia, si sono moltiplicate. Significativa è quella in Africa tropicale dei coniugi Lucille Teasdale e Piero Corti, che nel 1961 raggiunsero il Saint Mary’s Hospital Lacor, fondato dai missionari comboniani nella diocesi ugandese di Gulu, dove si stabilirono per il resto della loro vita, dedicandosi a una vera e propria impresa di carità sanitaria. I rapporti diplomatici e i frequenti viaggi in Italia e in Europa, alla ricerca di denaro e materiale medico, caratterizzarono l’intensa attività di questi missionari laici. Nel corso degli anni il Lacor Hospital ha permesso di ridurre la mortalità infantile e combattere malaria, HIV, Aids e altre malattie che flagellano l’Africa equatoriale; è arrivato a essere il secondo ospedale ugandese, passando gradatamente a una gestione e dirigenza totalmente locale, dopo la scomparsa di Lucille (nel 1996, dopo aver contratto l’Aids durante un intervento chirurgico) e di Piero Corti (nel 2003, a 77 anni, di cui 42 trascorsi in Africa).
Di laici sognatori e utopisti, che hanno sfidato le logiche comuni in nome della fede cristiana, ve ne sono stati molti nella storia dell’Italia unita. Una menzione particolare spetta senza dubbio ad Adriano Olivetti e al Movimento comunità, fondato a Torino nel 1948, per la storia particolare che si lega all’imprenditore rosso e al riformismo di quell’esperienza culturale e politica, che ebbe una certa importanza, al di là della relativa influenza sul mondo cattolico, nell’Italia degli anni Cinquanta34. Convertitosi al cattolicesimo nel 1949, Olivetti fu al tempo stesso imprenditore, scrittore, editore, politico, urbanista, esteta e mecenate. Le fabbriche di Ivrea e Pozzuoli, le acquisizioni di imprese come la Underwood negli Stati Uniti, la conquista dei mercati internazionali, la promozione di movimenti innovatori nella politica e nelle relazioni industriali, l’educazione a nuove forme culturali furono attività che vennero ricondotte nel quadro di un preciso progetto prepolitico e metapolitico: la promozione di una società nuova rispettosa delle proprie radici culturali e spirituali, in cui il radicalismo del cristianesimo evangelico fosse il vero fondamento e il fine cui tendere per la costruzione di una vera civiltà. Pur nella sua estemporaneità, il movimento olivettiano ebbe qualche effetto sul sistema partitocratico italiano, riuscendo nelle elezioni politiche del 1958 a portare alla Camera il proprio fondatore, ma creando soprattutto nel canavese un laboratorio di governo locale che solo la scomparsa prematura di Olivetti impedì di radicarsi con maggior efficacia.
Questa rassegna non può concludersi senza citare almeno alcune delle realtà di dimensione comunitaria nate per i laici, ma su iniziativa di sacerdoti o religiosi. Si tratta di esperienze che hanno avuto e hanno ancora un ruolo importante nel panorama cattolico nazionale. Com’è stato fatto accennando alla Comunità di S. Paolo di don Giovanni Rossi, cui occorre aggiungere la Pro civitate christiana (fondata ad Assisi nel 1939), che furono pensate per promuovere i laici nella Chiesa, così si deve dire per l’istituto secolare delle Volontarie di don Bosco, nate nel 1919 su impulso di don Filippo Rinaldi, e in generale per tutte le opere dell’imponente famiglia salesiana. Ma è in coincidenza del rinnovamento conciliare che le iniziative proliferarono. Nella stagione della contestazione ecclesiale si precisarono i contorni del movimento di Gioventù studentesca di don Luigi Giussani, nato nel 1954 a Milano come organizzazione parallela e critica rispetto all’associazionismo cattolico giovanile35. Nel 1969 il movimento divenne Comunione e liberazione, uscendo allo scoperto rispetto allo scopo di riaffermare ‘un’identità cristiana più chiara e intera’, fondata sul principio che l’unione dei cristiani fra loro e con la gerarchia nella Chiesa (comunione) è la base di giudizi e interventi nella realtà sociale che tendono a realizzare ‘una rivoluzione politico-sociale per l’instaurazione di un nuovo ordine di cose e per la creazione di un nuovo tipo di uomo’ (liberazione). Su questi presupposti nacque il movimento ecclesiale che divenne poi negli anni Settanta e Ottanta la maggiore lobby nel mondo cattolico e nella gerarchia in particolare. A fronte del dissenso cattolico non vi furono però solo reazioni di contrapposizione. Il postconcilio diede motivo per nascere a nuove esperienze religiose collettive, oltre che a nuove forme di testimonianza e d’impegno. A vedere la luce furono gruppi e comunità di sostegno a diverse categorie di poveri e di emarginati, oltre che di cooperazione allo sviluppo. È il caso dell’associazione Gruppo Abele, nata a Torino nel 1966 grazie a don Luigi Ciotti, cui il cardinale Pellegrino aveva affidato la strada come parrocchia. Oppure delle comunità Emmaus, portate in Italia sulla scia del carisma del loro fondatore, il cappuccino Henri Antoine Grouès, detto Abbé Pierre, e dedite a combattere la povertà e la miseria. Negli anni Sessanta videro la luce l’Operazione Mato Grosso, lanciata come spedizione giovanile missionaria dai salesiani Pedro Melesi e Ugo De Censi e divenuta poi un movimento di aiuto all’evangelizzazione in America Latina, e l’analoga organizzazione Mani tese, fondata da padre Piero Gheddo per promuovere un nuovo ordine economico internazionale basato su giustizia e sostenibilità. Un’evoluzione significativa caratterizzò il movimento internazionale Pax Christi, fondato nel 1954 per desiderio di monsignor Montini e presieduto da monsignor Carlo Rossi, ma soprattutto guidato dopo il 1968 dal vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi, che volle recepire le richieste giovanili di un impegno più concreto e profetico sul tema della pace. L’attenzione ai disabili e ad altre forme di disagio furono invece lo scopo della nascita della Comunità di Capodarco, creata sotto la guida di don Franco Monterubbianesi, oltre che dell’Associazione comunità papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi.
Sono realtà che hanno coinvolto e coinvolgono ampi settori del laicato cattolico, specie nel mondo giovanile. E sono sintomi di una ripresa della religiosità, sotto forme nuove che spesso hanno integrato o sostituito l’azione sociale dello Stato, ma che hanno nondimeno rivelato l’esigenza di un continuo rinnovamento della struttura della Chiesa.
1 Non esiste una storia complessiva degli istituti secolari, ma informazioni generali si possono ricavare dal DIP. Il limite di tale opera, per la parte che qui interessa, è dato dal fatto che le voci sono state compilate in base ai dati forniti dalle direzioni centrali degli stessi istituti. Materiali e documenti si trovano nella collana «Pastorale oggi» dell’A.v.e., in particolare nei volumi Gli istituti secolari. Consacrazione, secolarità, apostolato, a cura di A. Oberti, Roma 1970; Nel mondo per il mondo. Gli istituti secolari, oggi, a cura di A. Oberti, Roma 1972; Gli istituti secolari nella chiesa d’oggi, Roma 1979; B. Bosatra, Istituti secolari e teologia. La ricerca post-conciliare (1965-1978), Roma 1980.
2 M. Faggioli, Breve storia dei movimenti cattolici, Roma 2008.
3 La “Gioventù Cattolica” dopo l’Unità 1868-1968, a cura di L. Osbat, F. Piva, Roma 1972.
4 M. Sica, Storia dello scautismo in Italia, Roma 20064.
5 P. Calliari, Figlie di Nostra Signora di Lourdes, in DIP, III, Roma 1976, col. 1647.
6 G. Rocca, Filiae Reginae Apostolorum, in DIP, IV, Roma 1977, coll. 16-17; L. Gazzetta, Elena da Persico, Verona 2005.
7 G. Rocca, Seneci, Elisabetta, in DIP, VIII, Roma 1988, coll. 1272-1273.
8 G. Barbero, Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, in DIP, V, Roma 1978, coll. 1595-1596; F. De Lazzari, Origini dell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo, Assisi 1988.
9 M. Toschi, Per la chiesa e per gli uomini. Don Giovanni Rossi 1887-1975, Genova 1990; G. Zizola, Don Giovanni Rossi. L’utopia cristiana nell’Italia del ‘900, Assisi 1997; A. Majo, A.C. Ferrari: uomo di Dio, uomo di tutti, Milano 1994.
10 Dalla circolare di padre Gemelli inviata ai «Missionari» il 25 dicembre 1933, conservata nell’archivio di Giuseppe Lazzati a Milano (1A0009/01).
11 I. Lustrissimi, Stroppa, Vincenza, in DIP, IX, Roma 1997, col. 413.
12 V. Stroppa, L’infinito entra nell’anima, 2006.
13 G. Rocca, Unio Filiarum Dei, in DIP, IX, Roma 1997, col. 1542.
14 M. Malpensa, A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986), Bologna 2005.
15 Ibidem, p. 372.
16 A. Parola, Panorama delle fonti, in Giuseppe Lazzati 1909-1986. Contributi per una biografia, a cura di G. Alberigo, Bologna 2001, pp. 181-182.
17 Resoconti interni delle varie fasi della vita dei Missionari, comprese le vicende che portarono all’uscita di Gedda, si trovano in E. Franceschini, Documenti per la storia dell’Istituto, Roma 1991, pro manuscripto.
18 Si vedano in tal senso le considerazioni abbozzate nell’articolo di G. Alberigo, Gedda ieri … e anche oggi?, «Cristianesimo nella storia», 21, 2000, pp. 687-694.
19 M. Sfondrini, Germana Sommaruga e il «sogno» di Dio, Milano 2010. Per alcune note autobiografiche sulla specificità dell’istituto fondato dalla Sommaruga cfr. Vocazione e missione degli istituti secolari, a cura di A. Oberti, Milano 1967, pp. 201-214.
20 G. Rocca, Missionarie del sacerdozio regale di Cristo, in DIP, V, Roma 1978, col. 1600.
21 E. Manicardi, P. Trionfini, Mamma Nina. La santità in una maternità più grande, Bologna 2010.
22 G. Rocca, Spigolatrici della Chiesa, in DIP, VIII, Roma 1988, col. 2017.
23 Cenni autobiografici per la storia del nascente movimento si trovano in C. Lubich, I. Giordani, «Erano i tempi di guerra…». Agli albori dell’ideale dell’unità, Roma 2007.
24 E. Olivero, La gioia di rispondere sì. La regola del Sermig, Casale Monferrato 2004.
25 Questo stando alla testimonianza autobiografica di Riccardi, ancorché scarna, pubblicata in Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti ecclesiali nella sollecitudine pastorale dei vescovi, Città del Vaticano 2000, p. 164.
26 Nella tavola rotonda del seminario promosso a Roma nel 1999 dal Pontificio Consiglio per i Laici sul tema «Movimenti ecclesiali e nuove comunità nella sollecitudine pastorale dei vescovi», Kiko spiegò così la natura specifica del suo movimento: «Che cos’è il Cammino neocatecumenale? Una congregazione religiosa? Certamente no. Un movimento. In un certo senso, senza dubbio: il Papa ha detto che anche la Chiesa è un movimento. Ma se vogliamo fare un riassunto di più di trent’anni di Cammino in tutto il mondo, come dice il nome stesso, dobbiamo dire che esso è un neocatecumenato, un nuovo catecumenato, un’iniziazione cristiana alla fede adulta» (Pontificio Consiglio per i Laici, I movimenti ecclesiali, cit., p. 158).
27 Per le difficoltà in materia di celebrazioni liturgiche, tra il 2005 e il 2007, si veda il cenno di M. Faggioli, Breve storia dei movimenti, cit., p. 102.
28 Un’agile ricostruzione giornalistica, in chiave autobiografica, è offerta nel volumetto di P. Majocchi, V. Prisciandaro, In cordata. La storia del gruppo Seguimi, Padova 2005.
29 S. Luzzatto, Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, Torino 2007.
30 L’associazione fu istituita da un gruppo di giovani studiosi guidati da Federico Ozanam nel 1833 a Parigi; l’intento era di raggiungere la perfezione cristiana mediante l’esercizio della carità. L’opera più caratteristica era la visita e il soccorso alle famiglie povere. La nascita della Società in Italia viene fatta risalire all’anno 1842, quando le predicazioni del gesuita padre Gustave de Ravignan a S. Andrea delle Fratte spinse un primo nucleo di giovani patrizi romani a dar vita a quanto già era attivo e operante in Francia.
31 A. Illibato, Bartolo Longo. Un cristiano tra Otto e Novecento, 3 voll., Pompei 1996-2002.
32 E. Camisani, Il beato Giuseppe Tovini, Melegnano 2002.
33 Laicato cattolico educazione e scuola in Gesualdo Nosengo. La formazione, l’opera e il messaggio del fondatore dell’UCIIM, a cura di L. Corradini, Torino 2008.
34 G. Berta, Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la comunità, Milano 1980.
35 M. Camisasca, Comunione e liberazione. Le origini 1954-1968, Milano 2001; Id., Comunione e liberazione. La ripresa 1969-1976, Milano 2003; Id., Comunione e liberazione. Il riconoscimento 1976-1984, Milano 2006.