I Longobardi in Italia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La conquista dei Longobardi provoca un vero e proprio sovvertimento dell’ordine sociale ed economico dell’Italia tardoantica. Con l’insediamento si assiste, a partire dal 568, a uno sconvolgimento del sistema urbanistico. I rapporti con la Chiesa cattolica, passati lungo i decenni dallo scontro al dialogo fino al reciproco riconoscimento, precipitano nuovamente nella seconda metà dell’VIII secolo. All’inizio del 774, i Franchi, chiamati dal papa, conquistano la capitale del regno longobardo.
I Longobardi giungono in Italia dalla Pannonia (attuale Ungheria) nella primavera del 568 attraverso le Alpi Giulie sotto la guida del re Alboino. Secondo quanto riferisce Paolo Diacono, il monaco longobardo che verso la fine dell’VIII secolo ha ricostruito la storia del suo popolo (Historia Langobardorum), l’esercito dei Longobardi giunge in Italia in fare, ossia diviso in gruppi di guerrieri appartenenti a famiglie discendenti da un medesimo antenato, che, sotto la guida di propri duchi, si muovono in maniera autonoma, stanziandosi gradualmente nei nuovi territori. La conquista procede, dunque, soprattutto in base all’iniziativa dei singoli duchi, i quali, a capo di un numero complessivamente scarso di guerrieri, non avanzano secondo un piano unitario, ma semplicemente nelle direzioni in cui incontrano minore resistenza da parte dei Bizantini, i quali, ancora alle prese con le conseguenze del lungo conflitto che li aveva visti opposti ai Goti, non sono nelle condizioni né di contrastare efficacemente la pressione dei Longobardi né di passare al contrattacco.
In pochi anni occupano la maggior parte dell’Italia settentrionale e centrale, concentrandosi principalmente tra il Piemonte, il Friuli, il Trentino e la Toscana; altri gruppi si stanziano, invece, nella zona intorno a Spoleto, tra il Piceno e l’Umbria centro-orientale, dove fondano il Ducato di Spoleto. Alcuni Longobardi erano, in realtà, giunti in Italia già nell’ultima fase della guerra greco-gotica (535-554), come mercenari dell’ esercito bizantino, anche se la loro indisciplina sembra avere indotto il generale Narsete a liberarsene al più presto. Tuttavia, alcuni avrebbero preferito, piuttosto che ritornare in patria, aggregarsi alle schiere dei guerrieri franchi e alemanni, giunti in Italia nel 554 come alleati dei Goti. Dopo la conclusione della guerra, Narsete aveva consentito ad alcuni gruppi di Longobardi di stanziarsi, come presidio militare, nel territorio di Benevento, da dove avrebbero attirato un contingente degli invasori del 568, per dare poi vita al Ducato di Benevento.
Scomparso Alboino, vittima di una congiura (572), e il suo successore Clefi, i duchi non riescono ad accordarsi su alcun successore e per ben dieci anni (574-584) restano senza un re. È il periodo della cosiddetta anarchia militare, nel corso del quale i comandanti militari fanno delle città fortificate i centri del proprio potere, inasprendo ulteriormente l’oppressione sulla popolazione locale.
La conquista dei Longobardi provoca un vero e proprio sovvertimento dell’ordine sociale ed economico dell’Italia tardoantica. Essi, procedendo liberamente a rapine e spoliazioni di beni ecclesiastici, escludono totalmente i Romani dalla vita politica, decimando gli esponenti dei ceti dirigenti romani e riservando a sé la gestione del potere. Dal punto di vista sociale si presentano come un popolo-esercito, che riconosce pieni diritti soltanto ai maschi in grado di portare le armi, gli arimanni, ammessi all’assemblea della stirpe, il gairethinx. Il potere è, dunque, diviso tra l’assemblea degli arimanni, i duchi e il re. Anche dal punto di vista insediativo si assiste, a partire dal 568, a uno sconvolgimento del sistema urbanistico tardoantico, pur se l’invasione longobarda sembrerebbe essere stata soltanto un fattore di aggravamento e di accelerazione, piuttosto che la causa, di un generale processo di declino, iniziato, in gran parte della penisola, già nel corso del III-IV secolo.
La minaccia di incursioni esterne e il pericolo della disgregazione interna convincono i Longobardi a darsi un ordinamento politico più stabile e a scegliere, dunque, un nuovo re. Nel 584 viene eletto Autari, figlio di Clefi, il quale avvia un processo di restaurazione del potere regio, grazie alla concessione da parte dei duchi di cospicui beni per la creazione di una base economica sufficiente all’esercizio di tale potere: processo che si consolida con il suo successore Agilulfo.
Il rafforzamento del potere regio, da loro avviato, segna il passaggio a una nuova concezione territoriale basata sulla stabile divisione del regno in ducati. Ognuno di essi è guidato da un duca, non più solo capo di una fara, ma funzionario regio, depositario dei poteri pubblici e affiancato da funzionari minori (sculdasci e gastaldi). Nello stesso tempo Agilulfo punta a un maggiore inserimento dei Romani nella nuova formazione politica, compiendo alcune scelte simboliche, destinate ad accreditarlo presso la popolazione latina.
Grazie anche alla moglie cattolica Teodolinda, avvia, infatti, un dialogo con il potere eccclesiastico, a quel tempo guidato da papa Gregorio Magno, stabilendo, non senza resistenze tra la maggioranza dei Longobardi pagani e ariani, che i beni precedentemente sottratti alla Chiesa vengano restituiti e che alcuni dei vescovi, costretti a fuggire, ritornino a esercitare la loro attività nelle proprie sedi. Tuttavia, nonostante questi interventi e la decisione nel 603 di far battezzare secondo il rito cattolico il figlio Adaloaldo, alla morte di Agilulfo e per il tutto il VII secolo continuano ad alternarsi sul trono re cattolici e re ariani, alimentando una forte contrapposizione tra lo schieramento filocattolico e quello nazionalista. Una politica di apertura al dialogo e di tolleranza nei confronti dei cattolici viene adottata dal re ariano Rotari, il quale prende in moglie la cattolica Gundeperga, figlia di Teodolinda. Nel 643 fa mettere per iscritto per la prima volta le leggi longobarde (editto di Rotari), sino ad allora tramandate soltanto oralmente, e consolida la posizione del re all’interno del regno, sottolineandone il ruolo di garante dell’ordinamento giuridico e della medesima tradizione longobarda.
Con Liutprando la conversione al cattolicesimo del suo popolo è praticamente completata e la divisione tra Longobardi e Romani viene definitivamente superata attraverso l’inserimento dei secondi nella tradizione giuridica dei dominatori. Contando proprio su questa coesione interna e sperando nel consenso del papato, Liutprando decide di avviare una nuova fase espansiva del regno in Italia, invadendo l’Esarcato e la Pentapoli e giungendo fino alle porte di Roma. Tuttavia, l’intervento di papa Gregorio II riesce a farlo desistere dalla conquista della città e persino a indurlo a sgombrare le terre già conquistate del ducato romano. Il re decide, però, di donare alla Chiesa il castello di Sutri, presso Viterbo, anziché restituirlo all’autorità bizantina, riconoscendo di fatto la sovranità del papa su Roma e sul territorio circostante. Con Astolfo viene messa al centro degli interessi politici la volontà di sottomettere al proprio potere anche gli abitanti dell’Italia bizantina. Il rex gentis Langobardorum, come egli stesso si definisce, disciplina con un editto il tipo di armatura con cui i liberi del regno, longobardi e romani, devono prestare il servizio militare, sulla base non più dell’origine etnica, ma esclusivamente della loro ricchezza. Tale provvedimento, oltre ad avere notevoli ripercussioni sociali ed economiche, garantisce al nuovo re importanti conquiste militari, prima fra tutte quella della città di Ravenna, centro del potere bizantino in Italia. Più complicati restano i rapporti con Roma, dove papa Stefano II si oppone ai tentativi di Astolfo di farsi riconoscere la giurisdizione su Roma e su tutti i territori dipendenti dalla città appellandosi al re dei Franchi Pipino il Breve, al quale chiede di intervenire in Italia per recuperare i territori esarcali e affidarli alla Chiesa romana. Nel 754 l’esercito longobardo è sconfitto dai Franchi e Astolfo è costretto a consegnare ostaggi e a cedere alcuni territori. Due anni dopo il re riprende la guerra contro il papa, che a sua volta richiama i Franchi in Italia. Sconfitto di nuovo, Astolfo cede Ravenna al papa, incrementando ulteriormente il nucleo territoriale della Chiesa romana, e accetta una sorta di protettorato.
La situazione precipita quando sale al potere Desiderio, il quale, dopo la morte di Paolo I, cerca persino di intromettersi nell’elezione del nuovo papa inasprendo ulteriormente i rapporti con Roma. Il nuovo pontefice Adriano I decide allora di intervenire contro il re chiamando in aiuto, ancora una volta, i Franchi, guidati dal figlio di Pipino, Carlo Magno, il quale, dopo avere tentato invano di convincere per via diplomatica Desiderio a desistere dalle sue mire espansionistiche su Roma, muove verso l’Italia con il suo esercito. Dopo circa sei mesi di assedio violento, all’inizio del 774 i Franchi riescono a conquistare la capitale del regno Pavia, segnando la fine dell’indipendenza del regno longobardo, che si trova ora ad essere formalmente unito nella persona del re a quello franco, ma di fatto ad esso subordinato.