Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dalla metà dell’Ottocento, molti pittori pervengono a esiti veristi; in sintonia con il realismo romantico francese – di cui subiscono l’influenza – sperimentano nuove tecniche pittoriche, superando i tradizionali valori chiaroscurali e tonali mediante l’applicazione del colore per ampie zone, “a macchia”.
Verismo e realismo
A Napoli i pittori Domenico Morelli e Saverio Altamura, sull’esempio dei fratelli Palizzi, riformano la pittura di storia, proponendosi di “rappresentar figure e cose, non viste, ma immaginate e vere a un tempo”, in altre parole dipinte come se fossero state vere. Altamura e soprattutto Morelli adottano quindi lo stile verista nei temi storici, letterari e religiosi, temi cari alla pittura romantica e risorgimentale. Nel dipinto Gli iconoclasti, esposto alla Quadriennale borbonica del 1855, l’allusione alla repressione borbonica della libertà di pensiero è già abbastanza evidente nella scelta del soggetto, il martirio di San Lazzaro, monaco pittore perseguitato dagli iconoclasti, ma è tanto più efficace in quanto espressa con estremo realismo.
La pittura di storia così concepita rischia tuttavia di cadere nel puro archeologismo, nella mera filologia e in un nuovo accademismo, mentre Morelli stesso offre eccellenti prove di pittura verista affrontando soggetti moderni e in particolare nella ritrattistica, come ad esempio nel Ritratto di Bernardo Celentano (1859), dal colore intenso e luminoso steso a macchia.
Saverio Altamura esercita una grande influenza anche sul gruppo di pittori che frequentano a Firenze il Caffè Michelangelo. Secondo Diego Martelli (1838-1896), il teorico del gruppo, è Altamura che, giunto in esilio a Firenze nel 1848, introduce l’uso della macchia: “Fu lui”– racconta Diego Martelli nel 1856 – “[...] che cominciò a parlare del ton gris, allora di moda a Parigi, e tutti [...] a seguirlo poi per la via indicata, aiutandosi con lo specchio nero, che decolorando il variopinto aspetto della natura permette di afferrare più propriamente la totalità del chiaroscuro, la macchia”. Nel 1855, infatti, Altamura e Morelli compiono un viaggio a Parigi per visitare l’Esposizione universale, dove Courbet e Corot espongono le loro opere. La conoscenza diretta della pittura francese contemporanea viene favorita a Firenze dall’apertura al pubblico, nel 1856, della collezione del principe russo Anatoli Demidoff che comprende opere di Delacroix, Corot, Ingres e di altri importanti artisti francesi.
I macchiaioli
Dalla metà degli anni Quaranta Firenze diviene uno dei centri più vitali della pittura italiana. Artisti e critici, provenienti da tutta Italia, si incontrano a discutere di pittura presso il Caffè Michelangelo che diviene ben presto luogo di ritrovo del movimento verista.
Tra gli animatori del gruppo va annoverato il pittore romano Giovanni Costa, detto Nino, che si stabilisce a Firenze nel 1859, dopo aver trascorso un lungo periodo a Roma, dove conosce Corot e inizia a dipingere la campagna romana insieme ad alcuni artisti stranieri, tra cui Friedrich Overbeck e David. I suoi paesaggi, sempre ispirati al vero e dal taglio orizzontale, esercitano una certa influenza sulla pittura dei macchiaioli, dai quali comunque Costa si distingue per una concezione della natura ancora romantica e dominata dal sentimento; il pittore ricerca particolari effetti – come ad esempio la resa della luce crepuscolare – atti a esprimere quello che egli chiama il “sentimento del pensiero”.
L’Esposizione nazionale del 1861 organizzata a Firenze, capitale del nuovo Regno d’Italia, nonostante gran parte degli artisti espongano grandi opere di soggetto storico-patriottico di impronta ancora romantica, segna l’esordio ufficiale del movimento realista dei macchiaioli, così chiamati in senso dispregiativo da un critico in una recensione dell’Esposizione nella “Gazzetta del popolo”. La loro pittura consiste, infatti, nell’impiego di ampie zone di colore, le “macchie”, in sostituzione del disegno e di forme chiaramente definite, e nel superamento del tradizionale chiaroscuro, mediante accostamenti di colore-ombra e colore-luce; sul piano dei contenuti i macchiaioli, in nome del vero, affrontano preferibilmente soggetti di genere e ritratti, oppure s’ispirano sovente alla storia contemporanea, come dimostra il dipinto Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta (1861) di Giovanni Fattori e Le cucitrici di camicie rosse del pisano Odoardo Borrani (1834-1905).
Durante gli anni Sessanta e Settanta i macchiaioli compiono numerosi viaggi all’estero, soprattutto in Francia, e si dedicano assiduamente allo studio della pittura di paesaggio, soggiornando prevalentemente nella campagna toscana. Nella tenuta di Castiglioncello, messa a disposizione da Diego Martelli, lavorano numerosi giovani pittori, tra cui Borrani, Fattori, Telemaco Signorini e Raffaello Sernesi, mentre a Pergentina si forma un altro gruppo intorno a Silvestro Lega. Le opere prodotte in questi anni dai macchiaioli sono dunque frutto di una ricerca condotta in gruppo; l’accentuata luminosità e il taglio orizzontale delle composizioni, la ricerca di accordi tonali, così come il ricorso frequente a supporti quali la tavola e il cartone, allo scopo di ottenere particolari effetti, sono elementi che uniscono le diverse personalità.
Influenzato agli esordi dalla pittura accademica romantica, tra il 1859 e il 1861 Giovanni Fattori se ne distacca, sperimentando la “macchia” in una cospicua serie di tavole di piccole dimensioni con scene militari e paesaggi, caratterizzate da una tecnica sintetica ed essenziale. Nelle piccole tavole raffiguranti accampamenti di soldati l’impianto compositivo si basa sul taglio orizzontale e su una visione sintetica; la luminosità del paesaggio è sovente accordata al colore dello stesso supporto, lasciato in alcune zone a vista. Il tema eroico e celebrativo è sostituito con la rappresentazione diretta e quotidiana della vita dei soldati durante le campagne risorgimentali, senza ricorrere a espedienti scenografici e retorici.
In molti dei suoi paesaggi Fattori ottiene particolari effetti atmosferici e materici, sfruttando le venature del supporto ligneo, come nella tavoletta che ritrae il pittore Silvestro Lega che dipinge sugli scogli (1866), in cui la trama delle venature del legno serve a raffigurare il vento che soffia sulla costa.
Nel Ritratto della cugina Argia, dipinto nel 1861 ora alla Galleria d’arte moderna di Firenze, Fattori impiega sapientemente il colore per costruire la figura. Il contrasto cromatico tra il tono freddo e luminoso della veste verde-grigia e quello caldo dello sfondo giallo viene armonizzato nell’incarnato bruno del volto, incorniciato dai capelli corvini e dalla camicia bianca.
Silvestro Lega confluisce nel movimento dei macchiaioli dopo una lunga formazione purista che traspare in tutta la sua opera, anche nelle composizioni che rivelano una piena adesione al linguaggio della “macchia”. In dipinti quali L’educazione al lavoro (1863) e Un dopo pranzo (Il pergolato) (1868) permane il gusto per la purezza lineare delle forme e per la chiara scansione spaziale, ma l’artista predilige i temi quotidiani e familiari che raffigura con un accentuato realismo e una particolare attenzione agli accordi cromatici e alla resa di una calda luminosità, impiegando una tavolozza più ricca e varia di quella di Fattori.
Assai rapida e intensa è la vicenda di Raffaello Sernesi, che muore appena ventottenne nel 1866, in seguito a una ferita riportata combattendo come volontario garibaldino. I suoi paesaggi, dipinti durante il soggiorno a Castiglioncello, si caratterizzano per un’autentica adesione al linguaggio verista e macchiaiolo, adottato però da Sernesi per rappresentare una natura silenziosa, discreta e inabitata, ripresa sempre secondo un taglio orizzontale e da un un punto di vista ribassato come in Marina di Castiglioncello, del 1864. Nei precedenti studi di Tetti al sole del 1861, coservato alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma predomina invece la ricerca sulla “macchia” di colore-luce, giocata sulla diversa inclinazione delle superfici, costruite con pennellate spesse e dense.
Telemaco Signorini, figlio del pittore Giovanni, attivo presso la corte del granduca di Toscana, si forma presso l’Accademia di Firenze, che abbandona nel 1855, per unirsi al gruppo del Caffè Michelangelo. Signorini si distingue per il suo impegno critico e teorico a sostegno della pittura di “macchia”, con numerosi articoli che pubblica sul “Gazzettino delle arti del disegno”, fondato da Diego Martelli.
Nel 1861, insieme ai macchiaioli Cristiano Banti e Vincenzo Cabianca (1827-1902), si reca per la prima volta a Parigi, dove conosce Corot e dove ritorna frequentemente per ammirare e studiare a fondo le opere di Degas e di altri impressionisti francesi. L’ammirazione per Corot e gli studi dal vero – condotti con Silvestro Lega e altri macchiaioli a Pergentina – spiegano il realismo e l’accentuata luminosità dei suoi paesaggi Fine d’agosto a Pietramala, mentre l’influenza della pittura impressionista traspare maggiormente nelle opere più tarde degli anni Ottanta e Novanta che affrontano temi sociali.