I matrimoni misti: un fenomeno nazionale dalle peculiarità regionali
La realtà delle ‘famiglie della migrazione’ è un fenomeno in crescita nel nostro Paese. Sulla base dei dati anagrafici disponibili, le famiglie con un capofamiglia straniero iscritte alle anagrafi al 1° gennaio 2008 sono 1.366.835, composte mediamente di 2,5 persone (le famiglie italiane sono composte di 2,4 persone). Una realtà, consistente e in evoluzione, che necessita di attenzione da parte sia dei ricercatori sia dei decisori pubblici. La tendenza alla stabilizzazione familiare e all’incremento delle famiglie della migrazione è confermata anche dal numero di permessi di cui sono titolari i coniugati. A livello nazionale l’incremento dei permessi di soggiorno per stato civile dei coniugati ha registrato negli ultimi dieci anni un valore pari a +39,8%. In particolare nel Nord-Est si hanno valori che superano di circa 10 punti percentuali la media nazionale (49,2%).
Porre attenzione alle famiglie della migrazione è dunque rilevante sia perché ci si riferisce a una realtà in crescita, sia perché questa realtà attiva cambiamenti sociali (nel Paese di approdo e nel Paese di partenza) e dinamiche interfamiliari inedite. La costruzione o la ricomposizione della famiglia in immigrazione comporta la stabilizzazione dei flussi. Secondo alcune ricerche il fenomeno è indicatore di maggior integrazione, in particolare se ci si riferisce alle famiglie ricongiunte e a quelle formate da individui dello stesso Paese. In altri casi le nuove famiglie della migrazione (transnazionali, miste, ‘miste-miste’, poligamiche, forzate) determinano invece nuove dinamiche relazionali (Tognetti Bordogna, 2012) che non sempre stabilizzano queste famiglie, ma possono diventare fonte di tensioni e conflitti, sia all’interno del nucleo, sia rispetto alla società in cui esse vivono (Silva, Campbell, Wright 2012). In generale ‘fare famiglia in migrazione’, indipendentemente dalle modalità seguite nella sua costruzione o ricostruzione, comporta il confronto con dinamiche inedite, determinate e favorite dal trovarsi in un nuovo contesto. In alcuni casi (famiglie ricongiunte) si tratta di ricominciare il rapporto in un modo diverso, di ‘rifare famiglia’, e quindi di iniziare in una nuova relazione familiare. La famiglia, importante per la scelta migratoria, per la stabilizzazione nel nuovo contesto, per la trasmissione di saperi, diventa strategica al fine di delineare nuove forme di inclusione, e ciò sarà al centro di questo contributo.
In questo saggio l’attenzione verrà focalizzata, in particolare, sulle famiglie miste, che rappresentano una realtà in costante crescita sia in Italia sia nel resto dei Paesi europei. Nella prima parte, dopo aver considerato le variabili e i fattori alla base della crescita delle famiglie miste, analizzando il loro contributo alla costruzione della nuova società, ci si sofferma sulle dinamiche intrafamiliari e sociali delle medesime. Nella seconda parte si affrontano alcuni elementi di criticità delle famiglie miste, quali la separazione e i divorzi, le ragioni per le quali la crisi economica incide in modo particolare su queste famiglie, e anche le considerazioni prevalenti degli italiani su queste unioni. Nella terza parte, invece, evidenziate le potenzialità dei figli delle coppie miste, l’attenzione verrà posta sull’incremento di una nuova forma di famiglia, che abbiamo definito ‘mista mista’ (Tognetti Bordogna 2007), cioè quella formata da individui, tra loro di nazionalità diversa, che vivono e fanno famiglia in Italia.
Secondo Giampaolo Lanzieri (2012), che ha condotto per EUROSTAT una ricerca sui matrimoni misti nei diversi Paesi dell’Unione Europea, un matrimonio ogni 12 è di coppia mista, incidenza che varia fra i 30 Paesi presi in considerazione, con oscillazioni, dal 21% della Svizzera al 3% della Grecia che si spiegano in relazione alla dimensione e alla storia dei processi migratori, all’ampiezza dell’offerta nel mercato matrimoniale. Nell’area settentrionale dell’Europa primeggiano la Lettonia (20,7%) e il Lussemburgo (18,2%). Si distinguono anche i Paesi a più lunga esperienza migratoria, come Francia (11,8%), Germania (11,2%) e Belgio (11%). Il fenomeno è comunque in crescita in Danimarca (7%). Risultano al di sotto della media europea (8,4%) i Paesi dell’area meridionale con oscillazioni che vanno dal 7,6% di Malta, al 3% della Grecia. Le famiglie miste, quelle composte da un partner autoctono e uno immigrato, costituiscono dunque il futuro della forma famiglia della società plurale (Legami familiari e immigrazione, 1996; Tognetti Bordogna 2007). Esse sono il laboratorio culturale della società futura in quanto anticipano le relazioni familiari del domani. Infatti, sempre più frequenti rispetto al passato saranno le unioni instabili: si divorzia di più, ci si risposa, si creano reti composite di parenti, aumentano le famiglie connotate dalla diversità, e la famiglia mista racchiude in sé tutte queste caratteristiche. Oltre a una realtà emergente esse rappresentano una vera e propria rivoluzione culturale in quanto occasione di mescolamento quotidiano dei saperi, delle pratiche, delle competenze, delle differenti appartenenze culturali.
Lo studio delle coppie miste non è solo una questione definitoria o un modo per tracciare confini, ma piuttosto analisi di un fatto sociale che consente di leggere le dinamiche matrimoniali della società sempre più internazionalizzata. Si è di fronte a una realtà indice e fattore di cambiamento (Gritti in «La critica sociologica», 2004), strettamente connessa alle dinamiche migratorie, che consente di leggere e approfondire il pluralismo crescente della nostra società, la percezione sociale di società altre, ma anche le diversità oggettive fra Stati. La famiglia mista rappresenta una nuova realtà che comporta qualche forma di ambiguità di tipo sia linguistico sia semantico (Cerchiaro 2013). Essa si fonda su entità distinte che gravitano intorno al concetto di differenza, nozione che rappresenta una caratteristica socialmente rilevante, capace di generare un significato nelle interazioni sociali e umane, aprendo a nuove dimensioni culturali, a nuove pratiche matrimoniali e non solo. Allo stesso tempo la famiglia mista si pone come ponte fra contesti culturali differenti, relazioni fra gruppi, sistemi sociali e giuridici, attivando in essi forti processi di cambiamento. Questi ultimi sono riconducibili alla sfida che la coppia mista lancia, a volte anche inconsapevolmente, al gruppo, alla società e alla famiglia di origine, ma anche al fatto che queste unioni non infrequentemente fanno dialogare e interagire contesti geoculturali differenti, seguendo una transnazionalità dai caratteri incerti, poiché la presa di distanza dalla famiglia di origine può non consentire rientri reali o invii di risorse economiche alla famiglia di origine del partner straniero e la transnazionalità è quindi agita solo sul piano simbolico.
Come è stato fatto notare (Cerchiaro 2013, p. 17), è proprio il concetto di differenza a costituire lo snodo intorno al quale ruotano le diverse definizioni di mixitè. È il punto di vista dell’osservatore a costruire le possibili definizioni, così come quello del ricercatore influenza la raccolta e anche l’interpretazione dei dati. Ed è la percezione della distanza, culturale, sociale, economica, religiosa a far sì che le coppie miste siano differenti dalla maggioranza delle coppie (Gritti in «La critica sociologica», 2004). Sono, infatti le reazioni sociali e il tipo di relazione che s’instaura fra ambiente esterno e microcosmo familiare, a rivelare la diversità della coppia mista. Questo tipo di unione esiste in relazione all’ambiente in cui si trova a vivere, in quanto costruita socialmente (Bertolani 2002); essa, o meglio la percezione di essa, muta in relazione al contesto e al momento storico.
Secondo Doris Bensimon e Françoise Lautman (1977) la definizione stessa del fenomeno non fa riferimento tanto alle differenze etniche, religiose o ‘razziali’, ma piuttosto alle reazioni sociali che tali differenze mettono in atto nell’ambiente sociale circostante. Va nella stessa direzione quanto sostenuto da Jocelyne Streiff-Fenart (1994), cioè che il grado di mixité di una coppia va calcolato in relazione al significato che un determinato contesto attribuisce alle differenze che la coppia incarna. In altri termini, la percezione sociale e le conseguenze di un matrimonio misto variano in relazione al contesto in cui avvengono le interazioni fra le differenze. Parlare di coppie miste o matrimoni misti significa dunque riferirsi a questioni che riguardano la coppia ma anche la società, in particolare una società in transizione come quella contemporanea. In letteratura sono state evidenziate le molte dimensioni, anche definitorie, del tema, trattandosi di un fenomeno che è stato analizzato da studiosi appartenenti a diversi saperi disciplinari e con particolare attenzione agli anni Settanta del secolo scorso.
Anche se Gabrielle Varro (2003) sottolinea che, stante l’attuale quadro complesso di convivenza tra multiple differenze, i concetti che interrogano la mixitè sono inadatti, è bene ripercorrere, sia pure sinteticamente, le diverse e possibili definizioni di matrimonio misto. Per alcuni si è di fronte a un’unione che viola le regole endogamiche (Davis 1941), per altri la maggior parte delle unioni sono di tipo misto (Falicov 1995) in quanto risultato di provenienze diverse, per es. di status e di genere. Per altri ancora («La Critica sociologica», 2004) la coppia mista origina un dialogo poliedrico, mettendo in discussione i modelli tradizionali della relazione uomo-donna. Essa segna una rottura, uno scarto nell’ordine delle pratiche sociali, un’emancipazione della coppia, l’affermazione della scelta individuale dei partner rispetto a una famiglia che non ne accetta l’emancipazione. Più recentemente è emerso che occuparsi di una realtà mista comporta sistematicamente la riformulazione dei concetti, con l’alternarsi di metafore come cross-breeding o hybridization, assemblage o bricolage, creolization, o di termini come metissage o mixitè (Mary 2005). Dai primi anni Duemila il dibattito internazionale (Silva, Campbell, Wright 2012) propone i concetti di intermarriage, cross-cultural marriage, transcultural families. Mentre negli anni Trenta del Novecento si guardava alle unioni miste come a quelle interraziali, negli anni Quaranta erano le unioni interreligiose a essere maggiormente studiate, e negli anni Ottanta (Cottrell 1990) quelle a mescolanza plurale, che presentavano differenze di ‘razza’, di religione e di nazionalità. Tipologie che non necessariamente costituivano la maggioranza delle coppie miste. Si fa così riferimento (Cerchiaro 2013) alla differenza fondata su base nazionale (binational marriage), su base religiosa (interfaith marriage, mixed faith) o sull’etnia (multiethnic, multiracial, mixed race, mixed ethnicity, interracial e interethnic marriages).
Indipendentemente dalla terminologia usata è chiaro che la famiglia mista è segnata da una differenza ulteriore rispetto a quella sessuale (Gritti, in «La critica sociologica», 2004; Legami familiari e immigrazione, 1996), una differenza aggiuntiva che in relazione al contesto ha privilegiato la differenza di ‘razza’, religione, classe sociale, luogo di residenza, e così via. Secondo Gabrielle Varro (2003) assumono un peso particolare nel segnare la differenza la religione, la ‘razza’ e l’etnia; per altri invece è la reazione che provoca la differenza nell’ambiente sociale (Bensimon, Lautman 1977). È dunque la percezione della distanza da parte della società nel suo complesso a rendere pubblico un fatto privato. La relazione che i partner intrattengono, e le relative reazioni, al di fuori del loro microcosmo, sono rivelatrici di una diversità accettata o rifiutata dalla società.
Nonostante le molte e diverse terminologie usate, quella di coppia mista resta ancora l’unica che consente di cogliere tutte le complessità di cui è portatrice tale unione (Legami familiari e immigrazione, 1996). Questa definizione permette di non ridurre l’unione mista a una singola appartenenza. Essa è infatti esemplificatrice della mescolanza che si verifica a tutti i livelli con questa tipologia di coppia, di come cambino i modi di fare famiglia in immigrazione e delle forme possibili che assume l’interazione e il confronto con l’altro. Tale definizione troverà successivamente un’ulteriore conferma anche negli ethnic and racial studies che ricorrono proprio al termine misto per dare spazio a tutte le diversità di cui la coppia è portatrice. Le coppie miste rappresentano un emblema paradigmatico, tese come sono alla ricerca e alla ricostruzione continua dei confini tra ciò che distingue e ciò che accomuna nell’era della globalizzazione (Cerchiaro 2013). Esse costituiscono sempre di più la regola di un mondo globalizzato, sempre più transnazionale. Ed è proprio il termine ‘mista’, a nostro avviso, capace di cogliere tutte le diversità di cui la coppia è portatrice e che gli stessi partner della coppia declinano discorsivamente in modo differente a seconda dell’aspetto specifico a cui stanno di volta in volta riferendosi (Cerchiaro 2013, p. 26).
L’interesse e gli studi relativi al fenomeno dei matrimoni misti, al loro formarsi, alla loro legittimità, sono andati nel tempo aumentando, così come sono stati differenti gli approcci disciplinari e diverse le prospettive di studio. Possiamo così rilevare teorie che attribuiscono tale scelta matrimoniale a fattori di tipo individuale, determinati di volta in volta da motivi di convenienza, di scambio, per alcuni aspetti patologici, da elementi attrattivi insiti nella differenza, nella complementarietà, nell’anticonvenzionalità. Altre teorie esaltano gli aspetti strutturali, vedendo la formazione della coppia mista come l’opportunità di incontro o la composizione sociodemografica dei diversi gruppi. Altre ancora coniugano le due dimensioni, sottolineando che non è ipotizzabile conoscersi senza l’occasione di entrare in contatto, ma che è altrettanto rilevante l’attrazione e la compatibilità per formare una relazione affettiva (Ghiringhelli 2012).
Resta valida a nostro avviso la sintesi proposta da Matthijs Kalmjin (1998), che nella letteratura sui matrimoni misti individua tre filoni in relazione alle caratteristiche osservate. Il primo comprende le ricerche sugli ethnic and racial intermarriage, finalizzate ad analizzare il grado di integrazione dei diversi gruppi etnici nazionali, sia tra loro sia con la popolazione autoctona. Il secondo riguarda le indagini relative alla differenza religiosa e al ruolo delle diverse Chiese circa il controllo delle scelte dei loro membri, al senso di appartenenza alla propria religione. Il terzo racchiude le ricerche inerenti l’omogamia riferita allo status socioeconomico e gli indicatori di mobilità sociale volti a misurare il grado di apertura dei diversi gruppi. I risultati di tali studi indicherebbero (Gritti in «La critica sociologica», 2004) che i matrimoni misti, in relazione alla loro incidenza in un dato contesto, sono il segno del più alto livello di integrazione tra i gruppi che compongono una società, dell’allentamento dei legami tradizionali che regolano i rapporti interni a un gruppo, dell’apertura delle diverse comunità immigrate nei confronti della società ospitante.
Leggere e studiare i matrimoni misti consente di comprendere le trasformazioni delle famiglie e del fare famiglia in immigrazione, le dinamiche sociali più ampie, come il crescente processo di secolarizzazione, ma anche nuovi modi di vivere il pluralismo religioso, piuttosto che il processo di individualismo e di isolamento dalle reti sociali. Un laboratorio, quello delle unioni miste, indicatore di integrazione o di assimilazione, di negoziazione, dell’aggiustamento della differenza, dell’allargamento del possibile, della gestione del conflitto, dell’uso del confine come spazio di innovazione e non come limite, cesura (Aluffi in «La critica sociologica», 2004). Guardare a esse consente di comprendere come i partner vivano e gestiscano la differenza nel quotidiano e nello spazio pubblico, quali siano gli elementi che segnano tale differenza e quali l’inclusione, come l’unione mista possa costituire qualche cosa di plurale. Le unioni miste possono poi rappesentare un ambito di nuovi conflitti, a volte anche a carattere internazionale. Un diverso e ulteriore modo di fare famiglia che contribuisce ad accelerare il mutamento dell’istituto familiare, anche se non rappresenta la totalità del fenomeno poiché, di fatto, le unioni miste superano ampiamente il numero di quelle registrate ufficialmente. È stato mostrato che non tutte le unioni miste sono regolate da un contratto e che spesso si è in presenza di convivenze. Tale opzione può essere determinata da molti fattori, al pari di tutte le convivenze, ma per la coppia mista è dovuta non infrequentemente all’esigenza di non scontrarsi definitivamente con la famiglia di origine a causa della scelta del partner fuori dal proprio entourage. Oppure più semplicemente per lasciarsi uno spazio maggiore di libertà nel caso in cui l’unione fallisse. Non di rado si attende di avere uno o due figli prima di arrivare a celebrare il matrimonio. Comportamento, quest’ultimo, frequente fra i maschi italiani che sposano una donna di origine straniera. Se, infatti, l’incidenza dei bambini nati al di fuori del matrimonio è pari al 19,6% sul totale delle nascite, tale dato raggiunge il 36% nelle coppie miste non coniugate, contro il 19,2% in quelle costituite da genitori entrambi italiani e il 16,5% nelle coppie formate da genitori stranieri (ISTAT 2010).
L’unione mista, dunque, è strettamente legata alla percezione che ne hanno gli altri, la quale varia in relazione al variare del tempo e dello spazio. Infatti, nel secolo scorso in Italia erano considerate miste quelle unioni che avvenivano fra individui appartenenti a regioni diverse, così come in precedenza lo erano le unioni tra ceti diversi o quelle legate alla presenza militare o coloniale. Molte sono quindi le tipologie di unioni miste così come differenti le motivazioni che stanno alla base, spesso anche fra di loro combinate (Legami familiari e immigrazione, 1996). Innanzitutto esse hanno una base elettiva/affettiva, al pari di molte altre coppie. Abbiamo poi le unioni in cui prevalgono gli elementi di convenienza come l’acquisizione di uno status giuridico e la possibilità di entrare regolarmente in un Paese (matrimonio di convenienza o per le carte). Non è irrilevante il numero delle persone che hanno ottenuto la cittadinanza proprio grazie a questo tipo di matrimonio. Attraverso e mediante il matrimonio misto si possono aprire le strade all’inclusione nel nuovo contesto in quanto esso può favorire le relazioni amicali con autoctoni, l’accesso facilitato alle risorse del welfare, può incrementare le forme di appartenenza (matrimonio facilitatore). Abbiamo poi il cosiddetto ‘matrimonio riparatore’ che si verifica dopo la nascita anche di due e più figli fuori dal matrimonio, particolarmente presente quando il partner straniero è donna, almeno nel nostro Paese. Non infrequenti sono i ‘matrimoni d’agenzia’ o ‘negoziati’, ossia quelle unioni che si contraggono con individui stranieri scelti su un catalogo o attraverso Internet. Infine c’è il ‘matrimonio intellettuale’ o ‘per motivi culturali’, al fine di lasciarsi alle spalle scelte matrimoniali non più in linea con i propri interessi e le proprie aspirazioni, o più semplicemente per potersi immergere in un’altra cultura, in un’altra lingua.
La costruzione di questa nuova forma familiare, la cui presenza è in costante crescita a causa delle dinamiche migratorie, annovera però la globalizzazione tra le sue cause più rilevanti. Oltre che da questioni strutturali, la formazione di tale realtà è favorita dalla presenza di luoghi meticci (De Luca, Panareo 2006) in cui è più facile e meno stereotipato l’incontro con l’altro. Infatti la maggiore incidenza di queste unioni si ha nelle realtà metropolitane, in cui le occasioni d’incontro in luoghi ‘liberi’, come piazze, bar, giardini, sono più facili. Anche i luoghi della transcultura possono facilitare questo tipo d’incontri (uffici di mediazione linguistico-culturale, sportelli per l’immigrazione ecc.) così come i luoghi della solidarietà, i viaggi all’estero o i luoghi virtuali. Sono i luoghi e gli spazi aperti e permeabili alla diversità che facilitano e rendono normale questo tipo d’incontro. Oppure i contesti già segnati dal métissage, come altri matrimoni misti fra i componenti dell’entourage, che fungono da facilitatori di nuove unioni miste. Oltre al grado di omogamia dei gruppi etnici, agiscono in questo senso anche l’isolamento topografico, il grado di repulsione nei confronti dell’altro, la diminuzione delle differenze di gruppo, lo squilibrio fra i sessi di uno stesso gruppo geoculturale, l’eterogamia maggiore fra chi è migrato (Legami familiari e immigrazione, 1996). Sono poi la condivisione di una lingua, la passione per l’esotico, ma anche il senso di sfida insito in queste unioni e la ricerca di libertà a favorirne l’incremento.
Secondo altri autori (Silva, Campbell, Wright 2012) anche il grado di apertura verso lo scambio culturale da parte della famiglia influenza i comportamenti degli individui, incoraggiando esperienze di lavoro in altri Paesi, così come relazioni affettive con stranieri. Infatti le famiglie che adottano comportamenti culturali aperti, o hanno scambi culturali con altri contesti e culture, favoriscono le scelte transculturali dei loro figli. Chi lavora o studia in ambiti diversi è più incline a incontri con individui appartenenti ad altre culture. La stessa dinamica migratoria può facilitare il distacco da modelli di comportamento consolidati, rendendo meno problematica la scelta autoctona del coniuge da parte specialmente della seconda generazione.
Vi sono dunque, alla base della crescita dei matrimoni misti, fattori di carattere generale oppure attinenti al sistema famiglia, la quale può favorirne lo sviluppo (Silva, Campbell, Wright 2012), ma anche agire in senso contrario. Possono poi essere decisive per tale scelta le caratteristiche del singolo in termini di curiosità, attrazione verso l’altro, il diverso, l’esotico. Così come pesa positivamente sull’incremento delle unioni miste l’affievolirsi del condizionamento delle famiglie di origine sulle scelte matrimoniali dei figli, nonché del pregiudizio razziale e verso l’altro in generale. Infine non va sottovalutato che i matrimoni misti possono costituire anche un mercato matrimoniale di riserva per chi ha già fatto un’esperienza matrimoniale o per chi presenta elementi di svantaggio sul mercato matrimoniale, come un’età avanzata o un capitale culturale limitato, oppure per chi si trova in una situazione di marginalità. Molti dunque i fattori facilitanti tali unioni riconducibili al contesto, ma anche al nucleo familiare di appartenenza e all’entourage, ma ovviamente la migrazione, la globalizzazione, il transnazionalismo sono elementi che favoriscono la crescita del fenomeno. In altri termini, sono le strutture di opportunità che svolgono un ruolo essenziale in questo senso.
In Italia lo studio dei matrimoni misti cresce parallelamente al crescere dei flussi migratori. Tali unioni mutano poi in relazione alle trasformazioni delle dinamiche migratorie del nostro Paese. Infatti, se dal censimento del 1991 (Ghiringhelli 2011) emergeva come il coniuge straniero appartenesse prevalentemente ai Paesi del Sud America, o a quelli che erano tradizionalmente meta dell’emigrazione italiana, come Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera, Austria, e così via, con gli anni Novanta muta l’origine del partner straniero, la quale si allinea alla presenza delle comunità immigrate in Italia, provenienti dall’Europa dell’Est, dai Balcani, dal Nord Africa, dal Medio Oriente. Nell’incidenza della provenienza geoculturale del partner non autoctono pesa anche la presenza di coloro che sono originari di Paesi divenuti meta turistica per gli italiani, come Brasile, Santo Domingo, Cuba, Filippine, Egitto e Tunisia. Con il nuovo millennio le preferenze rispetto al partner o alla partner straniera si allineano con l’incremento dei flussi migratori verso l’Italia in quanto crescono le provenienze dai Paesi dell’Est. Nel 2000, infatti, la maggior parte delle donne straniere che hanno sposato un uomo italiano proveniva da questi Paesi (50,9%), in particolare da Romania, Polonia, Albania e Paesi dell’ex Unione Sovietica. Tendenza che trova conferma anche a metà del 2000 (ISTAT 2008) in quanto permane la correlazione positiva fra composizione e tipologia dei gruppi presenti. Infatti, nel 2005 gli uomini italiani scelgono nel 49% dei casi partner provenienti dell’Europa centro-occidentale (Romania, Ucraina, Polonia, Russia, Albania) e nell’11,5% dei casi donne che provengono dall’America centro-meridionale, in particolare da Brasile, Ecuador, Cuba. Le donne italiane, invece, privilegiano uomini di origine nordafricana (21%) nello specifico dal Marocco e dalla Tunisia, mentre il 14,8% sposa cittadini dell’Europa centro-orientale, ossia coloro che sono originari dell’Albania e della Romania.
Un quadro non dissimile si può rilevare considerando i dati del 2009: gli uomini italiani che sposano una donna straniera continuano a prediligere nell’ordine, quelle che provengono dalla Romania (15,5%), dall’Ucraina (10%), dal Brasile (9%), dalla Polonia (7,2%), dalla Russia (5,6%), dalla Moldavia (5,3%), dal Marocco (4,2%) e dall’Albania (3,6%). Per quanto riguarda invece le donne italiane, sempre in quell’anno, si sposano nel 20,2% dei casi con un uomo marocchino, nell’8,2% con un albanese, nel 5,5% con un tunisino, nel 5,2% con un partner inglese, nel 4,4% con uno egiziano e nel 4,2% con uno senegalese (ISTAT 2011).
L’incremento dei matrimoni misti in Italia va dunque di pari passo con la stabilizzazione delle migrazioni e con il crescere dei matrimoni di stranieri. Nel 2012 i matrimoni con uno sposo straniero (tab. 1) sono stati 30.724 (10%), mentre i matrimoni con sposi entrambi stranieri sono stati 9.960 (4,8%). In particolare sono diminuiti i primi matrimoni cioè quelli celebrati fra celibi e nubili (passati da 391.767 del 1972 a 212.476 nel 2008, a 174.583 nel 2012), così come avvengono in età sempre più avanzata (nel 2008 le spose avevano mediamente 31 anni mentre gli sposi raggiungevano i 34 anni; nel 2011 le spose avevano mediamente 32 anni, mentre gli sposi raggiungevano i 35 anni). A partire dal 2008 si è registrato un incremento dei secondi matrimoni che costituivano il 13,8% nel 2008 e sono saliti al 15,7% nel 2012. Anche per i matrimoni misti si è registrato un aumento costante (dal 3,7% del 1995 al 10% del 2012), ma con un’inversione di tendenza nel 2009, fino alla forte flessione (7,9%) del 2010, punto più basso (17.169 unioni) di un trend negativo conclusosi già nel 2011. Molto probabilmente tale andamento rappresenta un effetto coda della l. 15 luglio 2009 nr. 94 (in particolare dell’art. 1), che imponeva allo straniero che voleva contrarre matrimonio in Italia di esibire, oltre al nulla osta, anche un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano. Provvedimento che intendeva perseguire i matrimoni di comodo, e che è stato parzialmente modificato con sentenza 25 luglio 2011 nr. 245 della Corte costituzionale. Tale decisione ha di fatto riportato il trend dei matrimoni misti verso una decisa crescita, con un aumento di quasi due punti (da 7,9% a 10%) dal 2010 al 2012. Il fenomeno appare dunque in netta ripresa, dopo aver raggiunto il picco massimo nel 2008 attestandosi a 24.548 unioni (fig. 1).
Nel 2012 sono stati gli uomini, nel 78,7% dei casi, a sposare una partner straniera, contro il 21,3% delle donne italiane che hanno sposato uomini stranieri. Tale primato maschile permane costante nel tempo, ed è peraltro confermato anche in altri Paesi. Per es., in Germania i matrimoni di uomini con donne straniere sono più tollerati di quelli delle donne autoctone con maschi stranieri, ancora considerati un ‘tradimento’ nei confronti della nazione tedesca. In generale, in Italia, risiede nel Nord il numero maggiore di coppie miste, e il Nord-Ovest, con il 32,1%, prevale sul Nord-Est (23,2%). Sempre nel 2012 al Centro esse rappresentano il 24,1%, mentre sono il 13,9% al Sud e il 6,7% nelle Isole. In queste regioni continuano a prevalere i matrimoni fra autoctoni. In Basilicata le unioni miste pesano per il 4,4%, così come in Puglia, mentre in Molise raggiungono il 6,2%, in linea con l’incidenza della presenza straniera in questi contesti. Il fenomeno, in costante crescita, assume dunque caratteri e specificità locali.
Se torniamo a considerare la cittadinanza del partner straniero enl 2012, emergono fra le prime nazioni, nella coppia lui italiano e lei straniera, in ordine decrescente, Romania (17,4%), Ucraina (10,9%), Brasile (7,2%), Federazione Russa (6,5%), Polonia (5,3%). Nelle coppie invece in cui lui è straniero e lei è italiana prevalgono i coniugi del Marocco (15%), seguiti da quelli dell’Albania (7,8%), Tunisia (7,6%), Regno Unito (5,2%), Egitto (4,7%). Si può quindi sottolineare come il partner italiano e la partner italiana continuino a differenziarsi nella scelta del coniuge straniero, presentando specificità nazionali.
Se guardiamo la serie storica dei matrimoni misti per il periodo 2005-12 (tab. 2) si rileva come la preferenza, in ordine decrescente, per le donne che provengono da Romania, Ucraina, Brasile permanga nel tempo.
Mentre le donne polacche, che fino al 2010 ricoprivano la quarta posizione nelle preferenze degli uomini italiani, nel 2011 e nel 2012 cedono tale posizione a quelle della Federazione Russa. Le donne della Moldavia, in sesta posizione fino al 2011, nel 2012 sono scalzate dalle albanesi. Infine sono le donne della Repubblica Dominicana a trovarsi più frequentemente nella quindicesima posizione. Le donne provenienti dai Paesi dell’America Latina lasciano quindi le prime posizioni a quelle che giungono dai Paesi dell’Est nelle preferenza degli uomini italiani circa le spose straniere. Un ulteriore segno delle trasformazioni dei flussi migratori e dei relativi impatti sulle società di arrivo.
Per quanto riguarda invece la scelta del partner straniero da parte delle spose autoctone, si può notare (tab. 3) che sono gli uomini marocchini a essere maggiormente apprezzati in tutto il periodo considerato, con la sola eccezione del 2010, in cui primeggiano gli uomini inglesi. Gli uomini albanesi si attestano in seconda posizione, mentre nel 2010 scendono al terzo posto. I tunisini, che si trovavano in terza posizione nel periodo 2005-09 e nel 2012, scendono in nona posizione nel 2010, per risalire in sesta nel 2011. Sono gli uomini della Repubblica Dominicana a collocarsi nel 2012 in quindicesima posizione, mentre nel 2005 vi erano coloro che provenivano dall’Argentina.
Oltre a una diversa incidenza della provenienza geoculturale del partner straniero, a seconda se maschio o femmina, si possono rilevare alcune asimmetrie in queste coppie, rispetto a quelle formate da coniugi entrambi autoctoni, relativamente all’età e al livello di istruzione. Tale disparità si accentua (ISTAT 2009) nelle coppie in cui i mariti sono italiani (mediamente di 41 anni) e le mogli straniere (mediamente di 33).
Per quanto riguarda il titolo di studio, nel 2012, delle 3485 donne straniere laureate che hanno sposato un marito italiano il 35,1% ha contratto un’unione con un italiano in possesso della licenza media superiore, il 23,3% con un uomo che aveva acquisito la licenza media inferiore e il 5,5% con uno che aveva la sola licenza elementare. Erano 2110 invece gli sposi italiani con la laurea. Un’asimmetria che rivela come siano i maschi italiani ad avvantaggiarsi dell’unione con una donna straniera, in quanto quest’ultima presenta un capitale culturale maggiore.
La letteratura (Bertolani 2002; Legami familiari e immigrazione, 1996) ha evidenziato diversi fattori alla base delle unioni miste, non ultimo il fatto che vi siano elementi di convenienza nell’acquisire la cittadinanza, o che si tratti di matrimoni di riserva. Sono considerati tali (Saraceno, Naldini 2007) i matrimoni misti contratti fra chi ha già avuto una precedente esperienza matrimoniale o fra chi si sposa tardi perché impegnato in attività di accudimento dei genitori, o in altri compiti di cura. I dati confermano tale idea in particolare per gli sposi maschi autoctoni. Qui le coppie miste si distinguono decisamente non solo dalle coppie autoctone ma anche da quelle formate da soli stranieri. In questo tipo di unioni si registrano più frequentemente che in tutte le altre tipologie coniugi in seconde nozze (tab. 4) indipendentemente dal sesso del partner straniero. Pesa decisamente di più l’asimmetria di secondo matrimonio sulle spose straniere: nel caso delle coppie in cui il marito è autoctono emerge, nel periodo considerato, un dato che oscilla fra il 14,2 e il 16,1% per il partner italiano, il quale contrae matrimonio con spose straniere che sono al secondo matrimonio, rispettivamente, nel 23,1% e nel 24.5% dei casi. Un ulteriore indicatore che le donne straniere migrano non infrequentemente per lasciarsi alle spalle un precedente matrimonio o un’unione fallita o più semplicemente per costruirsi una nuova unione nel contesto migratorio (Tognetti Bordogna 2012).
Anche nella scelta del rito matrimoniale (tab. 5) si rilevano alcune specificità fra le coppie miste. Infatti, sempre nel 2012, gli sposi che hanno scelto il rito religioso sono stati, in totale, il 59%, mentre per le coppie miste tale scelta si è verificata nel 14,6% dei casi se lo sposo era italiano e nel 20,8% se era italiana la sposa. Il rito civile, invece, sempre nel medesimo anno, ha interessato il 79,2% delle unioni in cui lui era straniero e l’85,4% di quelle in cui era lei a essere straniera. Per quanto riguarda il rito di celebrazione emerge sistematicamente, soprattutto se si considera questo dato in serie storica, una maggiore propensione delle donne italiane, rispetto agli uomini, a celebrare il loro matrimonio misto con rito religioso. Le donne assumono tale comportamento specifico anche perché, rispetto ai maschi, sono loro a celebrare più frequentemente il primo matrimonio con un individuo immigrato (8 matrimoni su 10, contro i 6 su 10 dei connazionali uomini).
I matrimoni misti in Italia sono dunque strettamente correlati alla provenienza dei gruppi geoculturali nel tempo, sono spesso secondi matrimoni celebrati con rito civile, e vi è una forte asimmetria tra i coniugi legata all’età e all’istruzione, cosi come vi è una differenza di genere fra gli sposi autoctoni.
Particolare attenzione è stata dedicata nel nostro Paese ai matrimoni misti interreligiosi, sul piano sia della ricerca teorica (Allievi, 2002; Aluffi, in «La critica sociologica», 2004; Ghiringhelli 2012), sia dei mass media. Gli studi sulle unioni che si caratterizzano per la differente appartenenza religiosa si sono focalizzati sulla disparità di culto. Nell’immaginario comune, ma non solo in quello, si tratta anzitutto di quelle islamico-cattoliche o islamico-cristiane o, come suggerisce Stefano Allievi (2002), delle coppie musulmano-occidentali. Fra le molte sfide che pongono i matrimoni misti, in effetti quella religiosa sembra essere la più rilevante, o comunque quella più problematica sul piano della differenza, soprattutto in quanto tale matrimonio diviene ancora più visibile a causa della conversione di uno dei partner.
La storia ha mostrato come, in generale, tutte le chiese e le relative religioni si siano opposte ai matrimoni misti, per evitare forme di degradazione del singolo carattere religioso, perché queste unioni erano o sono ritenute maggiormente a rischio di rottura, per il timore di perdere dei fedeli, o comunque perché sono considerate fonte di degrado e di contaminazione. Tale posizione permane anche per quanto riguarda la Chiesa cattolica nonostante essa sia stata fra le prime istituzioni a interrogarsi su queste unioni e sia estremamente attiva nel perseguire l’accoglienza e l’inclusione dei soggetti migranti attraverso le proprie strutture, a partire dalla Caritas. Vi sono poi dei divieti specifici in relazione al singolo credo religioso. La Chiesa cattolica riconosce la possibilità di matrimonio fra persone di cui una sola è cattolica, evidenziandone però la non normalità attraverso l’impedimento canonico. La regola islamica riconosce il matrimonio tra un musulmano e un non musulmano solo quando è l’uomo a sposare una donna cristiana o ebrea. È vietato invece il matrimonio fra una donna musulmana e un non musulmano, per gli uomini musulmani è vietato il matrimonio con una donna politeista o atea. Per gli ebrei il matrimonio con un non ebreo non può essere celebrato. I figli sono ebrei solo se nati da madre ebrea.
Proprio il matrimonio islamico-cristiano è quello che solleva maggiori preoccupazioni e paure spesso del tutto ingiustificate. Sul piano simbolico esso è segno di conflittualità e di inconciliabilità della diversità. In questo caso la differenza religiosa oscura tutte le altre differenze di cui la coppia mista è portatrice. Secondo un attento studioso come Allievi (2002) non si dovrebbe parlare di coppie islamico-cristiane, in quanto con tale termine si attribuisce un’identità, un’appartenenza religiosa che è tutta da verificare per entrambi i partner. Le ricerche infatti (Gritti, in «La critica sociologica», 2004) hanno mostrato come nella coppia sia spesso presente la bireligiosità e si opti per un’educazione religiosa plurale dei figli. Le coppie miste sono anche capaci di originare inedite modalità per gestire e risolvere la differenza religiosa. Inoltre l’incremento delle unioni miste costituisce un ulteriore segno del processo di secolarizzazione che interessa la nostra società. Processo, quest’ultimo, accelerato proprio dalla presenza di matrimoni misti.
Ghiringhelli (2012) evidenzia alcuni caratteri delle unioni interreligiose e della loro articolazione nella nostra società. Innanzitutto siamo di fronte a una realtà in crescita e differenziata al proprio interno, in relazione alla provenienza geoculturale dei partner. Sono in aumento i matrimoni interconfessionali e interreligiosi in cui il partner che professa la religione cattolica non è italiano, il che vale soprattutto per gli uomini di religione cattolica, che sposano donne di altre confessioni religiose nel 64,3% dei casi, con una prevalenza delle donne ortodosse originarie della Romania. I matrimoni islamico-cristiani sono numericamente i più rilevanti e in essi prevale la presenza di donne di religione cattolica. Nel periodo preso in considerazione dalla ricerca citata (1999-2008) sono stati registrati 7796 matrimoni interconfessionali e 1116 matrimoni interreligiosi. L’abbandono notorio della fede cattolica è passato dal 7,2% del 1999 all’11,8% del 2008, mentre appare in leggera flessione l’andamento nei matrimoni interreligiosi, passando dall’11,2% del 1999 al 10,6% del 2008. Se si considera il genere si riscontra una prevalenza delle donne (64,3%) rispetto agli uomini (30,8%). Un dato in crescita quello che interessa le donne nel periodo considerato, infatti si passa da 313 donne del 1999 a 638 del 2008, quasi stabile il dato relativo agli uomini, infatti si passa da 214 del 1999 a 215 del 2008.
Sulla base dell’origine del partner di altra confessione si vede primeggiare la Romania (2109) seguita dalla Gran Bretagna (728), Germania (695), Italia (524), Russia (455), USA (386), Ucraina (320), Moldavia (234), e poi con valori sotto il centinaio Albania (87), Serbia (59), Nigeria (41). Altri Paesi interessati sono la Finlandia, la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia e l’Australia. In base alla religione, sempre in tale periodo, i matrimoni che hanno riguardato gli islamici sono stati 547, mentre le religioni tradizionali asiatiche hanno coinvolto 327 unità, seguite da ebrei (109), nuovi movimenti religiosi di matrice islamica (19), religioni tradizionali africane (8). Tali unioni hanno riguardato complessivamente in numero maggiore gli uomini rispetto alle donne.
Per quanto riguarda i matrimoni interreligiosi di cui la parte cattolica non è italiana, che abbiamo visto essere in crescita, ne sono stati celebrati 83 nel 1999, mentre sono stati 209 nel 2008, con una prevalenza delle donne (645, contro 604 maschi). Il partner straniero che proviene prevalentemente dalla Germania (230), dalla Romania (223) e dagli USA (174); sotto il centinaio si trovano la Francia (90), la Polonia (60), mentre sotto la decina Venezuela (9), Ecuador e Colombia (entrambi i Paesi con 8). Un quadro articolato e dai caratteri differenziati è quello che si evince dalla ricerca citata (Ghiringhelli 2012) e che rimanda ad alcune dimensioni, come quella della norma religiosa, della norma giuridica istituzionale, della pratica religiosa. Prima di tutto si pone, per gli studiosi di un fenomeno dinamico come quello considerato, il problema relativo a una raccolta di dati non sistematica e ad automatismi di calcolo che non consentono un’analisi puntuale di tali unioni, alcune delle quali non sono considerate tali come nel caso di una donna musulmana che sposa un uomo non musulmano. Ciò nonostante i dati illustrati consentono di leggere la tendenza in atto.
Poiché la globalizzazione ha determinato una forte mobilità umana sempre più frequentemente assistiamo a forme religiose praticate in contesti diversi da quelli originari che mettono in discussione la linearità fra legge religiosa e legge dello Stato. Si assiste alla celebrazione di matrimoni civili o interreligiosi in Italia nonostante siano interdetti nei Paesi di origine (Ghiringhelli 2012). Anche la pratica religiosa è condizionata dal fatto che si vive in nuovi contesti, dalla storia del singolo individuo, dalle caratteristiche sociodemografiche dell’ambiente. Assumono un peso rilevante il grado di apertura e di chiusura del Paese ospite rispetto al mantenimento della propria identità religiosa e le scelte personali che ogni singolo deciderà di fare rispetto al suo o a un altro credo religioso. L’incremento dei matrimoni interreligiosi, oltre a rappresentare un ulteriore segno dell’autonomia di scelta dei singoli in fatto di matrimonio, è un chiaro elemento del processo di secolarizzazione che riguarda la società globale.
Dopo aver analizzato e discusso le questioni teoriche sottese ai matrimoni misti e al loro andamento nel nostro Paese, è possibile considerare alcuni caratteri regionali del fenomeno. Nel periodo considerato (2005-12) le regioni presentano dinamiche differenti (tab. 6). Come si evince dalla figura 2, quelle nelle quali i matrimoni misti pesano di più, nel 2012, sui matrimoni in generale, sono l’Emilia-Romagna (15,2%) la Liguria (14,6%) e l’Umbria (14,5%). L’Emilia-Romagna guidava tale graduatoria nel 2005, nel 2006 e nel 2007, mentre nel 2008 e nel 2009 aveva ceduto il primo posto alla Liguria (tab. 6). Nelle regioni del Sud pesano meno i matrimoni misti, così come nelle Isole. Queste sono anche le regioni nelle quali i matrimoni fra autoctoni hanno un’incidenza maggiore rispetto al resto dell’Italia. Interessante osservare come in Toscana e Campania, nel 2012, i comportamenti matrimoniali dei residenti siano piuttosto allineati, con un numero quasi pari di unioni fra stranieri e di unioni miste. La Toscana presenta, sempre nel 2012, la più bassa percentuale di unioni fra autoctoni rispetto alle altre regioni.
L’Emilia-Romagna ha la maggiore percentuale di uomini che sposano una donna di origine straniera, nella maggior parte degli anni considerati, mentre è la Puglia a collocarsi nelle ultime posizioni, in tutto il periodo, per le unioni miste in cui è la moglie a essere straniera.
Per le donne italiane che sposano uno straniero non sembra emergere una specificità regionale ma piuttosto un andamento differenziato nel tempo. Nel 2012 è in Trentino la maggiore presenza di questo tipo di unione, mentre la Basilicata si colloca in ultima posizione. In generale le regioni del Sud sembrano mostrare minor apertura.
È la Lombardia, fra le regioni italiane, ad avere l’incidenza più elevata di matrimoni misti sul totale del Paese: in tutto il periodo considerato le percentuali non scendono mai al di sotto del 17%. Segue la Liguria anche se con in media circa 7 punti di distanza. La Valle d’Aosta, invece, è la regione in cui si celebra un numero minore di matrimoni misti. Questo ultimo dato è particolarmente interessante perché si riferisce a una regione che nel 2005 e 2006 si collocava al primo posto in Italia per l’incidenza di matrimoni misti sul totale dei matrimoni in cui lui era straniero. Se si considera l’andamento dei matrimoni misti per singola regione confrontandoli con quelli degli autoctoni e con quelli dei soli stranieri si può notare come i primi aumentino prevalentemente nell’ultimo triennio nelle regioni del Nord Italia. In generale sono più numerose le unioni miste rispetto ai matrimoni fra soli stranieri anche nelle regioni in cui l’incremento è minore (quelle del Sud), mentre sono meno numerosi rispetto a quelli degli autoctoni (fig. 3). Abbiamo due sole eccezioni, la Toscana e la Campania, in cui le unioni miste e quelle straniere sono in linea. Ancora una volta ciò che pesa su queste unioni è la presenza di soggetti migranti: là dove sono in numero più elevato si riscontra di norma un numero maggiore di matrimoni misti. In queste regioni la presenza dei migranti sembra normalizzare e rendere maggiormente accettabili le unioni miste.
Si è dunque in presenza di unioni che, oltre a sfidare le regole matrimoniali delle rispettive famiglie dei partner, mettono in discussione le regole della società di appartenenza, le culture individuali, della famiglia di origine, del gruppo di appartenenza, e delle rispettive fedi religiose. Inoltre con esse i partner pongono in gioco le rispettive identità sociali e individuali. Siamo di fronte a unioni che rappresentano un chiaro segno del processo di transculturazione della società in generale, ma anche del modo di fare famiglia, nonché del processo di negoziazione e di conflitto che tale processo comporta. Il gruppo, la famiglia, la società di appartenenza, nonché lo Stato e le autorità religiose, possono opporsi a tali unioni. Gli stessi decisori pubblici possono discriminare i componenti di tali unioni.
Come già evidenziato (Legami familiari e immigrazione, 1996) il matrimonio misto costituisce un fatto pubblico, anche se si mettono in atto strategie di occultamento, o di neutralizzazione (convivere piuttosto che celebrare l’unione con rito civile), in quanto questa unione, sollecita più di altre l’immaginario collettivo circa le relazioni sessuali, la scelta religiosa, la ‘proprietà’ dei figli. È la famiglia di origine dei rispettivi partner a mostrare frequentemente resistenze e critiche in quanto perde il controllo sui figli e sui discendenti. La distanza fra il nuovo nucleo e la famiglia di origine, già segnata geograficamente, viene rimarcata sul piano simbolico. Oltre a ‘perdere’ il figlio o la figlia si perdono anche i nipoti, e con essi la continuità identitaria e, non ultime, le rimesse economiche. Le rispettive famiglie, in questo tipo di unione più che in altre, perdono il controllo sui figli, sulle loro scelte matrimoniali e sulle regole educative. Dovranno poi misurarsi con le opinioni spesso critiche dei loro amici, della comunità di appartenenza, degli altri famigliari.
Resistenze possono derivare nei confronti di questo tipo di unione anche dagli amici, i quali si sentono traditi poiché la scelta matrimoniale è avvenuta fuori o contro il gruppo di appartenenza. Non infrequentemente le coppie miste si costruiscono relazioni amicali nuove e più aperte alla mixité, fino ad arrivare, come detto, a creare delle associazioni esclusive. Anche la gente comune, i vicini, possono sollevare critiche rispetto a questo tipo di unioni, fino a veri e propri atti di razzismo nei loro confronti. Delle resistenze delle rispettive religioni si è già detto. Si è dunque in presenza di unioni che richiedono un continuo e forte lavoro di ‘manutenzione’ delle relazioni familiari, sia interne sia esterne al nucleo, e delle relazioni sociali. Un lavoro ‘matrimoniale’ (Legami familiari e immigrazione, 1996) che, oltre a impegno e flessibilità, comporta reciprocità e una continua negoziazione, ossia un aggiustamento sistematico della relazione ‘interculturale’. Secondo Luciana C. Silva, Kelly Campbel e David W. Wright (2012) le coppie miste hanno infatti alte probabilità di dovere affrontare, nel corso della loro unione, dinamiche che possono presentare criticità legate alla diversa competenza linguistica, ai diversi modi di pensare e gestire la quotidianità, gli spazi comuni, le relazioni con il contesto, o più semplicemente alla minimizzazione della differenza.
Per queste coppie non infrequentemente possono diventare occasione di conflitto anche la gestione del denaro e del futuro, nonché le scelte che riguardano i figli e le relazioni con le rispettive famiglie di origine. Come le ricerche hanno mostrato (Cerchiaro 2013) i conflitti nella coppia mista possono aumentare in quanto anche il contesto pubblico può assumere la funzione di amplificatore della diversità. Anzi, è la diversità che segna le coppie miste; esse sono osservate e ‘giudicate’ in relazione ai loro comportamenti interfamiliari ed extrafamiliari, confrontate con le altre famiglie, autoctone e della migrazione. Sono spesso i servizi, gli operatori, gli addetti ai pubblici uffici, gli altri, a rimandare la differenza e la diversità ai partner (Legami familiari e immigrazione, 1996). La stessa scuola dei figli contribuisce a esaltare la differenza, specialmente se essi sono segnati somaticamente, o hanno un nome vagamente etnico.
Gli stessi partner possono poi interiorizzare la differenza anche attraverso processi di separazione dagli altri, o costruendosi una comunità a parte di famiglie miste, o attraverso forme associative che danno loro autonomia e riconoscimento. Oppure, più semplicemente mediano, negoziano differenze che possono produrre conflitti o rinunce, seguendo un continuo riposizionamento rispetto alla coppia e/o al contesto esterno. Per questo è opportuno leggere le dinamiche familiari di queste coppie anche per differenza, al fine di coglierne specificità o tendenze comuni rispetto alle altre coppie della società plurale, che siano autoctone o di soli stranieri.
Un elemento importante per cogliere le differenze, le specificità e gli elementi comuni con le altre tipologie di coppie sono i dati relativi alle separazioni e ai divorzi, anche se sappiamo che non tutte le coppie miste codificano la loro relazione con un contratto matrimoniale. Per quanto riguarda le coppie miste le separazioni sono state nel 2011 pari a 7144, in leggerissima flessione rispetto all’anno precedente, mentre nel 2000 erano state 4266 e il picco maggiore era stato raggiunto nel 2005 con 7536 separazioni. Gli ultimi cinque anni sono segnati da un costante incremento delle medesime. Anche per quanto riguarda i divorzi (4213 nel 2011) si rileva un sistematico trend di crescita (fig. 4), nonostante lo stop ai matrimoni misti del 2009.
La durata media della convivenza matrimoniale in una unione mista prima della separazione era di 10 anni nel 2011 (tab. 7), un anno in più rispetto al quadriennio precedente (2007-10) in cui la media era di 9 anni. Se poniamo questo dato in relazione alla regione in cui le coppie miste divorziano (tab. 8), notiamo che si discosta decisamente, e solo per il 2008, il Molise con un picco di 32 anni, seguito dalla Sicilia con 18 anni nel 2007, mentre nel 2009 è la Valle D’Aosta a primeggiare con 16 anni. Nel 2010 e 2011 sono le unioni miste della Puglia e del Friuli Venezia Giulia ad avere una durata più elevata, con 15 anni di matrimonio prima di arrivare al divorzio. Nella maggior parte dei casi è la coppia formata da un cittadino italiano e da una sposa straniera che arriva alla separazione (69% dei casi di separazione tra coppie miste), dato ovviamente in linea con la maggior propensione degli uomini italiani a sposare donne di origine straniera (82% dei matrimoni misti celebrati in Italia).
Le coppie miste mostrano dunque un allineamento a quelli che sono i comportamenti delle coppie in generale in una società caratterizzata da continui cambiamenti, compresi quelli relativi ai modelli familiari.
Per queste coppie non va comunque sottovalutato il costante lavoro di negoziazione e aggiustamento a cui sono chiamate, e che non infrequentemente porta a tensioni e conflitti. A questo tipo di coppia è richiesto infatti uno sforzo aggiuntivo, un riposizionamento continuo della propria identità. La gestione della differenza culturale, la sua complessità, possono portare le coppie a fare scelte e a differenziare i loro atteggiamenti secondo comportamenti che le ricerche hanno ben individuato, fornendo una vera e propria tipologia («La critica sociologica», 2004). Vi sono così coloro che eludono la questione, mostrando nessun interesse e attenzione alle specificità culturali del partner straniero. Altri invece fanno della differenza culturale, esaltandola, il perno dell’unione, anche se non sono infrequenti atteggiamenti di sopravalutazione di essa. Altri ancora, colpevolizzando tale differenza, tendono ad attribuire a essa responsabilità, criticità, incomprensioni, e il partner è così omologato a una collettività indistinta. In altri casi invece la differenza viene minimizzata per dare primato agli elementi di uguaglianza, ‘semplificando’ una relazione dalle grandi potenzialità; oppure la differenza viene negata svalorizzando così il partner, la sua storia, la sua identità. Infine vi è anche un uso opportunistico della differenza culturale come chiave interpretativa di qualsiasi comportamento del partner che pertanto lo rende accettabile.
Sono stati Bensimon e Lautman (1977) a mettere in evidenza che a segnare le coppie miste è proprio la loro diversità e in particolare le reazioni che queste differenze producono nell’ambiente sociale. E proprio sulla base di ciò si possono considerare ora alcuni dati relativi all’atteggiamento degli italiani rispetto a queste unioni (ISTAT 2011). Se circa il 60% degli italiani ritiene positiva la presenza degli immigrati perché permette il confronto con altre culture, quando ci confrontiamo con una relazione stretta come le unioni miste tale apertura si riduce anche se molti le considerano positivamente (30,4%), mentre circa il 20,4% sono coloro che le considerano negativamente. La restante metà (circa il 49,2%) si posiziona in misura intermedia esprimendo una valutazione né positiva né negativa. Sono coloro che risiedono nel Centro Italia a mostrare una maggiore apertura e positività nei confronti dei migranti, e sono sempre coloro che vivono in queste regioni a manifestare maggiore disponibilità all’accoglienza, compresa l’integrazione in famiglia di un immigrato. Tale atteggiamento di apertura trova conferma anche per quanto riguarda l’unione mista. Infatti la percentuale di residenti del Centro Italia che avrebbe molti problemi ad accettare un genero immigrato, indipendentemente dalla provenienza geoculturale, è più contenuta rispetto alle altre aree del Paese.
L’apparente apertura degli italiani rispetto alle unioni miste si riduce invece quando il matrimonio misto riguarda la propria figlia, resistenze che aumentano in relazione all’etnia del genero. Infatti l’unica nazionalità rispetto alla quale la maggioranza dei rispondenti non avrebbe nessun problema (63,6%) è quella statunitense, pur in presenza di un 27,9% degli intervistati che avrebbe qualche problema. Le maggiori resistenze sono segnalate nel caso di un genero di origine rom/sinti (84,6%), in cui ben il 37,2% avrebbe molti problemi e qualche problema il 31,7%. Anche un genero rumeno creerebbe molti problemi per il 37,2% e qualche problema per il 31,7%. Seguono gli albanesi (molti problemi per il 33,8% e qualche problema per il 34%), i marocchini (molti problemi per il 27,9% degli intervistati e qualche problema per il 39,6%), i cinesi (molti problemi per il 28,6% e qualche problema per il 35%), i nigeriani (rispettivamente 26,2% e 37,7%) e infine i peruviani (19,9% e 37,4%). Sono complessivamente gli intervistati del Nord-Est a mostrare maggiori resistenze ad accettare che una figlia sposi un immigrato. Gli abitanti delle regioni del Sud e delle Isole dichiarano invece maggiori resistenze solo nei confronti di un genero cinese (32,6%) e statunitense (9,8%). Nonostante il costante incremento dei matrimoni misti, sulla base dei dati di cui disponiamo possiamo affermare che la strada dell’accettazione di tali unioni nel nostro Paese sembra essere ancora molto ardua.
Se le famiglie miste, rispetto a quelle della società plurale, assumono comportamenti specifici, o comunque distintivi, in ordine a temi come la separazione, il divorzio, il matrimonio di riserva e altri, differenze analoghe emergono anche nei loro modi di collocarsi da un punto di vista reddituale. Infatti le prime richiedono mutui cointestati per il 6% dei mutui complessivi, ma ciò che li differenzia è l’importo medio del mutuo, superiore di 21.000 euro rispetto alla media nazionale, che è di 139.000 euro. Sono prevalentemente mutui con tasso variabile, cointestati e con una durata variabile di 25 anni quelli accesi da una coppia di tipo misto.
È stato calcolato il livello di povertà delle famiglie straniere e delle famiglie miste (Fondazione Leone Moressa 2011; Stranieri e disuguali, 2013) sulla base dei dati ISTAT 2009. Emerge che le famiglie di stranieri provenienti da Paesi a economia frenata sono a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale nel 57,6% dei casi, contro il 23,3% quelle di soli italiani. Sono a maggior rischio di povertà le famiglie provenienti dall’Europa Orientale non comunitaria (66,2%), mentre si caratterizzano per un’elevata deprivazione materiale (32%) quelle di provenienza africana. Le famiglie miste presentano una posizione intermedia (37,9%) rispetto alle coppie di stranieri e a quelle formate da soli italiani, e in alcuni casi occupano una posizione migliore delle altre due tipologie.
Rispetto ad alcuni indicatori di povertà (rischio di povertà, grave deprivazione, intensità di lavoro molto bassa) le famiglie miste segnalano un solo sintomo nel 19,9% dei casi, contro il 34% delle famiglie formate da soli stranieri e il 12% di quelle formate da soli italiani. Il 3,3% soffre di grave deprivazione e l’1,7% di intensità di lavoro molto bassa. Il 39,7% di famiglie non presenta alcun sintomo di ‘condizione di grave deprivazione’, contro il 15,3% delle famiglie di soli stranieri e il 63,7 di famiglie formate da italiani. L’impossibilità di affrontare spese impreviste è segnalata fra il 68% delle famiglie straniere, contro il 30,8% delle famiglie italiane e il 44,2% delle famiglie miste. Il 9,1% delle famiglie miste segnala di non poter fare un pasto adeguato ogni due giorni, contro il 14,5% di quelle straniere e il 5,8% delle famiglie autoctone. Il 30,7% delle famiglie miste dichiara di essere in arretrato con i pagamenti, contro il 37,5% delle famiglie di soli stranieri e l’11,6% delle famiglie di italiani. Anche l’incapacità di acquistare un’automobile si colloca per le famiglie miste in una posizione intermedia rispetto alle altre famiglie considerate: 5,1% le miste, 14,7% delle straniere e 1,9% le italiane. L’11,9% delle famiglie miste dichiara di non riuscire a riscaldare adeguatamente l’abitazione, mentre si trova nella medesima situazione il 19,7% delle famiglie straniere, contro il 10% delle famiglie italiane. Le famiglie miste che non possono fare una settimana di vacanze all’anno raggiungono il 41,6%, mentre le famiglie italiane si posizionano intorno al 39,4%.
Nel 2008 le famiglie miste erano in una posizione di vantaggio, in confronto alle famiglie straniere e a quelle autoctone, rispetto al possesso di alcuni beni materiali. Infatti non ha potuto permettersi la lavatrice solo lo 0,1% delle famiglie miste contro lo 0,5% di quelle italiane e il 2,9% di quelle straniere. Per quanto riguardava il televisore a colori, non ha potuto permetterselo lo 0,1% delle coppie miste, contro lo 0,4% delle famiglie italiane e lo 0,6% delle famiglie straniere. Non ha avuto soldi per i vestiti il 17,2% delle famiglie miste, contro il 17,7% delle famiglie autoctone e il 30,4% delle famiglie straniere. Le famiglie miste mostrano in generale un grado di rischio di povertà superiore a quello delle famiglie italiane e inferiore rispetto a quello delle famiglie di soli stranieri, una posizione intermedia che è stata rilevata anche rispetto al successo scolastico dei figli (Temporin 2012). Gli indici di deprivazione e di disagio a carico delle famiglie di stranieri non sembrano mutare nel tempo, che gioca a loro favore solo per la povertà monetaria. La povertà assoluta riguarda il 15,9% delle famiglie miste, contro il 25,1% delle famiglie di soli stranieri e il 3,5% delle famiglie italiane. La presenza di un partner autoctono sembra dunque attutire il rischio di povertà e di disagio sociale per le famiglie miste.
Delle trasformazioni in atto che riguardano tutte le tipologie familiari sono particolarmente accelerate quelle influenzate dalle dinamiche migratorie. Oltre alle coppie miste possiamo rilevare l’incremento della presenza di nuove famiglie formate da soli stranieri provenienti da nazioni differenti. Ci riferiamo a quelle famiglie che abbiamo definito ‘miste miste’ (Tognetti Bordogna 2007), intendendo quindi un’unione costruita da due individui che appartengono a due Paesi diversi e che hanno fatto l’esperienza migratoria in modo separato, i quali costruiscono la loro unione in un nuovo contesto, cioè un Paese terzo, quello d’immigrazione di entrambi. Si è, quindi, in presenza di persone che differiscono l’una dall’altra per cittadinanza, luogo di vita, lingua materna, modelli culturali. Le coppie così composte non solo fanno un’esperienza unica, poiché tali unioni, pur se in crescita, non sono diffuse, ma debbono far fronte anche al fatto di non essere sostenute dalle rispettive famiglie d’origine, non tanto perché queste ultime non condividono tale unione, ma perché vivono entrambe in un altra nazione, a differenza delle coppie miste in cui, almeno uno dei due partner, vive nello stesso Paese della famiglia d’origine. Sono, inoltre, forme di famiglia inedite che non possono trarre ispirazione dalle altre forme scaturite dalla migrazione. La coppia ‘mista mista’ può fare un’esperienza di maggiore estraniazione, in quanto nessuno dei due partner può svolgere un vero e proprio ruolo di protezione/mediazione verso l’altro partner rispetto alla società d’accoglienza, alla cultura e alle regole del Paese in cui si trovano a vivere; diversamente da quanto accade nelle coppie miste in cui uno dei due è autoctono.
In questa unione qualsiasi tipo di scelta è più difficile e faticosa, perché unica. Non è fatta coerentemente con il modello della famiglia del partner autoctono, né con quello della famiglia del partner straniero, ma rappresenta una soluzione inedita, tutta da definire, poiché entrambi vivono in un contesto nuovo. È una scelta deliberata, non costretta, come può succedere nelle coppie miste quando prevale l’appartenenza del coniuge autoctono. Carattere inedito che caratterizza tutte le grandi decisioni che riguardano la famiglia, comprese le scelte educative per i figli. La tipologia di unioni ‘mista mista’ rappresenta un ulteriore passaggio verso la modernità, in quanto essa, più che essere determinata da fattori strumentali (unioni di comodo; facilitatore; per le carte), è prevalentemente di tipo elettivo ed è caratterizzata da una forte transculturalità. In queste coppie la differenza non solo è già elaborata, ma è parte costituente della relazione, sia fra i partner sia con la società. In generale, se la relazione di coppia è un rapporto che richiede una continua e forte attività di negoziazione e aggiustamento, tale lavoro matrimoniale, che abbiamo visto aumentare per la coppia mista, diventa ancora più rilevante per la coppia ‘mista mista’, sia per la parte intrafamiliare sia per la parte inerente le relazioni sociali. Tale complessità cresce, ulteriormente, per la coppia ‘mista mista’, proprio perché si trova a vivere una situazione di unicità e in un contesto poco noto a entrambi i partner. Si tratta di una nuova forma di famiglia, dunque, che esalta il processo di transculturazione della nostra società rendendolo sempre più complesso e dinamico.
Sulla base dei dati (tab. 9) emerge come nel 2011 siano prevalentemente le spose rumene a contrarre matrimonio con uomini di cittadinanza diversa dalla propria, seguite dalle donne provenienti dall’Ucraina (10,4%) e dalla Moldavia (10,1%).
Per la coppia mista la decisione di fare figli può essere assunta prima di arrivare a contrarre il matrimonio, ma è proprio tale decisione che segna la progettualità verso la società multiculturale. Pur essendo la decisione di fare figli alla base di possibili nuove e diverse criticità, proprio in relazione alle scelte che i partner faranno per il loro futuro (nome, lingua, educazione religiosa, e così via), queste potranno contribuire a creare un nuovo capitale culturale per le nuove generazioni, oppure a costituire un limite. La presenza di figli nella coppia mista può essere anche occasione per riallacciare legami e rapporti, se interrotti, con la famiglia di origine, e con la società nel suo complesso. In Italia i figli nati da coppie miste, cioè dalla relazione di un genitore italiano con uno straniero, sono in continuo aumento (ISTAT 2009, 2010, 2011). Nel 2009 ne sono nati 25.031, nel 2010 il numero di nascite è salito a 26.691, per raggiungere infine nel 2011 quota 26.714 (fig. 5).
Rispetto al totale delle nascite in Italia, i nati da coppie miste rappresentano il 4,4% nel 2009, il 4,8% nel 2010, il 4,9% nel 2011. Nei tre anni considerati, i figli di coppia mista con madre straniera e padre italiano sono in netta maggioranza rispetto a quelli con padre straniero: il loro rapporto è di uno a quattro e complessivamente sono 21.213 nel 2011. Per quanto riguarda il numero dei figli di coppia mista in cui il padre è straniero essi raggiungono le 5501 unità nel medesimo anno di riferimento. È il Nord-Est la zona d’Italia che ha visto nel 2011 più nascite di figli di coppie miste (4081 che rappresentano il 15,3%). Sul totale dei nati nelle regioni nord-orientali, il 4,7% aveva madre straniera e padre italiano, mentre l’1,4% padre straniero e madre italiana. La regione dove sono nati più figli da coppie miste nel 2011 è la Lombardia (5390, di cui 4184 con padre autoctono e 1206 con padre straniero), seguita dal Lazio (3018) e dall’Emilia-Romagna (2701).
Se guardiamo al numero di nascite rispetto al totale delle nascite nel 2011 rileviamo che nascono più figli misti in Trentino-Alto Adige (7,8%) e in Liguria (6,7%), mentre nascono meno figli misti in Puglia (2,1%) e in Campania (2,2%). Se è la madre a essere straniera proviene prevalentemente dalla Romania (19,2% dei nati stranieri) seguita dalle madri originarie dalla Polonia (7,9%) e dal Marocco (5,8%). Se invece è il padre a essere straniero, proviene nel 12,4% dei casi dal Marocco, nell’11,8% dall’Albania e nel 6,9% dalla Romania. Secondo i dati ISTAT (2012) la serie storica delle nascite di figli di coppie biculturali dal 1999 al 2012 evidenzia come siano in crescita costante per entrambi i tipi di coppia. Un comportamento riproduttivo in costante e leggera crescita, meno rilevante rispetto alle famiglie di soli stranieri, più significativo, invece, con riferimento a quelle di soli autoctoni.
Confrontando l’andamento della presenza dei figli di coppia mista esso varia in relazione alle regioni di residenza delle coppie (fig. 6). Possiamo notare come in generale vi sia un incremento di tali nascite, che appare più visibile nelle regioni del Nord Italia. Le regioni del Sud si distinguono anche per il fatto che è contenuto il numero sia dei figli nati dai matrimoni misti, sia di quelli nati da genitori entrambi stranieri. Per il Molise e la Sardegna è invece particolarmente contenuta la differenza fra il numero dei figli delle coppie miste e quello delle coppie formate da genitori entrambi stranieri. In tutte le regioni prevalgono i figli di coppie miste in cui il padre è italiano. La forbice sembra però allargarsi nel tempo, a vantaggio delle coppie con madre straniera; infatti, mentre nel 1999 erano il triplo di quelle con padre straniero, nel 2010 sono diventate quasi il quadruplo (ISTAT 2008). Da ricordare che i matrimoni tra coppie miste sono stati 24.548 nel 2009, in lieve calo rispetto al 2008, di cui 18.240 quelli tra sposa straniera e sposo italiano, e 6308 quelli con sposo straniero e sposa italiana, con un’incidenza, rispettivamente, del 7,4% e del 2,6% sul totale dei matrimoni in Italia.Se si guarda alle caratteristiche demografiche dei genitori misti si possono rilevare ancora una volta delle specificità. Nel 2011, infatti, l’età media dei genitori alla nascita dei figli era di 35,5 anni per i padri e 32,5 per le madri, se italiani. Nel caso di genitori entrambi stranieri era, invece, di 33,9 anni per i padri e 28,6 per le madri. Nel caso dei genitori misti il padre è diventato tale a 38,1 anni, se italiano, mentre la madre aveva 30,9 anni se straniera, con una differenza di età fra i partner di ben 7,2 anni. Le coppie miste, dunque, si distinguono sia da quelle autoctone sia da quelle straniere anche per l’incidenza dei nati al di fuori del matrimonio. In queste coppie cresce la natalità fra quelle che non sono coniugate: nel 2011 il 36,8% dei bambini nati da padre italiano e madre straniera e il 38,4% dei figli di padre straniero e madre italiana sono nati da genitori non coniugati, contro l’8,1% dei figli di coppie miste nel 1995 (ISTAT 2001). Il dato delle nascite fuori dal matrimonio relativo alle coppie italiane è del 19,2%, mentre scende quello dei genitori entrambi stranieri (16,5%).
Parlare di figli misti, significa guardare a una realtà in continua e costante crescita, e in particolare riferirsi ai nuovi italiani figli della globalizzazione. Secondo la legge italiana, infatti, i figli di coppie miste hanno cittadinanza italiana. Inoltre studiare e riflettere sui figli misti significa osservare oggi la società del futuro, in quanto essi sono un’anticipazione di un fenomeno che sarà sempre più frequente e normale proprio in considerazione del processo di globalizzazione, dell’incremento degli scambi economici transnazionali, dei flussi migratori che riguardano in particolare le società occidentali.
Se fino a qualche tempo fa avere una doppia origine significava affrontare le conseguenze di stereotipi culturali o di pregiudizi razziali, o addirittura subire veri e propri episodi di razzismo, sempre più spesso tali situazioni saranno sporadiche in futuro, in quanto il processo di globalizzazione e la stessa migrazione consentiranno e determineranno un sistematico contatto fra culture e popoli differenti, riducendo così molte barriere protettive.
Rispetto ai figli la coppia mista può decidere di ‘stare a metà’, scegliendo per es. di dare loro un nome passe-partout, in modo da non connotarli etnicamente, oppure di assegnare loro due nomi che possono essere di volta in volta valorizzati in uno dei due Paesi di appartenenza dei genitori. Oppure ancora di non imporre una scelta religiosa ma lasciare che i figli possano decidere in autonomia quando saranno più grandi, secondo il modello del bilinguismo. All’opposto possono decidere invece di fare scelte di appartenenza a vantaggio del partner più forte, o di colui che ha maggiori potenzialità in quanto partner autoctono. Guardare ai figli misti significa, altresì, osservare come le unioni miste colgano, medino, trasmettano le criticità e le potenzialità di essere famiglia biculturale, e quindi capire come e se questa generazione possa dimostrarsi capace di creare una società transculturale frutto di lingue, saperi, religioni differenti.
I figli di coppie miste fin dal loro concepimento sono abituati a sentire parlare i loro genitori in due lingue differenti, e da entrambe apprendono. Imparano fin da piccoli a integrare, mischiare messaggi, saperi, riferimenti differenti che gli sono trasmessi dai genitori. Li elaboreranno, li modificheranno, li ricomporranno, li intrecceranno, potranno non solo farli propri, ma anche rifiutarli, oppure trasformali in qualche cosa di inedito. La mixité per essi sarà la normalità, la quotidianità, l’ovvio, il noto, specialmente se i genitori eserciteranno la loro funzione genitoriale senza misconoscere la cultura dell’altro partner. Molto del futuro dei figli misti, al pari di tutti i figli, è legato alla capacità di esercizio della genitorialità, che in questo caso richiede un maggior lavoro di negoziazione onde evitare di annullare o ridurre le potenzialità genitoriali dell’altro in nome di una supremazia etnica.
Potremo così avere (Legami familiari e immigrazione, 1996) delle famiglie in cui l’appartenenza biculturale dei figli costituisce elemento di arricchimento, è valorizzata, in quanto le due diverse appartenenze culturali dei genitori hanno pari dignità, le scelte importanti che li riguardano (nome, religione, scuola, ecc.) sono assunte di comune accordo. Si tratta di una famiglia cosmopolita.
Più critica e limitante sarà invece la situazione di quei figli che si troveranno a vivere in contesti familiari in cui la doppia appartenenza culturale è qualcosa da nascondere, dove prevale la cultura di un genitore rispetto a quella dell’altro, e nella maggior parte dei casi a farne le spese, oltre al figlio, è il genitore di origine straniera. In queste situazioni il bambino perde la possibilità di comprendere da dove viene, chi siano effettivamente i genitori, perde le potenzialità della biculturalità. Siamo in presenza di un modello familiare assimilazionista.
Vi sono poi famiglie in cui le scelte educative e identitarie (il nome, la religione, la trasmissione della lingua, ecc.) sono motivo di conflitto, in cui un genitore ritiene che sia l’altro a doversi adeguare: siamo quindi in presenza di una relazione di coppia asimmetrica, e il figlio, in un’operazione complessa, deve cercare di costruire la propria identità senza avere la possibilità di comprendere appieno l’universo culturale di entrambi i genitori. Le famiglie che chiamiamo ‘conflittuali’ sono maggiormente presenti quando il padre è di origine straniera.
Ancora più complessa e articolata risulta la costruzione dell’identità mista se ci riferiamo ad adolescenti figli di coppie biculturali in quanto le scelte per costruire la propria identità saranno il risultato di stimoli e modelli molto differenti fra di loro, pertanto tale costruzione non potrà che essere frutto di grandi negoziazioni.
Appaiono così chiaramente le potenzialità dei figli misti se sostenuti nella loro crescita da genitori che valorizzano entrambe le culture. Mentre si rivela più difficile il loro essere misti se manca tale sostegno. A questo punto viene spontaneo interrogarsi sui comportamenti dei figli misti, e cercare di chiarire quanto siano simili o diversi rispetto a quelli degli italiani e delle coppie straniere (Temporin 2012).
La letteratura ha mostrato come i figli di genitori entrambi stranieri, in particolare se immigrati in età successive all’infanzia, incontrino difficoltà in molti aspetti della vita, dalla scuola alla rete di amicizie, rispetto ai coetanei italiani (Dalla Zuanna, Farina, Strozza 2009).
Per quanto riguarda i figli di coppie miste, i loro comportamenti possono essere simili a quelli dei figli degli italiani, ma anche dei figli degli stranieri. Ciò nonostante le loro potenzialità sono maggiori. Essi godono, infatti, di alcuni vantaggi competitivi. Innanzitutto la maggioranza di essi sono nati in Italia o vi sono arrivati giovanissimi, pertanto fin da subito sono stati immersi nella cultura italiana, frequentando asili e scuole con una netta maggioranza di coetanei autoctoni. Ciò fa sì che non si presenti per loro il problema dell’inserimento ‘da zero’ in una rete sociale precostituita come per i figli di stranieri ricongiunti. Ricordiamo che le ricerche mostrano che quanto più tardi immigrano i giovani stranieri tanti più problemi scolastici incontrano (Dalla Zuanna, Farina, Strozza 2009). In secondo luogo, la coppia mista, a differenza della coppia di soli stranieri, può contare su una rete relazionale più densa perché di norma vi è il supporto della famiglia del coniuge italiano. Inoltre il partner autoctono ha già un suo capitale sociale che può attivare in caso di bisogno.
Va poi considerato che in generale il soggetto migrante è un individuo che si attiva, che governa il proprio destino, che ha obiettivi di emancipazione e che è disposto ad aprirsi a qualche cambiamento legato alla migrazione, pertanto è ipotizzabile che si verifichi la disponibilità a costruirsi una famiglia diversa e anche di rottura rispetto al modello del Paese di origine, come appunto una famiglia mista. Siamo quindi di fronte a un individuo maggiormente disposto al confronto, e di ciò ne trae vantaggio anche il figlio. Ciò non toglie che possano permanere ancora elementi di criticità, situazioni di stigmatizzazione, di emarginazione e isolamento. In ogni caso (Temporin 2012) la situazione economica (occupazione) dei genitori è più simile a quella dei genitori italiani, e le donne in queste coppie sono più istruite se provengono dai Paesi dell’Est e lavorano in percentuale maggiore, mentre sono i padri egiziani a essere più istruiti. Inoltre i figli di coppie miste si pongono in una posizione intermedia rispetto ai figli di soli italiani o di soli immigrati, sia per il successo sia per il ritardo scolastico.
Si è discusso di come le coppie miste costituiscano un fenomeno complesso e altamente dinamico che trova declinazioni differenti sia in relazione ai processi migratori e alla globalizzazione, sia in riferimento ai diversi contesti locali. Una realtà plurale originata da soggetti che provengono da contesti geoculturali differenti e spesso distanti fra loro, in cui le dinamiche interne alla coppia e quelle esterne assumono valenze, declinazioni e forme molto articolate. Le coppie miste sono il segno e la concretizzazione di nuove e differenti modalità di vivere e costruire la società futura, le pratiche e le appartenenze quotidiane, il lavoro matrimoniale. Portatrici di una diversità che in molti casi è solo simbolica, costituiscono un ambito privilegiato in cui le specificità culturali dei singoli possono confrontarsi, dialogare, scontrarsi o più frequentemente trasformarsi, innovando il modo di fare famiglia e di strutturare rapporti relazionali.
Nonostante esse rappresentino una sfida per la società, allo stesso tempo rappresentano un laboratorio innovativo di scambio, analisi, sintesi della relazione fra individui (micro) che può produrre dei forti cambiamenti a livello sociale (macro). La coppia mista produce mutamenti, mette in evidenza le reazioni della nostra società rispetto alla diversità, origina differenza. I dati mostrano poi come essa sia una famiglia che presenta delle sue specificità rispetto sia alla coppia formata da autoctoni sia a quella formata da immigrati. Essa, anche per le potenzialità che racchiude in sé, si colloca a metà strada, in molti comportamenti e in molte situazioni, come evidenziano le statistiche sull’impatto della crisi economica sulle famiglie, o quelle relative al successo scolastico dei figli. In altri casi la famiglia mista presenta caratteri del tutto specifici. È un tipo di unione in crescita e in particolare nelle regioni del Nord, con livelli di stabilità non in linea con la totalità delle famiglie presenti in Italia, pur investendo molto di più di queste ultime nel lavoro matrimoniale e nonostante si caratterizzi per una forte e costante comunicazione fra i diversi membri, una disponibilità al nuovo e alla diversità, alla tolleranza.
Si può infine rilevare che la coppia mista tipica della realtà italiana è costituita da un italiano e una straniera, entrambi al secondo matrimonio, più lei di lui, che celebrano la propria unione con rito civile. Il matrimonio viene codificato dopo la nascita di uno o due figli. La coppia vive prevalentemente al Nord, territorio sempre più aperto a questa realtà, anche se gli andamenti regionali mostrano un’Italia molto variegata. Le coppie miste rappresentano un fenomeno che facilita l’ibridazione e la pluralizzazione delle società e della loro identità (Gritti in «La critica sociologica», 2004). Nelle famiglie miste diventa preponderante l’emancipazione della coppia dalla famiglia di origine, la scelta individuale prevale oltre, e in alcuni casi contro, ogni condizionamento del gruppo di appartenenza. In queste coppie le culture si incontrano si confrontano, si trasformano.
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