Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’espressione mezzi di comunicazione, di uso relativamente corrente nella nostra lingua dalla metà dell’Ottocento, ha conosciuto a partire dagli anni Cinquanta del Novecento una crescente fortuna e una più precisa delimitazione di significato. Fino ad allora, era normale includere nel concetto di “comunicazione”, oltre le attività relative alla circolazione di messaggi, anche gli spostamenti fisici di persone e merci. In coincidenza non casuale con l’affermazione della radiotelevisione e con la penetrazione del telefono in tutti gli strati sociali, anche nella società si è imposta l’idea di un’autonomia delle attività comunicative, in quanto dotate di proprie reti e di proprie tecnologie, indipendenti anche se parzialmente interconnesse rispetto alle attività proprie del trasporto. Nello stesso periodo, ha acquistato cittadinanza nella nostra lingua l’espressione latina “media”, oggi una delle più diffuse nel parlare comune.
Che cosa sono i media
Per media (singolare medium, ma la parola viene generalmente declinata al plurale) si intendono, a rigore, tutti gli strumenti che vengono utilizzati per elaborare, trasmettere, ricevere messaggi, che siano visivi, sonori, audiovisivi, testuali. Sono quindi media la televisione come il telegrafo, la scrittura come il cinema. Nell’uso comune, però, il termine viene generalmente usato, in un’accezione ulteriormente ristretta, per indicare gli strumenti dell’informazione. In questo senso, nel parlare ad esempio di “potere dei media” si fa riferimento all’insieme di stampa quotidiana, periodici, informazione radiofonica e televisiva, a esclusione di moltissimi altri mezzi di comunicazione pur di largo uso.
L’uso corrente tende in effetti a distinguere i cosiddetti mass media, secondo l’espressione statunitense originaria, dai mezzi di comunicazione “personale”. Per comunicazione di massa s’intende la diffusione di uno stesso messaggio a un pubblico numericamente vasto e dalle dimensioni non predefinite; per comunicazione personale, o più precisamente interpersonale s’intende lo scambio di messaggi tra due soggetti entrambi in grado di ricevere e di emettere al tempo stesso. Sono mezzi di comunicazione di massa, in questa accezione, prima di tutto la stampa (il più antico medium di massa grazie alle fortissime economie di scala connesse alla dimensione della tiratura, che rendono fortemente decrescenti i costi delle copie aggiuntive) e i media da essa derivati come il disco e il cinema; in secondo luogo i media basati sulla diffusione circolare via etere o via cavo: la radio, la televisione, la filodiffusione ecc., che sono in grado di fare giungere lo stesso messaggio simultaneamente a terminali dislocati su un territorio che, oggi, coincide quasi con l’intero pianeta. Sono mezzi interpersonali (oltre agli strumenti antichissimi della comunicazione in praesentia – la parola, il gesto, l’espressione del volto), la posta e il telegrafo, che richiedono comunque la mediazione di apparati umani per il trasporto e la consegna dei messaggi; poi il telefono, in rete fissa o cellulare, e i suoi derivati come gli SMS (short message service, tecnologia nata nel 1992), che si affidano a macchine per tutte le fasi dello scambio.
Una distinzione fragile: media di massa e media interpersonali
Nel senso comune, ma anche in molte correnti di studi, la distinzione tra media di massa e media interpersonali è generalmente assunta come oggettiva e intrinseca alle stesse tecnologie usate. Anche per questo, l’avvento recente di alcuni canali di comunicazione come internet difficilmente racchiudibili nell’una o nell’altra categoria, è stato letto come fenomeno di portata “epocale”, segno della fine di un’intera era della comunicazione. In realtà si tratta di una distinzione meno netta, meno esaustiva e meno determinante di quanto generalmente si assuma.
Mezzi di comunicazione cosiddetti intermedi sono sempre esistiti, e hanno anche avuto un notevole peso. Si pensi all’uso del ciclostile o della stampa in offset, o alla recente fotocopiatrice, in grado di dare circolazione ampia, ma non illimitata, a un messaggio prodotto coi metodi tipici della produzione di massa, oppure (già a partire dagli anni Sessanta) alle reti telefoniche dette “a valore aggiunto”, che integrano messaggi predisposti con messaggi elaborati dall’utente. Quella distinzione è poi meno esaustiva, prima di tutto perché tra comunicazione “di massa” e “interpersonale” esiste una vastissima terza area, generalmente trascurata dagli studiosi di media: quella che possiamo chiamare comunicazione uno a molti, nella quale il messaggio non è destinato a un pubblico illimitato ma a un numero predefinito di utenti, e non si fa uso di mezzi propriamente di massa, ma non vi sono neppure condizioni di scambio paritario. È il caso dell’insegnamento scolastico e di tutte le forme di comunicazione basate sul parlare in pubblico, che ricorrono all’uso di apposite tecnologie, dal microfono alla lavagna luminosa. Meno determinante, infine, perché nessun medium è destinato “per natura” all’uno o all’altro uso. La vicenda della radio e del telefono è un buon esempio.
Negli anni tra il 1895 e il 1920, molte sono le sperimentazioni del broadcasting via telefono, e hanno coinvolto numerosi Paesi, dall’Impero austroungarico all’Italia, dalla Francia agli USA, mentre i pionieri della radiotelefonia rivolgono le loro attenzioni esclusivamente agli usi interpersonali della tecnologia. Dopo la prima guerra mondiale, l’idea che il telefono sia “naturalmente” destinato allo scambio e la radio alla diffusione circolare s’impone con la forza di una verità incontrovertibile, ma solo fino a quando, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, il broadcasting via cavo ritrova, prima in radio poi in televisione, nuova forza e nuova razionalità anche economica; la radiofonia come mezzo interpersonale si imporrà poi nuovamente con le tecnologie cellulari, prima analogiche poi digitali.
Le grandi trasformazioni tecnologiche dell’ultimo decennio del Novecento hanno evidenziato ulteriormente la fragilità della distinzione, rendendo possibili applicazioni strettamente personali o di gruppo delle più classiche tecnologie di massa (la stampa on demand, la TV di condominio) e dando vita a luoghi virtuali di incontro impossibili da classificare a priori in una delle due categorie, come i forum elettronici.
Più che della fine di un’era si tratta però della piena maturazione di alcune premesse implicite in tutta la storia della comunicazione moderna, nella quale la dimensione collettiva e quella strettamente personale, più che come due realtà diverse hanno sempre agito come due poli elettrici opposti e complementari, animando della loro tensione il concreto processo storico.
Inevitabile ambiguità di un concetto
Come si vede già da questa rapidissima rassegna, non solo molte delle categorie più usate in materia, ma anche lo stesso termine media è di significato ambiguo. Diversi studiosi di sociologia della comunicazione sottolineano che ogni medium può essere infatti considerato, oltre che come uno strumento in senso proprio finalizzato a uno specifico uso (l’invio, la diffusione o la ricezione di messaggi), come un intermediario sociale, e si colloca pertanto in una posizione intermedia fra diverse entità: tra l’emittente e il destinatario, tra la tecnologia (senza la quale la comunicazione non sarebbe in generale possibile) e la cultura (senza la quale i flussi di segni trasportati dai media non avrebbero senso). In termini più radicali, la corrente teorica che fa capo ai canadesi Harold A. Innis e H. Marshall McLuhan sottolinea che il medium più che strumento per la veicolazione di specifici messaggi contiene un suo proprio messaggio, che ha lasciato e lascia tracce proprie nella cultura in cui s’insedia: una formulazione “scandalosa” al tempo delle sue prime enunciazioni a metà Novecento, che è ora parte del senso comune.
Nel parlare dei media in generale e di ogni singolo medium in particolare, si fa generalmente riferimento a diversi aspetti il più delle volte inconsapevolmente. Parlando ad esempio di cinema si può indicare un luogo (“il cinema Excelsior”) o un linguaggio (“l’uso del piano americano nel cinema hollywoodiano classico ”), una tecnologia (“il cinematografo fu inventato dai fratelli Lumière nel 1895”) o un insieme di opere (“il cinema tedesco degli anni Venti”). Lo stesso, mutatis mutandis, vale per altri media. In effetti, ogni medium è l’insieme di questi diversi aspetti: è tecnologia e assetto istituzionale, linguaggio e corpus di testi reali o potenziali, realtà fisica e (soprattutto) abitudini sociali e di consumo. Un’ulteriore oscillazione caratterizza la percezione diffusa dei media a partire dagli anni Sessanta: da una parte la tendenza, radicata nel senso comune, a vedere i media in generale, e alcuni in particolare (essenzialmente la televisione, i giornali e più sullo sfondo il cinema e la radio) come “attori” sociali relativamente autonomi, il cui avvento sarebbe stato di per sé fattore di cambiamento e la cui condotta condizionerebbe tutti gli altri soggetti, inclusi i maggiori poteri economici e istituzionali; dall’altra la tendenza, fortemente sostenuta da alcune correnti di pensiero ma anch’essa presente nel senso comune, che sottolinea soprattutto il carattere strumentale dei media stessi, e quindi li subordina alle strategie di uso dei diversi soggetti e al quadro complessivo della vita sociale e culturale. Una tale oscillazione condiziona tanto la percezione diffusa dei media, quanto il dibattito scientifico: è ricorrente ormai da decenni lo scontro fra studiosi di orientamento socioculturale e studiosi che pongono i media in quanto tali al centro della propria riflessione, pronti generalmente, i primi ad accusare i secondi di “determinismo tecnologico”, i secondi ad accusare i primi di “determinismo sociologico” o di scarsa attenzione alla realtà concreta delle pratiche di comunicazione.
Infine, la riflessione sui media è condizionata da un altro fattore di ambiguità: da un lato, i diversi mezzi di comunicazione si presentano, anche alla percezione comune, come fortemente differenziati l’uno dall’altro, in termini di linguaggi, di destinazione sociale e perfino materiale, di potenzialità espressive (di qui la lunga querelle sullo “specifico” del cinema, della radio, della televisione eccetera); dall’altro lato, la dinamica di ciascuno di essi è comprensibile solo tenendo conto delle complesse relazioni di interdipendenza che legano i diversi media.
Parlando di “sistema dei media” si designa un quadro di interdipendenze sociali, economiche, istituzionali, che fanno sì che ogni nuovo medium introdotto nel quadro contribuisca a ridefinire funzioni e ruoli dei media preesistenti. La dinamica evolutiva della comunicazione è comprensibile solo tenendo conto della complessa interdipendenza tra i diversi mezzi, ed è nel suo insieme assai più complessa e articolata di quanto vorrebbe una periodizzazione superficiale sebbene profondamente radicata, che distingue nella storia moderna un’“età della stampa”, un’“età della radio”, gli “anni della televisione” e la “rivoluzione dell’informazione”.