Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La prima linea ferroviaria regolare, inaugurata nel 1825, dà il via a una serie di nuove applicazioni della macchina a vapore che condizioneranno la realtà dei trasporti con tre sostanziali modifiche: l’incremento della velocità, il superamento dei limiti delle energie “naturali” e la nascita di sistemi-rete. Queste tre novità saranno alla base di una serie di “rivoluzioni del trasporto” che da allora accompagnano e sostengono le maggiori tappe dei processi di industrializzazione e di urbanizzazione, dapprima nell’area euro-atlantica poi progressivamente in tutto il pianeta.
Le rivoluzioni del trasporto: una premessa ottocentesca
Con l’affermarsi della ferrovia, l’aspetto che più colpisce gli osservatori fu l’incremento della velocità consentita dal nuovo mezzo: sebbene la prima locomotiva di Stephenson non superasse 30 km all’ora – velocità comunque superiore a quella della quasi totalità delle vetture di posta – già nel 1837 si raggiungono i 96 km all’ora, una velocità all’epoca del tutto sconosciuta. Non c’è da stupirsi che molti viaggiatori del tempo lamentassero disturbi simili al mal di mare nell’osservare il paesaggio dal finestrino. Oltre all’aumento della velocità su terra, l’innovazione introdotta da Stephenson porta con sé almeno altre due novità altrettanto rilevanti: la prima è la nascita di un motore meccanico, cioè di uno strumento tecnico in grado di imprimere il movimento a un oggetto fisico (di notevole peso) senza dover ricorrere alle energie naturali; la seconda, che matura nel corso degli anni Trenta (dell’Ottocento), è la nascita di una rete integrata, di un sistema tecnico-organico, in cui la gestione dei singoli “treni” (locomotive più vagoni al seguito) risulta inscindibile da quella della “via ferrata” su cui viaggiano.
Questa triplice innovazione è, in certo senso, il modello su cui si sarebbero attenute anche le due successive rivoluzioni nel campo dei trasporti: l’una, ancora ottocentesca, coincidente con la seconda rivoluzione industriale, porta con sé la nascita dei motori azionati da derivati del petrolio e l’elettrificazione del trasporto urbano e ferroviario (favorendo una crescita straordinaria delle dimensioni delle città, oltre il limite “naturale” della percorribilità a piedi); l’altra, verificatasi dopo la seconda guerra mondiale, vede il diffondersi della navigazione aerea in campo civile, e la generalizzazione di quell’uso del volo che sarebbe apparsa, anche solo un secolo prima, assolutamente utopica. L’intreccio dei tre livelli d’innovazione (incremento radicale delle velocità, superamento dei vincoli naturali, sistemi-rete) ha portato con sè anche alcune serie contraddizioni, che nella seconda metà del Novecento hanno frenato le ulteriori, possibili, innovazioni e che oggi stanno spingendo verso un ripensamento generale dei sistemi di trasporto.
Le contraddizioni della velocità
La rivoluzione ferroviaria e poi le grandi fasi di innovazione successive (quella legata all’uso dei derivati del petrolio e quella legata allo sviluppo dell’aviazione civile) sono state percepite dai loro contemporanei prima di tutto in termini di crescita della velocità: vetture sempre più rapide per spostarsi sempre più lontano in tempi sempre più contenuti. La velocità è in effetti l’aspetto che più colpisce la fantasia comune, e non a caso è su di essa che si è appuntata fino a tempi relativamente recenti l’attenzione di pubblicitari e uomini di marketing: dalla promozione delle autovetture fino a quella del francese TGV (Train Grande Vitesse) e dei treni giapponesi a cuscino d’aria o a monorotaia. Secondo alcuni intellettuali, come il francese Paul Virilio, la velocità sarebbe del resto elemento essenziale, forse addirittura il centro, della cosiddetta modernità.
Basta tornare alla letteratura di anticipazione di fine Ottocento o anche alla fantascienza del Novecento, per rendersi conto che il sogno di una crescita inarrestabile della velocità dei trasporti, paragonabile alla rapidità raggiunta nel frattempo dal trasferimento dei messaggi, ha accompagnato e in parte accompagna tutta la storia più recente: dapprima la previsione di un uso dell’aereo analogo a quello dell’automobile e di vie aeree all’interno stesso delle metropoli; poi quella delle navi spaziali capaci di raggiungere o addirittura di superare (grazie a invenzioni sempre avvolte da grande mistero per il semplice fatto di essere fisicamente impossibili) la velocità della luce. All’orizzonte, il sogno dei sogni, il teletrasporto, la speranza che il trasferimento degli atomi di materia possa essere altrettanto rapido e “immateriale” di quello dei bit di informazione.
La seconda metà del Novecento sembra essersi incaricata però di smentire queste speranze. Prima di tutto, dopo l’introduzione del motore a reazione nell’aviazione civile e fino ai treni ad alta velocità, non ci sono state, nel campo dei trasporti civili, innovazioni capaci di incrementare in modo considerevole la rapidità dei singoli veicoli. Il fallimento dell’esperimento di aereo civile supersonico ha segnato, negli anni Novanta, il tramonto – forse definitivo – di questo tipo di progetti. Dall’elicottero al sottomarino, dall’aereo supersonico all’hovercraft, le grandi novità tecnologiche del trasporto sono rimaste molto più limitate nei loro effetti di quanto si potesse prevedere: un problema di costi, certo, ma anche di sicurezza.
In secondo luogo, la velocità, in particolare sulle strade, ha cessato di presentarsi come una promessa liberatoria, per essere avvertita sempre più apertamente come un problema. È il paradosso dell’automobile: il marketing esalta le velocità che possono essere raggiunte per vendere un veicolo che potrà raggiungerle solo a costo di gravi violazioni della legalità: paradosso non dissimile, a ben vedere, da quello che accompagna il mercato statunitense delle armi.
In terzo luogo, per attraversare la grande città si impiega oggi più o meno lo stesso tempo che a fine Ottocento. Un’ora per attraversare Parigi o Londra in carrozza, circa un’ora per risalire Manhattan in subway e ancora di più per correre da un capolinea all’altro della RER francese (Réseau Express régional). Per non parlare delle grandi metropoli del sottosviluppo, ben difficili da attraversare. L’aumento delle dimensioni urbane ha più che compensato la crescita della rapidità. Tanto più se il mezzo usato è l’auto. L’aumento della velocità dei singoli veicoli non ha comportato, come si immaginava, una maggiore rapidità degli spostamenti, anzi il tempo trascorso sui mezzi di trasporto da parte dei cittadini di tutti i Paesi sembra destinato ad aumentare. Del resto, anche i treni ad alta velocità appaiono destinati soprattutto a sostituire il trasporto aereo e in parte quello automobilistico, e uno dei primi effetti che si sta verificando, nel caso francese, è la tendenza di molti parigini e lionesi ad allontanare le abitazioni dalla città lungo le linee veloci: il tempo di percorrenza pare comunque destinato a rimanere invariato anche se emerge un nuovo stile di vita urbano-rurale.
Il motore termico: il superamento dei vincoli naturali
La nascita del motore termico, anzi di successive generazioni di motori termici, ha rappresentato una rottura netta con tutta la storia dei trasporti umani. L’aumento della domanda di trasporto e la crescita della rapidità dei mezzi sembrano essersi sostenuti a vicenda. Successivamente però, mentre la domanda di trasporto continuava a crescere, i problemi legati alla velocità e alla gestione delle reti hanno messo in luce alcune delle più gravi vulnerabilità del modello di civiltà proprio dell’industrialismo.
Nel corso degli ultimi 50 anni, infatti, la crescente interdipendenza produttiva e commerciale tra le varie aree del pianeta ha comportato una forte crescita dei trasferimenti, non solo delle merci finite e delle materie prime, ma anche, in misura via via più ampia, dei semilavorati. Parallelamente, sono cresciuti gli spostamenti delle persone, in quanto mutamenti di ampia portata sociale (la crescita dell’urbanizzazione e poi in molti Paesi occidentali quello della famiglia nucleare residente nei sobborghi), culturale (lo sviluppo del turismo), economica che rendevano insieme accessibile e indispensabile l’uso di mezzi di trasporto meccanico e trasformavano in abitudini quotidiane spostamenti che solo pochi decenni prima erano relativamente eccezionali. Ancora nel periodo tra il 1980 e il 1998, secondo dati dell’Unione Europea, gli spostamenti (calcolati in termini di passeggeri per chilometro di percorrenza) sono aumentati nei Paesi dell’Europa occidentale di circa il 60 percento.
Il sistema dei trasporti è diventato in effetti uno dei punti critici dello sviluppo, sia dal punto di vista ambientale, sia da quello della pura e semplice efficienza e della capacità di rispondere alle domande dell’economia e della società.
Va detto anche che lo sviluppo del motore termico non ha comportato l’abbandono dei sistemi naturali di trazione. Non ci riferiamo tanto al diporto, che fanno della vela come del cavallo la base di sport non casualmente tra i più costosi ed esclusivi, quanto alla persistente presenza del trasporto animale nelle agricolture povere, causa di ulteriore divaricazione della produttività rispetto alle più ricche.
Reti chiuse e reti aperte: vantaggi e svantaggi
La rete ferroviaria, che consente al veicolo – controllato a distanza tramite i contatti telegrafici tra le stazioni – di muoversi solo lungo i binari, costituisce il prototipo di quella che possiamo chiamare la rete chiusa, un modello che sarebbe stato seguito anche dall’aviazione civile. In queste reti lo spostamento avviene da un nodo all’altro della rete, ed esiste un controllo centralizzato su tutto ciò che si muove lungo il suo circuito, veicoli, forniture energetiche, ecc. L’elettrificazione delle ferrovie, avviata già alla fine dell’Ottocento, avrebbe ulteriormente contribuito all’integrazione delle reti, e lo stesso sarebbe avvenuto nel trasporto urbano con lo sviluppo delle tranvie e delle ferrovie sotterranee o sopraelevate. Il modello sarebbe stato poi ripreso anche dalle reti della navigazione aerea, sistemi tecnici tra i più complessi esistenti nel mondo, che fin dagli anni Cinquanta del Novecento hanno usato in modo sistematico e spesso pionieristico strumenti informatici e telematici, oltre alla radio e al radar, per mantenere un controllo il più completo possibile su strade del tutto immateriali come le rotte aeree.
Proprio l’integrazione delle reti e dei veicoli favorisce fin dall’inizio del Novecento in molti paesi europei le politiche di nazionalizzazione dei sistemi ferroviari, motivate anche dalla diffusa convinzione che si trattasse di un “monopolio naturale” scarsamente adeguabile alle logiche di mercato. L’esempio statunitense, dove la gestione privatistica delle ferrovie porta dapprima allo sviluppo di grandi compagnie oligopolistiche che si impadroniscono di ingenti appezzamenti di terra, e poi al declino delle ferrovie stesse, poteva sembrare una riprova della giustezza dei programmi di nazionalizzazione. Il modello viene applicato anche all’aviazione civile, con lo sviluppo delle cosiddette compagnie di bandiera, a lungo monopoliste dei voli interni dei diversi Paesi. Negli ultimi decenni del Novecento anche nel campo dei trasporti si sono imposte politiche di deregulation, che in campo ferroviario non hanno ottenuto in generale gli effetti sperati, mentre nel campo dell’aviazione civile hanno determinato un calo diffuso dei prezzi ma anche la fine di molte compagnie storiche, pubbliche e private.
La rete chiusa, sul modello di quella ferroviaria, dà affidamento ma crea un senso di dipendenza; si presenta come soggetto impersonale e insieme autorevole, ma crea un’aspettativa di efficienza e puntualità che produce irritazione se viene disattesa.
La rete stradale nell’epoca dell’automobile e del camion è invece una rete aperta, in quanto il veicolo e la sua gestione sono nettamente distinti dalla rete stessa, in quanto lo spostamento può iniziare e finire in punti relativamente arbitrari, e in quanto non esiste un sistema di comunicazione interno in tempo reale, ma semmai alcuni mezzi ausiliari – dalla segnaletica alle scritte luminose, dai telefoni di emergenza nelle piazzole ai sistemi informativi via radio. Tutto questo dà un senso di minore sicurezza ma di maggiore libertà personale. Il possesso di un mezzo di trasporto personale si è fatto percepire, dapprima nei Paesi più industrializzati, poi progressivamente in tutto il mondo, come il più inequivocabile segnale di indipendenza della persona, e ne ha fatto da un lato il motore (è il caso di dirlo) dello sviluppo nella fase della produzione di massa dall’altro una presenza ubiqua e per molti aspetti ossessiva negli ambienti urbani e non solo.
Negli USA, fra il 1930 e il 1990, si è passati da poco più di 23 milioni di auto (una ogni cinque abitanti), a quasi 145 milioni (una ogni 1,7 abitanti), a cui vanno aggiunti 56 milioni di automezzi commerciali: 200 milioni di veicoli a quattro o più ruote, su una popolazione totale di 256 milioni di abitanti. In Paesi come l’India o la Cina la percentuale di autoveicoli per abitante era ancora, all’inizio degli anni Novanta, decisamente più bassa, ma la presenza delle auto e del traffico nelle metropoli del Terzo Mondo è a partire dagli anni Sessanta un fattore tra i maggiori della loro bassa qualità di vita. In Italia, tra gli anni Sessanta e Settanta, si è passati da 183.000 automobili a quasi 27 milioni e mezzo, più circa 2 milioni e mezzo di veicoli commerciali: un aumento del 1.500 percento rispetto a trent’anni prima, quando pure si era alle vette del “miracolo economico”, un miracolo trainato proprio dall’industria dell’automobile.
I costi di questa crescita e dell’apertura della rete sono evidenti nell’elevatissimo numero di incidenti: nell’Unione Europea si calcolano a 40 mila morti in un anno per incidenti stradali, a oltre un milione e 700 mila i feriti. È vero che gli incidenti sulle reti chiuse sono in genere più catastrofici e spettacolari, ma i dati non lasciano dubbi: la rete stradale e il traffico delle automobili e delle motociclette sono tra i maggiori fattori di insicurezza nel mondo.
Le direttrici dell’innovazione
A partire dagli anni Ottanta del Novecento le ricerche nel campo del trasporto hanno privilegiato decisamente la razionalizzazione dei sistemi rispetto alla velocità dei singoli vettori. Da questo punto di vista, il fallimento del progetto di aereo civile supersonico franco-britannico potrà avere in futuro una portata simbolica paragonabile a quella delle precedenti rivoluzioni del trasporto. Fissato ai 1000 chilometri l’ora il limite fisico del trasporto aereo, ai 100-120 quello del trasporto automobilistico, una volta che sarà completata la sperimentazione dell’alta velocità ferroviaria (che prevedibilmente fisserà i suoi limiti attorno ai 350 chilometri orari) il sistema avrà raggiunto un nuovo limite “naturale” destinato prevedibilmente a non essere superato per generazioni.
A questo punto la domanda crescente di spostamenti, e di spostamenti rapidi, dovrà trovare risposta in una maggiore efficienza delle reti, che riduca o elimini le strozzature e (nel caso delle reti aperte a cominciare da quella stradale) i fattori di imprevedibilità. Il trasporto delle merci ha compiuto in questo senso i passi avanti più significativi, con la rivoluzione logistica basata da un lato sui container (che ha permesso la fluidificazione dei percorsi grazie alla sua adattabilità a diversi mezzi di trasporto, e la riduzione della manodopera necessaria alle operazioni di caricamento e scaricamento), dall’altro sull’uso delle tecnologie informatiche e telematiche: sono divenuti possibili il tracking a distanza delle merci, la dislocazione dei magazzini industriali in luoghi distribuiti sul territorio, l’integrazione dei diversi mezzi di trasporto in sistemi unificati intermodali che congiungono camion e ferrovia, navigazione e trasporto aereo.
Molti dei più impegnativi progetti europei e statunitensi puntano sull’estensione di questo modello al trasporto passeggeri, con la creazione di snodi intermodali per le persone e con l’applicazione massiccia della telematica anche alla rete stradale, fino all’ipotesi delle cosiddette autostrade intelligenti nelle quali il veicolo verrebbe pilotato a distanza per mezzo di sensori posti sul manto stradale e controlli satellitari. Altri progetti mirano a ridurre alcuni dei costi propri delle reti aperte, favorendo lo sviluppo di nuovo forme interpresonali di trasporto (dal car sharing alla sperimentazione di piccole vetture teleguidate nel trasporto pubblico urbano). Finora prevale però, anche per il moltiplicarsi delle emergenze ambientali e degli ingorghi di traffico, la tendenza a intervenire soprattutto in termini restrittivi, servendosi per quanto possibile di forme di telesorveglianza: limitazioni del traffico privato, monitoraggio e tariffazione dei servizi stradali urbani, contenimento della velocità. Sono misure inevitabili e tardive, ma politicamente difficili, in quanto vengono generalmente percepite come limitazioni di una libertà personale che proprio nella libertà di muoversi ha trovato per tutto il corso del Novecento uno dei suoi massimi simboli.