I' mi son pargoletta bella e nova
. Questa ballata (Rime LXXXVII; mezzana, ripresa di 3 versi e 3 stanze di sette versi tutti endecasillabi disposti secondo lo schema yxx; ab ab, bxx) Si trova citata nell'Ottimo, a proposito della pargoletta indicata da Beatrice al v. 59 di Pg XXXI: dopo la morte di Beatrice, D. " amò quella per la quale disse Io mi son pargoletta bella e nova ".
Fra i codici più autorevoli che la contengono c'è il Chigiano L VIII 305 dove di trova al sesto posto, fra Al poco giorno e Io son venuto, in una serie di 17 componimenti fra canzoni e ballate.
In un considerevole numero di manoscritti che si riconnettono alla tradizione del Boccaccio per la serie di 15 canzoni, appare aggiunta al sedicesimo o al diciassettesimo posto insieme col discordo Aï faux ris. Fu stampata nella Giuntina del 1527 al nono posto del Libro II della sezione dantesca che comprende 30 componimenti non tutti autentici, per la maggior parte sonetti, fonte di edizioni successive. Nell'edizione del '21 il Barbi la collocò nel Libro V al secondo posto, subito dopo Due donne in cima, e prima della ballata Perché ti vedi e del sonetto Chi guarderà già mai, entrambi con manifesti segni di affinità con I' mi son pargoletta, che sembra dare inizio a un discorso che sarà continuato nell'altra ballata e nel sonetto (in quest'ultimo, al v. 2, ricorre la bella pargoletta). Cronologicamente, secondo i criteri dell'ordinamento proposto dal Barbi, questi primi componimenti del Libro V, comprese le canzoni Amor che movi e Io sento sì d'Amor, comprendono rime d'amore composte per donna reale o immaginata come reale, subito dopo l'esperienza delle rime allegoriche e delle due canzoni dottrinali, e prima delle rime per la Donna pietra.
Fra gli studiosi di D., prima e dopo il Barbi, varie sono le opinioni circa l'identità di questa donna: con Beatrice, con giovane donna distinta o no dalla Donna gentile e dalla Donna pietra; e si discute, inoltre, se sia da considerare allegorica (la Donna gentile - Filosofia o la Retorica). Comunemente accettata è l'interdipendenza fra le due ballate e il sonetto, e non manca di qualche fondamento l'estensione del gruppo alle due canzoni Amor che movi e Io sento si d'Amor. Nel commento di Foster e Boyde si ritorna, ma non senza prudenti riserve, all'identificazione della pargoletta con la Donna gentile intesa allegoricamente per la Filosofia per la quale si sostiene che D. continuasse a comporre, dopo il sonetto O dolci rime, i tre componimenti del gruppo della ‛ pargoletta ' e le due canzoni Amor che movi e Io sento sì d'Amor.
Il contenuto della ballata ha due parti nettamente distinte: la prima (vv. 1-17) è costituita dalle parole che il poeta legge nel viso della pargoletta, riportate in discorso diretto; la seconda (vv. 18-24), dalle indicazioni del poeta su quel che è avvenuto: l'apparizione d'un'angioletta, nel cui viso si leggono le parole prima riportate, la contemplazione della sua bellezza da parte del poeta, gli effetti con rischio di morte che derivano da tale contemplazione. Tutta la prima parte è intessuta di motivi stilnovistici, in genere, e di quello Stil nuovo in particolare caratteristico delle rime di D. in lode di Beatrice. La giovinetta che discende dal cielo per mostrare in terra bellezza di paradiso; la necessità di avere intelletto d'amore per potersi innamorare di lei; le sue bellezze che sono straordinarie perché appunto provengono dal cielo e non possono essere conosciute se non da chi sente in sé operare Amore per gli effetti della bellezza contemplata, sono motivi che si ritrovano con più o meno affinità nella canzone Donne ch'avete e nel sonetto Tanto gentile. Ciò spiega la persuasione di alcuni critici (Fraticelli, Giuliani, Lamma), che la ballata fosse composta per Beatrice. Nell'ultima stanza gli effetti che il poeta descrive della contemplazione di quella bellezza paradisiaca sulla sua anima non sono estranei alla poesia di Guido, di Cino e dello stesso D. in fase stilnovistica, ma sono anche in evidente connessione con lo stato d'animo da cui scaturiscono la ballata Perché ti vedi e il sonetto Chi guarderà già mai.
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