I narratori e la finanza
Cambiamento nella letteratura come nell’economia. Molti autori di libri e film si sono occupati del neocapitalismo: da D.F. Wallace a Don DeLillo, da Stanley Kubrick a Oliver Stone. In Italia l’esempio più recente è Resistere non serve a niente di Walter Siti che ha per protagonista un ‘cyber-capitalista’.
Dopo gli anni Sessanta del Novecento, con il capitalismo entrato in una nuova fase, perdono progressivamente terreno, sul piano letterario e cinematografico, i grandi personaggi che – da Dickens a Fitzgerald, passando per Welles – avevano rappresentato un prodigioso punto di contatto tra individualismo titanico e accumulazione di denaro. Il self made man, il capitano d’industria o almeno l’uomo che in pieno possesso dei propri difetti crea una fortuna e di conseguenza fonda il proprio regno (rappresenti una reincarnazione di Achab in salsa editoriale come il Kane di Welles, o solchi l’illegalità senza perdere del tutto l’anima come il Gatsby di Fitzgerald) inizia ad appannarsi. Questo tipo di personalità ancora in grado di ingaggiare una lotta ad armi pari col ‘capitale’ per ottenerne dei vantaggi diventa artisticamente meno spendibile proprio perché il sistema economico che lo contiene subisce un cambio di paradigma. Se la Londra di Dickens con le sue fabbriche e i suoi cieli neri si può considerare una prefigurazione del fordismo che il Bardamu di Céline sperimenterà più tardi in Viaggio al termine della notte, una profonda soluzione di continuità separa questi due scenari dal mondo di Wall Street e dell’economia immateriale del 21° secolo.
È su questi palcoscenici che si consuma il cambiamento, e se volessimo trovare una data simbolica che lo sancisce potremmo forse rinvenirla nel 1971, anno in cui Richard Nixon svincola il dollaro dall’obbligo di ancoraggio alle riserve auree della banca centrale (in Vizio di forma di Thomas Pynchon, noir parodico su questo cambio di paradigma, a un certo punto compaiono non a caso delle finte banconote con sopra l’effigie proprio di Nixon). L’esempio statunitense sarà seguito via via da tutti gli altri paesi. Da quel momento reale e virtuale, il mondo e il suo doppio fantasmatico cominciano a scambiarsi legittimamente i ruoli di continuo. E mentre il vecchio sistema se non a misura di gentiluomo lo era almeno di pescecane, il neocapitalismo è talmente multiforme e pervasivo che l’unico modo per salire in cima al mondo non è cercare di domarlo con la forza – leggiamo nei romanzi che via via cercano di raccontarlo – ma convertirsi ai suoi codici fino a svanire in esso. Il mondo, di conseguenza, non è più dominato dai malvagi industriali di Frank Capra né dai vecchi e pittoreschi pescecani balzachiani così scaltri e violenti da piegare le regole del gioco alla propria volontà (uomini sufficientemente consapevoli dei propri patti con il diavolo ogniqualvolta ne contraggono uno). I padroni del nuovo secolo sono piuttosto antenne umane alla ricerca di una sintonia con le forze perennemente fluttuanti – e mai del tutto chiare – in grado di muovere ricchezze spaventose a ogni secondo. Anche la narrativa italiana, negli ultimi anni, ha cercato di esplorare questi territori, mettendo per esempio al centro della propria indagine la crisi economica (l’Edoardo Nesi de L’età dell’oro), il conflitto tra diverse generazioni di imprenditori (il Vincenzo Latronico de La cospirazione delle colombe) o l’ossessione per il denaro nell’epoca della sua immaterialità (il Gianluigi Ricuperati de Il mio impero è nell’aria).
Questo processo giunge probabilmente a un primo stadio di maturazione nel 2012, l’anno di Resistere non serve a niente di Walter Siti. Tommaso, protagonista del romanzo in questione, incarna molto bene l’archetipo del cyber-capitalista. Ex ragazzo di borgata abituato suo malgrado a muoversi su territori di confine (suo padre è un gregario della criminalità organizzata), ex obeso, giovane prodigio della matematica, cerca un riscatto muovendosi nella zona grigia della finanza internazionale. Il contesto in cui opera e si arricchisce – nonostante l’impianto realista del romanzo – è già in parte l’universo da fantascienza del presente immaginato da David Foster Wallace di Infinite Jest, dove i grossi gruppi di potere economico sono di fatto sovraordinati agli Stati nazionali. In un sistema di fatto post-democratico, in cui le disuguaglianze viaggiano oltre ogni limite immaginabile, ciò che fino ad alcuni decenni prima poteva essere la tragedia di una famiglia rovinata (un esempio per tutti il declino dei Buddenbrook) diventa, dal punto di vista narrativo dei nuovi oligarchi, la fredda statistica di interi paesi caduti in miseria a beneficio dei loro portafogli. Ma, insieme al benessere dell’ex ceto medio, ciò che viene sacrificata è anche l’identità di questi ricchissimi speculatori. I quali, seppure rischiano di diventare più potenti di leader politici, vivono la propria avventura al pari di un’allucinazione. Il Tommaso di Resistere non serve a niente, di fatto, a un certo punto non capisce più chi è, e per tentare di scoprirlo ricorre a uno scrittore, il Walter Siti-personaggio che, simile in questo allo Zuckerman di Philip Roth, prova a rimettere insieme i tasselli al di là della speranza di ottenere un disegno compiuto. Un disegno compiuto, nel mondo globalizzato, non è forse più possibile, eppure se ne continua a sentire una strisciante ectoplasmatica nostalgia. La stessa perdita d’identità (almeno come eravamo andati elaborandola dal Rinascimento in poi) sembrava interessare Eric Packer, il giovanissimo miliardario protagonista di Cosmopolis, romanzo del 2003 di Don DeLillo tradotto cinematograficamente da David Cronenberg nel 2012; il quale Eric – nei momenti più vertiginosi del libro – sembra essere fatto della stessa misteriosa sostanza che muove i flussi di borsa. Come se Freud e Marx si incontrassero in un incubo tecno-finanziario, la coscienza di Eric sembra il prodotto della stessa struttura-matrice che innalza grattacieli e produce kolossal cinematografici, che costruisce il mondo sotto i nostri piedi e alimenta l’immaginario (e i desideri) di comune riferimento.
Ciò che resta dell’uomo o in cosa l’uomo si sta precisamente trasformando sembrano allora i veri interrogativi che presiedono tutte queste opere letterarie e cinematografiche. In un sistema in cui le tragedie diventano statistiche, il confine tra bene e male rischia di dissolversi, come se i flussi finanziari fossero la ‘cura’ Ludovico che Burgess e Kubrick non avevano fatto in tempo a prevedere. Ma eliminare dal nostro spettro visivo questo fondamentale punto di riferimento può voler dire trasformarlo semplicemente in un demone del rimosso. È forse per quello, allora (per ritornare sugli ineliminabili territori di bene e male mentre tutto intorno a sé congiura per negarli), che alla fine del romanzo di Siti Tommaso decide quasi programmaticamente di macchiarsi del più infame dei delitti.
Roth come Zuckerman
Nathan Zuckerman, alter ego immaginario del romanziere Philip Roth, veste, in numerose opere dello scrittore, alternativamente i panni di narratore o protagonista. Da My Life as a Man (1974), in cui fa la sua prima apparizione come alter ego letterario dello scrittore Peter Tarnpool, a The Ghost Writer (1979), in cui veste i panni del protagonista. Roth impiega il personaggio per analizzare il tema dell’identità, della comunicazione e fruizione delle sue stesse opere, da Zuckerman Unbound (1981) a The Anatomy Lesson (1983), The Prague Orgy (1985), The Counterlife (1986). Dopo un lungo silenzio, Zuckerman risorge poi in American Pastoral (1997), I Married a Communist (1998), The Human Stain (2000), nel ruolo di narratore, e, infine, in Exit Ghost (2007). Il personaggio di Zuckerman, interpretato da Gary Sinise, compare nella riduzione cinematografica nel film La macchia umana, del 2003, tratto dall’omonimo romanzo del 2000, per la regia di Robert Benton e interpretato da Anthony Hopkins e Nicole Kidman.
Le parole
Neocapitalismo Nel linguaggio economico, il nuovo aspetto assunto dal sistema capitalistico negli Stati industriali avanzati del 20° secolo: è contraddistinto, nei suoi tratti essenziali, dal dominio di gigantesche società nazionali e multinazionali (che determinano situazioni di oligopolio e monopolio più o meno mascherate), da un crescente intervento dello Stato nell’economia nazionale insieme con l’estensione di sistemi di previdenza e sicurezza sociale alla generalità dei cittadini, da un enorme aumento quantitativo e qualitativo dei prodotti e dei consumi, tipico dell’attuale civiltà di massa, nonché dall’accelerato progresso tecnologico, dall’automazione, dall’infittirsi della rete di intrecci finanziari anche sul piano internazionale.
Il ritorno di Gekko
A Wall Street, cult movie di Oliver Stone uscito nel 1987, fa seguito nel 2010, sempre con la regia di Stone, Wall Street. Il denaro non dorme mai. Personaggio principale è in entrambe le pellicole Gordon Gekko, interpretato da un eccezionale Michael Douglas, vincitore dell’Oscar come migliore attore protagonista, che veste i panni di un potente e cinico finanziere dedito a traffici loschi e a speculazioni borsistiche tutt’altro che ortodosse. Smascherato da un operatore rampante, Gekko finisce in prigione per le frodi attuate in Borsa. Da qui la trama del sequel che inizia proprio nel momento in cui Gekko esce dal carcere, dove ha scritto le sue memorie e le proprie riflessioni sul passato e sul presente della finanza mondiale. L’uomo deve ora affrontare il rifiuto che la figlia nutre ormai verso di lui e si trova così costretto ad aiutare il suo giovane quanto ambizioso fidanzato Jacob Moore, interpretato da Shia LaBeouf. Il conflitto tra autorità e libertà viene associato da Stone a quello politico tra Stato e mercato: entrambe le pellicole incarnano una critica feroce al capitalismo scorretto e spietato, e ai suoi eccessi speculativi.
I libri
Dieci domande su neocapitalismo e letteratura, numero monografico della rivista Nuovi Argomenti, 1964.
Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, a cura di Velio Abati, 1992.
Pier Paolo Pasolini, La Divina Mimesis, postfazione di Walter Siti, 2011.