I Normanni nel Mezzogiorno e in Sicilia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel 1130 Ruggero d’Altavilla, secondogenito del Granconte Ruggero, riceve dall’antipapa Anacleto II la corona del Regno di Sicilia, una vasta entità territoriale comprendente l’isola da cui prende il nome e tutta l’Italia meridionale fino all’Abruzzo. Il 27 luglio 1139 il pontefice legittimo, Innocenzo II, catturato da Ruggero contro il quale aveva guidato un esercito, si rappacifica con l’Altavilla, avallandone l’incoronazione e investendolo del regno. Ruggero presta così l’omaggio, dichiarandosi vassallo della Chiesa.
Intorno al 1000 i primi Normanni giungono a piccoli gruppi nel Mezzogiorno d’Italia, diviso tra Longobardi, Bizantini e Musulmani, mettendo le loro capacità militari al servizio delle formazioni politiche di un’area percorsa da endemica conflittualità. Il motivo fondamentale che li spinge a trasferirsi nel Mezzogiorno, abbandonando le terre natie, consiste nella notevole crescita demografica dei luoghi d’origine che, riguardando anche le famiglie nobiliari, ne minaccia stabilità e ricchezze. Questi primi avventurieri sono perciò solitamente cadetti delle famiglie della nobiltà normanna e puntano consapevolmente verso uno spazio di confine – la Sicilia musulmana si trova a due passi e il Mezzogiorno si protende come un ponte naturale verso il Mediterraneo orientale – militarmente conteso. Le entità politiche dell’area sono i principati longobardi di Benevento, Capua e Salerno, nonché i ducati bizantini di Gaeta, Napoli, Sorrento e Amalfi, solo nominalmente dipendenti da Bisanzio, che invece governa direttamente su Puglia, Basilicata e gran parte della Calabria. Queste stesse entità sono a loro volta attraversate da spinte intestine autonomistiche e particolaristiche intestine.
In questo contesto si inseriscono i primi mercenari normanni che, raggiunta l’Italia meridionale una prima volta nel 999 al ritorno da un viaggio in Terrasanta, si mettono ben presto al servizio del principe di Salerno, Guaimario IV – indicato talvolta come Guaimario V –, consentendogli di sottomettere temporaneamente Amalfi, Sorrento e Gaeta. I mercenari normanni comprendono che il Mezzogiorno offre ampi margini di accrescimento alla loro intraprendenza militare e politica: si inseriscono così, da protagonisti, nelle lotte tra potentati locali, offrendo la loro professionalità bellica a seconda dell’entità dei compensi conseguiti. Sono gruppi tra loro indipendenti, al cui interno iniziano a spiccare le figure di alcuni capi, a cominciare da Rainulfo Drengot che, combattendo per Sergio IV, duca di Napoli , contro il principe di Capua, Pandolfo IV, viene ricompensato nel 1030 con la concessione in qualità di conte del primo feudo normanno dell’Italia meridionale: Aversa, un piccolo centro, che però, ben presto, proprio in virtù della presenza normanna, si trasforma in una vera e propria città, conseguendo il rango vescovile, discrimine fondamentale nel Medioevo per distinguere un qualunque centro abitato da una città.
Da Aversa i successori di Drengot si espandono verso Capua, conquistata da Riccardo Quarrel nel maggio del 1062. Nel frattempo iniziano a emergere altri capi normanni, soprattutto tra quelli al servizio dei principi di Salerno contro i Bizantini. Nelle loro mani cadono buona parte della Puglia e della Basilicata, e in particolare Melfi dal 1041. Tra i Normanni impegnati nella lotta contro i Bizantini in Puglia assume una posizione di rilievo la famiglia Altavilla, composta da parecchi fratelli, da Guglielmo Braccio di Ferro a Unfredo, fino a Roberto soprannominato il Guiscardo, cioè l’Astuto, e Ruggero.
A metà dell’XI secolo la potenza normanna nel Mezzogiorno diventa un problema non solo per i signori locali, ma anche per i pontefici, tanto da indurre Leone IX a guidare una coalizione contro quelli che ormai vengono percepiti come sovvertitori dell’equilibrio del potere nell’area. La sconfitta di questa coalizione nel 1053 a Civitate, in Puglia, può essere letta come momento di svolta della penetrazione normanna nel Sud. Il papa viene imprigionato e liberato solo quando, mutando atteggiamento, riconosce le ultime conquiste di Riccardo Quarrel e di Unfredo, ricevendone in cambio sostegno militare. Questa intesa con il papato viene ulteriormente rafforzata a Melfi nel 1059: Riccardo Quarrel e Roberto il Guiscardo giurano fedeltà a papa Niccolò II, ottenendo il primo il titolo di principe di Capua, il secondo quello di duca di Puglia, Calabria e, soprattutto, Sicilia, una terra ancora in mano musulmana, la cui conquista si configura come una sorta di crociata.
La conquista è intrapresa da Roberto il Guiscardo e dal fratello minore Ruggero, tra il 1061 e il 1091. L’isola è una terra particolarmente vivace dal punto di vista economico e culturale, e la conquista normanna si attua cercando di non lacerare più del necessario il tessuto sociale e soprattutto di non sprecare le competenze amministrative degli isolani di cultura greca o di fede islamica. Vengono così poste le premesse per la realizzazione di un regno multiculturale che, pur reggendosi su fragili equilibri di coesistenza, destinati poi necessariamente a crollare, rimane un fenomeno estremamente originale nel panorama politico del tempo.
Alla conquista completa dell’isola si dedica in particolare Ruggero divenendo Granconte di Sicilia, mentre Roberto il Guiscardo completa l’espansione nel Mezzogiorno continentale, prendendo Bari nel 1071, Amalfi e gran parte dell’Abruzzo nel 1073 e Salerno nel 1076. Da questo momento inizia la vera e propria proiezione mediterranea dei Normanni che guardano verso Oriente e tentano di intraprendere la conquista dell’Impero bizantino. Roberto, però, momentaneamente costretto a impegnarsi sul fronte interno, muore presso Cefalonia, nel 1085, in procinto di sferrare un poderoso attacco a Bisanzio. La morte del Guiscardo scopre la realtà eminentemente feudale dei suoi possedimenti: una costruzione politica instabile, lacerata dalle ostilità tra nobili e tra città, che tentano di costruirsi spazi di autonomia sempre più ampi. Per tutte queste ragioni i successori del Guiscardo, Ruggero Borsa e il figlio di questi Guglielmo II avranno serie difficoltà a mantenere l’unità dei loro possedimenti.
La svolta giunge alla morte di Guglielmo, quando il secondogenito del Granconte Ruggero, Ruggero II d’Altavilla, ritiene giunto il momento di impadronirsi del retaggio dei principi di Capua.
Dopo una fortunata spedizione nel continente sottomette tutto il Mezzogiorno d’Italia e si fa proclamare re di Sicilia con il nome di Ruggero II. Si viene così a creare uno spazio politico che, tra alti e bassi e nonostante la spaccatura prodotta dalla rivolta del Vespro a partire dalla fine del secolo XIII, segna la storia della penisola italiana fino alla seconda metà del XIX secolo. La storiografia ha spesso enfatizzato le caratteristiche politiche del Regno di Sicilia, sottolineandone l’unitarietà che lo renderebbe un unicum nel panorama delle monarchie feudali del tempo. Tale ottimistico giudizio è probabilmente da rivedere. È comunque vero che durante il governo di Ruggero II la monarchia prospera e in Sicilia le componenti greca e islamica della popolazione sono in grado non solo di vivere sostanzialmente indisturbate, ma anche di partecipare all’amministrazione statale. Ruggero, infatti, in continuità con l’operato paterno, per la cancelleria e per le finanze del neonato regno si giova dell’apporto di funzionari greci e musulmani, depositari di conoscenze e di pratiche notevolmente più evolute, raffinate e adatte a soddisfare le necessità del regno rispetto a quelle dell’Europa cristiana. Questa conduzione pragmatica del regno ha un risvolto altrettanto evidente nella politica estera del sovrano che prosegue nell’espansionismo mediterraneo, mettendo in secondo piano la proiezione politica verso il continente europeo.
Tuttavia, già dal 1154 con il successore di Ruggero, Guglielmo I, poi soprannominato il Malo, le problematiche soggiacenti alla condizione feudale del regno prendono il sopravvento. I feudatari vecchi e nuovi (molti cavalieri nordeuropei continuano a trasferirsi nel regno) tentano di limitare il potere regio, talvolta sconfinando nella rivolta aperta, e sostanzialmente accrescono il loro peso specifico nel regno anche sotto Guglielmo II, detto il Buono, che tenta di mantenere l’equilibrio precario della sua monarchia anche nella consapevolezza di non poter avere legittimi eredi. Per questo motivo fa sposare Costanza, ultima figlia postuma del nonno Ruggero II, al giovane figlio di Federico I Barbarossa, Enrico, prefigurando per il suo regno una proiezione europea che avrebbe definitivamente stravolto le componenti di coesistenza e originalità che caratterizzano le fasi migliori della storia del regno normanno di Sicilia. La società siciliana in particolare risulta pesantemente trasformata alla fine del XIII secolo: i Musulmani dell’isola, ormai sentiti come un corpo estraneo, si asserragliano in alcune aree della Sicilia occidentale per essere in seguito debellati da Federico II di Svevia, mentre l’apporto di forza-lavoro proveniente dall’Italia centro-settentrionale altera in maniera decisiva il volto multiculturale dell’isola, diffondendo usi, costumi e valori delle terre d’origine.