I nuovi enti locali di area vasta
La riforma dell’enteprovincia nelle varie declinazioni che può assumere (abolizione, modifica del relativo ruolo, riforma razionalizzatrice) è un problema da molti anni dibattuto e che deve essere risolto attraverso una stabile scelta ordinamentale. La concreta istituzione delle città metropolitane rappresenta la necessaria traduzione sul piano normativo ed istituzionale dell’esistenza di realtà socioeconomiche e territoriali che meritano una differenziata considerazione. La l. 7.4.2014, n. 56 fornisce una prima non irrazionale risposta ad entrambe le questioni e la sentenza C. cost. n. 50/2015 ne conferma la coerenza ordinamentale.
Si può certamente affermare che la posizione ed il ruolo delle province e delle città metropolitane rappresentano profili tra i più problematici nel dibattito sull’organizzazione pubblica e sulle funzioni amministrative1.
A seguito della l. 7.4.2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)2, il dibattito sugli enti locali di area vasta sembra però avviato ad un approdo ordinamentale, non unanimemente condiviso ma ragionevole (e comunque non più rinviabile). Le varie ipotesi che si sono alternate (abolizione, rivisitazione, mantenimento puro e semplice o con razionalizzazione) vedono ora l’affermarsi di una scelta, rafforzata dalla sent. C. cost., 26.3.2015, n. 50 (Pres. Criscuolo, Red. Morelli), che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse da alcune Regioni. In estrema sintesi, si può dire che la provincia (nella prospettiva di attuazione della l. n. 56/2014 e di approvazione del d.d.l. costituzionale n. 1429-B-AS-XVII legisl., v. infra) non avrà più autonoma e distinta posizione costituzionale tra i livelli in cui si riparte la Repubblica e sarà una figura soggettiva strutturalmente formata dai comuni ricompresi, per l’esercizio associato di funzioni che richiedono decisioni congiunte e con valenza sovracomunale. La città metropolitana, per ora coincidente con la provincia omonima e titolare sostanzialmente delle medesime funzioni, è però destinata ad essere attributaria di compiti più ampi e incisivi, in ragione del peculiare contesto socioeconomico che rappresenta, e a mantenere in pieno la propria distinta posizione costituzionale nel sistema delle autonomie.
Le valutazioni della dottrina circa la scelta compiuta sono state molto variegate ed anche negative e pure la sentenza del giudice delle leggi è stata talora criticata3. tuttavia, vi sono ora tutti i presupposti per completare ed implementare la riforma, sancendola a livello costituzionale e valorizzandola nella legislazione di settore sulle funzioni amministrative da collocare a livello di area vasta, pure considerando che i principi della l. n. 56/2014 sono rilevanti anche per le regioni a statuto speciale, salvo il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta per l’assenza ivi delle comuni province (co. 5 e 145), nonché per Roma Capitale (co. 101-103).
Per comprendere l’ineludibilità attuale dell’esigenza di completamento della riforma, si deve ricordare che nell’imminenza e subito dopo l’istituzione delle regioni a statuto ordinario (1970) veniva meno la posizione della provincia4 quale ente intermedio tra Stato e comuni, unico livello di decentramento sovracomunale. Pertanto, già all’epoca, si iniziò a parlare di abolizione delle province, in quanto viste come non più necessarie (dopo l’istituzione delle regioni) ed in quanto la loro origine storica e fondamento differiva da quello dei comuni e non aveva la medesima (e neppure analoga) giustificazione. La dottrina più autorevole rimarcava «che nel momento in cui la società chiede un “supplemento di democrazia”» la «critica investe a fondo anche la provincia, di cui si pone in luce la inadeguatezza e, in certi casi, l’incongruenza della dimensione territoriale, il carattere artificiale»5.
Come è noto, la provincia è di origine molto più recente rispetto al comune e rappresenta una creazione dello Stato unitario, basata sulla individuazione delle città di maggiore importanza per attribuire ad essa la configurazione di capoluogo provinciale, con l’aggregazione di un certo numero di comuni limitrofi e vicini6. È interessante ricordare che tra le 109 province presenti alla data di entrata in vigore della l. n. 56/2014, solo 58 furono istituite all’epoca dell’unificazione (1861), 10 nei decenni immediatamente successivi, 22 nel periodo fascista, 2 prima dell’attuazione delle regioni a statuto ordinario (Taranto nel 1951 e Pordenone nel 1968), 2 subito dopo l’istituzione di esse (Isernia nel 1970 e Oristano nel 1974) e addirittura 15 negli anni più recenti (Barletta-Andria-Trani nel 2004; Biella nel 1992; Carbonia-Iglesias nel 2001; Crotone nel 1992; Fermo nel 2004; Lecco nel 1992; Lodi nel 1992; Medio Campidano nel 2001; Monza e Brianza nel 2004; Ogliastra nel 2001; Olbia-Tempio nel 2001; Prato nel 1992; Rimini nel 1992; Verbano Cusio Ossola nel 1992; Vibo Valentia nel 1992).
Tuttavia, negli anni settanta e seguenti, il dibattito sulle province non approdò a concrete ipotesi di riforma del loro ruolo nel sistema dei poteri locali, sibbene alla creazione – in alcune regioni – di un nuovo ente, questa volta intermedio tra provincia e comune, con l’inevitabile, conseguente complicazione per un sistema amministrativo che si sarebbe voluto – invece – razionalizzare. Tale ente intermedio venne identificato nei comprensori7, istituiti con legge regionale; peraltro, questi nuovi enti o le loro declinazioni (associazioni intercomunali e simili) non giunsero mai ad avere funzioni (tendenzialmente) generali o fortemente plurisettoriali, a causa della persistente presenza delle province, sulle quali la legge statale non veniva ad incidere.
Peraltro, con la l. 8.6.1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali) e soprattutto con le successive leggi amministrative, tra le quali si deve specificamente ricordare il d.lgs. 31.3.1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) la posizione della provincia venne molto rafforzata, facendo così tramontare – in tale periodo temporale – le ipotesi di abolizione della provincia, tanto che la revisione disposta con la l. cost. 18.10.2001, n. 3 (Modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione), la conseguente l. 5.6.2003, n. 113 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3) e lo stesso testo di l. cost. approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera recante Modifiche alla parte II della Costituzione (che tuttavia non superò il vaglio del referendum popolare) sancirono tutti la posizione costituzionale delle province ed il loro ruolo amministrativo identificato in quello di un vero e proprio livello territoriale distinto dagli altri, rappresentativo di una comunità locale propria.
Prima della l. n. 56/2014, si registrava dunque un ordinamento amministrativo nel quale le città metropolitane, pure se previste dalla l. n. 142/1990, non erano state ancora istituite e le province erano configurate come ente territoriale distinto sia dal comune che dalla regione, con propri organi direttamente eletti e deputati alla cura di un livello di interessi pubblici distinto e specifico, auspicabilmente da coordinare ma non per questo convergente con quello dei comuni. Nel contempo, poiché molte delle funzioni spettanti ai comuni dovevano – per esigenze di adeguatezza – essere esercitate in forma associata, erano presenti molteplici forme associative tra comuni, che la stessa legislazione statale e regionale di settore prevedeva come da costituire, salvo poi tentarne la razionalizzazione8.
Questo plurimo (e talora duplicativo) sistema di poteri locali trovò un consolidamento nel d.lgs. 18.8.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Dopo aver illustrato lo scenario ordinamentale in cui si è inserita la l. n. 56/2014, non senza – come si è detto – un acceso dibattito9, si può procedere a richiamare sinteticamente i principali enunciati della sent. C. cost. n. 50/2015 e ciò permetterà di delineare i caratteri della riforma e di riscostruire l’odierna posizione e le prospettive per le città metropolitane e le province.
Alla esposizione sistematica dei giudizi espressi attorno alla l. n. 56/2014 dalla Corte Costituzionale si deve premettere un richiamo ai tentativi compiuti dal legislatore, negli anni più recenti, per la razionalizzazione delle province e la conseguente configurazione dell’ente di area vasta, anche con riguardo alle città metropolitane.
2.1 I tentativi di riordino da parte del legislatore
Con l’art. 15 del d.l. 13.8.2011, n. 138, disposizione soppressa nella legge di conversione 14.9.2011, n. 148, si era tentato il dimezzamento dei consiglieri e assessori provinciali, stabilendosi – tra l’altro – che: «In attesa della complessiva revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale, a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono soppresse le province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati».
Con l’art. 23, co. 14 ss. del d.l. 6.12.2011, n. 201 conv. in l. 22.12.2011, n. 214 (disposizione dichiarata incostituzionale a causa della fonte utilizzata, v. più avanti) si era gradatamente stabilito che: alla provincia spettassero «esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze»; gli organi provinciali fossero solo il consiglio (composto da non più di dieci membri) e il presidente della provincia, non più direttamente eletto dai cittadini; le funzioni di amministrazione giuridica puntuale attribuite alla provincia venissero trasferite con leggi statali e regionali ai comuni o, laddove vi fossero esigenze di esercizio unitario, assegnate alla regione.
Con gli artt. 17 e 18 del d.l. 6.7.2012, n. 95, conv. in l. 7.8.2012, n. 135 (anche essi dichiarati incostituzionali, anzitutto a causa dell’impiego della decretazione d’urgenza, v. infra) veniva disposto: il riordino delle province con accorpamenti delle stesse in base alla dimensione territoriale ed alla popolazione residente10 nonché la ricollocazione delle loro funzioni differenti da quelle di indirizzo e coordinamento; l’istituzione delle città metropolitane con soppressione delle province del relativo territorio; nonché conseguentemente a quanto sopra, i criteri e le modalità, anche in relazione alla dimensione demografica e collocazione territoriale, dell’esercizio associato di funzioni da parte dei comuni (art. 19).
Tuttavia, per le ragioni sinteticamente richiamate, nessuna di queste disposizioni ha avuto concreto sviluppo applicativo. Pertanto, la l. n. 56/2014 è la prima fonte normativa che ha determinato la riforma delle province.
2.2 La coerenza ordinamentale della l. n. 56/2014
La sent. n. 50/201511 segue un percorso motivazionale del tutto conforme alla precedente giurisprudenza costituzionale dimostrando che da tempo e nonostante quanto in contrario sembrasse di poter ricavare dal novellato titolo V, parte II Cost., si sarebbe potuto disporre un riordino dell’ente locale di area vasta nel sistema dei poteri locali e delle funzioni che esso deve o può esercitare, anche attraverso la riconfigurazione dei relativi organi e apparati. Nella rassegna di tale giurisprudenza si partirà dal quella più recente, per cogliere con maggiore immediatezza le valutazioni del giudice delle leggi effettuate proprio quando il problema della riforma delle province era stato già affrontato dal legislatore (v. supra 2.1); il riferimento anche alla giurisprudenza anteriore, sui temi qui considerati, sarà comunque importante per verificare la coerenza e continuità delle motivazioni.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 19.7.2013, n. 220, pur dichiarando l’illegittimità costituzionale delle norme sulle province e città metropolitane introdotte con l’art. 23, co. 14 ss. del d.l. n. 201/2011 e con gli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95/201212, ha tuttavia precisato che la pronuncia di incostituzionalità non entra «nel merito delle scelte compiute dal legislatore» per la finalità di riordino delle province e non comporta la conclusione «che sull’ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale – indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost. o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale». Pertanto, la Corte Costituzionale aveva già ritenuto ammissibile un riordino delle province mediante legge ordinaria senza, ovviamente, soppressione o radicale trasformazione del carattere dell’ente (ad es. retrocedendolo da “locale” a “strumentale”), purché senza mutamento delle circoscrizioni provinciali – non possibile se stabilito al di fuori delle procedure di cui all’art. 133 Cost. – anche laddove fosse disposto con semplice accorpamento degli enti.
Per parte sua, la Corte Costituzionale, con sentenza dell’8.5.2009, n. 144 aveva evidenziato che «le pur rilevanti modifiche introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 … non comportano una innovazione tale da equiparare pienamente tra loro i diversi soggetti istituzionali» che pure tutti compongono l’ordinamento repubblicano, e dunque non si deve ritenere omogenea la stessa condizione giuridica di fondo dello Stato, delle regioni e degli enti territoriali13, posto che le varie categorie di enti territoriali «dispongono di poteri profondamente diversi tra loro (sent. n. 274 del 2003) nell’ambito delle relative competenze». Il giudice delle leggi ha ritenuto pertanto che l’elencazione contestuale di cui all’art. 114 Cost. riguardi solo l’identificazione degli enti come componenti essenziali della Repubblica e non impedisca al legislatore statale di innovare e differenziare in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali, rispettivamente, di comuni, province e città metropolitane (art. 117, co. 2, lett. p, Cost.).
In particolare, circa il profilo che, più degli altri, ha attirato l’attenzione degli operatori e degli interpreti e cioè il superamento dell’elezione popolare diretta degli organi dell’ente di area vasta, stabilito dalla l. n. 56/2014, la Corte Costituzionale, con sentenza del 10.7.1968, n. 96 aveva già affermato che il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo degli enti locali territoriali è presente «anche in caso di elezioni di secondo grado e, conseguentemente, non può escludersi la possibilità di siffatte elezioni, che, del resto sono prevedute dalla Costituzione proprio per la più alta carica dello Stato (art. 83)». Inoltre, la stessa pronuncia ha sottolineato il rilievo, nelle elezioni di secondo grado, dell’elettorato attivo attribuito ad un cittadino eletto dal popolo in sua rappresentanza; soluzione, appunto, presente nella l. n. 56/2014 ove l’elettorato attivo e passivo è circoscritto agli eletti nel comune.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 50/2015, pur nell’incisività che la caratterizza, inquadra le varie problematiche della disciplina generale delle città metropolitane e delle province e – come evidenziato – risulta coerente con la precedente giurisprudenza costituzionale; sicché, da un lato, non può essere valutata come sbrigativa e, dall’altro, offre una solida base per gli approfondimenti e gli sviluppi normativi. Quelli che vengono qui di seguito evidenziati sono i passaggi motivazionali più rilevanti per ricostruire gli esatti contorni e la portata della riforma introdotta con la l. n. 56/2014.
La mancanza di un riferimento alla “istituzione della città metropolitana” nel testo dell’art. 117, co. 2, lett. p), di cui all’elenco delle competenze legislative esclusive dello Stato, non comporta l’applicazione della clausola di residualità di cui al co. 4 del medesimo art. 117, sia perché resterebbero comunque riservati allo Stato i profili concernenti “legislazione elettorale” “organi di governo” e “funzioni fondamentali”, sia perché la menzione della città metropolitana nell’art. 114 Cost. impone alla Repubblica il dovere della sua istituzione, non potendosi avere modalità di disciplina e struttura diversificate da regione a regione senza contrastare con il disegno costituzionale, che presuppone livelli di governo con disciplina uniforme, almeno con riguardo ai loro elementi essenziali. A conferma della costituzionalità della scelta compiuta, si deve considerare, altresì, che la città metropolitana è destinata a subentrare integralmente alle omonime province esistenti, la cui istituzione è di competenza statale.
Non sussiste violazione dell’art. 133, co. 1, Cost. perché la l. n. 56/2014 realizza una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, senza però arrivare – a differenza di precedenti ipotesi formulate – alla soppressione dei livelli territoriali previsti in Costituzione.
La legge ha dunque solo determinato l’avvio della nuova articolazione degli enti locali cui potranno eventualmente seguire più incisivi interventi di rango costituzionale.
Si deve peraltro considerare che la l. n. 56/2014 non manca di prevedere espressamente «l’iniziativa dei comuni, ivi compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe» ai fini dell’adesione (sia pure ex post) alla città metropolitana, testualmente «ai sensi dell’articolo 133, primo comma della Costituzione» e «nell’ambito della procedura di cui al predetto articolo 133», il che – per implicito – comporta – ad avviso del giudice delle leggi – la speculare facoltà di uscirne da parte dei comuni della provincia elevata a città metropolitana.
Ancora, il modello di governo di secondo grado adottato dalla legge n. 56/2014 è conforme a Costituzione perché la natura costituzionalmente necessaria degli enti previsti dall’articolo 114 Cost. ed il loro carattere autonomistico, derivante dall’art. 5 Cost., non implicano l’automatica indispensabilità che gli organi di governo di tutti questi enti siano direttamente eletti. La giurisprudenza costituzionale ha, del resto, già in precedenza escluso la totale equiparazione tra i diversi livelli di governo territoriale, con possibilità di diversificare i modelli di rappresentanza politica tra i vari livelli, anche perché il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo del territorio non viene meno in caso di elezioni di secondo grado. Il significato della materia “legislazione elettorale” non riguarda specificamente ed esclusivamente un procedimento di elezione diretta, essendo invece riferibile ad entrambi i modelli.
La Carta europea dell’autonomia locale ha natura di documento di indirizzo e comunque nella parte in cui prevede che almeno uno degli organi collegiali sia “freely elected” (art. 3) va intesa nel senso sostanziale della esigenza di una effettiva rappresentatività dell’organo rispetto alle comunità interessate, non essendo dunque esclusa la possibilità di una elezione indiretta, purché siano previsti meccanismi alternativi che comunque permettano di assicurare una reale partecipazione dei soggetti portatori degli interessi coinvolti. Nella l. n. 56/2014 tali meccanismi sussistono perché è imposta la sostituzione di coloro che sono componenti “rationae muneris” dell’organo indirettamente eletto, quando venga meno il munus (art. 1, co. 25 e co. 65 e 69).
La l. n. 56/2014 non viola l’art. 138 Cost. perché il procedimento ivi previsto è obbligatorio nel solo caso di soppressione delle province e non anche in quello, che ricorre nel caso di specie, di riordino dell’ente medesimo.
Per la giustificazione costituzionale del modello di governo di secondo grado delle province valgono le medesime ragioni, sopra riportate, riguardo alle città metropolitane.
Non sussiste violazione di principi costituzionali nel riordino delle funzioni ancora attribuite alle province e nello scorporo di quelle attribuite ad altri enti, perché la l. n. 56/2014 disegna un dettagliato meccanismo di determinazione delle intere funzioni, all’esito del quale la provincia continuerà ad esistere quale ente territoriale “con funzioni di area vasta”, le quali peraltro si riducono a quelle qualificate “fondamentali” (elencate nel co. 85) ed a quelle meramente eventuali indicate nei co. 88 e 90: una importanza centrale nel richiamato complesso procedimento di riordino riveste l’Accordo in Conferenza unificata, quale accordo-quadro deputato all’individuazione, in primo luogo, del concreto perimetro delle funzioni fondamentali e, di conseguenza, alla determinazione delle altre funzioni oggetto di possibile trasferimento. Peraltro, essendo concretamente intervenuto l’Accordo Stato-Regioni, sancito nella Conferenza unificata dell’11 settembre 2014, cui ha fatto puntualmente seguito il d. P.C.M. 26.9.2014, la Corte ha dichiarato cessata la materia del contendere relativamente al processo di redistribuzione delle funzioni previsto dalla l. n. 56/2014.
La questione di legittimità costituzionale della previsione di un potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzie delle regioni rispetto all’attuazione del citato Accordo, è infondata perché vi è l’esigenza di garantire che le attività attualmente svolte dalla province siano mantenute in capo ai nuovi enti destinatari, senza soluzione di continuità, nell’interesse dei cittadini e della comunità nazionale.
2.3 L’avvio condiviso del riordino degli enti di area vasta
Fermo quanto dichiarato dalla Corte Costituzionale, non è irrilevante – sul piano dell’effettività – che le critiche alla l. n. 56/2014 non siano state così forti o così convincenti da arrestare o ritardare il processo attuativo della legge.
Le regioni hanno tempestivamente emanato le proprie leggi sul riordino delle funzioni amministrative di area vasta, in applicazione dei criteri di riparto indicati nella l. n. 56/2014 (co. 46 e 89)14.
Per parte loro, le città metropolitane e le province, con deliberazioni delle conferenze metropolitane e delle assemblee dei sindaci su proposta dei relativi consigli eletti, hanno approvato i nuovi statuti con largo anticipo rispetto alla scadenza indicata dalla legge nel 30.6.2015 (co. 17 e 81)15.
Del resto, anche a livello statale erano stati tempestivamente adottati alcuni atti necessari all’attuazione
della l. n. 56/2014. Ci si riferisce, in particolare, allo Accordo tra il Governo e le Regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell’articolo 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56, concernente l’individuazione delle funzioni di cui al comma 89 (dello stesso articolo) oggetto del riordino e delle relative competenze sancito dalla Conferenza Unificata con atto n. 106/CU dell’11 settembre 2014 nonché al d.P.C.M. 26.9.2014 (Criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l’esercizio delle funzioni provinciali).
Si può dunque notare che, nei fatti, la riforma di cui alla l. n. 56/2014 è stata largamente accettata sul territorio nazionale, ancor prima che la Corte Costituzionale si pronunciasse con la sentenza qui considerata. Peraltro, la sentenza n. 50/2015 rappresenta il suggello di conformità all’ordinamento costituzionale di una riforma che ora presenta tutti i presupposti per essere compiutamente applicata.
2.4 Precisazioni sulle prospettive di revisione costituzionale
Il disegno di legge costituzionale n. 1429-B-AS-XVII legisl. è stato approvato, in sede di prima deliberazione, dal Senato l’8.8.2014 e poi approvato, con modificazioni, in sede di prima deliberazione della Camera il 10.3.2015. Il testo attualmente all’esame del Parlamento nel formulare le modifiche al titolo V, parte II della Cost., contiene varie norme rilevanti per il tema qui considerato.
L’art. 29, il cui titolo recita «Abolizione delle province», sopprime il riferimento alle province nel 1 e 2 co. dell’art. 114. Considerando che i titoli esterni ed interni delle leggi non hanno valore normativo ma limitatamente interpretativo, ciò non comporterà necessariamente la scomparsa dell’ente dall’ordinamento amministrativo, ma unicamente il disconoscimento per esso della posizione e garanzia costituzionali, che resterebbero solo per regioni, città metropolitane e comuni. Questa lettura è confermata da un confronto con l’anteriore d.d.l. costituzionale n. 1543-AC-XVII legisl. (poi abbandonato), presentato dal precedente governo; in esso compariva un autonomo comma (art. 1, co. 1) ove si prevedeva: «Sono abolite le province». Tale statuizione non è più presente e rimane solo la rubrica dell’articolo, non sufficiente – come detto – a rivestire una efficacia dispositiva. Ed infatti, l’odierno d.d.l. cost. presuppone la permanenza di un ente di area vasta intermedio tra regioni e comuni, considerandolo in una disposizione che fa espresso riferimento alle città metropolitane, annoverate – pur nella loro specialità e differenziazione – tra gli enti di area vasta16.
In conseguenza della predetta modifica all’art. 114 Cost., il testo di revisione costituzionale non menziona più le province nelle altre disposizioni ove vengono considerati: la potestà regolamentare degli enti locali (art. 117), le loro funzioni amministrative (art. 118) la rispettiva autonomia finanziaria di entrata e di spesa ed il finanziamento delle loro funzioni (art. 119), il distacco e l’aggregazione dell’ente locale da una regione ad un’altra (art. 132), il mutamento della circoscrizione territoriale dell’ente locale (art. 133).
Oltre a quanto già rilevato a proposito della persistente presenza degli enti di area vasta nel disegno di revisione costituzionale, è importante sottolineare il modo con cui si propone di modificare l’art. 117, co. 2, lett. p), Cost. La competenza legislativa esclusiva dello Stato che, ivi, è attualmente riferita alla materia della «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», sarà riferita a «ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni» (cfr. art. 30 del d.d.l.). Questo progetto di disposizione costituzionale lascia comprendere che le province, molto verosimilmente, rimarranno nell’ordinamento come forma associativa di Comuni e cioè esattamente nel modo in cui sono state disciplinate dalla l. n. 50/2014.
La riforma della l. n. 56/2014 si poggia su due criteri che si possono chiaramente ricavare dal suo impianto, apparentemente un poco confuso, perché assai innovativo nella semplicità delle soluzioni adottate. Di solito le riforme dell’organizzazione amministrativa sono disposte attraverso la soppressione di figure soggettive, la loro liquidazione e la parallela (non sempre contestuale) creazione di nuove figure soggettive deputate a prendere il posto delle altre. Dunque, per lo più si hanno due processi, oltretutto non sempre adeguatamente correlati.
Nella riforma che qui si considera vi è stata invece trasformazione, in senso proprio, come quella che è nota in ambito civilistico (cfr. art. 2498 c.c.), senza dunque soppressione di una figura soggettiva e creazione di una nuova al posto di essa, ma invece con continuità di situazioni pur nella rinnovata veste e nel riordino delle funzioni. In sostanza, si è avuto un processo razionalizzatore delle forme che, però, è accompagnato da un significativo mutamento sostanziale.
La concreta istituzione delle città metropolitane era ormai ineludibile e la loro creazione attraverso la trasformazione delle attuali, corrispondenti province ha reso il processo lineare e diretto.
La configurazione dei nuovi enti di area vasta quali enti composti da Comuni, come è reso palese dalla disciplina sulla formazione dei loro organi, ne rimarca il carattere di forma associativa tra Comuni, con le peculiarità ed il modo di operare tipico delle forme di cooperazione o consortili, che dir si voglia: non ci si trova di fronte ad una figura soggettiva titolare di suoi propri interessi pubblici, perché gli interessi che essa persegue sono quelli dei consorziati curati attraverso una struttura organizzativa comune a tutti, perché relativa ad azioni ed interventi che devono essere decisi ed attuati su area vasta.
In sostanza, l’ente di area vasta è una figura organizzativa unica per tutti i comuni ricompresi, che assume le decisioni (e prima ancora vede formati i propri organi) con il metodo democratico delle espressioni di maggioranze e che serve per svolgere determinate “fasi” (cfr. art. 2602 c.c.) dei complessivi compiti spettanti al livello locale più vicino ai cittadini, rappresentato dai comuni che però non possono sempre agire singolarmente ma debbono spesso cooperare.
Certamente, il compito del legislatore regionale per la redistribuzione delle competenze locali e circa l’esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni non sarà semplice. Ma la stessa regione, così come lo Stato, dovranno tenere conto della ormai acquisita presenza di un ente di area vasta, rappresentato a seconda del territorio interessato, dalla provincia o dalla città metropolitana, entrambe proiezioni dei comuni, con la conseguente necessità di non moltiplicare ed anzi di ridurre le (altre) forme associative, se non negli essenziali casi in cui sussistano esigenze di decentramento minori o fattori di specialità di carattere tecnico che consiglino il ricorso ad agenzie territoriali piuttosto che a forme associative.
1 Cfr. per tutti l’ampia panoramica in Fabrizzi, F., La Provincia. Analisi dell’ente locale più discusso, Napoli, 2012; Bartolini, A. Pioggia, A., Cittadinanze amministrative, Relazioni al Convegno 1865-2015 a 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana, Firenze 1516 ottobre 2015; Romano, M.C., Enti locali. Provincia e Città metropolitana (dir. amm.), in Diritto on line Treccani, 2014.
2 Per un commento alle varie disposizioni della l. n. 56/2014 cfr. anzitutto Contessa, C., Province e città metropolitane: la l. n. 56/2014, in Libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015, 205 ss., nonché Fabrizzi, F. Salerno, G.M., a cura di, La riforma delle autonomie territoriali nella legge Delrio, Napoli, 2014; Pizzetti, F., La riforma degli enti territoriali, città metropolitane, nuove province e unioni di comuni, Milano, 2015; Sterpa, A., a cura di, Il nuovo governo dell’area vasta. Commento alla legge 7 aprile 2014 n. 56, Napoli, 2014; Vandelli, L., Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni, Rimini, 2014.
3 Data l’importanza della questione e l’amplissimo dibattito, i richiami devono essere ampi e perciò si ricordano: Baccetti, C., Il capro espiatorio. La Provincia nell’evoluzione del sistema politico italiano, in Ist. fed., 2014, 285 ss.; Caravita, B., Abrogazione o razionalizzazione delle Province, in federalismi.it, 18/2006; Carpino, R., Le Province: percezione sociale, ruolo e prospettive, in federalismi.it, 3/2008; Ciapetti, L., Il territorio tra efficienza e sviluppo: la riforma delle province e le politiche di area vasta, in Ist. fed., 2014, 251 ss.; Civitarese Matteucci, S., La garanzia costituzionale della Provincia in Italia e le prospettive della sua trasformazione, in Ist. fed., 2011, 467; Forte, P., Il percorso costitutivo delle città metropolitane: nascita di un ente territoriale, in Ist. fed., 2014, 333 ss.; Gorlani, M., La “nuova” Provincia: l’avvio di una rivoluzione nell’assetto territoriale italiano, in Forum Quad. cost.; Groppi, T., Soppressione delle Province e nuovo titolo V (audizione davanti alla I commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, 30 luglio 2009), in federalismi.it, 15/2009; Lucarelli, A., La sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015. Considerazioni in merito all’istituzione delle città metropolitane, in federalismi.it, 8/2015; Manganaro, F.Viotti, M., La provincia negli attuali assetti istituzionali, in federalismi.it, 4/2012; Merloni, F., Sul destino delle funzioni di area vasta nella prospettiva di una riforma costituzionale del Titolo V, in Ist. fed., 2014, 215 ss.; Mone, D., La sentenza della Corte costituzionale n. 50/2015 e la Carta europea dell’autonomia locale: l’obbligo di elezione diretta tra principi e disposizioni costituzionali, in Forum Quad. cost.; Pastore, F., Dimensione degli interessi pubblici, conferimento delle funzioni amministrative e riordino territoriale, in federalismi.it, 3/2012; Pizzetti, F., La legge Delrio: una grande riforma in un cantiere aperto. Il diverso ruolo e l’opposto destino delle città metropolitane e delle province, in Rivista AIC, 3/2015; Salerno, M.G., Sulla soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza all’istituzione delle Città Metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, in federalismi.it, 1/2014; Salerno, M.G., La sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni efficientistiche o neocentralismo repubblicano di impronta statalistica?, in federalismi.it, 7/2015; Spadaro, A., La sentenza cost. n. 50/2015. Una novità rilevante: talvolta la democrazia è un optional, in Rivista AIC, 2/2015; Sterpa, A., Un “giudizio in movimento”: la Corte costituzionale tra attuazione dell’oggetto e variazione del parametro del giudizio, in federalismi.it, 8/2015; Tubertini, C., Area vasta e non solo: il sistema locale alla prova delle riforme, in Ist. fed., 2014, 197 ss.; Ursi, R., L’abolizione delle Province in Sicilia: resoconto semiserio di una rivoluzione in progress, in Ist. fed., 2014, 319 ss.; Vandelli, L., La legge “Delrio” all’esame della Corte: ma non meritava una motivazione più accurata?, in Forum Quad. cost.
4 Sulla posizione e l’evoluzione normativa concernente le province, resta fondamentale il volume a cura di A. Amorth, Le province, Milano, 1968, con contributi di G. Vignocchi, L. Mazzarolli, V. Italia, R. Gianolio, G. Berti, M. Angelici, F. Bassi, C. Ribolzi, M. Golda Perini, A. Albini e M. Forlani.
5 Roversi Monaco, F., Commento allo statuto della Regione Emilia-Romagna, Milano, 1972, 160.
6 Cfr. Staderini, F., Diritto degli enti locali, X ed., Padova, 2003, 36.
7 In argomento v. Clarizia, A., Il comprensorio: nuovo modello organizzativo per l’amministrazione locale, in Nuova rass., 1974, 2069 ss.; Nigro, M., Gli enti pubblici con dimensione territoriale definita: problemi vecchi ed esperienze nuove, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 531 ss.; Pototschnig, U., Comprensorio, in NSS. D. I., Appendice, II, Torino, 1981, 120 ss.
8 Cfr. l’art. 2, co. 186 e 186-bis della l. 23.12.2009, n. 191 e l’art. 14, co. 25 ss. del d.l. 31.5.2010, n. 78 conv. in l. 30.7.2010, n. 122.
9 Anche la dottrina è stata molto coinvolta nel dibattito politico. Si cfr. l’Appello alle commissioni affari costituzionale e ai gruppi parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, in federalismi.it, 21/2013, datato 13.10.2003 sottoscritto da 42 professori universitari di diritto amministrativo, diritto costituzionale e diritto pubblico di varie Università italiane (primo firmatario G.C. De Martin). A questo appello critico nei confronti del d.d.l. ha fatto riscontro la raccolta di Pareri in merito ai dubbi di costituzionalità del DDL n. 1542, del 29.10.2013, presentata con relazione introduttiva di F. Pizzetti, e recante i contributi di 17 professori universitari delle sopra indicate discipline.
10 Era stata emanata, al riguardo, la deliberazione del Consiglio dei ministri 20.7.2012, recante i criteri puntuali per il riordino.
11 Già prima della pronuncia del giudice delle leggi, la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità delle nuove norme sulle province era stata ravvista dal TAR Puglia, Lecce, I, 3.12.2014, n. 3035 (Pres. Cavallari, Est. Lattanzi), per vari motivi corrispondenti a quelli poi enunciati dalla Corte Costituzionale.
12 È stata ravvisata la violazione dell’art. 77 Cost. a causa dell’incompatibilità dello strumento normativo del decretolegge per l’introduzione di norme ordinamentali relative all’assetto degli enti locali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, essendo il d.l. concepito nella Costituzione solo per interventi specifici e puntuali o per misure meramenteorganizzative. È stata inoltre ravvisata la violazione dell’art. 133, co. 1, Cost. per la modifica delle circoscrizioni provinciali prevista dal legislatore statale senza la previa iniziativa dei comuni interessati ed il parere della regione, rilevando l’indefettibilità del procedimento previsto dal cit. art. 133, considerando che «l’iniziativa di modificare le circoscrizioni provinciali – con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori» deve essere «il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’altro».
13 Così anche C. cost., 7.11.2007, n. 365.
14 L.r. Calabria 22.6.2015, n. 14 (Disposizioni urgenti per l’attuazione del processo di riordino delle funzioni a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56); l.r. Emilia-Romagna 30.7.2015, n. 13 (Riforma del sistema di Governo regionale e locale e disposizioni su Città metropolitana di Bologna, Province, Comuni e loro Unioni); l.r. Liguria 10.4.2015, n. 15 (Disposizioni di riordino delle funzioni conferite alle province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”); l.r. Lombardia 8.7.2015, n. 19 (Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il riconoscimento della specificità dei territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”); l.r. Marche 3.4.2015, n. 13 (Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative esercitate dalle Province); l.r. Toscana 3.3.2015, n. 22 (Riordino delle funzioni provinciali e attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”. Modifiche alla legge regionale n. 32/2002, alla legge regionale n. 67/2003, alla legge regionale n. 41/2005, alla legge regionale n. 68/2011 e alla legge regionale n. 65/2014); l.r. Umbria 2.4.2015, n. 10 (Riordino delle funzioni amministrative regionali, di area vasta, delle forme associative di Comuni e comunali Conseguenti modificazioni normative); l.r. Sicilia 4.8.2015, n. 15 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane).
15 Salvo, ad es., il caso della città metropolitana di Reggio Calabria, per la quale la legge stessa (co. 18) prevede una costituzione differita ed il caso della città metropolitana di Venezia, ove il comune capoluogo era commissariato ex art. 141 t.u.e.l. per avvenute dimissioni del sindaco.
16 L’art. 40, co. 4 del d.d.l. cost. stabilisce: «Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale. Il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione».