I nuovi regolamenti per la professione forense
La legge di riforma dell’ordinamento professionale forense, l. 31.12.2012, n. 247, ha innovato in modo consistente lo statuto della professione. L’ampio perimetro dell’intervento normativo ha reso necessaria la previsione di un’articolata serie di provvedimenti attuativi, affidati ad una pluralità di fonti. Tale opera di integrazione della norma primaria ha avuto inizio nel 2013 ed è quasi ultimata. Il presente lavoro si intrattiene su alcuni dei regolamenti pubblicati negli ultimi dodici mesi, tra il settembre del 2015 e l’agosto del 2016.
La l. 31.12.2012, n. 247, nel dettare la disciplina del nuovo ordinamento professionale forense, ha affidato la normativa di integrazione ed esecuzione ad una variegata serie di fonti, rappresentate da tre decreti legislativi, quindici decreti ministeriali, il codice deontologico emanato dal Consiglio nazionale forense (C.N.F.), quattordici regolamenti del C.N.F., ai quali vanno aggiunti due tipologie di regolamenti affidati ai consigli dell’ordine circondariali e un regolamento della Cassa forense.
Qui ci si occupa di alcuni dei più recenti regolamenti attuativi, pubblicati negli ultimi dodici mesi, tra il settembre del 2015 e l’agosto del 2016.
Oltre ai regolamenti trattati nel presente lavoro, nell’arco di tempo indicato sono stati pubblicati anche il d.m. 12.8.2015, n. 143 (G.U. 15.9.2015, n. 214), relativo alla pubblicità dell’avvio delle procedure per l’esame di abilitazione, il d.m. 4.2.2016, n. 23 (G.U. 1.3.2016, n. 50), relativo all’individuazione delle categorie di liberi professionisti che possono partecipare alle associazioni tra avvocati, il d.m. 17.3.2016, n. 58 (G.U. 2.5.2016, n. 101), relativo al tirocinio presso gli uffici giudiziari, e il d.m. 13.7.2016, n. 156 (G.U. 11.8.2016, n. 187), relativo al funzionamento e alla convocazione dell’assemblea degli ordini.
Quanto ai regolamenti ministeriali, l’art. 1, co. 3, l. n. 247/2012, nel fare riferimento all’art. 17, co. 3, l. 23.8.1988, n. 400, prevede un procedimento molto articolato, che passa attraverso un parere del C.N.F., da esprimersi sentiti i consigli dell’ordine e le associazioni forensi costituite da almeno cinque anni, individuate dal C.N.F. come maggiormente rappresentative1. Prevede altresì il parere delle Commissioni parlamentari competenti.
È opportuno precisare che per parte dei regolamenti ministeriali previsti dalla l. n. 247/2012 non è richiamato il procedimento di cui all’art. 1, co. 3 (regolamenti di cui agli artt. 12, 15, 41, 43, 44, 46 e 47).
Nel presente lavoro ci si occupa di cinque dei regolamenti in questione, recati dai decreti ministeriali relativi alle specializzazioni, all’accertamento dell’esercizio della professione forense, all’esame di Stato e al tirocinio e dal regolamento del C.N.F. relativo all’albo speciale degli avvocati abilitati all’esercizio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Il d.m. 12.8.2015, n. 144 (G.U. 15.9.2015, n. 214) contempla il Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell’articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247.
Si tratta di una delle innovazioni introdotte dalla l. n. 247/2012.
Il regolamento fissa i settori di specializzazione (art. 3) – con norma che è stata annullata dal TAR del Lazio con le sentenze 14.4.2016, nn. 4424, 4426 e 4428 –, stabilisce che il titolo di specialista non possa essere conseguito in più di due di essi (stesso art. 3), prevede la modifica e l’aggiornamento del relativo elenco con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 1, co. 3, l. n. 247/2012 (art. 4), stabilisce che i consigli dell’ordine tengano gli elenchi degli avvocati specialisti (art. 5), prevede che al conferimento del titolo, ad opera del C.N.F. (art. 2), si pervenga, nel regime ordinario, tramite due canali: i percorsi formativi (art. 7) e la comprovata esperienza (art. 8).
Il canale d’accesso rappresentato dai percorsi formativi (art. 7) precisa che essi consistono in corsi di specializzazione organizzati dall’Università, il cui inizio presuppone la verifica di conformità, ad opera del Ministero della giustizia, dei programmi alle previsioni del regolamento e alle linee generali da elaborarsi a cura di una commissione permanente istituita presso il Ministero della giustizia. Per l’organizzazione dei corsi è prevista la stipulazione di convenzioni con l’Università da parte del C.N.F. e dei consigli dell’ordine. È in facoltà del C.N.F. stipulare le convenzioni anche d’intesa con le associazioni specialistiche maggiormente rappresentative di cui all’art. 35, co. 1, lett. s), l. n. 247/2012, mentre ciò rappresenta un obbligo per i consigli dell’ordine. I corsi devono avere durata almeno biennale e didattica non inferiore a duecento ore (di cui almeno 100 di didattica frontale), con obbligo di frequenza almeno 80% della durata del corso e con previsione della prova, scritta e orale, al termine di ciascun anno di corso.
Il secondo canale, quello della comprovata esperienza (art. 8), richiede la dimostrazione di avere maturato un’anzianità di iscrizione ininterrotta di almeno otto anni e di avere esercitato, negli ultimi cinque anni, in modo assiduo, prevalente e continuativo l’attività in uno dei settori di specializzazione, mediante la produzione di documentazione comprovante la trattazione, nel quinquennio, di incarichi fiduciari rilevanti per quantità e qualità almeno nella misura di quindici per anno, non potendosi tenere conto degli affari che hanno ad oggetto medesime questioni giuridiche e necessitano di analoga attività difensiva.
Per mantenere il titolo, poi, è necessario, ogni tre anni, documentare l’adempimento degli obblighi di formazione permanente nel settore di specializzazione (art. 9).
Il titolo può essere mantenuto a mezzo dell’aggiornamento professionale specialistico ovvero a mezzo dell’esercizio continuativo nel settore di specializzazione (artt. 10 e 11).
L’art. 12, infine, disciplina la revoca del titolo.
Il regolamento 20.11.2015, n. 1 sostituisce il precedente regolamento 16.7.2014, n. 5 e disciplina i corsi per l’accesso all’albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Anche in questo caso si tratta di un’innovazione introdotta dalla riforma dell’ordinamento forense, che ha riscritto (art. 22) l’accesso all’albo speciale, affidandolo, a regime, oltre che al tradizionale esame di cui alla l. 28.5.1936, n. 1003, ed al r.d. 9.7.1936, n. 14822, alla lodevole e proficua frequenza della Scuola superiore dell’avvocatura, possibile una volta maturata un’anzianità di otto anni di iscrizione nell’albo.
I corsi sono organizzati dal C.N.F. per il tramite della Fondazione scuola superiore dell’avvocatura, a mezzo della sezione denominata Scuola superiore dell’avvocatura per cassazionisti, e sono banditi annualmente dal C.N.F. (artt. 2 e 3).
Prevedono una prova di preselezione (artt. 3 e 4), la frequenza al corso (artt. 6-8) e una verifica finale di idoneità (art. 9).
Nella domanda il candidato indica la materia (tra diritto processuale civile, diritto processuale penale e giustizia amministrativa) sulla quale verteranno:
i) i due terzi delle domande della prova di preselezione;
ii) il modulo specialistico del corso;
iii) la verifica finale di idoneità (stesso art. 3).
Requisiti per l’accesso ai corsi sono, tra l’altro, l’avere svolto effettivamente la professione, documentando di avere patrocinato, negli ultimi quattro anni, almeno dieci giudizi dinanzi ad una corte d’appello civile, ovvero almeno venti giudizi dinanzi ad una corte d’appello penale, ovvero almeno venti giudizi dinanzi alle giurisdizioni amministrative, tributarie e contabili, e l’avere superato la prova di preselezione (art. 4).
Tale prova consiste di un test a risposta multipla, articolato su trentasei domande, due terzi delle quali vertenti sulla materia prescelta dal candidato (e le altre nelle materie del diritto processuale civile, del diritto processuale penale, della giustizia amministrativa e della giustizia costituzionale, in ragione di tre per ciascuna di esse); il test è superato con la risposta corretta ad almeno due terzi delle domande (art. 4).
Il corso (art. 6) ha una durata di cento ore e si articola in un modulo comune, di venti ore, di prevalente carattere teorico, concernente il diritto processuale civile, il diritto processuale penale e la giustizia amministrativa, ed in uno specialistico, scelto dall’iscritto tra tre moduli di ottanta ore ciascuno, concernenti ognuno una delle tre materie ora indicate, nei quali vengono trattati altresì orientamenti recenti delle giurisdizioni superiori e profili di giustizia costituzionale e vengono svolte esercitazioni pratiche (redazione di atti destinati alla correzione e discussione in aula).
La verifica finale di idoneità (art. 9) si articola in una prova scritta, consistente nella redazione di un ricorso per cassazione in materia civile o penale, o in un atto d’appello al Consiglio di Stato.
Il d.m. 25.2.2016, n. 47 (G.U. 7.4.2016, n. 81) contempla il Regolamento recante disposizioni per l’accertamento dell’esercizio della professione forense.
È stato adottato in attuazione dell’art. 21 l. n. 247/2012, norma finalizzata a mantenere iscritti negli albi coloro che esercitino in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente l’attività professionale.
L’art. 2 prevede che la verifica triennale di questo requisito, prevista dall’art. 21, co. 2, l. n. 247/2012, non venga svolta per cinque anni dalla prima iscrizione. Stabilisce altresì che il requisito in parola ricorra quando l’iscritto:
i) sia titolare di partita IVA attiva o faccia parte di società o associazione professionale munita di partita IVA attiva;
ii) abbia l’uso di locali e di un’utenza telefonica, anche con altri avvocati (in associazione, società, associazione di studio, ovvero presso un altro avvocato o in condivisione con altri avvocati);
iii)abbia trattato almeno cinque affari per ciascun anno, anche se l’incarico è conferito da altro professionista;
iv) sia titolare di un indirizzo PEC comunicato all’ordine;
v) abbia assolto all’obbligo di aggiornamento professionale secondo le prescrizioni del C.N.F.;
vi) abbia in corso un’assicurazione a copertura della responsabilità civile professionale, ai sensi dell’art. 12 l. n. 247/2012.
La norma tra l’altro prevede che l’obbligo relativo all’assicurazione decorra dall’adozione del decreto ministeriale di cui al medesimo art. 12.
L’art. 3 stabilisce che la cancellazione dall’albo è disposta, previa interlocuzione con l’iscritto, quando viene accertata la mancanza dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione e l’avvocato non dimostra la sussistenza di giustificati motivi. Il provvedimento di cancellazione è impugnabile dinanzi al C.N.F. e la decisione del C.N.F. è ricorribile dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
È possibile una nuova iscrizione, dopo dodici mesi nel caso di cancellazione per difetto dei numero minimo di affari trattati o dell’aggiornamento professionale, senza limitazioni temporali negli altri casi, qualora l’istante dimostri di avere acquisito i relativi requisiti.
Con il d.m. 25.2.2016, n. 48 (G.U. 7.4.2016, n. 81) è stato dettato il Regolamento recante disciplina delle modalità e delle procedure per lo svolgimento dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense e per la valutazione delle prove scritte e orali.
Si tratta di norme che in larga parte riprendono quelle previgenti, ma che si caratterizzano in modo particolare per la grande attenzione nel garantire condizioni di effettiva parità tra i candidati e di trasparenza nelle procedure.
È opportuno ricordare che con l’art. 2 ter, co. 1, d.l. 31.12.2014, n. 192, convertito con modificazioni dalla l. 27.2.2015, n. 11, il termine di due anni previsto dall’art. 49 l. n. 247/2012 è stato elevato a quattro anni, con la conseguenza che il nuovo regime si applicherà alle sessioni successive al 2 febbraio 2017.
Queste le novità principali di cui al d.m. n. 48/2016.
L’art. 3 prevede un articolato sistema di trasmissione al presidente della commissione distrettuale dei temi, protetti da un meccanismo di crittografia a chiavi asimmetriche.
L’art. 4 (Svolgimento delle prove scritte) prevede che i locali degli esami siano sottoposti al monitoraggio dello spettro radioelettrico, con schermatura delle frequenze della telefonia cellulare e dei collegamenti wi-fi. La norma stabilisce anche che i candidati possano portare solo testi di legge, riprendendo l’art. 46, co. 7, l. 247/2012, che innovativamente esclude i commenti e le citazioni giurisprudenziali. Il tempo per ogni prova scritta è ridotto da sette a sei ore (art. 4, co. 6).
L’art. 5 (Correzione delle prove scritte) stabilisce che il voto deve essere espresso, anziché dopo la lettura di tutti e tre gli elaborati (art. 23, co. 5, r.d. 22.1.1934, n. 37), dopo la lettura di ciascun elaborato (co. 6). Quando l’elaborato è valutato negativamente deve esserne data motivazione dalla quale risultano gli elementi posti alla base del giudizio (co. 7). Tale norma va ad integrare la previsione del co. 5 dell’art. 46 l. 247/2012, ove si prevede che la commissione annoti le osservazioni positive o negative nei vari punti di ogni elaborato e che esse costituiscano la motivazione del voto (va ricordato che l’art. 46, co. 4, l. n. 247/2012, nel confermare che all’orale vengono ammessi i candidati che hanno conseguito un punteggio complessivo di almeno 90 punti, ha modificato quanto stabilito dall’art. 17 bis, co. 2, r.d. n. 37/1934, prevedendo, quale requisito aggiuntivo, il conseguimento di un punteggio non inferiore a 30 punti in ciascuna prova, anziché in almeno due prove).
Quanto alla prova orale, è il caso di ricordare che la l. n. 247/2012 ne ha modificato l’oggetto, nella sostanza rendendo “obbligatorie” le materie del diritto civile e penale e delle procedure civile e penale, con l’aggiunta dell’ordinamento e deontologia forensi.
L’art. 6 d.m. n. 48/2016 disciplina in modo del tutto innovativo la prova orale, stabilendo che al candidato, dopo l’illustrazione della prova scritta, vengano poste delle domande individuate mediante estrazione svolta con modalità informatiche da un data base che dovrà essere realizzato, insieme al programma informatico di estrazione delle domande, entro un anno dalla pubblicazione del d.m. in commento (co. 4 e 5). Tale sistema verrà utilizzato a decorrere dalla terza sessione di esami successiva alla pubblicazione del decreto con il quale verrà attestata la sua piena operatività (art. 8, co. 3) e l’alimentazione del data base avverrà attraverso domande formulate dalle commissioni e dalle sottocommissioni dopo la conclusione delle prove orali e verificate da una commissione istituita presso il Ministero della giustizia (art. 7).
È previsto un regime transitorio, applicabile alle sessioni di esame successive al 2 febbraio 2017 (termine di cui all’art. 49 l. n. 247/2012, modificato dal d.l. n. 192/2014 di cui si è detto), così articolato:
i) fino alla pubblicazione del decreto attestante l’operatività del nuovo sistema le commissioni e le sottocommissioni predisporranno per ogni seduta un congruo numero di domande tra le quali il candidato estrarrà manualmente quelle sulle quali dovrà rispondere (art. 8, co. 1);
ii) per le prime due sessioni di esame successive alla pubblicazione di tale decreto le domande verranno predisposte nel modo indicato al punto i) che precede, ma verranno inserite nel data base (art. 8, co. 2).
La valutazione della prova orale (per la quale ogni componente della commissione dispone di dieci punti per ogni materia) dovrà avvenire distintamente per ogni materia (art. 6, co. 7) e, nel caso di valutazione negativa, dovrà esserne data motivazione dalla quale risultino gli elementi posti a base del giudizio.
A tale proposito mette conto ricordare che anche su questo punto la l. n. 247/2012 ha modificato il regime previgente. Mentre infatti secondo quest’ultimo (art. 17 bis, co. 5, r.d. n. 37/1934) era necessario il raggiungimento di 180 punti, con un punteggio non inferiore a 30 per almeno cinque prove, l’art. 46, co. 12, l. n. 247/2012 richiede il conseguimento di un punteggio non inferiore a trenta in ciascuna materia.
Il d.m. 17.3.2016, n. 70 (G.U. 19.5.2016, n. 116) contempla il Regolamento recante disciplina per lo svolgimento del tirocinio per l’accesso alla professione forense ai sensi dell’articolo 41, comma 13, della legge 31 dicembre 2012, n. 247.
Esso si applica ai tirocini iniziati a partire dalla sua entrata in vigore, mentre a quelli in corso a tale data continua ad applicarsi la normativa previgente, ferma la riduzione a diciotto mesi e la facoltà del praticante di valersi delle modalità alternative di svolgimento del patrocinio (art. 1, co. 2).
L’art. 2 disciplina il tirocinio contestuale a rapporto di lavoro, previsto dall’art. 41, co. 4, l. n. 247/2012.
Il tirocinio deve essere svolto con assiduità (presenza presso lo studio o comunque svolgimento di attività sotto la supervisione dell’avvocato per almeno venti ore settimanali; assistenza ad almeno venti udienze per semestre, escluse quelle di mero rinvio; collaborazione effettiva allo studio delle controversie e alla redazione di atti e pareri), diligenza, riservatezza e nel rispetto della deontologia (art. 3, co. 1).
Nel caso di sostituzione di un periodo di pratica presso lo studio professionale con una delle forme alternative previste, deve essere comunque svolto il tirocinio per almeno sei mesi presso un avvocato o l’Avvocatura dello Stato (art. 3, co. 2).
Il praticante deve in ogni caso frequentare con profitto, per almeno diciotto mesi, i corsi di formazione di cui all’art. 43 l. n. 247/2012 (art. 3, co. 3).
Il patrocinio ha una durata di diciotto mesi e deve svolgersi ininterrottamente (art. 4, co. 1 e 3).
Gli artt. 4 e 7 regolano gli effetti dell’interruzione prevedendo i casi nei quali essa può ritenersi giustificata, con conseguente sospensione del tirocinio, e che nel caso di interruzione ultrasemestrale senza giustificato motivo si dia luogo alla cancellazione e il periodo di pratica svolto rimanga privo di effetti.
L’art. 5 disciplina l’anticipazione di un semestre durante gli studi universitari, condizionandone l’ammissibilità alla stipulazione di convenzioni da parte dei consigli dell’ordine con le locali istituzioni universitarie, in attuazione di una convenzione quadro che il C.N.F. deve stipulare, entro un anno dall’entrata in vigore del regolamento in parola, con la Conferenza dei presidi delle facoltà di giurisprudenza, che deve prevedere modalità del tirocinio idonee a garantire frequenza dei corsi, proficua conclusione degli studi ed effettiva frequenza dello studio per almeno dodici ore alla settimana, fermo l’obbligo di frequenza dei corsi di formazione di cui all’art. 43 l. n. 247/2012.
Per l’ammissione all’anticipazione lo studente deve essere in regola con lo svolgimento degli esami e avere ottenuto il riconoscimento dei crediti in diritto civile, diritto processuale civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto dell’Unione europea (art. 5, co. 3). L’art. 5, co. 4 e 5, poi, disciplina ipotesi di perdita di effetti del periodo di patrocinio.
L’art. 6 regola lo svolgimento di un semestre di tirocinio in altro Paese dell’Unione europea. Il diniego del riconoscimento del periodo di pratica può essere impugnato dinanzi al C.N.F.
L’art. 8 prevede che il consiglio dell’ordine di iscrizione controlli l’effettivo e proficuo svolgimento del tirocinio, anche mediante la verifica del libretto del tirocinio, colloqui periodici, assunzione di informazioni e richiesta di documentazione. Accerta altresì l’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente (co. 3 e 4).
L’art. 8, co. 6, disciplina il rilascio del certificato di compiuta pratica, prevedendo che nel caso in cui la verifica svolta dia risultati insufficienti, prima di negare l’attestazione del compimento della pratica, deve sentire il praticante e l’avvocato presso il quale è stato svolto il tirocinio. Possono non essere convalidati anche singoli semestri. Contro i dinieghi del consiglio dell’ordine può essere proposto ricorso al C.N.F.
L’art. 9, infine, si riferisce all’abilitazione all’esercizio della professione in sostituzione dell’avvocato, che l’art. 41, co. 12, l. n. 247/2012 ha innovativamente regolato, introducendo il patrocinio sostitutivo, di regola quinquennale, e stabilendo l’ambito nel quale può essere esercitato. La norma regolamentare prevede, in particolare, che detto patrocinio possa essere esercitato una volta prestato l’impegno solenne di cui al co. 3 della norma.
Sommariamente illustrate le previsioni dei cinque regolamenti di cui sopra, mette conto soffermarsi più in dettaglio su alcuni di essi.
Tra le innovazioni più significative della l. n. 247/2012 vi è l’introduzione delle specializzazioni.
L’art. 9 ha dettato le linee generali della materia (i canali di accesso al titolo – percorsi formativi e comprovata esperienza –, l’affidamento al C.N.F. del compito di attribuirlo e revocarlo, il principio che il suo conseguimento non comporta riserva di attività professionale), rimettendo la normativa di attuazione ad un regolamento ministeriale.
Il Ministro ha provveduto con il d.m. n. 214/2015, che ha suscitato da subito una serie di critiche e perplessità in ordine ad alcuni snodi “strategici”, in particolare con riferimento ai settori di specializzazione, al modo di documentare la comprovata esperienza, alla valutazione della stessa.
È stata così posta in rilievo, sotto il primo profilo, la disomogeneità dei settori di specializzazione, prevista in alcuni casi per grandi branche (diritto amministrativo, diritto penale, diritto del lavoro, diritto delle relazioni familiari, delle persone e dei minori) e in altri casi segmentando in modo eccessivo settori del diritto pubblico o del diritto privato che potevano essere raggruppati3. Più in generale è stata lamentata un’eccessiva frammentazione del diritto civile (oltre che il mancato autonomo riconoscimento di settori rilevanti, quale la responsabilità civile), dinanzi al mantenimento del diritto penale e del diritto amministrativo quali settori unitari, con le conseguenti asimmetrie formative (un corso di duecento ore in settori quali il diritto penale o il diritto amministrativo non può di certo avere lo stesso grado di approfondimento di un corso della stessa durata in settori quale il diritto successorio)4 e informative, derivanti, le seconde, dalla verosimile maggiore facilità di ottenere il titolo per comprovata esperienza in settori sostanzialmente “onnicomprensivi” quali, ancora, il diritto penale ed il diritto amministrativo.
Il regolamento è stato impugnato dinanzi al TAR del Lazio, che, con le sentenze n. 4424, n. 4426, n. 4427 e n. 4428 del 14.4.2016 lo ha parzialmente annullato, quanto all’elenco dei settori di specializzazione e alla previsione di un colloquio dinanzi al C.N.F. sulle materie comprese nel settore di specializzazione, nel caso di domanda fondata sulla comprovata esperienza.
Sotto il primo aspetto il TAR ha rilevato che non è dato cogliere il principio logico che ha presieduto alla scelta delle diciotto materie, non risultando rispettato né un criterio codicistico, né un criterio fondato sulle competenze degli organi giurisdizionali, né un criterio di coincidenza con gli insegnamenti universitari, dovendo essere considerato che la normativa regolamentare va funzionalizzata alla finalità di rendere il mercato dei servizi legali «più leggibile per i consumatori».
Quanto al secondo aspetto il TAR ha posto in evidenza l’irragionevolezza della previsione per la sua genericità, non essendo disposto alcunché circa il contenuto del colloquio e le modalità dello stesso.
La vicenda giudiziaria non è conclusa, talché non è dato prevedere quali potranno esserne gli sviluppi.
Va però ricordato che molto opportunamente il regolamento prevede, all’art. 4, la possibilità che l’elenco dei settori di specializzazione venga modificato e aggiornato con decreto ministeriale. Ed è senz’altro auspicabile che questo diventi il “tavolo” sul quale risolvere il complicato problema di un equilibrato assetto del sistema.
Dallo scioglimento di questo nodo dipende il concreto avvio delle specializzazioni, che vedrà un altro momento fondamentale nel lavoro della commissione permanente presso il Ministero (art. 7), che dovrà dettare le linee generali per la definizione dei programmi dei corsi di formazione specialistica e nel successivo coinvolgimento, ad opera delle istituzioni forensi, delle associazioni specialistiche maggiormente rappresentative, onde garantire una formazione che sia effettivamente orientata all’esercizio professionale.
Il legislatore del 2012 con l’art. 21 ha inteso introdurre il principio per il quale l’iscrizione negli albi è riservata a coloro che esercitino effettivamente la professione quale attività (quanto meno) prevalente, affidando ad un regolamento l’individuazione delle modalità di accertamento dell’esercizio professionale effettivo, continuativo abituale e prevalente.
I primi commenti al regolamento adottato dal Ministero (d.m. n. 47/2016) hanno evidenziato alcune criticità interpretative.
Un primo tema è rappresentato dal requisito della trattazione di «almeno cinque affari per ciascun anno, anche se l’incarico professionale è stato conferito da altro professionista» (art. 2, co. 1, lett. c). Deve trattarsi di cinque “nuovi” affari per anno, oppure un affare la cui trattazione si protragga per più di un anno può essere valorizzato più volte? E ancora: quale è il significato del riferimento al conferimento dell’incarico da parte di altro professionista? Vi è chi ha ritenuto che per ciascun anno l’iscritto debba indicare cinque nuovi incarichi, posto che si tratterebbe davvero del “minimo” per potersi parlare di abitualità e continuità e che gli incarichi a mandato congiunto, quali ad esempio la mera domiciliazione, possano essere considerati solo per il dominus, anche per non favorire fenomeni elusivi5; vi è chi invece ha sostenuto che anche una domiciliazione possa rilevare6. La lettera della norma, interpretata alla luce della sua ratio, pare invero suggerire che sia dirimente l’avere “effettivamente” trattato cinque affari in un anno, potendo così trattarsi ad esempio anche della stessa causa, i cui adempimenti si siano protratti per più di un anno, e non potendo escludersi gli incarichi di domiciliazione, naturalmente alla condizione che abbiamo comportato l’effettiva trattazione.
Sotto un altro profilo ci si è chiesti se i giustificati motivi oggettivi o soggettivi che consentono di evitare la cancellazione nel caso di accertamento della mancanza dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente (art. 3, co. 1) siano quelli già indicati dalla legge (art. 21, co. 7: maternità, adozione, affidamento della prole, malattia, assistenza di congiunto non autosufficiente), ovvero possano essere anche altri, rimessi alla discrezionale valutazione del consiglio dell’ordine. A chi preferisce la prima opzione interpretativa7 pare di poter opporre che il testo delle norme in esame non sembra autorizzare questa conclusione, posto che le situazioni contemplate nell’art. 21, co. 7, della legge integrano casi nei quali «[l]a prova dell’effettività, continuità, abitualità e prevalenza non è, in ogni caso, richiesta» e perciò casi nei quali neppure si pone il problema di giustificare la mancanza dei requisiti di cui all’art. 2 del regolamento.
Note
1 È previsto anche il parere della Cassa forense per le materie di interesse della stessa.
2 Sul quale la l. n. 247/2012 è intervenuta con l’ult. co. dell’art. 22.
3 Così Scarselli, G., Il regolamento ministeriale per il titolo di avvocato specialista, in Foro it., 2015, V, 413 s., che si riferisce al diritto dell’Unione europea separato dal diritto internazionale, al diritto agrario separato da quello dei diritti reali o di proprietà, al diritto dell’esecuzione forzata separato dalle procedure concorsuali, al diritto commerciale separato da quello industriale, da quello fallimentare e da quello bancario.
4 Scarselli, G., Il regolamento, cit., 414.
5 Scarselli, G., L’accertamento della continuità e dell’effettività dell’esercizio della professione forense, in Foro it., 2016, V, 145 s.
6 Bacci, M., I requisiti per rimanere iscritti all’albo degli avvocati, La previdenza forense, 2016, fasc. 1, 69.
7 Scarselli, G., L’accertamento, cit., 144 s., il quale osserva che opinando diversamente e cioè consentendo la valutazione discrezionale di altri motivi, si potrebbero determinare disparità di trattamento tra ordine e ordine, mentre le regole devono essere uguali per tutti, pena il venire meno del significato della disposizione della legge.