I panegirici bizantini dal VII al XV secolo
Il modello costantiniano alla corte di Costantinopoli
Costantino non è un topos della letteratura encomiastica bizantina, dal momento che l’atto di rivolgersi all’imperatore non esige che si faccia esplicita menzione del fondatore di Costantinopoli1. Appunto per questo motivo, analizzare questo tema è utile per capire sia le dinamiche culturali in atto nel cerimoniale di corte, sia la percezione che il cerimoniale di corte stesso ha del primo imperatore romano cristiano, che è insieme il creatore dell’aspetto monumentale della città. Di norma Costantino è richiamato come modello di pietà cristiana (εὐσέβεια), mentre solo occasionalmente è evocata la sua visione della croce in cielo. Considerata la particolarità delle circostanze nelle quali emerge la figura del primo imperatore che scelse Bisanzio per fondare la nuova capitale dell’Impero, occorre seguire un percorso cronologico nel trattare dei rari panegirici che sono incentrati su Costantino.
Il primo testo che menziona esplicitamente Costantino è un panegirico composto dal più importante poeta del VII secolo: Giorgio di Pisidia2. È una poesia dedicata al ritorno della croce di Cristo, custodita nel S. Sepolcro a Gerusalemme, finché non fu rimossa e trasferita a Ctesifonte dai persiani nel 614. L’imperatore Eraclio3 nel 626 riuscì a sconfiggere i persiani, a mettere fine all’Impero sasanide e a riportare la croce forse a Costantinopoli. In tale occasione, Giorgio di Pisidia improvvisò l’unico suo testo che tratta anche di Costantino:
Sia Costantino il Grande a glorificarti nella tua magnificenza: nessun altro sarebbe in grado di celebrare le tue lodi. O Costantino mostrati un’altra volta alla città di Roma! Reca il tuo plauso al figlio tuo per come ha saputo ripristinare i tuoi domini, ch’egli aveva ricevuti in uno stato di grande confusione. Conviene che tu ora lasci la città celeste per unirti alle nostre danze di gioia nella città terrena. Triste ed afflitto era il tuo spirito, fino a quando non sapesti che la croce aveva fatto nuovamente ritorno, vittoriosa: la Croce che tu per la prima volta rinnovasti celata nel suo sito originario, e che il figlio tuo ricondusse nei luoghi primigeni non solo dopo che era stata nascosta, ma dopo che era giunta alle fornaci ardenti dei persiani. La provvidenza di Dio ti ha dato infatti un figlio come se fosse apparso un Nuovo Costantino fortificato dal legno che dà la vita4.
Il passo riflette precisamente il collegamento, ben presente nella mentalità bizantina, fra Costantino, la visione della croce in cielo e il ruolo militare della croce come νικηφόρον («apportatrice di vittoria») e segno del sostegno divino a un’impresa ortodossa. In effetti, come si vede ben sintetizzato nel passo di Giorgio di Pisidia, la figura di Costantino è spesso associata a imprese militari e insieme a manifestazioni di pietà religiosa.
Non deve neppure sorprendere la natura poetica del testo: come ben spiega Ermogene di Tarso (III secolo), la massima autorità in ambito retorico per i letterati bizantini, la distinzione tra poesia e prosa non altera né il contenuto né lo scopo di un’opera letteraria5. Tale intuizione rende la lettura dei testi bizantini indubbiamente complessa, in quanto le distinzioni classiche tra prosa e poesia o tra differenti stili si attenuano fino a scomparire in alcuni autori. Per Ermogene è il contenuto a dettare la forma di volta in volta più adatta, la sola che permetta di ottenere la δεινότης, ossia l’efficacia retorica e l’eleganza: occorre quindi che la forma si adatti allo scopo.
La libertà concessa agli scrittori bizantini da Ermogene di Tarso non dà luogo a una letteratura anarchica, ma a strutture che, nella loro diversità, risultano utili alla società. Occorre, infatti, non dimenticare che la manualistica costituita dalla letteratura panegiristica viene a quest’epoca scritta per persone che intendono sì continuare a leggere i classici dell’antichità, ma anche scrivere opere nuove, in sintonia coi bisogni del proprio tempo. Sotto questo profilo, i panegirici o encomi rappresentano opere importanti, perché composte all’interno di un universo politico e culturale in cui il modo di rivolgersi all’autorità imperiale determina le sorti di una persona o di una comunità. Menandro il Retore descrive la maniera in cui comporre un encomio imperiale, da lui denominato βασιλικὸς λόγος, ossia «discorso imperiale»6. Schematicamente, esso è costituito di quattro parti principali: 1. i proemi (generalmente tre); 2. la persona (patria, famiglia, nascita, natura, educazione e abitudini della stessa); 3. azioni (da lei compiute in guerra e in pace, con le rispettive virtù); 4. epilogo (fortuna della persona in oggetto, confronto con altre persone, conclusioni, invocazione della stessa). Tale struttura consente facilmente l’identificazione del genere ‘encomio imperiale’, anche se nessuna delle suddette sezioni è di per sé obbligatoria. Nei loro encomi, i retori spesso si riferiscono direttamente a questo schema e si hanno esempi in cui essi ne parlano apertamente per annunciare l’omissione di una o più sezioni. Anche in questi casi, l’autore adatta il contenuto allo scopo della propria opera. Tale libertà fa sì che fra panegirista e imperatore si stabilisca quasi una sorta di compromesso, in cui ci si impegna a rispettare gli interessi di entrambi, considerato che in effetti il testo verrà letto alla presenza di membri del Senato, dell’esercito e della Chiesa. L’encomio, infatti, è a Bisanzio uno dei rari casi di genere letterario pubblico, con la conseguenza che a formarne l’uditorio siano rappresentanti di correnti politiche, culturali e di pensiero piuttosto differenti fra loro.
Indubbiamente sorprende che dopo Giorgio di Pisidia non vi sia stato a Bisanzio alcun βασιλικὸς λόγος sino alla fine del regno di Basilio I, nel 886. La spiegazione di ciò va probabilmente cercata sia nella mancata trasmissione degli encomi dedicati agli imperatori iconoclasti, regnanti tra il 727 e l’843, sia nel giudizio negativo che di Michele III (843-867) si fecero i suoi successori. Nondimeno, anche i pochi encomi, che ancora si conservano del periodo compreso tra il 867 e 10257, non presentano alcuna menzione di Costantino, e la stessa cosa si registra nei numerosi encomi dell’XI secolo8.
Costantino risalta nella cultura dell’elogio di età comnena. È notevole che nessun encomio accenni al primo imperatore propriamente bizantino dal tempo di Eraclio sino all’ascesa di Alessio I Comneno nel 1081. Ancor più sorprendente è che ogni imperatore della dinastia comnena (1081-1185) sia protagonista di encomi, nei quali si indica l’esempio di Costantino il Grande. Il motivo di questo interesse è probabilmente la crisi determinata dalla drastica riduzione territoriale che proprio un decennio prima aveva mutilato l’Impero, che nel 1071 si era trovato di colpo privato, per mano dei normanni, di tutta l’Italia meridionale, con l’assedio finale di Bari, e per mano dei turchi selgiuchidi di tutto l’entroterra anatolico, dopo la disfatta di Manzikert. Ne deriva inevitabilmente un avvertito e generalizzato bisogno di riconsiderare il passato: ma com’è tipico per gli encomi bizantini, dal momento che ogni testo non può non avere una struttura di riferimento abbastanza rigida e schematica, è il contenuto a definirsi in forza della sua varietà e innovatività. Il primo encomio di quest’epoca e insieme l’unico conservatosi del regno di Alessio I Comneno (1081-11189) condanna la guerra civile, servendosi di Costantino come esempio di colui che si rifiuta di ferire un cittadino romano:
Si narra anche un’altra cosa a proposito del celebre Costantino: poiché il popolo è violento e arrogante – e infatti, che cos’altro è il popolo, se non un composto di ogni tipo di malvagità e punto di inizio della prepotenza? – esso distrusse le sue statue presenti nel foro, ne sfigurò le sembianze con il lancio di pietre. Quando ciò fu riferito all’imperatore, si pensò che molti avrebbero sofferto pene terribili e che la freccia dell’ira imperiale sarebbe scoccata contro questi poveracci. Ma lui, con il viso disteso, disse gentilmente : «Hanno forse utilizzato le pietre contro di me o hanno forse segnato con ingiurie le mie guance?» Poiché costoro risposero che non vi era traccia di offesa sul viso imperiale, egli disse: «Lasciamoli dunque sfogare, perché non ci hanno fatto nulla di male, si sono soltanto scagliati sul bronzo». O imperatore, questo grande gesto è degno dell’anima di Costantino, ma per grandezza si estende anche a te e alla tua azione10.
Da questo momento in poi Costantino è spesso evocato durante i regni della dinastia comnena, i cui primi tre esponenti coprono quasi un secolo di storia bizantina (1081-1177). Al successore di Alessio I Comneno, Giovanni II Comneno (1118-1143), sono dedicati due encomi11. Ne scrive uno, nel 1137/1138, Niceforo Basilace, letterato di rilievo nato nel 1115 e morto dopo il 1182. Dal 1140 prima notaio e poi maestro presso S. Sofia, interviene successivamente nella disputa sulla natura dell’eucarestia: accusato di eresia nel 1155/1156, è costretto all’esilio. Il suo encomio unisce due temi importanti, il potere derivato da Dio e la croce:
Ma Dio stesso ti dona coraggio, come fece per Costantino il Grande e così lo offre a te adesso contro i persiani, e assicura e sollecita la vittoria; semplicemente dalle lettere nel simbolo, come dal cielo, aggiunge gridandoti: «questa è l’arma celeste, in questo vinci anche tu i tuoi nemici, come fece lui prima»12.
In questo passo, la questione della pietà è centrale. Il termine φιλόχριστος fa parte della titolatura ufficiale dell’imperatore. Come la pietà ha portato la vittoria a Costantino, così adesso essa la porterà a Giovanni II Comneno. In effetti, la pietà pare essere una condicio sine qua non per la vittoria sul nemico. Nella fattispecie, si tratta dei turchi selgiuchidi, contro i quali l’imperatore ha ottenuto significative vittorie, che hanno avuto come esito la riconquista di regioni importanti per l’Impero. Ha inoltre frenato i peceneghi, popolazione che da più un secolo preme sul fronte del Danubio, ha indebolito l’azione offensiva esercitata dalla Serbia, ha riconquistato Tarso, Adana e Mopsuestia (portando a Costantinopoli come prigioniero Levon I, re della Cilicia armena, assieme alla sua famiglia) e ha ottenuto il vassallaggio da parte di Raimondo di Poitiers, principe d’Antiochia. Tutta questa attività guerresca di Giovanni II Comneno mostra chiaramente le intenzioni del panegirista, che vuole indicare in Costantino un precedente militare e religioso.
Anche Michele Italico, letterato di fama e autore dell’altro encomio in onore di Giovanni II Comneno, si serve del tema della pietà per celebrare il successo militare del sovrano nella guerra contro i persiani. La prossimità con Niceforo Basilace probabilmente non si deve solo alla comune tematica considerata, ma dipende anche da una sintonia culturale. Michele Italico nella sua carriera pubblica riveste l’importante carica di maestro dei medici ed è chiamato a fare parte di una delegazione bizantina inviata a Roma nel 1126 o forse nel 1137. Nel 1143 diviene vescovo metropolita di Filippopoli (odierna Plovdiv, in Bulgaria), dove nel 1147, in occasione della seconda crociata, incontra in familiare colloquio Corrado III di Svevia, re dei romani, in marcia verso Oriente, e lo persuade, con la propria dolce eloquenza, a non compiere rappresaglie a danno della città. Muore prima del 1156.
Anche Michele Italico enfatizza l’aspetto pio e militare di Costantino:
Il trofeo della croce vinceva per superiorità: Dio te lo ha offerto come celeberrimo trofeo, come rivincita sul barbaro tra i barbari. La croce è stata scolpita da marmo pario e illuminava con i suoi raggi, e il fatto più particolare era che l’imperatore che aveva vinto i nemici della croce di Cristo con la croce a forma di stella inscrisse la croce, in modo che tu come quel Costantino possa aver coraggio, dato che sei legato a simboli vittoriosi. Aggiungo qualcosa adesso per quanto riguarda Costantino. Per lui il trofeo della croce scese dal cielo, da dove una croce non era mai discesa. Per te, invece, essa brillò dalla terra, da dove la croce ha dato luce in cielo per l’imperatore. La pietra di marmo bianco di Datide, che i persiani portarono come trofeo sulla Grecia, coloro che hanno combattuto a Maratona la presero dal canale della Fenicia come spoglie e scrissero la vendetta giusta per farne una prova con questo trofeo13.
Tale descrizione di Costantino è facilmente confrontabile con quella offerta da Niceforo Basilace, soprattutto perché entrambi fanno parte di una cerchia di intellettuali di cui è membro anche Eustazio di Salonicco, autore del più importante commentario bizantino sull’Iliade di Omero14. Probabilmente questi letterati sono sotto l’egida culturale della sorella di Giovanni II Comneno, Anna Comnena, autrice di una fondamentale opera storica, le Alessiade15, che è anche la fonte principale per la prima crociata16. Anna e il marito, Niceforo Briennio, erano stati però estromessi dalla successione imperiale, passata a Giovanni II, e tale motivo porta a leggere con cautela questi due encomi. Così Michele Italico, sebbene sia una fonte storica di prim’ordine, quando critica ad esempio il desiderio di fare derivare la propria ascendenza da personaggi mitologici dell’antica Grecia, in verità vuole solo ironizzare su alcune poche famiglie che fanno vanto di discendere addirittura da Costantino il Grande.
L’epoca degli encomi conosce il proprio apogeo probabilmente sotto Manuele I, figlio e successore di Giovanni II. Il nuovo imperatore obbliga il panegirista ad alterare l’impiego degli stessi punti di riferimento. Ciò che del nuovo imperatore fa colpo su Michele Italico17 è la sua gioventù, che si può interpretare come augurio per il futuro. Per questo motivo vede in Costantino una tappa fondamentale per lo sviluppo dell’Impero:
Una gioventù virtuosa e saggia è l’ornamento più gradevole del potere. Essa, infatti, dà forza alle azioni e non rinuncia alle aspettative della vita. Anzi, il suddito prende coraggio, s’innalza con il giovane imperatore ed esulta per i buoni risultati. Per questo motivo l’Impero romano sconfisse i macedoni e iniziò a governare il mondo, e alcuni Cesari e Tiberi e una generazione successiva di romani si susseguirono nella guida dell’Impero, specialmente quando la situazione dei cristiani migliorò con Costantino il Grande. L’Impero romano, progredendo assieme allo scorrere del tempo e giungendo a questo punto della storia, in qualche modo cominciò a decadere e pervenne alla vecchiaia. Vedendoti adesso, o imperatore, splendente nella tua bella gioventù e rifulgente non solo nella bellezza del corpo, ma anche nella bellezza dell’anima, direi che darai il vigore di un’aquila alla giovinezza del tuo regno18.
La gioventù non è il tema privilegiato da Eustazio di Salonicco, che tuttavia nel 1172 accenna due volte rapidamente al tempio inaccessibile di Costantino, un modo di esprimersi particolare di riferirsi alla città di Costantinopoli, che intende associare il tema militare a quello religioso. La questione si vede bene anche in altro testo del tempo, il Decreto sinodale del 1166, che si conserva sia nella tradizione manoscritta sia in cinque lastre di marmo preservatesi fino a oggi19. Nel preambolo del documento, Manuele I si definisce successore ereditario di Costantino.
In onore dell’ultimo imperatore della dinastia comnena, Isacco II Comneno (1185-1195), è un encomio anonimo20, composto nel 1186, che nella parte finale esplicitamente menziona Costantino:
Costantino, il più beato e più santo tra gli imperatori – comprendete tutti il fondatore e padre di questa città imperiale – egli, nella vecchiaia, pare abbia visto la forma di una croce in cielo e abbia sentito una voce venire da essa: «in questo sconfiggi i tuoi nemici». Forse molto più giusto è il nostro imperatore, che è nato da poco e ascolta questa voce dalle spalle, prendendo la croce sin dalla nascita e da allora inizia a seguire Cristo il re, come per primi insegnano i Vangeli21.
Da ciò si evince che Costantino è un imperatore molto importante per la dinastia comnena, che ha avuto sempre cura, nella persona di ciascun suo imperatore, di confrontarsi con Costantino, in un modo o in un altro. Questo interesse per Costantino è unico, considerato che nessun’altra dinastia ne ha seguito l’esempio così sistematicamente. Probabilmente ciò si deve al clima tutto particolare percepito dalla cultura di corte, che, a seguito delle conquiste normanne e turche, avverte il bisogno di comprendere le radici della propria storia, prendendo le mosse dal fondatore della capitale dell’Impero.
La caduta di Costantinopoli in mano latina durante la quarta crociata è un terremoto per la cultura bizantina. Il topos classico di Costantino fondatore della capitale viene abbandonato in favore del riferimento al concilio tenutosi nel 325 a Nicea, ormai nuova capitale dell’Impero. Il primo encomio22 trasmesso da questo nuovo regno illustra bene la situazione: a comporlo, ma non a recitarlo, è Niceta Coniata (1155-1215/1216), che della distruzione di Costantinopoli da parte dei crociati offre una descrizione quanto mai accurata (la sua assenza da Nicea si deve, infatti, alle circostanze, le quali gli consentono solo di inviare il testo, in cui non si rinvengono comunque riferimenti a Costantino). Nel suo encomio successivo23 si commemora la sconfitta dei turchi selgiuchidi nella decisiva battaglia di Antiochia sul Menandro (1211): scontro decisivo, in quanto concretamente registra l’allentamento della pressione esercitata dai selgiuchidi sulla città stessa di Nicea e simbolicamente ne indica la decadenza sino alla conquista dell’Impero d’Oriente da parte degli ottomani. Composto per tale occasione, l’encomio non senza motivo sottolinea quindi il ruolo della croce di Costantino nella battaglia di ponte Milvio come segno precursore:
Splendide sono le tue vittorie di ieri e dell’altro ieri, o imperatore, che il mare e la terra ti hanno offerto, e il futuro è sempre più splendido del passato. Questo tuo trofeo è il più grandioso di tutti i tuoi trofei e non solo dei tuoi trofei ma anche dei successi degli antichi imperatori e generali, per non dire che è incomparabile e tale che nessuno mai degli imperatori potenti ha compiuto. Così il simbolo della croce con il quale ti sei armato e che hai ordinato ai tuoi soldati di innalzare come segno. Perciò hai anche sentito come Costantino il Grande «in questo vinci i tuoi nemici». Questa arma inviata con forza da Sion avanzerà e sottometterà i quattro angoli della terra; questo metterà sotto i tuoi piedi ogni nemico e oppositore, sia orientale sia occidentale. Infatti, sono arrivate, se è necessario parlare profeticamente, le giornate del giudizio; sono giunti i giorni della rivincita; e bisogna che si innalzi su Cristo, pietra, sui figli della povera Persia, per ottenere in cambio di questa la ricompensa che ci è stata spesso tolta24.
L’aspetto religioso si evince anche dal termine ῥάβδος, che viene tuttavia identificato con un’arma, per indicare che l’aspetto religioso e militare corrispondono fra loro. Non bisogna dimenticare il riferimento biblico al bastone di Aronne, con cui il popolo eletto viene condotto alla Terra Promessa, esattamente come vorrebbe fare con Costantinopoli Teodoro I Lascaris, imperatore di Nicea.
Giacomo di Bulgaria (XIII secolo) nel suo encomio25 per Giovanni III Vatatze (1221-1254) incontra difficoltà nel suo tentativo di evitare la questione di Costantino quale fondatore di Costantinopoli, ma cerca comunque di farlo, ricordando l’imperatore come fondatore di una sola città, mentre Giovanni III governa in realtà su una miriade di centri e compete con l’altro imperatore per pietà e religiosità. L’encomio26 più significativo resta tuttavia sicuramente quello composto dal futuro Teodoro II Lascari (1254-1258) per il padre: si tratta del primo encomio scritto da un regnante per il proprio padre dai tempi di Giuliano l’Apostata (361-363). Vi trova sviluppo un’idea azzardata, quella secondo cui Giovanni III Vatatze è addirittura superiore a Costantino in quanto riflesso della stessa Trinità:
Tu convochi sinodi, mentre Costantino fissa gli aspetti variabili delle dottrine rette e corrette. Tu, invece, hai fissato come unità imperiale e buona il semplice credere e hai introdotto la pia fede come base stabile per il popolo, mentre Costantino definisce che i decreti abbiano infallibilità ed elimina le idee promosse da alcuni in passato o adesso quelle che non sono state cambiate ma che lo saranno, e le seppellisce nella fossa della dimenticanza e le fa svanire completamente, e in generale fissa i dogmi divini di Dio27.
Tale passo indica chiaramente che è la religione il centro d’interesse di Giovanni III Vatatze e che Costantino rimane sempre un punto di riferimento quando si tratta di εὐσέβεια. Teodoro II mostra grande abilità nell’introdurre la nozione della Trinità, considerato che questo è il punto su cui latini e bizantini sono divisi e che proprio in questa epoca si discute su come superare tale divisione. Appunto per questa ragione Teodoro, che vede nella corretta percezione della Trinità la autentica manifestazione della pietà (εὐσέβεια) imperiale, si sforza dunque di mostrare che ogni cedimento in ambito teologico nei riguardi dei latini va visto come un cedimento del potere imperiale stesso.
Michele VIII Paleologo (1259-1282) entra nella capitale il 15 agosto 1261 come imperatore trionfante, autentico ‘Nuovo Costantino’. Nelle sue titolature ufficiali adotta esattamente questa rievocazione del fondatore della nuova capitale dell’Impero romano. I panegiristi sono rapidi nel cogliere l’occasione, come per primo mostra Giorgio Acropolita, storico della massima importanza per la ricostruzione di tutti gli eventi che vanno dal 1204 fino alla riconquista del 1261, il cui resoconto termina in effetti in modo particolarmente brusco, con la narrazione del fallito tentativo dell’autore di recitare un encomio per l’imperatore durante la cerimonia di incoronazione a Santa Sofia: l’imperatore preferisce, infatti, recarsi al banchetto piuttosto che ascoltare sino alla fine il panegirico composto in suo onore28. Non è noto, comunque, come la questione si sia effettivamente conclusa, in quanto l’opera termina ex abrupto con questo episodio. Tuttavia, il racconto diviene come una prova dell’umanità di questo imperatore, che quasi deve essere persuaso ad ascoltare chi intende lodarlo, a ulteriore dimostrazione del rilievo che in un panegirico riveste l’elemento del tono.
La menzione di Costantino è rara nei panegirici in onore di Michele VIII, forse perché troppo ovvia, come mostra Gregorio di Cipro, che se ne serve nel titolo e una sola volta nel testo. Il nome di battesimo dell’autore è Giorgio, ma successivamente, con la nomina a patriarca, assume il nome di Gregorio (1283-1289). Discepolo di Giorgio Acropolita, che informa sulla pessima ricezione del suo encomio, sostiene una politica religiosa contraria ai latini.
Il regno di Michele VIII è tuttavia segnato culturalmente soprattutto da colui che viene ricordato come ‘il retore dei retori’, vale a dire Manuele Olobolo (Μανουὴλ ῾Όλώβολος), autore di tre encomi29 per l’imperatore tra il 1265 e il 1270. La sua carriera, alquanto complessa, suscita le ire di Michele VIII prima della composizione del suo primo panegirico in onore del sovrano, dal momento che Manuele Olobolo all’epoca parteggia per la fazione rivale a Michele, quella dei Lascaridi, che erano stati imperatori a Nicea. Nei tre encomi Michele VIII Paleologo viene chiamato con l’appellativo ‘Nuovo Costantino’, in accordo con quanto era stato ufficialmente sanzionato dallo stesso imperatore.
Nel primo encomio30, i latini sono paragonati a Serse. Lo spunto viene dal racconto erodoteo della traversata dell’Ellesponto che i persiani compiono nel V secolo a.C.: prendendo le mosse da questo episodio, Manuele Olobolo propone di identificare i latini con i persiani e Michele con Costantino, visto che entrambi hanno fatto di Costantinopoli il centro dell’Impero. Assai raro è, invece, il paragone tra l’Impero con al centro la città di Costantinopoli e l’Attica, da cui discende chiaramente lo spunto per identificare i latini invasori con i persiani delle guerre persiane. Il secondo encomio31 è più tradizionale, nella misura in cui associa la pietà (εὐσέβεια) dell’imperatore a quella di Costantino, ma arriva a sostenere che, grazie a tale virtù, Michele ha ricevuto il mondo intero in eredità. Il terzo encomio32 pone l’enfasi su quei regnanti che, nel corrispondere con Michele, fanno uso dell’appellativo ‘Nuovo Costantino’ che egli stesso si è attribuito. Ovviamente, mentre l’impiego di tale appellativo era limitato ai soli documenti ufficiali, ecco che Manuele Olobolo se ne serve per risalire, dall’identità del ‘Nuovo Costantino’, sino a quella dell’antico Costantino.
Anche l’encomio successivo è attribuito a Manuele Olobolo, da uno studio degno di nota di Previale33. In questo testo Michele VIII è definito ὁ μεγάλου Κωνσταντίνου ἄκρος ζηλωτὴς ἐπὶ Κωνσταντινούπολιν (26.6). L’espressione ne richiama un’altra che si rinviene nel secondo encomio del 1266, là dove il testo afferma che è αὐτὸς ἧκες νέος τοῖς πράγμασι Κωνσταντῖνος ἐνδειχθησόμενος (28.19). Entrambi questi passi indicano Costantino come modello, in base al titolo di ‘Nuovo Costantino’ assunto da Michele VIII.
Da questi cinque encomi si comprende bene dunque che per Michele VIII la figura di Costantino è essenziale in quanto fondatore della città che egli poi riconquisterà nel 1261. Ancora più importante della stessa figura storica di Costantino resta, a ogni modo, il titolo di ‘Nuovo Costantino’ assunto da Michele, sebbene anche in questa materia l’interesse dell’imperatore sia comunque contenuto, dal momento che tutti i riferimenti a Costantino si trovano nella sezione degli encomi dedicata ai confronti, quindi nella sede più ovvia per i riferimenti al passato. Del resto lo mostra bene anche il comportamento di Michele, che opta per il pranzo e non per l’ascolto dell’encomio di Giorgio Acropololita.
Gli encomi dedicati al figlio di Michele VIII sono tra i più importanti della storia bizantina. Il regno di Andronico II (1282-1328) è segnato nei panegirici da un interesse per la religione. In alcuni casi la sua pietà trova piena espressione mediante il confronto con quella di Costantino (degli otto panegiristi che hanno scritto per questo sovrano, tre infatti invocano la figura del primo imperatore di Bizanzio). Il primo panegirista è Massimo Planude, autore di un lungo testo, databile al 1295, che contiene due brevi riferimenti a Costantino34.
Anche Nicola Lampeno35 esprime un interesse verso la pietà Andronico II. Nella presente ottica, è significativo che egli dica che tale pietà il sovrano la ha ereditata dal padre, che si comportò in modo simile al suo omonimo. È chiaro che l’omonimo è Costantino il Grande, in quanto Michele VIII assume il titolo di ‘Nuovo Costantino’.
Tuttavia il panegirico più sorprendente fu scritto da Irtaceno36, che consiglia all’imperatore Andronico II di diventare una spugna: «Costantino grande tra gli imperatori e uguale agli apostoli dette inizio per primo all’Impero dei cristiani; come una spugna purificò i modi, e tu sei come lui; infatti smetto di parlare della sua immagine riflessa e del suo ritratto»37.
La proposta politica di Irtaceno è che la sporcizia morale dell’Impero sia ora lavata dalla spugna, così da farne nuovamente risaltare la bellezza etica, che sembra essere ciò che questo imperatore più ha a cuore. In effetti negli altri encomi del periodo, che tuttavia non menzionano Costantino, si rileva chiaramente l’interesse di Andronico II per le tematiche etiche e monastiche38.
Nel XV secolo sono rivolti encomi a Giovanni VIII Paleologo sia durante il periodo in cui regnava con Manuele II (1416-1425), sia durante quello in cui regnava da solo (1425-1444). Costantino è principalmente visto come fondatore della città di Costantinopoli, un topos classico, ma soprattutto quale responsabile della creazione di una cultura greco-romana, come è ben spiegato da questo encomio anonimo39:
Infatti quell’imperatore, Costantino il Grande, avendo in mente tutte queste cose – l’ornamento e fierezza dell’Impero, l’eccellenza del luogo, la situazione geografica, la bellezza della città, la produttività del mare, e il buon porto che unisce l’Asia all’Europa e si trova in mezzo a tutto l’Impero romano – […] promuove, migliora e adorna la città, trasferendo il palazzo dalla vecchia alla nuova Roma, dando a questa ultima il proprio nome, portando cimeli anche sacri e mucchi di denaro […], e unendo fra di loro i più coraggiosi dei romani, ossia i nobili precedenti, e i più nobili dei greci, ne fa la stirpe di questa città, la più nobile, stimata e illustre di tutto il genere umano. E questo in modo armonioso. Infatti sotto il sole non esisteva nulla uguale ai greci e ai romani, non perché fossero superiori nella stirpe, se non gli uni per un motivo e gli altri per un altro; si unì, infatti, opportunamente e logicamente il simile al simile, e tale unione s’accrebbe e da entrambi le nobili stirpi si ottenne una stirpe che era la più importante e la più bella, una stirpe che, se la si chiamasse romanogreca, si direbbe bene40.
Questa combinazione di cultura greca e romana non era, però, ovvia. In effetti, Michele Apostolio spiega, nella sua lettera 81, che alcuni greci non volevano mandare i figli a studiare da lui per paura che essi diventassero grecoromani (ῥωμέλληνες)41. Questo indica dunque che il panegirista stava presentando all’imperatore la necessità politica dell’alleanza con i latini per garantire la sopravvivenza della città. In effetti Giovanni VIII Paleologo prima di diventare imperatore nel 1425 aveva già vissuto l’assedio ottomano della città nel 1422 da parte di Murad II (1421-1451), che aveva inoltre segnato la fine dell’interregno turco, iniziato con la sconfitta ottomana per mano mongola nella battaglia di Ankara del 140242.
L’Impero Bizantino è in questo periodo alquanto frammentato. Con una visione storica che colpisce, tale divisione viene considerata simile a quella operata da Costantino con la tetrarchia. Se è evidente che la ricerca storica smentirebbe tale confronto, è pur sempre significativo il fatto che esso esprima il tentativo, compiuto durante il regno di Giovanni VIII, di proporre all’attuale fragilità amministrativa di Bisanzio una caratteristica tipica di questo Impero anche nel passato remoto. È quanto fa questo encomio anonimo43:
Mi riferisco all’impero dei persiani, a quello dei medi, a quello nostro dei romani e a quello dell’Egitto, ossia a quello di Alessandro il Macedone, il quale fu l’unico a conquistare i persiani e gli indiani. Ma questi all’inizio li governarono tutti, dopo li governò l’Egitto, poi l’Impero dei romani, poi pure il nostro Impero misteriosamente, ma grazie alla sua pietà, trasferito di là dal grande e primo imperatore Costantino, che illuminava tutta la terra come una stella con i raggi della sua pietà o come un altro fiume che versa all’infinito il torrente della cultura dall’Eden e divide tra i figli i quattro regni. Vediamo dunque chi da sempre è stato potente e quali imperi hanno mantenuto la forma del potere cosicché apparirà meglio in questo la nostra situazione riguardo a entrambi gli aspetti anche per quanto riguarda il discorso della fede44.
Il tema della luce e della pietà sono ricorrenti nel contesto costantiniano, ma l’esaltazione della tetrarchia è sorprendente. Il richiamo ad avvenimenti storici dell’epoca e non all’aspetto morale di Costantino si riflette anche nel richiamo alla questione del concilio di Nicea. Come si è sopra visto, questo evento fu preminente solo durante il regno di Nicea, dal momento che il governo in esilio aveva stabilito come propria capitale il luogo dove si era tenuto il primo concilio. Questo rinnovato richiamo è invece dovuto ai contatti presi da Giovanni VIII Paleologo per cercare l’unione delle Chiese latina e greca. Ciò non comporta di per sé che il testo sia successivo al concilio di Firenze: esso potrebbe anche far parte dello Zeitgeist dei contatti tra la corte bizantina e il papato al tempo del concilio di Costanza. Si pensi soltanto al fatto che Isidoro metropolita di Kiev45 prima scrisse in greco un encomio per l’imperatore Sigismondo a Costanza e successivamente partecipò al concilio di Firenze e Ferrara.
Chi è il più famoso e il primo degli imperatori? Costantino il Grande, uguale agli apostoli e difensore della pietà, il primo che convocò il sinodo dei santi padri, in modo che si portasse alla luce una ricerca accurata e concordata del dogma. Ma anche questo zelota estremo delle tradizioni apostoliche e patristiche non si limitava a cercare di scoprire i dogmi precisi e il mistero della teologia, ma lui stesso insegnava apertamente e metteva in pratica in prima persona la teologia qualora fosse necessario. L’arma vivificante fu vista da lui nel cielo grazie a una stella che in qualche modo gli diceva ciò: «in questo vinci», e per questo intende intellettualmente, non grazie alla stella, come per l’altro, ma neanche la forma stessa della croce vivificante [portò la vittoria], ma la fissò in sé stesso, distrusse il muro della trincea, rimosse la malvagità dal proprio corpo, insegnò i segreti della sapienza e la manifestazione dei sacri misteri e diceva ciò che disse prima ai suoi discepoli e apostoli dopo la resurrezione solo che non discuteva con lui il celebre: «ecco io sono tra voi, etc.»46.
In questo passo si rileva meno la questione militare, e dunque è facile collocare questi encomi nel periodo precedente al 1425, cioè a quel tempo in cui Manuele II e Giovanni VIII erano co-regnanti. Nell’encomio dedicato esclusivamente a Giovanni VIII47, si coglie sempre il tema di Nicea, ma questa volta in ambito militare, e si collega la vittoria dovuta all’apparizione della croce in cielo con l’evento del concilio di Nicea, mettendo chiaramente in evidenza il nesso che unisce i due fatti ed evocando quello esistente tra il futuro concilio e una eventuale provvidenziale sconfitta degli ottomani:
I fedeli di Cristo, come stelle erranti, hanno illuminato più luminosamente del sole con le illuminazioni e i raggi della fede, e i messaggeri divini della verità hanno mostrato una stabilità e una resistenza in tempo di guerra molto più forte del diamante. Il primo e grande imperatore li seguì nella definizione della fede e del consenso. In questo modo apparve il segno in cielo dalle stelle, grazie alla fede che rivela manifestamente la vittoria contro i nemici, e poco dopo il santo sinodo riunito a Nicea dai santi padri questo è sembrato saggio e scientifico a colui che ricerca la verità del nostro retto dogma. E non si sbagliò, ma precisò ancor di più, e decretò la definizione in modo da essere per le generazioni future monumento e regola illimitata, per quelli che vogliono seguirlo e non avere paura di nessun errore che dovesse essere introdotto48.
L’idea di rinnovare lo spirito di Nicea per sconfiggere i nemici manifesta la stessa mentalità che porta più di 700 bizantini a partecipare al concilio di Ferrara e Firenze per unificare le Chiese latina e greca. Tale politica ecclesiastica si riflette anche nella politica imperiale, e quindi la si vede anche nel contesto laico di un encomio imperiale.
Costantino rivela l’ideologia contemporanea contenuta negli encomi. I pochi riferimenti espliciti alla sua figura mostrano particolarità del carattere e delle intenzioni tanto dell’imperatore quanto dell’oratore. Fondamentale è la concezione secondo cui Costantino è ‘pio’ e dunque anche le sue vittorie sono un aspetto concreto della sua pietà religiosa, invocata soprattutto nei momenti di difficoltà. Durante la dinastia comnena si vede Costantino come il soldato che vede la croce in cielo. Con la caduta di Costantinopoli in mano latina si percepisce l’interesse per Costantino quale fondatore della città. Durante il periodo che porta alla crisi esicasta, Costantino viene promosso a estirpatore di eresia. Finalmente Costantino è ricordato come colui che convoca il concilio di Nicea, un centro di discussione che potrebbe fungere da modello per il concilio di Ferrara e Firenze, dove si discute anche degli aiuti militari per Bisanzio.
1 Non esiste uno studio completo sugli encomi bizantini. Fondamentale rimane L. Previale, Teoria e prassi del panegirico bizantino, in Emerita, 17 (1949), pp. 72-105 e 18 (1950), pp. 340-366. Per un’analisi diacronica dei panegirici bizantini si veda da ultimo F. Lauritzen, Eἰκὼν τοῦ Θεοῦ, Imago Dei in Byzantine Imperial Encomia, in A. Melloni, R. Saccenti, Imago Dei, Münster 2010, pp. 217-226. Per il periodo del IV secolo cfr. J. Vanderspoel, Themistius and the Imperial Court Oratory, Civic Duty and Paideia from Constantius to Theodosius, Michigan 1995. Per il periodo successivo si veda specie Giorgio di Pisidia. Poemi, I panegirici epici, a cura di A. Pertusi, Ettal 1959. Il principale autore di encomi nel periodo mediobizantino è sicuramente Michele Psello, per il quale si segnala F. Lauritzen, Il nesso tra stile e contenuto negli encomi di Psello, in Medioevo Greco, 7 (2007), pp. 1-10. Per il XII secolo si segnala soprattutto P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 1143-1180, Cambridge 1994 e per il periodo successivo D. Angelov, Imperial Ideology and Political Thought in Byzantium, 1204-1330, Cambridge 2007. Dell’ultimo secolo bizantino si hanno pochi testi, per lo più editi oltre un secolo fa e finora mai oggetto di studio sotto il profilo encomiastico.
2 Non si dovrebbe dimenticare che le poesie di Giovanni di Pisidia sono la fonte storica primaria per questo periodo. Fondamentale resta l’edizione: Giorgio di Pisidia, Poemi, I panegirici epici, cit. (pp. 240-261, relativamente al testo in oggetto). Insieme con questa si veda M.D. Lauxterman, Byzantine Poetry from Pisides to Geometres, I, Wien 2003.
3 Su Eraclio si veda W.E. Kaegi, Heraclius: Emperor of Byzantium, Cambridge 2003.
4 Giorgio di Pisidia, Il ritorno della Santa Croce, poema 6, 47-62, ed. e trad. Pertusi: «Τοῖόν σε Κωνσταντῖνος ὑμνήσοι μέγας· / ἄλλος γὰρ ὑμᾶς εὐλογῶν οὐκ ἀρκέσει. / φάνηθι, Κωνσταντῖνε, τῇ ῾Pώμῃ πάλιν· / κρότει τὸ τέκνον, πῶς λαβὼν πεφυρμένην (50) / ἔδειξε τὴν σὴν οὐσίαν σεσωσμένην. / Δέον σε νῦν μεθέντα τὴν ἄνω πόλιν / ταύτῃ μεθ’ ἡμῶν συγχορεῦσαι τῇ κάτω· / στυγνὸν γὰρ εἶχες πνεῦμα καὶ τεθλιμμένον / ἕως παλινδρομοῦντα καὶ νικηφόρον (55) / τὸν σταυρὸν ἔγνως, ὃν σὺ μὲν κεκρυμμένον / τὸ πρῶτον εὗρες εἰς τὸν οἰκεῖον τόπον, / τὸ σὸν δὲ τέκνον οὐ κεκρυμμένον μόνον, / ἀλλ’ εἰς καμίνους Περσικὰς ἀφιγμένον / πρὸς τοὺς ἀπ’ ἀρχῆς ἀντανήγαγεν τόπους· (60) / ἔχεις δὲ τέκνον ἐκ Θεοῦ προμηθίας· / ὡς ἄν γε Κωνσταντῖνος εὑρεθῇ πάλιν / τοῖς ζωοποιοῖς ὠχυρωμένος ξύλοις».
5 Hermogenes, Peri ideon logou 2.10.344-347, ed. Rabe (cfr. H. Rabe, Hermogenis opera, Leipzig 1913): «Σχήματα δὲ ἴδια ποιήσεως οὐκ ἔστιν, ὥσπερ ἦν νοήματα καὶ μέθοδός τις καὶ λέξις, ἀλλὰ τὰ αὐτὰ ἔχει ταῦτα τῷ πανηγυρικῷ, κατὰ δὲ τὸ μιμητικόν, ὡς ἂν τὰ εἴδη τῶν λόγων ἀπαιτῇ».
6 D.A. Russell, N.G. Wilson, Menander Rhetor, Oxford 1981; M. Heath, Menander: A Rhetor in Context, Oxford 2004. È necessario premettere che tale struttura è già presente nell’encomio a Tolomeo II Filadelfo (309-246) scritto da Teocrito nella poesia 17, edito e commentato da R. Hunter, Theocritus: Encomium of Ptolemy, Berkley 2003.
7 Il principale dei quali è quello di Leone Diacono per Basilio II (876-1025), edito in I. Sykutres, Λέοντος τοῦ Διακόνου ἀνέκδοτον ἐγκώμιον εἰς Βασίλειον τὸν Β’, in ’Επετηρὶς ῾Εταιρείας Βυζαντινῶν Σπουδῶν, 10 (1933), pp. 426-430.
8 Principalmente quelli editi in G. Dennis, Michael Psellus. Orationes panegyricae, Stuttgart-Leipzig 1994.
9 L’encomio è edito in P. Gautier, Theophylacte d’Achrida. Discours, Traités, Poésies, Thessalonike 1980, pp. 215-243. I tre testi di Straboromano rivolti all’imperatore non sono panegirici; essi sono editi in P. Gautier, Le dossier d’un haut functionnaire d’Alexis Ier Comnene, Manuel Straboromanos, in Revue des Etudes Byzantines, 23 (1965), pp. 168-204, in partic. 178-193.
10 Theophylactus Achridensis, Oratio ad Alexium Comnenum 231.16-233.2, ed. Gautier: Λέγεταί τι περὶ τοῦ πανευφήμου Κωνσταντίνου ὡς ἄρα δῆμος μέν τις ὑβριστὴς καὶ ἀγέρωχος – καὶ τί γὰρ ἢ δῆμος, παντοίας κακίας συμφόρημα καὶ ὕβρεως τελεστήριον; – στήλας αὐτοῦ τῆς ἀγορᾶς κατασπάσας, λίθων βολαῖς τὰς ὄψεις διαλωβήσαιτο, ἀγγελθὲν δὲ τοῦτο τῷ βασιλεῖ, πολλοὺς μὲν σχέτλια παθεῖν καὶ μετὰ τῶν σχετλίων τὸ πρᾶγμα τίθεσθαι τοῦ βασιλικοῦ θυμοῦ τὸ βέλος ὀξύνοντας, τὸν δὲ πράως διαψηλαφῶντα τὸ πρόσωπον, “μή τι”, φάναι, “κατὰ τούτου τοῖς λίθοις ἐχρήσαντο ἢ τὰ τῆς λώβης ταῖς παρειαῖς ἐνσεσήμανται” ‛Ως δ’ οὐκ ἔφασαν ἐκεῖνοι τῷ βασιλικῷ προσώπῳ ἴχνος ὕβρεως ἐπιφαίνεσθαι, “οὐκοῦν ἐῶμεν”, εἶπε, “τοὺς παροινήσαντας· οὐ γὰρ ἡμᾶς κακόν τι διέθεντο, ἀλλὰ τῷ χαλκῷ ἐπελύττησαν”. Τοῦτο μέγα μέν, βασιλεῦ, καὶ τῆς Κωνσταντίνου ψυχῆς ἐπάξιον, ἀλλὰ μέχρι σοῦ μέγα καὶ τῆς σῆς πράξεως».
11 Essi sono editi in R. Maisano, Niceforo Basilace. Gli encomi per l’imperatore e per il patriarca, Napoli 1977, pp. 89-125 e P. Gautier, Michel Italikos. Lettres et Discours, Paris 1972, pp. 245-270 (orat. 43).
12 Nicephorus Basilaces, orat. 1.766-772, ed. Maisano: «’Αλλ’ ὁ θεὸς αὐτός, ὡς πάλαι Κωνσταντῖνον τὸν μέγαν, οὕτω καὶ νῦν σε τοῖς αὐτοῖς παραθαρρύνει κατὰ Περσῶν καὶ τὴν νίκην παρεγγυᾶται καὶ προμνηστεύεται· ἀπὸ γὰρ τῶν ἐν ξυμβόλῳ γραμμάτων ἀτεχνῶς, ὡς ἀπ’οὐρανοῦ, προσεπιβοᾶταί σοι· «τοῦτό σοι τὸ ὅπλον οὐράνιον, ἐν τούτῳ καὶ σὺ νίκα νῦν τοὺς ἐχθρούς, ὡς ἐκεῖνος τὸ πρότερον».
13 Michael Italicus, orat. 43.264.16-265.10, ed. Gautier: «Τὸ τοῦ σταυροῦ τρόπαιον κατὰ πᾶσαν ὑπεροχὴν ὑπερέβαλεν αὐτὸ γὰρ τοῦτο Θεὸς ῾´ιστησί σου περιφανέστατον τρόπαιον, ἐκ μέσοις βαρβάροις τοῦ βαρβάρου τὸ ἄποινον. ἐκ γὰρ λυχνίτου λίθου σταυρὸς ἐλελάξευτο καὶ ταῖς ἐμφύτοις ἀκτῖσι περιεφλέγετο, καὶ τὸ παραδοξότατον ὅτι καὶ ὁ σταυρῷ νικήσας ἀστροειδεῖ βασιλεὺς τοὺς ἐχθροὺς τοῦ σταυροῦ τοῦ Χριστοῦ τῷ σταυρῷ ἐνεγέγραπτο, ἵνα σὺ καθάπερ Κωνσταντῖνος ἐκεῖνος ἔχῃς θαρρεῖν ὡς νικητικά σοι τὰ σύμβολα δέδοται. ̕´Εχω δέ τι καὶ πλέον ἐνταῦθα τῶν κατὰ τὸν μέγαν Κωνσταντῖνον εἰπεῖν. Οὐρανόθεν μὲν ἐκείνῳ ἔστη τὸ τρόπαιον τοῦ σταυροῦ, ὅθεν οὐδέποτε σταυρὸς κατενήνεκτο· σοὶ δὲ γῆθεν ἐξήστραψεν, ὅθεν ὁ σταυρὸς ἐν οὐρανῷ τῷ αὐτοκράτορι κατηγλάϊσται. ῾Ο δὲ δὴ λύγδινος λίθος Δάτιδος, ὃν Πέρσαι μὲν ἐπὶ τροπαίῳ τῷ κατὰ τῆς λλάδος ἐκόμιζον, οἱ δὲ Μαραθῶνι μεμαχημένοι λάφυρον ἐκ τῆς Φοινίσσης ὁλκάδος λαβόντες Νέμεσιν ἔγραψαν ἀπρεπὲς τῷ τροπαίῳ τούτῳ συνεξετάζειν».
14 Cfr. Eustathii archiepiscopi Thessalonicensis commentarii ad Homeri Iliadem pertinentes, ed. M. van der Valk, 4 voll., Leiden 1971-1987.
15 Annae Comnenae Alexias, ed. D.R. Reinsch, A. Kambylis, Berlin 2001.
16 In generale si veda G. Buckler, Anna Comnena: A Study, Oxford 1968.
17 Michael Italicus, orat. 44, ed. Gautier (pp. 68-80; 82-88; 102-104; 106-109; 111-115; 118-128; 130-134; 146-151; 235-236; 245-270; 276-294).
18 Michael Italicus, orat. 44.276.8-20, ed. Gautier: «Νεότης δὲ μετ’ἀρετῆς καὶ φρονήματος εὐγενοῦς κόσμος βασιλείας ἐπιτερπέστερος·τάς τε γὰρ πράξεις ῥωμαλεώτερον ἀποδίδωσι καὶ τὰς τῆς ζωῆς ἐλπίδας οὐχ ὑποτέμνεται, ἀλλὰ θαρρεῖ τὸ βασιλευόμενον καὶ τῷ νέῳ βασιλεῖ συνακμάζει καὶ τοῖς ἀγαθοῖς ἐπιγάννυται. ἐξ οὗ τοίνυν τὰ ωμαίων σκῆπτρα Μακεδόνας καθεῖλε καὶ τῆς οἰκουμένης κρατεῖν ὑπήρξατο καὶ Καίσαρές τινες καὶ Τιβέριοι καὶ ἄλλος ῾Ρωμαίων κατάλογος ἐπεισῆλθε τῇ βασιλείᾳ, μᾶλλον δὲ ἐξ ὅτου Κωνσταντίνῳ τῷ μεγάλῳ τὰ χριστιανῶν συνήκμακε πράγματα, τὸ ῾Ρωμαίων κράτος, οἷον τῷ ῥέοντι χρόνῳ συμπαραρρέον καὶ εἰς τόδε καιροῦ καταντῆσαν, τρόπον τινὰ παρήκμακέ τε καὶ εἰς γῆρας ἐλήλυθεν, ἀλλὰ νῦν ὁρῶν σε, βασιλεῦ, ἐν εὐπρεπεῖ νεότητι καλλυνόμενον καὶ πρὸς τὸ κάλλος τοῦ σώματος τὸ κάλλος τῆς ψυχῆς ἀνταστράπτοντα, ἀνακαινίζεσθαι φήσαιμ’ ἂν ὡς ἀετοῦ τὴν τῆς βασιλείας νεότητα».
19 C. Mango, The Conciliar Edict of 1166, in Dumbarton Oaks Papers, 17 (1963), pp. 317-330.
20 Orat. 31,330-369, ed. V.E. Regel, N.I. Novosadskij, Fontes rerum Byzantinarum, Leipzig 1892-1917.
21 Orat. 31,369.11-20, ed. V.E. Regel, N.I. Novosadskij: «Κωνσταντῖνος μὲν γὰρ ὁ μακαριστὸς ἐν βασιλεῦσι καὶ ἁγιώτατος, – τὸν δομήτορα συνήκατε πάντες καὶ πατέρα τῆς βασιλίδος ταύτης τῶν πόλεων, – ἑκεῖνος τοίνυν ὁψὲ τῆς ἡλικίας τὸ σταυρικὸν ἐν ουρανῷ θεάσοιτο μόρφωμα, καὶ φωνῆς ἐκεῖθεν ἐνεχθείσης ἀκούσειεν· ἐν τούτῳ νίκα τοὺς ἐχθρούς σου. Πολλῷ δήπουθεν δικαιότερος ὁ παρ’ἡμῖν ἀρτίτοκος βασιλεὺς ταύτην ἐνωτίζοιτο τὴν φωνὴν μόνον οὐ κατωμαδὸν ἐξ αὐτῆς γενέσεως τὸν σταυρὸν ἀράμενος καὶ τῷ βεβασιλευκότι τοῦτον Χριστῷ κατακολουθεῖν ἐντεῦθεν ἀρχόμενος, καθὼς ἀρτίως διδάσκει τὰ εὐαγγέλια».
22 Nicetas Choniates, orat. 14.129-147, ed. van Dieten (cfr. Nicetae Choniatae orationes et epistulae, ed. J. van Dieten, Berlin 1972, pp. 3-200).
23 Nicetas Choniates, orat. 16.170-175, ed. van Dieten.
24 Nicetas Choniates, orat. 16.174.28-175.13, ed. van Dieten: «Λαμπρὰ μὲν οὖν καὶ τὰ χθὲς καὶ πρὸ τρίτης σου κατορθώματα, βασιλεῦ, ὅσα θάλαττα καὶ γῆ διενείμαντο, καὶ ἀεὶ τοῦ προτέρου λαμπρότερον τὸ μετέπειτα· τὸ δὲ νῦν τοῦτο τρόπαιον μεγαλειότερον τῶν πάντων τροπαίων σου, καὶ οὐ τῶν σῶν μόνον τροπαίων, ἀλλὰ καὶ τῶν ὁτεδὴ κατορθωμάτων παλαιγενέσι βασιλεῦσι καὶ στρατηγοῖς, ἵνα μὴ λέγω ἀσύγκριτον καὶ οἶον οὐδέπω τις τῶν μεγαλοδυνάμων βασιλέων διήνυσε. Ταῦτα τοῦ σταυροῦ τὸ σημεῖον, ἐν ᾧ καὶ αὐτὸς ἐφράχθης καὶ ὃν τοῖς σοῖς ὁπλίταις ὑπέθου αἴρειν εἰς σύσσημον. ῾Όθεν καὶ κατὰ τὸν μέγαν ἤκουσας Κωνσταντῖνον· “ἐν τούτῳ νίκα τοὺς ἐχθρούς σου”. Τοῦτό σοι τὸ ὅπλον ῥάβδος ἐσεῖται δυνάμεως ἐξαποστελλομένη σοι ἐκ Σιὼν καὶ ὑποχείριον θήσεται τὴν τετραπέρατον γῆν· τοῦτο τοῖς σοῖς ποσὶν ὑποθήσει πάντα ἐχθρὸν καὶ πολέμιον, ὅσος ἑῷος, ὅσος ἑσπέριος· ἥκασι γάρ, εἴ τι καὶ προβλεπτικῶς φθέγγεσθαι χρή, ἡμέραι τῆς ἐκδικήσεως· ἥκασι καιροὶ τῆς ἀνταποδόσεως· καὶ δεῖ τὰ τῆς ταλαιπώρου τέκνα Περσίδος πρὸς τὴν πέτραν τὸν Χριστὸν ἐδαφίζεσθαι, ἀνταποδίδοσθαι δὲ αὐτῇ καὶ ὃ ἡμῖν πολλάκις ἀνταπέδωκεν ἀνταπόδομα».
25 S.G. Mercati, Collectanea Byzantina, Bari 1970, 1l.81-93.
26 Cfr. Teodoro II Duca Lascari, Encomio dell’imperatore Giovanni Duca, a cura di L. Tartaglia, Napoli 1990, pp. 47-79.
27 Theodorus II Lascaris, Laudatio 732-737, ed. Tartaglia: «σὺ θεσπίζεις συνόδους, οὗτος τὰ μὴ ἑδραῖα στηρίζει τῶν ὀρθῶν δογμάτων καὶ ἀπλανῶν. ᾿Αλλὰ σὺ μὲν ὡς μονὰς βασιλική τε καὶ ἀγαθὴ τὸ πιστεύειν μόνον ὄντως ἐστήριξας καὶ βάσιν στερρὰν τῷ λαῷ τὴν εὐσεβῆ πίστιν εἰσήγαγες, οὗτος δὲ καὶ τὰ παρά σου θεσπιζόμενα δογματίζει ἔχειν τὸ ἀπαρέγκλιτον καὶ τὰ ἀσεβῶς ἔκ τινων κινηθέντα ἢ κινούμενα καταθραύει, καὶ τὰ μὴ κινούμενα μέν, μέλλοντα δέ, ἐν λήθης βοθύνῳ καταθάπτει καὶ ἀφανίζει τέλεον, καὶ παντοίως τὰ θεῖα στηρίζει τοῦ θεοῦ δόγματα».
28 Giorgius Acropolita, Annales 89.1-89.20, ed. Heisenberg (cfr. Georgii Acropolitae opera, ed. A. Heisenberg, I, Leipzig 1903, repr. 1978, 1st edit. corr. P. Wirth, pp. 3-189).
29 Cfr. Manuelis Holobolis orationes ed. M. Treu, Potsdam 1906.
30 Manuelis Holobolis orationes, cit., pp. 30-50.
31 Manuelis Holobolis orationes, cit., pp. 51-77.
32 Manuelis Holobolis orationes, cit., pp. 78-98.
33 Cfr. L. Previale, Un panegirico inedito per Michele VIII Paleologo, in Byzantinische Zeitschrift, 42 (1942), pp. 1-49.
34 “Nuovo Costantino”, in L.G. Westerink, Le basilikos de Maxime Planude, in Byzantinoslavica, 27 (1966), pp. 100-103 e 29 (1968), pp. 35-50, ll. 661 e 1197.
35 Edito in J.D. Polemes, ‛O λόγιος Νικόλαος Λαμπηνὸς καὶ τὸ ἐγκώμιον αὐτοῦ εἰς τὸν Ἀνδρόνικον Βʹ Παλαιολόγον [‘Eταιρεία Βυζαντινῶν καὶ Μεταβυζαντινῶν Μελετῶν. Διπτύχων – Παράφυλλα 4., Athens 1992], pp. 27-82.
36 Cfr. J.F. Boissonade, Anecdota Graeca, I, Paris 1830, I. 248-253.
37 Hyrtacenus, Panegyricus I.252, ed. Boissonade, Anecdota Graeca, I, cit.: «Κωνσταντῖνος ὁ μέγας ἐν βασιλεῦσι καὶ ἰσαπόστολος τὴν τῶν χριστιανῶν πρῶτος ἦρξεν ἀρχὴν· οὗ τοὺς τρόπους, ὥσπερ σπόγγος, ἀναμαξάμενος, ἄλλος ὢν τυγχάνεις ἐκεῖνος· ἐῶ γὰρ ἔσοπτρον ἐκείνου φάναι καὶ ἴνδαλμα».
38 Del XIV secolo sono giunti gli encomi di Demetrio Cidone, editi in G. Cammelli, Demetrii Cydonii orationes tres, adhuc ineditae, in Byzantinisch-neugriechische Jahrbücher, 3 (1922), pp. 67-83 e 282-295.
39 S.P. Lampros, Παλαιολόγεια καὶ Πελοποννησιακά, Γ. Athens 1926, pp. 132-199.
40 Anonymus 151.29-152.17, ed. Lampros, Παλαιολόγεια, cit.: «‛O γάρ τοι βασιλεὺς ἐκεῖνος, Κωνσταντῖνος ὁ μέγας, τὸ μέγα τῆς ‛Ρωμαίων βασιλείας ἐγκαλλώπισμά τε καὶ καύχημα, τοῦ τόπου τὴν ἀρετήν, τῆς γῆς τὴν θέσιν, τὸ κάλλος τῆς πόλεως, τῆς θαλάττης τὸ πάμφορον καὶ τὸ εὐλίμενον, τὸ συνάπτον τῇ Εὐρώπῃ τὴν ̕Ασίαν, τὸ μέσον τῆς ῥωμαϊκῆς πάσης τυγχάνειν ἡγεμονίας, ταῦτα πάντα καὶ οὐκ ἀθεεὶ κατὰ νοῦν βαλλόμενος, συναιρομένου διὰ πάντων τούτῳ τοῦ κρείττονος, ἐπὶ μέγα τὴν πόλιν ἐξαίρει καὶ κοσμεῖ, καὶ μεθίστησι τὰ βασίλεια τῆς παλαιᾶς ἐπὶ τὴν νέαν ‛Ρώμην, ἐπώνυμον αὐτὴν αὑτῷ κατονομάσας, καὶ κειμήλια καὶ ἱερὰ καὶ χρημάτων θημῶνας ἀμυθήτων καὶ τοὺς ἄνωθεν εὐγενεῖς καὶ ἀνδρείους φέρων ‛Ρωμαίων, ἑνοῖ καὶ συνοικίζει τοῖς εὐγενεστέροις τῶν ‘Eλλήνων, καὶ γίγνεται τοῦ τῶν ἀνθρώπων γένους παντὸς τῆσδε τῆς πόλεως τὸ γένος εἰλικρινέστατον καὶ τιμιώτατον κἀπὶ πᾶσιν εὐγενέστατον. Καὶ ἁρμοζόντως ἄρα. ‘Eλλήνων γὰρ καὶ ‘Ρωμαίων τῶν ὑφ’ ἡλίῳ πάντων οὐδὲν ἄλλο γε ἴσον, οὐχ ὅτι μεῖζον, τῷ γένει, εἰ μὴ τῷδε ἐκεῖνο καὶ τοῦτ’ αὐτῷ·καλῶς ἄρα καὶ εὐλόγως τὸ ὅμοιον ἡρμόσθη τῷ ὁμοίῳ καὶ προσετέθη, καὶ γέγονε γενοῖν ἐξ ἀμφοῖν τοῖν ἐπισήμοιν γένος ἓν τὸ ἐπισημότατόν τε καὶ κάλλιστον, οὓς καὶ εἴ τις ‛Ρωμέλληνας εἴποι, καλῶς ἂν εἴποι».
41 Michael Apostolius, Ep. 81.20-23, ed. Noiret (cfr. H. Noiret, Lettres inédites de Michel Apostolis (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome 54, Paris 1889), pp. 57-141): «μῖσος μὲν οὖν τῶν Γραικῶν καὶ αὐτοῖς ἀποσυνάγωγον εἶναι, καὶ μήτε προσαγορεύειν, μήτε τοὺς σφῶν αὐτῶν παῖδας φοιτᾶν παρ’ ἐμὲ, ῞ινα μὴ τῇ παιδείᾳ τῶν λόγων ῥωμέλληνες γένωνται, ἔχων καὶ ἄλλα φάναι πολλὰ, παραλείπω».
42 F. Lauritzen, Bessarion’s Political Philosophy: The Encomium to Trebizond, in Bulgaria Mediaevalis, 2 (2011), pp. 189-195.
43 Edito in S.P. Lampros, Παλαιολόγεια, cit., pp. 200-221.
44 Anonymus 212.11-23, ed. Lampros, Παλαιολόγεια, cit.: «Λέγω δ’ ἥ τε τῶν Περσῶν, ἠ τῶν Μήδων καὶ [ἠ] τῶν ‛Ρωμαίων καθ’ ἠμᾶς καὶ ἠ τῆς Αἰγύπτου ’Aλεξάνδρου τέ φημι τοῦ Μακεδόνος, ὅστις μόνος Περσῶν καὶ νδῶν κατεκράτησεν. ’Aλλ’ οὗτοι μὲν τὸ κατ’ ἀρχὰς σχεδὸν ἁπάντων κατῆρξαν, ἑξῆς τῆς Αἰγύπτου, ἔπειτα ἠ τῶν ‛Ρωμαίων, εἶθ’ οὕτως ἡ καθ’ ἡμᾶς ἐκεῖθεν ἐγκεντρισθεῖσα ἀρρήτως μάλιστα διὰ τὴν εὐσέβειαν ὑπὸ τοῦ μεγάλου καὶ πρώτου γ’ ἐν βασιλεῦσι Κωνσταντίνου, ὅς γε δίκην ἀστέρος ταῖς φρυκτωρίαις ἅπασαν φαεινῶς γῆν τε καταφαιδρύνων τῆς εὐσεβείας ἢ ποταμὸς ἄλλος προχέων ἀπείρως τὸ νᾶμα τῆς διδασκαλίας πορευόμενος ἐξ ’Eδὲμ εἰς τέσσαρας ἀρχὰς μεριζόμενος τοῖς υἱέσιν. ἴδωμεν τοιγαροῦν τίνες τε μέχρι παντὸς κατεκράτησαν καὶ ὁποῖαι τὸ σχῆμα ταυτησὶ διετὴρησαν ὡς ἐν ταὐτῷ καὶ τὸν λόγον τῆς πίστεως φανήσεται μᾶλλον ἠ καθ’ ἡμᾶς ἀμφοτέρων ἐπειλημμένη».
45 Cfr. G. Mercati, Scritti d’Isidoro il cardinale Ruteno, Roma 1926, p. 5. Il testo dell’encomio è edito in S.P. Lampros, Νέος λληνομνήμων 15/2 (1921), pp. 113-126.
46 Anonymus 220.31-221.16, ed. Lampros, Παλαιολόγεια, cit.: «Τίς βασιλέων ἐπιφανέστατος καὶ πρῶτος ἐν βασιλεῦσι; Κωνσταντῖνος ὁ μέγας καὶ ἰσαπόστολος καὶ τῆς εὐσεβείας ὑπέρμαχος καὶ πρῶτος τὴν κατὰ Νίκαιαν σύνοδον συστησάμενος τῶν ἁγίων πατέρων, ὅπως τοῦ δόγματος τὴν ἀκριβῆ ἔρευναν καὶ ὁμολογουμένην εἰς φῶς προενέγκῃ. ’Aλλὰ καὶ οὗτος ζηλωτὴς ἄκρος τῶν ἀποστολικῶν καὶ πατρικῶν παραδόσεων οὐκ ἐρευνῶν ὥστε εὑρεῖν δογμάτων ἀκρίβειαν καὶ τὸ τῆς θεολογίας μυστήριον, ἀλλὰ ταῦτα μὲν ἀναφανδὸν αὐτὸς δι’ ἑαυτοῦ διδάσκων καὶ θεολογῶν, ἡνίκα καὶ ὅτε δέοι. ᾽Ώφθη μὲν οὖν ἐκείνῳ ἐν τῷ πολέμῳ τὸ ζωηφόρον ὅπλον ἐν οὐρανῷ δι’ ἀστέρος ὡδί πως φάσκον ἐν τούτῳ νίκα, ἀλλὰ καὶ τούτῳ νοητῶς, οὐ δι’ ἀστέρος, ὥσπερ ἐκείνῳ, οὐδ’ αὐτὸς ὁ τύπος τοῦ ζωηφόρου σταυροῦ, ἀλλ’ αὐτὸς ὁ ἐν αὐτῷ προσπαγεὶς καὶ τὸ μεσότοιχον τοῦ φραγμοῦ λύσας τὴν ἔχθραν ἐν τῇ σαρκὶ αὐτοῦ καὶ τοῦτον διδάσκει τὰ τῆς σοφίας ἀπόρρητα καὶ μυστηρίων θείων φανέρωσιν καὶ ὅπερ ἔφη πρότερον τοῖς αὐτοῦ μαθηταῖς καὶ ἀποστόλοις μετὰ τὴν ἀνάστασιν μονονουχὶ τοῦτο καὶ πρὸς αὐτὸν διαλεγόμενος φάσκων, τὸ δοὺ ἐγὼ μεθ’ ὑμῶν εἰμι καὶ τὰ ἑξῆς».
47 Cfr. S.P. Lampros, Παλαιολόγεια, cit., pp. 292-308.
48 Anonymus 293.18-32, ed. Lampros, Παλαιολόγεια, cit.: «Οἱ δέ γε τοῦ Χριστοῦ ὁμολογηταὶ ὥσπερ ἀστέρες ἀπλανεῖς λαμπρότερον ἡλίου ταῖς φωτοφανείαις τῆς πίστεως καὶ μαρμαρυγαῖς τὴν γῆν ἅπασαν κατεφαίδρυναν κἀν τῷ καιρῷ τῶν ἀγώνων ἀδάμαντος πολλῷ στερρότερον τὴν ἔνστασιν καὶ τὴν ὑπομονὴν ἐπεδείξαντο οἱ θεῖοι τῆς ἀληθείας κήρυκες. Τοῖσι μὲν ἑπόμενος ὁ μέγας καὶ πρῶτος ἐν βασιλεῦσιν κατά γε τὸν ὅρον τῆς πίστεως καὶ τῆς ὁμολογίας. περὶ δὴ φανὲν πρότερον σημεῖον τὸ κατ’ οὐρανὸν ἐξ ἀστέρων χάριν τῆς πίστεως προδήλως ὑποδεικνύον νίκην κατὰ τῶν πολεμίων, καὶ σμικρὸν ὕστερον συγκροτουμένη κατὰ τὴν Νίκαιαν ἱερὰ σύνοδος παρὰ τῶν ἁγίων πατέρων, τοῦτο δέδοκται μάλα σοφῶς καὶ ἐπιστημόνως διερευνῶντι τὸ ἀληθὲς τοῦ καθ’ ἡμᾶς ὀρθοῦ δόγματος καὶ μὴν οὐ διήμαρτεν, ἀλλὰ καὶ λίαν ἐξηκριβώσατο καὶ τὸν ὅρον ἐθέσπισεν, ὥστ’ εἶναι τοῖς ἐφεξῆς στήλη τε καὶ κανὼν ἀπαράγραπτος, ἕπεσθαι βουλομένοις καὶ μηδεμίαν πλάνην ὡς ἐπεισαγομένην κατορρωδεῖν».