I popoli germanici
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le popolazioni germaniche, di origine indoeuropea, dopo secoli di progressiva espansione dagli originari stanziamenti, conoscono tra il IV e il V secolo una nuova fase di violenta intromissione all’interno del mondo romano occidentale; proprio dallo scontro e dalla successiva integrazione tra strutture romane e forme germaniche dipende il successivo sviluppo della storia europea.Stanziamento ed espansione
Il nucleo di originario stanziamento delle popolazioni di stirpe germanica viene solitamente individuato nella penisola dello Jutland e nel Sud della penisola scandinava, terre da cui, in seguito a graduali espansioni, le tribù germaniche si sarebbero irradiate sino a occupare nel 700-500 a.C. buona parte dell’Europa centrosettentrionale, dai Paesi Bassi sino alla Russia occidentale. Il progressivo diffondersi delle tribù germaniche verso sud viene poi fermato dal II secolo a.C. dal diretto contatto con il mondo romano in espansione verso nord. Se le spinte migratorie (in particolare composte da Quadi e Marcomanni) verso la zona di confine con la romanità imperiale proseguono sia nel I, sia nel II secolo, la consistente avanzata verso Occidente dei popoli germanici si segnala a partire dal III secolo, quando i Goti, penetrati all’interno dell’impero, devastano a lungo le terre della penisola balcanica e dell’Asia Minore (238-271).
A questo primo spostamento di gruppi di guerrieri verso sud, attratti probabilmente dalle ricchezze e dalla possibilità di facili razzie, seguono le successive ondate (Völkerwanderung) dalla fine del IV secolo di Visigoti, Ostrogoti, Svevi o Suebi, Burgundi, Alamanni, Franchi, Longobardi, Vandali, Eruli, Angli, Sassoni e Iuti.
L’ampia espansione delle popolazioni germaniche rafforza, inoltre, la suddivisione linguisitica nei tre ceppi principali: il germanico settentrionale, dopo una prima diffusione collegata con i movimenti dei Vichinghi, afferisce in seguito al solo mondo scandinavo, differenziandosi dietro ulteriori influssi esterni; il germanico orientale, rappresentato essenzialmente dalla lingua dei Goti, dopo aver lasciato importanti tracce nella scrittura della Bibbia di Wulfila, o gotica, si è in seguito ristretto a porzioni limitate della Crimea, per poi scomparire; il germanico occidentale, ben più prolifico, accomuna storicamente i dialetti antichi inglesi, sassoni, frisoni e altotedeschi da cui discendono le odierne lingue inglese, olandese e tedesco.
La prima identificazione delle popolazioni germaniche può essere fatta risalire al IV secolo a.C., quando Pitea di Marsiglia, durante il suo viaggio nel Nord Europa, riconosce la profonda diversità all’interno dell’indefinito barbaricum tra un mondo germanico e un mondo celtico.
L’Europa germanica e l’Europa celtica si differenziano, infatti, per il diverso veicolo linguistico e per la distinta collocazione geografica, ma soprattutto per l’appartenenza generalizzabile a culture materiali difformi: così se buona parte dei popoli celtici raggiunge una stanzialità e una continuità insediativa molto presto nella storia (la cosiddetta “cultura di La Tène”, dal nome di un villaggio situato sulle sponde del lago Neuchâtel, in Svizzera), d’altro canto il mondo oltre il Reno e il Danubio sembra restare caratterizzato ancora alla fine del I secolo a.C. da forme instabili di insediamento e da economie di sussistenza basate su un’agricoltura estensiva e sull’ampio prevalere di sistemi pastorali (la cosiddetta “cultura di Jastorf”). L’Europa germanica del IV secolo sarebbe risultata, comunque, irriconoscibile per quegli scrittori latini, come Gaio Giulio Cesare o Tacito, che tre o quattro secoli prima ne avevano dato le prime descrizioni a noi note: in effetti, a forme economiche sostanzialmente instabili si sono progressivamente sostituite, soprattutto nell’Occidente germanico, forme più sofisticate di occupazione e sfruttamento del suolo (rotazione su due coltivazioni, utilizzo del concime come fertilizzante, utensili più sofisticati). Questa profonda trasformazione agricola e insediativa viene, inoltre, potenziata dall’introduzione di tecniche più redditizie di estrazione e successiva lavorazione del ferro, così come dal raffinarsi delle attività artigianali di produzione ceramica o di oreficeria. Il graduale miglioramento delle condizioni di sussistenza, che può essere inquadrato genericamente all’interno di una reale rivoluzione economica dell’area germanica, accompagna inoltre la creazione di nuclei insediativi più ampi, lo sviluppo di differenziazioni sociali tra i detentori della ricchezza e gli esclusi e, sul medio e lungo periodo, un aumento della popolazione, concausa della successiva espansione.
Cesare e Tacito non avrebbero riconosciuto il barbaricum di IV secolo anche a causa di quella mobilità che a lungo sembra caratterizzare le popolazioni germaniche: infatti, mentre gli insediamenti germanici del I e del II secolo sono già il risultato di profondi spostamenti precedenti, la stessa distribuzione etnica di IV secolo, da cui si diparte il prorompente moto di penetrazione nell’Occidente romano, appare come il risultato di un’espansione di popolazioni in precedenza ignote.
Se, come si è detto, la mobilità migratoria si deve intendere nel senso di una progressiva espansione delle tribù dell’Europa centrale verso i territori dell’Impero romano, tale mobilità caratterizza anche le dinamiche interne del mondo germanico in quanto le coalizioni tra tribù, da cui discendono i raggruppamenti noti, possono variare anche a seguito di violente lotte per la supremazia di un gruppo su altri.
La tribù resta a lungo l’organizzazione basilare del mondo germanico e, in tale direzione, sono i vincoli di parentela e di sangue, oltre al riconoscersi in miti comuni o al rimandare la propria origine a un orizzonte condiviso, a rappresentare l’essenza della struttura tribale; d’altro canto, questa stessa organizzazione rappresenta l’elemento oppositivo essenziale rispetto al mondo romano fondato sull’appartenenza alla comunità (ossia allo stato) per diritto di cittadinanza.
Grazie alla vicinanza con il mondo romano e alla successiva occupazione dei territori della zona occidentale dell’impero, oltre che per influssi di diversa entità (tra i quali non si può tacere l’espandersi del cristianesimo), il mondo germanico conosce anche un profondo processo di trasformazione che va a toccare sia i sistemi di organizzazione interna (passaggio alla “monarchia basata sull’esercito”), sia le essenziali strutture della guerra e della cultura materiale. Per quanto riguarda il primo aspetto, è noto che se Cesare si è trovato di fronte a popoli germanici nei quali il potere regale è suddiviso tra diversi principi, o se Tacito descrive re con caratteristiche attinenze al mondo della sacralità, in seguito emergono in modo sempre più generalizzato leader militari (reiks o kuning): così nei secoli caratterizzanti la violenta espansione, il mondo germanico riconosce i suoi re proprio in questi leader nei quali si concentrano in modo definito il potere militare, quello esecutivo e, perlopiù, quello giudiziario. Il potere, inoltre, sembra essere stato ripartito già ab origine con un’assemblea di uomini liberi, che mantiene un ruolo costante ancora all’inizio del Medioevo e al quale sembra sia stato perlopiù affidato il compito di ratifica delle decisioni del re. Di maggior importanza resta, al contrario, il comitatus, ossia il gruppo ristretto di guerrieri che afferisce in un primo tempo al leader militare, poi al re, e che viene ricompensato con il frutto delle guerre: tale aristocrazia, che caratterizza ulteriormente in senso guerriero la società germanica, assume un ruolo primario proprio nell’ambito delle invasioni in quanto fornisce i vari popoli germanici di gruppi di attacco forti e coesi.
Da un punto di vista strettamente materiale, la guerra viene a lungo combattuta con un armamentario assai ristretto, ma contando sia sull’impatto della violenza anche disorganica dello scontro, sia sulla sorpresa dell’attacco: in effetti, il corredo di guerra di queste popolazioni risulta caratterizzato essenzialmente da giavellotti, lance, scudi; solo dal III secolo, grazie al lungo contatto con i Romani, la spada sembra acquisire un ruolo maggioritario; dal V secolo inizia, inoltre, a diffondersi l’uso dell’elmo. Al contrario, come confermano anche gli scavi archeologici, l’armatura rappresenta per lo più una eccezione: così negli scontri tra Franchi e Bizantini ancora nel VI secolo i guerrieri franchi a petto nudo portano soltanto brache di pelle o di lino. Anche nella tecnica di scontro pochi sono gli essenziali cambiamenti segnalabili nel corso dei secoli: solo tra quelle popolazioni orientali in più stretto contatto con il modello sarmatico-iranico-turco – ossia presso i Goti, i Vandali e i Longobardi – la cavalleria e l’uso dell’arco vengono potenziati.
Le notizie relative alle religioni germaniche e ai loro sviluppi prima del diffondersi del cristianesimo risultano parziali, sebbene la tarda conversione delle popolazioni islandesi abbia favorito la sopravvivenza di un panorama abbastanza ricco e articolato.
Alla base della strutturazione dei miti germanici sembra doversi collocare l’opposizione tra Asi e Vani, il cui scontro originario viene visto da alcuni studiosi come memoria di reali scontri primitivi tra gli invasori indoeuropei e le precedenti popolazioni stanziali: come ha riconosciuto anche Georges Dumézil, agli Asi afferiscono genericamente le divinità collegate con il magico e il guerriero (e in particolare Wotan/Odino, il signore degli dèi a cui è affidato il compito di condurre nel Walhalla i caduti in battaglia; Donar/Thor, il dio del tuono; Tyr/Tiu che Tacito riconosce corrispondere al dio romano Marte), mentre ai Vani quelle relative alla produzione e alla riproduzione (in particolare: Freyr, dio della fecondità; Freya, dea dell’amore e della fertilità). Già Tacito, in un breve capitolo della sua Germania, aveva operato una identificazione tra divinità germaniche e divinità romane riconoscendo Odino in Mercurio, Tiu in Marte, Thor in Giove, Venere in Freya; tali assimilazioni sono anche confermate dai calchi sui quali vengono modellati nel IV secolo i nomi dei giorni della settimana: il Mercurii dies romano infatti corrisponde all’anglosassone Wödnesdæg (“giorno di Odino”) da cui il Wednesday inglese o il Woensdag olandese; il giovedì (Iovis dies) si trasforma in Donares Tag (“giorno di Donar”) da cui il tedesco Donnerstag o l’inglese Thursday; il Martis dies diviene in anglosassone Ti wesdæg da cui l’inglese Tuesday o il tedesco Dienstag; infine, sulla base dell’associazione tra Venere e Freya dipendono l’inglese Friday e il tedesco Freitag.
L’integrazione tra il complesso e raffinato diritto romano e il diritto consuetudinario germanico rappresenta un capitolo essenziale del costituirsi dei regni romano-barbarici. In una prima fase la sopravvivenza parallela dei due diritti accompagna la coesistenza non integrata tra i nuovi dominatori e i Romani accentuando la diversità etnica sulla base anche di una sostanziale separazione di diritto.
Di poco successiva, comunque, è la fase di codificazione scritta databile tra il V e il IX secolo e che accomuna la maggior parte delle nuove entità territoriali. Tra le varie codificazioni si può segnalare l’attività databile già alla fine del V secolo del re dei Visigoti Eurico, il quale si fa promotore della raccolta delle precedenti normative del suo popolo in un unico corpus (Codex Euricianus); al figlio Alarico II si riferisce, invece, il Breviarium alaricianum (506), ossia una raccolta di leggi romane perlopiù tratte dal Codex Theodosianus. Oltre alla Lex Gundobada voluta dal re dei Burgundi da cui prende il nome, Gundobado appunto, alla fine del V secolo risale anche il nucleo più antico delle legge dei Franchi Salii, la cosiddetta Lex Salica, la quale, accanto a norme giuridiche varie, prevede l’esclusione delle discendenze femminili dalla dignità reale.