I poveri, i pellegrini e l'assistenza
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Sul finire del secolo XI i monasteri benedettini cominciano a perdere quell’esclusività nell’assistenza e accoglienza ai poveri che li aveva fino ad allora connotati. Comunità canonicali, organizzazioni confraternali, nuovi ordini religiosi cominciano così a prendersi cura di poveri, pellegrini, malati, in una progressiva specializzazione e parcellizzazione di forme e modalità dell’assistenza stessa.
A partire dal secolo IX l’ospitalità monastica è determinante per il soccorso e l’accoglienza ai poveri. Nei monasteri svolgono un ruolo di primo piano il cellario e il padre portinaio, che dev’essere savio, anziano e prudente. Poveri mendicanti, vagabondi, malati, si presentano alla porta: la povertà non lega la persona al territorio di appartenenza ma rimescola le categorie. Al pellegrino diretto al santuario si affiancano il colono sfrattato dal suo podere, il mercante oppresso dai debiti. Per tutti l’ospitalità benedettina, secondo la regola di san Benedetto da Norcia, ripresa e rielaborata nel IX secolo – valga per tutte la riforma di Benedetto di Aniane attorno all’816 – ha una sola parola: benedic. Si benedice il povero, immagine di Cristo e attraverso lui si accoglie Cristo stesso, resosi povero e umile fra gli umili.
I costumieri, i cerimoniali propri di ogni abbazia fissano le modalità dell’accoglienza: si lavano i piedi (mandatum), si distribuisce cibo, si offrono alloggio e, nel caso, cure mediche. La refectio pauperum è l’offrire ogni giorno cibo, ma anche legna, abiti smessi a poveri e pellegrini di passaggio che non chiedono anche ospitalità e a quanti, bambini, donne, vecchi, storpi, gravitano abitualmente attorno al monastero. Il mandatum, la lavanda dei piedi, praticata quotidianamente agli ospiti raggiunge momenti di particolare solennità il giovedì santo. Il corteo dei poveri, ai quali viene praticata una prima lavanda al mattino, entra in chiesa affiancando il corteo dei monaci, in pari numero. Ogni monaco posto di fronte a un povero gli si inginocchia davanti, adora in lui il Cristo, gli lava i piedi, li asciuga e poi li bacia. I poveri vengono poi congedati con qualche moneta.
Se la ritualità resta fissata nel tempo, è la figura del portinaio invece a subire ben presto uno sdoppiamento: il custos hospitum si occuperà della foresteria riservata a ricchi e altolocati di passaggio, l’elemosynarius invece ospiterà i poveri e si farà carico di distribuire loro l’elemosina. Si avvia così anche un altro servizio, l’elemosineria, che si diffonde e si incrementa dalla seconda metà del secolo XI in poi, in parallelo con l’aumento della povertà ma anche con l’aumento del bisogno di protezione degli inermi (gli uomini non in armi) contro la prepotenza dei militari. Il termine pauper contrapposto a miles assume così ancora un altro significato
Per tutto il secolo XI i monasteri benedettini continuarono a mantenere quella che potremmo chiamare una sorta di esclusiva della beneficenza, consentendo un funzionamento razionale delle collette e della loro distribuzione. L’elemosina drena verso l’esterno una quota della ricchezza del monastero ed è anche la somma delle privazioni collettive e personali che i monaci si impongono. Il frutto del digiuno viene consegnato all’elemosiniere affinché sia distribuito ai poveri.
Non è facile comunque fronteggiare l’assalto della miseria e sopperire ai bisogni di masse crescenti di diseredati, che possono raggiungere cifre imponenti: la sola abbazia di Cluny dà soccorso nel 1018 a ben 17 mila poveri. Complici calamità naturali e carestie, già alla fine dell’XI secolo i monasteri non riescono più a provvedere al sostentamento dei poveri. Nel 1095 il raccolto in Europa è scarso dappertutto, compromettendo la distribuzione di grano e pane.
Col nuovo secolo la carestia avanza, nel 1120, in Portogallo e poi, nel 1124-1125, in Germania. La siccità colpisce nel 1186 la pianura del Po, flagellata quattro anni dopo da una pesante alluvione. Si potrebbe continuare, ma basta dire che il XII secolo si chiude un po’ ovunque con una situazione catastrofica. La povertà colpisce prima di tutto i contadini, stretti fra gli obblighi verso i loro signori e i debiti, ma colpisce anche le città, i cui mali si aggravano a seguito dell’inurbamento di gente del contado venuta a cercare lavoro e aiuto. Colpisce a diversi livelli anche i più tradizionali ceti urbani. Né va dimenticata l’incidenza della malattia, sostenuta dal ciclo carestia-epidemia.
Il povero non è più il mendico umile e orante alla porta del convento. Comincia a diventare una presenza inquietante, si aggrega con i compagni di sventura, si sposta in bande sempre più minacciose, è sporco, ladro, fa paura. Non stupisce allora che il miraggio di un bottino consistente che riscatti una vita di miserie sia una delle molle che porta gruppi di esclusi e rivoltosi ad aggregarsi alla crociata del 1095, vera e propria valvola di sfogo per un Occidente in crisi di sussistenza. L’infuocata predicazione di Pietro l’Eremita farà il resto, ma le bande della “crociata dei poveri e degli straccioni”, avanguardia della crociata vera e propria, guidate dall’eremita e dal cavaliere Gualtieri Senzaveri, finiscono annientate dai Turchi nei pressi di Nicea. Né miglior fortuna arride alle bande di poveri e pellegrini che si uniscono alle crociate successive, fino al tragico epilogo della cosiddetta “crociata dei fanciulli” del 1212.
Il fatto nuovo da sottolineare è l’incontro fra predicatori itineranti e poveri nel nome di un risveglio evangelico basato sulla Imitatio Christi, che porterà in prosieguo di tempo a movimenti popolari piuttosto vasti, come quelli della pataria milanese o dei bogomili bulgari, venati o profondamente segnati da tendenze eterodosse, ma porterà pure a movimenti popolari d’altro tipo, a rivolte di poveri ed emarginati guidati da sedicenti profeti come Guglielmo Lungabarba o eremiti di una generazione successiva, come Folco da Neuilly, il predicatore della quarta crociata. È comunque l’inizio di quel rinnovamento religioso che avrà più compiuta espressione nel XIII secolo e si può sintetizzare per il momento con il passaggio dalla liberalitas erga pauperes alla conversatio inter pauperes. Si fa strada così anche un diverso modo di intendere la carità: non si aspetta più che il povero si presenti alla porta del convento, ma lo si va a cercare, gli si va incontro in un rinnovato spirito di servizio che, sull’onda lunga della riforma gregoriana, coinvolge prima i chierici e poi, prepotentemente, i ceti cittadini.
Artefici del rinnovamento fra i chierici sono i canonici, esponenti del clero secolare che già dall’XI secolo hanno scelto la vita in comune, senza beni personali ma con un patrimonio collettivo da mettere a disposizione della chiesa e dei poveri. E chi meglio dei canonici, riuniti in capitoli, può coadiuvare il vescovo nell’amministrare la quarta pauperum, cioè la quarta parte del patrimonio ecclesiastico, destinata appunto ai poveri, come ricorda anche il Decretum Gratiani? Anche i laici si rendono protagonisti del risveglio evangelico del XII secolo. Riuniti sovente in confraternite che assumono talvolta carattere penitenziale, cominciano a gestire in proprio, senza deleghe o mediazioni monastiche o clericali, quelle opere di misericordia, soprattutto corporali, che un’accorta iconografia sempre più frequentemente raffigura nelle chiese. L’attuazione pratica delle opere di misericordia diventa per i laici via di perfezione: si ritorna ad amare il povero come Vicarius Christi e lo stesso Cristo nelle sembianze del povero.
La rete caritativo-assistenziale messa su da chierici e laici, insieme o separatamente, dà conto della vasta gamma dei bisogni della società dell’epoca e si intreccia con le nuove emergenti esigenze connesse con una mobilità di nuovo tipo ma anche con diverse forme di morbilità.
Le esigenze di un’intensificata circolazione di uomini e beni, stimolata dall’economia di scambio, porta a un rinnovato sviluppo dell’ospitalità lungo le strade battute dai pellegrini. È noto del resto il rapporto fra viabilità e grandi pellegrinaggi. Ne è un esempio la progressiva definizione del percorso che si snoda lungo le strade europee fino alla Galizia per permettere il pellegrinaggio alla presunta tomba dell’apostolo Giacomo il maggiore, scoperta verso la metà del IX secolo a Compostela. Il pellegrino è anche lui un povero, anche se volontariamente e per un tempo limitato, esposto a disagi, privo di protezione. Lo si identifica per l’abbigliamento, grossolano e succinto, il cappello particolare, la scarsella, il bordone e infine per la conchiglia, che da simbolo iniziale del solo pellegrino iacopeo diventa poi simbolo condiviso, a significare la mano tesa per l’elemosina. Sul percorso dei pellegrini, a opera di comunità canonicali o confraternite, sorgono luoghi di accoglienza, a presidio di strade di montagna, passi pericolosi, ponti e fiumi. Basti ricordare l’operato dei frati pontieri del Rodano che, assieme alle loro consorelle, portano a compimento la costruzione del famoso ponte di Avignone o ancora l’ospizio di Altopascio, diventato ben presto centro di una locale congregazione ospedaliera. Proprio lo sviluppo degli ospedali, degli ordini religiosi e delle associazioni laiche a essi collegati, di cui è impossibile dare un sia pur minimo elenco, connota la rinnovata carità. Si comincia anche a distinguere fra pauper e infirmus, fra ospizio, luogo di accoglienza indistinta e ospedale vero e proprio, con una più chiara connotazione terapeutica, in una progressiva specializzazione dell’assistenza, che coinvolge progressivamente anche le autorità civili.
Valga per tutti il caso dei lebbrosari, che accolgono proprio fra XII e XIII secolo un numero incrementato di malati a seguito della maggiore mobilità, delle crociate, dei pellegrinaggi e in generale di un più diffuso contatto con l’Oriente. A questi malati si dedicarono in particolare i cavalieri di san Lazzaro, organizzandone il vivere quotidiano sulla falsariga di una comunità monastica, ma c’è da dire che a essi prestano attenzione, sia pure in un ’ottica che tende a proteggere i sani dal contagio piuttosto che a curare i malati, anche le autorità cittadine, organizzandone la vita in comunità alloggiate in periferia, giuridicamente riconosciute e regolarmente assistite e finanziate.