I presupposti per l’esdebitazione
La sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 24214 del 18.11.2011 è intervenuta in tema di esdebitazione del fallito – istituto disciplinato dagli artt. 142-144 l. fall. – stabilendo che ai fini del riconoscimento di tale beneficio non occorre che tutti i creditori vengano, sia pure solo in parte, soddisfatti. La formulazione dell’art. 142, co. 2, l. fall. – secondo cui «l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali » – lasciava infatti spazio a due possibili letture. Una prima lettura, restrittiva della portata della norma e che non è stata accolta dalla Cassazione, riferisce l’inciso «neppure in parte» ai crediti di ciascun creditore, con la conseguenza che si potrebbe ottenere l’esdebitazione solo quando tutti i creditori, anche chirografari, abbiano ottenuto una sia pur minima percentuale del loro credito. Soddisfare tale condizione risulta particolarmente difficile in presenza di un numero elevato di crediti privilegiati rispetto a quelli chirografari: dovendosi, prima di poter distribuire qualcosa a quest’ultimi, soddisfare integralmente i primi, ben potrebbe accadere di non riuscire nell’intento pur avendo ottenuto una cospicua massa fallimentare. Questa interpretazione si presta pertanto ad essere criticata in quanto irragionevole perché l’esdebitazione potrebbe essere negata pur essendosi soddisfatta un’altissima percentuale del debito complessivo, e viceversa la si potrebbe ottenere pur avendone pagato una percentuale risibile. Una seconda lettura, estensiva della portata della norma e che è stata accolta, riferisce l’inciso «neppure in parte» ai creditori, e quindi si potrebbe ottenere l’esdebitazione anche quando un solo creditore abbia ottenuto una percentuale del suo credito. Se ci si fermasse qui però, anche tale interpretazione si presterebbe ad essere criticata in quanto potrebbe bastare il pagamento di un euro a fronte di debiti per milioni per affermare il pagamento, sia pure in parte, dei crediti e quindi il beneficio dell’esdebitazione potrebbe essere riconosciuto praticamente a tutti i falliti. Secondo la Cassazione quindi tale interpretazione va corretta e circoscritta sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della norma, ossia alla luce dell’intero dettato dell’art. 142 l. fall., il cui co. 1 prevede che il fallito è ammesso all’esdebitazione a condizione che: abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo; non abbia ritardato lo svolgimento della procedura; abbia consegnato al curatore la propria corrispondenza attinente al fallimento; non abbia beneficiato di altra esdebitazione; non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti; non sia stato condannato per delitti connessi con l’attività d’impresa. In effetti, poiché il beneficio dell’esdebitazione si propone di individuare un punto di equilibrio tra l’esigenza del debitore a ricominciare una nuova attività imprenditoriale senza dover sopportare il peso dei debiti pregressi e quella dei creditori ad ottenere quanto più possibile dalla procedura fallimentare, è evidente che tale beneficio può essere concesso solo all’imprenditore il quale – evitando operazioni sospette già al momento della manifestazione dell’insolvenza e poi collaborando durante il fallimento alla più rapida definizione della procedura – abbia contribuito al raggiungimento dell’obiettivo dei creditori di ottenere il massimo dal fallimento. Occorre altresì, secondo la Cassazione, che l’entità dei debiti saldati sia ragionevolmente consistente rispetto a quanto complessivamente dovuto. Pertanto, secondo la Cassazione, il debitore potrà accedere al beneficio dell’esdebitazione quando abbia tenuto un atteggiamento collaborativo contribuendo ad una rapida definizione della procedura e abbia soddisfatto di una percentuale ragionevole dei debiti complessivi, a prescindere dalla circostanza che qualcuno dei creditori chirografari nulla abbia ottenuto.