Anche il presidente della Colombia Juan Manuel Santos e il capo delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc) Rodrigo Londoño Echeverri ‘Timochenko’ erano stati menzionati tra i candidati in pole position negli ultimi giorni prima dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2015 poi effettivamente finito al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino. Una previsione probabilmente eccessiva. Primo, perché comunque la data ‘improrogabile’ fissata per firmare l’accordo di pace in Colombia è il 23 marzo 2016. Secondo, perché in termini di terrorismo e violazione dei diritti umani la reputazione delle Farc è veramente pessima, e comunque anche lo stato colombiano in questo conflitto feroce si è macchiato di responsabilità pesanti.
Tuttavia, il fatto che questa previsione sia stata fatta indica tutta l’importanza dell’intesa che il 23 settembre 2015 è stata annunciata all’Avana. Tant’è che lo stesso Santos ha deciso di viaggiare nella capitale cubana, e di farsi fotografare mentre stringeva la mano di Timochenko sotto lo sguardo sorridente di Raúl Castro. Da un anno il negoziato si era infatti arenato sul quarto dei cinque punti, dopo aver raggiunto l’accordo su riforma agraria, creazione di meccanismi per l’integrazione dei guerriglieri nella vita politica e civile e una nuova strategia di lotta alla droga. E giusto due giorni prima della stretta di mano dell’Avana Santos aveva appunto annunciato un nuovo piano anti-droga che consentirebbe a 26.000 famiglie di passare a coltivazioni lecite.
Il nodo riguardava la giustizia: la necessità di bilanciare le necessarie amnistie con il rispetto per le vittime. Il compromesso prevede la creazione di una giurisdizione speciale per la pace con sale di giustizia e un Tribunale speciale. In maggioranza sarà composta da magistrati colombiani, ma saranno integrati da giuristi stranieri. Funzione dei due meccanismi sarà «porre termine all’impunità, ottenere la verità, contribuire all’indennizzo alle vittime e giudicare e imporre sanzioni ai responsabili dei gravi delitti commessi durante il conflitto armato, particolarmente i più gravi e rappresentativi, garantendo la non ripetizione». L’accordo garantisce alla fine delle ostilità, «l’amnistia più ampia possibile per delitti politici e connessi», ma con eccezione dei «delitti di lesa umanità, genocidio e crimini di guerra, come la presa di ostaggi, il sequestro, la tortura, l’espulsione dal territorio, le sparizioni, le esecuzioni extragiudiziarie e la violenza sessuale». Saranno giudicati sia guerriglieri che agenti dello stato con due differenti tipi di procedimento: uno per chi ammette subito verità e responsabilità, con pene tra i 5 e gli 8 anni; uno per chi non lo fa, o lo fa tardivamente, con pene normali fino a 20 anni. Ma vittime e colpevole potranno di mutuo accordo stabilire forme di giustizia restaurativa alternativa al carcere.
Ci sono ovviamente dubbi e critiche, e l’opposizione agli accordi è portata in avanti in particolare dall’ex presidente Álvaro Uribe Vélez. Ma Papa Francesco ha benedetto l’intesa, e anche gli Usa si dicono disposti a rinunciare a chiedere l’estradizione di membri delle Farc, qualora servisse per la pace. Pur importante, il negoziato con le Farc non costituisce però il solo problema della Colombia. La situazione effervescente nel vicino Venezuela ha infatti innescato una crisi di frontiera, con il presidente Maduro che il 21 agosto ha dichiarato lo stato di emergenza in una zona di confine, chiudendo i passaggi e iniziando a espellere colombiani tacciati di clandestini. Ufficialmente, una risposta a minacce di contrabbandieri e paramilitari culminate il 19 agosto 2015 in un agguato a tre membri delle Forze armate venezuelane impegnati in un’azione anti-contrabbando e ad un civile che li stava aiutando. Ma in molti hanno visto nell’escalation il tentativo di un Maduro in grave crisi di popolarità e impegnato in un duro braccio di ferro con l’opposizione per recuperare consensi a colpi di xenofobia. Entro il 25 settembre 2015, 1714 colombiani erano stati espulsi con la forza, ed altri 22.024 erano stati spinti ad andarsene. Dopo che la crisi aveva portato al richiamo degli ambasciatori, il 21 settembre 2015 Santos ha iniziato la settimana poi culminata nella stretta di mano con Timochenko appunto con un vertice a Quito con Maduro, mediato dal presidente ecuadoriano Rafael Correa. E un accordo ha ufficialmente posto fine al conflitto, anche se i rimpatriati sono di fatto restati in Colombia.
A differenza del disastrato Venezuela, la Colombia ha avuto nel 2015 un anno di crescita economica. Ma il rallentamento cinese e la caduta dei prezzi del petrolio sono destinati a far sentire i loro effetti, la previsione di aumento del pil è scesa dal 3,6% al 2,5%, e Santos ha già avvertito che il 2015 potrebbe essere difficile. La Colombia è inoltre al momento restata fuori dall’Accordo transpacifico di associazione economica (Tpp) firmato il 5 ottobre 2015 ad Atlanta. Anche se un suo rapido ingresso è stato auspicato da Perù, Cile e Messico: paesi che hanno invece firmato, e che sono suoi partner nell’Alleanza del Pacifico.