I rapporti Parlamento-Governo
Le dinamiche dei rapporti fra Parlamento e Governo registrano da alcuni decenni la crescita del ruolo dell’esecutivo con una sostanziale condizione di subalternità del Parlamento, di cui è espressione anche la riduzione dei tempi del dibattito parlamentare. L’esperienza di questi ultimi anni dimostra che le modifiche introdotte al sistema elettorale incidono anche sulle modalità di funzionamento del Parlamento, sui rapporti fra Parlamento e Governo, nonché sulle modalità di esercizio, da parte di ciascuna Camera, delle prerogative parlamentari con possibili ulteriori tensioni istituzionali. In questa situazione, nella quale si riscontra una riduzione del tasso di pluralismo dell’intero ordinamento, si registra l’ampliamento degli ambiti di intervento del Presidente della Repubblica, che avverte l’esigenza di intervenire a difesa delle prerogative parlamentari e di segnalare comportamenti o atti costituzionalmente necessari o opportuni sia ai Presidenti delle Camere che al Governo.
Il tema dei rapporti fra Parlamento e Governo, quale osservatorio privilegiato delle modalità di funzionamento del principio di divisione dei poteri, si è posto spesso all’attenzione della dottrina costituzionalistica, la quale ha evidenziato come tale oggetto di studio ricomprenda al proprio interno, oltre alle vicende del rapporto fiduciario, anche le forme della dialettica tra maggioranza ed opposizione e così, dunque, le problematiche connesse alla programmazione dei lavori parlamentari e all’esercizio delle prerogative parlamentari (divieto di mandato imperativo, verifica dei poteri, immunità parlamentare, ma anche autonomia regolamentare delle Camere ecc.). Il Parlamento, nello svolgimento delle proprie funzioni, entra spesso in rapporto con il Governo mediante una molteplicità di atti normativi ma anche non normativi (dal parere parlamentare sui disegni di decreto legislativo al controllo del Parlamento sulle nomine governative ai vertici degli enti pubblici, sui documenti di finanza pubblica, sui servizi di informazione e sicurezza e sui segreti di Stato, sull’utilizzo delle forze armate e sugli armamenti ecc.). In merito alla dialettica fra maggioranza e opposizione, deve ricordarsi che quest’ultima svolge nei regimi democratici un ruolo essenziale non solo perché prospetta un indirizzo politico alternativo a quello della maggioranza, ma perché ha (o dovrebbe avere) la possibilità di incidere sulla decisione finale. Ed è questa la visione presupposta dalla Costituzione, che assegna al Parlamento un ruolo centrale di mediazione fra i partiti politici. La forma di governo delineata nella Costituzione, infatti, è modellata sul principio di «centralità della intermediazione partitica nella formazione dell’indirizzo politico»1 e la stabilità dell’esecutivo è rimessa all’esistenza di una maggioranza parlamentare. Ma il Parlamento negli ordinamenti pluralistici, in ragione dell’intima connessione fra legittimazione democratica, rappresentanza democratica e principio di responsabilità, è chiamato a svolgere un ruolo di «potere» ma anche di «contropotere », imponendo, mediante la trasparenza dei processi decisionali, la «visibilità» dell’esercizio del potere. E nel principio pluralista trova fondamento anche la tutela dell’opposizione, che si esplica in numerosi istituti parlamentari di favor delle minoranze.
1.1 La funzione legislativa
Le funzioni del Parlamento sono tradizionalmente raccolte in tre categorie (la funzione legislativa e di revisione costituzionale; la funzione di indirizzo e di controllo politico; la funzione ispettiva) cui bisogna aggiungere quelle del Parlamento in seduta comune, organo costituzionale distinto dalle due Camere, che si riunisce solo nei casi previsti dalla Costituzione ed avente funzioni elettive (di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale) ed accusatorie (oggi del solo Presidente della Repubblica). Nello Stato moderno, con la progressiva affermazione della sovranità popolare, quella legislativa viene a costituire la funzione storicamente propria del Parlamento quale assemblea rappresentativa del corpo elettorale. L’iniziativa legislativa governativa, che per alcune tipologie di leggi è «riservata» all’esecutivo (legge di bilancio, legge di stabilità, legge comunitaria, leggi di ratifica dei trattati internazionali, legge di conversione di decreto-legge), assume peculiare significato perché, se la Costituzione (art. 94, co. 4, Cost.) dispone che il voto contrario di una o di entrambe le Camere su di una proposta del Governo non comporta l’obbligo delle dimissioni dello stesso (com’era di prassi in epoca statutaria, quando l’esecutivo assegnava al voto contrario di una Camera il significato di cessazione del rapporto fiduciario), non può dimenticarsi che il Governo presenta i propri disegni di legge alla maggioranza che lo sostiene. In merito agli atti mediante i quali si sviluppa, a livello legislativo, il rapporto tra Governo e Parlamento va ricordata, oltre al potere di iniziativa legislativa, la dialettica che si instaura fra Parlamento e Governo in occasione dell’esercizio della delega legislativa e della decretazione d’urgenza. L’elevato ricorso (a partire dalla XIII legislatura) all’istituto della delega legislativa2 trova conferma nel primo triennio della XVI legislatura (ove il Consiglio dei ministri ha deliberato ben 147 decreti legislativi!). Con riguardo alla decretazione d’urgenza, se va riscontrata la tendenza ad una riduzione del numero dei decreti-legge adottati dal Governo (30 decreti-legge nel maggio- dicembre del 2008, 18 nel 2009, 21 nel 2010 e 12 fino a settembre 2011), va segnalato però l’utilizzo qualitativamente significativo di tale strumento, in ragione dell’adozione di decreti-legge che (facendo seguito alla prassi instaurata con il d.l. n. 112/2008 e il d.l. n. 78/2010) disciplinano ampi settori estremamente significativi dell’azione statale e con diretti e rilevanti effetti sul bilancio statale (in tal senso, nel 2011, il d.l. n. 98 e il d.l. n. 138).
1.2 La funzione di indirizzo politico
La funzione di indirizzo politico si esplica innanzitutto con l’approvazione, da parte di ciascuna Camera, della mozione di fiducia3, che instaura quel rapporto di fiducia che si interrompe con l’approvazione, da parte anche di una sola Camera, di una mozione di sfiducia o con il voto negativo alla questione di fiducia posta dal Governo o con le dimissioni di quest’ultimo. Fra le regole costituzionali volte alla razionalizzazione del parlamentarismo (auspicata fin dall’ordine del giorno Perassi), particolare significato assume quella che prevede il principio maggioritario per l’instaurazione del rapporto fiduciario (art. 94 Cost.4). Se nel primo decennio di vita repubblicana le dimensioni e gli equilibri interni del partito di maggioranza relativa avevano assicurato una stabilità governativa, nei decenni successivi si assiste all’affermazione di governi di coalizione di breve durata ed il Parlamento accresce il proprio ruolo di elaborazione delle decisioni politiche (cd. «centralismo parlamentare»). Negli anni Ottanta, il richiamo alla «stabilità» diventa il fondamento della richiesta di «riforme istituzionali», ma anche dell’introduzione di modifiche ai regolamenti parlamentari (e di approvazione di leggi quale la l. n. 400/1988), volte a rafforzare i poteri della maggioranza e a ridurre gli strumenti (soprattutto ostruzionistici) a disposizione delle minoranze. Le riforme elettorali del 1994 e del 2005, unitamente alla deflagrazione del preesistente assetto politico-partitico, hanno accresciuto la prevalenza dell’esecutivo nei rapporti con il Parlamento, in ragione del nuovo assetto del sistema politico, dei meccanismi interni dei singoli partiti politici e perché l’assunzione da parte dei leader politici di ruoli di vertice all’interno dell’esecutivo determina una situazione di subalternità politica dell’istituzione parlamentare nei confronti del Governo che, una volta ricevuta la fiducia, viene di fatto a disporre dell’agenda parlamentare e nei confronti del quale al Parlamento resta spesso la sola estrema arma della sfiducia.
1.3 La funzione ispettiva
La funzione ispettiva del Parlamento si esplica attraverso istituti tradizionali (interrogazione, interpellanza, inchiesta e indagine conoscitiva) volti all’acquisizione di informazioni e ad una valutazione delle informazioni acquisite. Quelli ispettivi sono dunque strumenti di cui il Parlamento dispone per poter svolgere adeguatamente tutte le proprie competenze. In merito al concreto esercizio di tale funzione, nel primo triennio della XVI legislatura si conferma la tendenza, sempre presente nel Parlamento italiano, di non piena soddisfazione delle istanze ispettive, giacché alla Camera dei deputati la percentuale delle risposte fornite dal Governo ad interrogazioni ed interpellanze si aggira intorno al 60 per cento, mentre al Senato della Repubblica la percentuale di risposta alle interrogazioni si ferma intorno al 32 per cento e alle interpellanze appena al 15 per cento5. Dagli altri strumenti ispettivi si differenzia l’inchiesta parlamentare (art. 82 Cost.) per l’ampiezza della medesima con riguardo sia all’oggetto dell’inchiesta («materie di pubblico interesse») che ai poteri costituzionalmente conferiti alla commissione d’inchiesta (che agisce «con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria »). Nella presente legislatura sono state istituite due commissioni di inchiesta (già presenti anche in precedenti legislature): la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali anche straniere (l. n. 132/2008) e la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (l. n. 6/2009).
Nell’anno 2011 non vi sono state modifiche costituzionali né legislative in tema di rapporti fra Parlamento e Governo, ma si è registrata la persistenza di prassi che rivelano una condizione di «sofferenza» del Parlamento. Si intende far riferimento, in particolare, a tutti quei casi in cui il Parlamento si trova a «subire» scelte e tempi dettati dall’esecutivo, come, ad esempio, in occasione dell’adozione di decreti-legge (a volte anche di rilevante impatto sulla vita dei cittadini) oggetto, in sede di conversione in legge, di maxi-emendamenti presentati dallo stesso Governo e con apposizione – sempre da parte del Governo – della questione di fiducia. A questo proposito, va ricordato che la Costituzione non prevede espressamente il potere del Governo di porre la questione di fiducia, ma è la natura paritaria e bilaterale del rapporto fiduciario a consentire tale facoltà6.
2.1 La disciplina costituzionale. L’utilizzo abnorme della decretazione d’urgenza
Nel 2011 si continua a registrare un utilizzo consistente della delega legislativa7 e della decretazione d’urgenza8, ma è con riguardo a quest’ultimo istituto che si registrano peculiari novità. In particolare, con riguardo al contenuto dei decreti-legge adottati nel 2011, va segnalato quanto disposto nel d.l. n. 138/2011 che (in chiaro spregio dell’autonomia parlamentare) espressamente «anticipa» il contenuto di future norme di revisione costituzionale (in particolare dell’art. 41 Cost. e di soppressione delle Province). Ma, al di là di tali casi estremi, va evidenziato che la scelta dell’esecutivo di ricorrere alla decretazione d’urgenza riduce l’ampiezza del dibattito parlamentare, comprimendo i tempi di elaborazione delle relative decisioni. Il decreto-legge viene ad essere utilizzato come un’iniziativa legislativa rafforzata, che pone a carico del Parlamento ristretti vincoli temporali. Ed il fenomeno di «sofferenza» del Parlamento si accresce di fronte all’ulteriore prassi governativa di presentare, nel corso del procedimento di conversione, un «maxi-emendamento » (che spesso riscrive gran parte del decreto-legge) sul quale il Governo pone anche la questione di fiducia, spazzando così via il lavoro parlamentare nel frattempo svolto sul testo originario ed impedendo al Parlamento di esaminare e discutere i singoli aspetti del nuovo testo che invece la maggioranza è chiamata semplicemente ad approvare o respingere (con lesione del principio costituzionale ex art. 72 Cost. secondo cui la legge si vota articolo per articolo e nella sua interezza e dunque con piena consapevolezza da parte di ogni parlamentare di ogni contenuto della legge). Questa prassi è stata criticata anche dal Presidente della Repubblica che, con note indirizzate al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle Camere (ad esempio, nel febbraio del 2011), ha evidenziato che tale prassi realizza una «pesante compressione del ruolo del Parlamento » e così il Presidente della Repubblica ha operato un esplicito richiamo «al senso di responsabilità» di Governo e Parlamento («e in particolare dei gruppi di maggioranza»), invitati a non alterare «gli equilibri» che la Costituzione impone, nell’ambito del procedimento legislativo, tra i poteri spettanti al Governo, alle Camere e allo stesso Presidente della Repubblica.
2.2 L’evoluzione dei rapporti Parlamento-Governo
La tensione politica che purtroppo caratterizza negli ultimi anni la vita delle istituzioni italiane non può non riflettersi anche nell’evoluzione dei rapporti fra Parlamento e Governo. A questo proposito deve ricordarsi, con riguardo all’anno 2011, l’intervento del Presidente Napolitano che, nel maggio del 2011, dopo la nomina di nove nuovi Sottosegretari, ha invitato i Presidenti delle Camere ed il Presidente del Consiglio dei ministri a «valutare le modalità con le quali investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il Governo», avendo rilevato l’ingresso nell’esecutivo di «esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche». Dando seguito a tale invito, nel successivo mese di giugno il Governo ha presentato in ciascuna Camera la relativa informativa. È da ricordare, a questo proposito, che le «novità» nella configurazione della maggioranza politica che sostiene il Governo si sono prodotte in conseguenza della frattura intervenuta, nell’estate del 2010, all’interno della coalizione vincitrice delle elezioni del 2008. Tale frattura ha in seguito portato alla mozione di sfiducia presentata alla Camera dei deputati il 12.11.2010, la cui votazione è avvenuta nel mese successivo (esattamente il 14.12.2010) in ragione della decisione, sollecitata dal Capo dello Stato («in nome dell’interesse generale del paese nelle attuali difficili vicende finanziarie internazionali») e formalizzata nell’incontro avvenuto 16.11.2010 fra il Presidente della Repubblica ed i Presidenti delle Camere, di dare la precedenza all’approvazione finale delle leggi di stabilità e di bilancio per il 2011. A questo proposito, deve rilevarsi che le settimane trascorse tra la presentazione della mozione di sfiducia e la votazione della stessa hanno consentito al Governo di ottenere il consenso di deputati inizialmente non facenti parte della maggioranza parlamentare. Nel luglio del 2011, anche in questa occasione grazie all’intervento del Presidente della Repubblica, il d.l. n. 98/2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stato convertito rapidamente in legge con la presentazione da parte della maggioranza di un maxi-emendamento in parte concordato con l’opposizione che, pur votando in senso contrario, ha rinunciato a presentare propri emendamenti. È stato così possibile giungere alla rapida approvazione della legge di conversione (con plauso del Capo dello Stato, che ha dimostrato apprezzamento per il «deciso concorso delle forze di opposizione» e gratitudine «al Parlamento per l’impegno e la determinazione con cui ha proceduto in tempi brevissimi all’esame e alla votazione del decreto legge» per rafforzare «la fiducia nell’Italia delle istituzioni europee e dei mercati»). Questo esito non si è ripetuto, in ragione del deterioramento del clima politico- istituzionale, in occasione del successivo d.l. n. 138/2011 (convertito nella l. n. 148/2011 con presentazione di un maxi-emendamento più volte annunciato e a sua volta oggetto di revisione da parte del Governo e con ricorso alla questione di fiducia).
Nell’ordinamento repubblicano il Parlamento occupa una posizione centrale, densa di significati dal punto di vista democratico. Simbolica è la stessa collocazione (primo organo disciplinato nella Costituzione) assegnatogli dal Costituente. In dottrina si riscontrano tesi secondo cui il passaggio al sistema elettorale maggioritario avrebbe comportato un «cambiamento di un principio di regime»9, in ragione del quale la «pronuncia elettorale», in quanto orientata anche (se non esclusivamente) alla scelta del Presidente del Consiglio dei ministri, verrebbe a prevalere sul potere dei partiti politici presenti in Parlamento di dar vita a nuovi Governi10. Secondo questa impostazione (peraltro lesiva anche delle prerogative costituzionalmente assegnate al Presidente della Repubblica), il modello maggioritario, «esaltando» il significato della pronuncia del corpo elettorale, impedirebbe ogni modifica dell’esecutivo da parte del Parlamento. Ma se è vero che è il sistema dei partiti a vivificare il modellino della forma di governo11, questa affermazione di Elia ha un contenuto ben più ricco e complesso di quelle visioni che finiscono per esaurire il sistema democratico nel momento elettorale, smarrendo il complesso ruolo del Parlamento come luogo di mediazione fra i diversi valori presenti nella società. Deve inoltre rilevarsi che l’assegnazione al momento elettorale del significato di definitiva scelta del Governo e del Presidente del Consiglio dei ministri, oltre ad essere smentito dall’art. 94 Cost., si pone in contrasto anche con il principio (tradizionale delle moderne democrazie rappresentative) del divieto di mandato imperativo (art. 67 Cost.). Di fronte allo sviluppo del quadro politico-istituzionale italiano, anche il dibattito sul libero mandato parlamentare (dibattito che, con l’affermazione dei partiti di massa, si era sviluppato intorno al problema dell’eventuale individuazione di meccanismi di soggezione dei parlamentari ai vincoli di partito, giacché l’elezione all’interno di un partito, e dunque l’identificazione con una determinata ideologia, imporrebbe all’eletto una fedeltà verso gli elettori del partito medesimo) ha acquistato nuove linee di riflessione. Ma, nell’odierna restrizione degli spazi di democraticità interni ai partiti, ove le logiche oligarchiche tendono purtroppo ad accentuarsi, la garanzia di uno spazio di libertà al singolo deputato (anche se può prestarsi a fenomeni degenerativi) è preferibile ad ogni soluzione opposta12 ed è invece auspicabile l’individuazione di meccanismi di responsabilità del singolo politico e forme e procedimenti di «responsività» della classe politica13. Il libero mandato parlamentare, infatti, rafforza il ruolo centrale e di mediazione del Parlamento, mentre il mandato imperativo finirebbe per rendere inutile il dibattito parlamentare, impedendo al Parlamento di determinarsi nel libero confronto di maggioranza e minoranze. Ma, al di là delle considerazioni legate a singoli istituti o disposizioni costituzionali, deve rilevarsi che nel nostro ordinamento costituzionale si trovano espressi principi e valori – quali quelli del pluralismo, dell’equilibrio dei poteri e, più in generale, della limitazione e del controllo del potere politico – che non possono ritenersi tramontati con il passaggio al sistema elettorale maggioritario e che non possono sacrificarsi nella ricerca di un’«efficienza» che spesso finisce per tradursi in un eccessivo accentramento di poteri (legislativo ed esecutivo) nel Governo (se non nel Presidente del Consiglio dei ministri), che fonderebbe tutti i suoi poteri sulla diretta legittimazione popolare. Secondo i sostenitori del sistema elettorale maggioritario, con l’introduzione di tale sistema i partiti politici, riorganizzatisi intorno ad un assetto bipolare, sarebbero divenuti virtuosi ed efficienti. Non essendosi ottenuto tale risultato, anziché riflettere sull’inesattezza della premessa iniziale, si imputano le responsabilità dell’attuale situazione all’asserita «incompletezza» della riforma (anche dopo le intervenute modifiche dei regolamenti parlamentari che oggi assegnano alla maggioranza ampi poteri, a partire dal contingentamento dei tempi) e si invocano modifiche costituzionali volte ad assegnare maggiori poteri al Presidente del Consiglio dei ministri (anche nei confronti del Governo e della propria maggioranza) e non ci si interroga adeguatamente sulle reali ragioni dell’impasse della situazione politica e sulle cause dello scadimento della classe dirigente (assenza di ricambio, oligarchie ferme da decenni, sterilizzazione dei dibattiti interni ai singoli partiti caratterizzati da un bassissimo tasso di democraticità interna).
3.1 I rapporti con il Presidente della Repubblica
Nell’ultimo anno, le dinamiche dei rapporti fra Parlamento e Governo, come visto, hanno determinato spesso nel Presidente della Repubblica un’esigenza di intervento sia in occasione di promulgazione di leggi, di decreti-legge o di decreti legislativi14, sia con riguardo a provvedimenti in itinere15 in una Camera o a dichiarazioni di membri del Governo o del Parlamento. Il Capo dello Stato, in tali casi, ha richiamato le Camere e/o il Governo ad una maggiore attenzione istituzionale o correttezza costituzionale o ad assunzioni di responsabilità con riguardo al peculiare momento di crisi economica. Deve pertanto registrarsi che l’evoluzione dei rapporti fra Parlamento e Governo ha inciso anche nei confronti del ruolo del Presidente della Repubblica, con riguardo sia ai rapporti fra quest’ultimo e ciascuno di tali soggetti (Governo e Parlamento), sia più specificamente al rapporto del Presidente della Repubblica con il binomio Parlamento-Governo. Destinatario dell’intervento del Presidente della Repubblica è spesso il Governo, invitato al rispetto delle prerogative parlamentari (ad esempio, invitando l’esecutivo all’omogeneità di contenuto delle disposizioni dei decreti-legge, alla non inclusione di deleghe legislative all’interno di decreti-legge ecc.), ma anche la maggioranza parlamentare è invitata al rispetto di principi e valori costituzionali. In alcuni di questi casi, in realtà, l’intervento del Presidente della Repubblica di fatto «protegge» anche la maggioranza parlamentare dalle eccessive (dal punto di vista del diritto costituzionale) richieste dell’esecutivo (o dei leader politici presenti nel Governo).
3.2 Le prerogative parlamentari
Il rapporto del Parlamento con gli altri poteri dello Stato trova nell’esercizio delle «prerogative parlamentari» (espressione dell’autonomia e dell’indipendenza delle Camere) un peculiare punto di osservazione. La Costituzione (art. 66 Cost.) assegna a ciascuna Camera il potere di giudicare sui titoli di ammissione dei propri membri, sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità e sulla regolarità delle operazioni elettorali (verifica dei poteri). Questa prerogativa appartiene ad una tradizione risalente, la cui ratio risiedeva nella tutela del parlamentare da arbitri del potere regio. In epoca contemporanea, se la verifica dei poteri viene ritenuta garanzia ed espressione dell’autonomia ed indipendenza di ciascuna Camera, permane il timore di un uso «politico» di tale prerogativa sia nel senso di un uso strumentale della stessa da parte della maggioranza ai danni della minoranza che in un senso «partitocratico», di autoprotezione degli eletti nei confronti dei non eletti. Infatti, con il sistema elettorale maggioritario può determinarsi la possibilità per la maggioranza di adottare decisioni che incidano sull’assegnazione di seggi da uno schieramento all’altro (mentre nel sistema proporzionale la decisione non spostava seggi da una lista all’altra ma solo con riguardo all’attribuzione del seggio fra candidati della medesima lista). Il principio dell’indipendenza del Parlamento, che postula l’indipendenza di ogni singolo parlamentare, costituisce il fondamento delle tradizionali prerogative dell’insindacabilità parlamentare (art. 68, co. 1, Cost.) e dell’immunità parlamentare (art. 68, co. 2 e 3, Cost.16). In merito alla determinazione degli ambiti coperti dall’insindacabilità, essa va riconosciuta in ogni luogo nel quale il deputato compia attività che siano estrinsecazione delle funzioni di parlamentare, ma contrastata è la concreta determinazione di tale sfera. Di fronte al persistente orientamento delle Camere di diniego delle autorizzazioni a procedere, la Corte costituzionale (come affermazione di principio a partire dalla sent. n. 1150/1988) ha affermato che il potere delle Camere di concedere l’autorizzazione debba svolgersi secondo le procedure e le garanzie costituzionalmente previste. La Corte controlla dunque le modalità concrete di esercizio di tale potere («per vizi del procedimento oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso»), giacché nello Stato costituzionale «la congruità delle procedure di controllo, l’adeguatezza delle sanzioni regolamentari, e la loro pronta applicazione nei casi più gravi di violazione del diritto parlamentare si impongono al parlamento come problema, se non di legalità, certamente di conservazione della legittimazione degli istituti di autonomia che presidiano le sue libertà» (sent. n. 379/1996). Con riguardo all’anno 2011, possono ricordarsi le sentt. nn. 81, 82, 96, 97, 98 e 194, nelle quali la Corte ha ribadito che, per la sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni rese da un parlamentare al di fuori dell’esercizio delle proprie attribuzioni e l’esercizio di atti riconducibili a quelle stesse attribuzioni, è necessario che ricorrano contemporaneamente due presupposti: il legame temporale tra l’attività parlamentare e quella esterna, in modo tale che a questa possa concretamente attribuirsi una finalità divulgativa della prima; e la sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e gli atti divulgativi, non essendo sufficiente né una mera comunanza di argomenti o di contesto politico cui esse possano riferirsi, né una mera comunanza tematica (sent. n. 81/2011). Ma, con riguardo all’insieme delle vicende relative al complessivo funzionamento del Parlamento e alle valutazioni che intendono operarsi nei confronti dei costumi della classe politica, può ricordarsi che i Parlamenti, istituzioni rappresentative per eccellenza, riflettono «i segni e il senso dei tempi e dell’ambiente che li circonda e le forze vive della società»17.
1 Ridola, Le regole costituzionali del pluralismo politico e le prospettive del diritto dei partiti, in Giur. cost., 1993, 2960.
2 Su tale fenomeno, si veda Politi, Delega legislativa - Postilla di aggiornamento, in Enc. giur., X, Roma, 2006, 1 ss.
3 In dottrina, si veda Galizia, Fiducia parlamentare, in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 389 ss.
4 Sicardi, Maggioranza, minoranza e opposizione nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1984, 114 ss.; al rischio della tendenziale instabilità della forma di governo parlamentare i Costituenti risposero con l’approvazione dell’ordine del giorno Perassi, che prevedeva l’introduzione di «dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e a evitare le degenerazioni del parlamentarismo ».
5 I dati riportati sono tutti tratti dal sito ufficiale del Governo (www.rapportiparlamento.it).
6 Nel mese di ottobre del 2011, il Governo ha posto la fiducia sulle proprie comunicazioni conseguenti alla bocciatura (per parità di voti) da parte della Camera dei deputati del disegno di legge contenente il rendiconto generale dello Stato. Anche in questo caso è stato il Presidente della Repubblica ad invitare il Governo a «trovare una soluzione».
7 Con riguardo alle problematiche legate ad un utilizzo della delega legislativa nel rispetto del dettato costituzionale, merita di essere ricordata la nota inviata al Presidente del Consiglio dei ministri il 29.12.2010 dal Presidente della Repubblica, in occasione della promulgazione della l. n. 240/2010 (di riforma del sistema universitario), nota in cui il Capo dello Stato evidenziava criticità della nuova normativa, invitando il Governo, nell’adozione delle norme delegate, a specifici compiti, ed auspicava «che su tutti gli impegni assunti con l’accoglimento degli ordini del giorno e sugli sviluppi della complessa fase attuativa del provvedimento, il governo ricerchi un costruttivo confronto con tutte le parti interessate».
8 Va inoltre segnalata la prassi dell’annuncio di decreti-legge o di decreti legislativi formalmente approvati dal Consiglio dei ministri, ma presentati alla firma del Capo dello Stato e pubblicati a distanza anche di numerosi giorni.
9 Si veda, ad esempio, Lippolis, Partiti maggioranza opposizione, Napoli, 2007, 79.
10 In tal senso, da ultimo, anche il discorso del Presidente del Consiglio dei ministri in Parlamento il 13.10.2011, in occasione della votazione della questione di fiducia posta dal Governo in conseguenza della bocciatura (per parità di voti) del disegno di legge di approvazione del rendiconto generale dello Stato.
11 Elia, Forme di governo, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 659.
12 Magistrali le parole di Mazziotti, Parlamento (funzioni), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 772, secondo cui «è falso che il divieto del mandato imperativo non continui a svolgere un’utile funzione anche nei rapporti fra parlamentari e partiti politici. Come ha osservato la Corte costituzionale – n. 14 del 1964 – l’attuale funzione del principio consiste proprio nel consentire ai parlamentari di votare contro le direttive di partito, togliendo valore giuridico, almeno per quanto concerne la validità degli atti di funzione compiuti nell’esercizio del mandato, ad ogni vincolo contrario».
13 Ridola, Democrazia rappresentativa e parlamentarismo, Torino, 2011, passim.
14 A proposito di un discusso caso di paventato ricorso al potere legislativo delegato, deve ricordarsi la posizione del Presidente della Repubblica che, nel febbraio del 2011, di fronte al preannunciato invio del testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, ha comunicato al Presidente del Consiglio dei ministri la non sussistenza delle «condizioni» per procedere all’emanazione del decreto legislativo, «non essendosi perfezionato il procedimento per l’esercizio della delega», come previsto dalla relativa legge delega (l. n. 42/2009). Il Presidente, dopo avere affermato di essere «costretto a non ricevere il decreto approvato dal Governo, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza», ha richiamato il governo sulla necessità di un pieno coinvolgimento del Parlamento, delle Regioni e degli enti locali nel procedimento di attuazione del federalismo fiscale e sull’opportunità di un clima di larga condivisione.
15 La dottrina si è spesso interrogata sulle possibilità di intervento (ad esempio in fase di promulgazione) del Presidente della Repubblica su leggi, anche costituzionali, incidenti sullo status del Capo dello Stato; a questo proposito, nell’ottobre del 2010, il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica, presso la quale era in corso l’esame di una proposta di legge costituzionale di sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello Stato, esprimendo «profonde perplessità» sulla norma in itinere (che estendeva la sospensione dei processi anche per il Capo dello Stato), giacché tale norma (consentendo al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del Presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dall’art 90 Cost.) avrebbe inciso sullo status complessivo del Presidente della Repubblica, «riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni», e, oltre ad apparire viziata da irragionevolezza, si sarebbe posta in contrasto con l’art. 90 Cost. e con la prassi costituzionale.
16 L’esercizio delle prerogative parlamentari determina spesso una linea di tensione fra Parlamento e magistratura, tensione che nel 2011 ha in particolare generato la presentazione, da parte della Camera dei deputati, di un ricorso per conflitto di attribuzioni nei confronti del Tribunale di Milano, che ha deciso di procedere penalmente nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, anziché rimettere la questione al cd. Tribunale dei ministri (come richiesto dalla Camera dei deputati).
17 Marongiu, Parlamento (storia), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 742.