di Marisa Siddivò
Schiacciato sull’acronimo dei paesi che per primi (nella tempistica e nei risultati) hanno determinato il riassetto economico internazionale (Brics, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) il termine ‘economie emergenti’ copre oggi un insieme composito di realtà presenti in Asia, Africa, America Latina e Europa. Qualunque sia il parametro di valutazione (tasso di crescita del pil, innovazione, business climate, internazionalizzazione) a guidare i sottoinsiemi è la Cina la cui crescita estensiva, inoltre, traina quelle economie emergenti che si sono configurate come sue fornitrici di materie prime e prodotti alimentari (Sud Africa, Zambia, Namibia, Brasile, Messico, Columbia, Cile, Perù, Russia),destinatarie dei suoi aiuti allo sviluppo (Filippine, Indonesia, Perù) e host degli investimenti generati dalle sue multinazionali (Russia, Sud Africa, Emirati, Brasile, Turchia). I dati statistici confermerebbero il nesso tra la performance della Cina, quella delle altre economie emergenti e, seppure in progressione non sistematica, l’andamento di alcuni paesi in via di sviluppo. Il contenimento del tasso di crescita del pil cinese, che nel 2014 si attesta sul 7,4%, sarebbe, per esempio, all’origine dello slowdown dei paesi della regione asiatica. L’instabilità finanziaria registrata in alcune economie emergenti (Indonesia, Sud Africa, Brasile, India e Turchia) tra ottobre 2013 e gennaio 2014 avrebbe di converso contribuito al rallentamento cinese. La determinazione della Cina nel potenziare la rete di interessi reciproci, nonostante le permanenti disparità tra dimensioni e stadi di sviluppo dei paesi coinvolti, si configura in termini sempre più netti. Lo dimostra la formalizzazione (luglio 2014) del progetto di Banca di sviluppo Brics (e del relativo ‘fondo di riserva’) la cui sede sarà Shanghai, a cui la Cina contribuirà per 41 miliardi di dollari a fronte di un contributo di 18 miliardi da parte di Brasile, Russia e India e di 5 miliardi del Sud Africa e di cui, sebbene non ancora annunciata come tale, il renminbi sarà la moneta di riferimento. Così come lo dimostrano i recenti accordi tra Cina e Brasile per l’espansione della cosiddetta stampa in 3D e gli accordi tra Cina e Sud Africa per le energie rinnovabili. Tali accordi di cooperazione scientifica e tecnologica ridimensionano la struttura di scambio ‘manufatti in cambio di materie prime’ che ha segnato le relazioni tra la Cina e le altre economie emergenti e, in qualche misura, raffreddano il dibattito sui forzosi processi di ‘re-primatization’ di quei paesi che, a fronte delle massicce importazioni di risorse energetiche e materie prime da parte della Cina, avrebbero ridimensionato le loro strategie di diversificazione produttiva e industrializzazione, reindirizzandosi verso il settore primario. Le previsioni ottimistiche sulla crescita dell’interscambio tra economie emergenti, sulla loro diversificazione merceologica e sul sostegno finanziario autonomo ai progetti infrastrutturali nell’area Brics, confermano che gli accordi di cooperazione tra le economie emergenti e tra queste e i paesi in via di sviluppo rappresentano la success story del primo decennio di questo secolo e che, seppure con una geometria diversa (vedi recente potenziamento delle relazioni tra Cina, Russia e Repubbliche centro-asiatiche), potranno incidere ancora a lungo sugli assetti economici internazionali. L’esplicita regia della Cina, un paese che è già seconda potenza economica mondiale per pil e per investimenti esteri in entrata, prima per scambi commerciali e terza per investimenti esteri in uscita, rinfocola le preoccupazioni in merito ad un futuro, definitivo sganciamento (decoupling) delle economie emergenti o in via di sviluppo dai tradizionali partner. Le difformità di comportamento nelle politiche di aiuto allo sviluppo o nelle strategie di penetrazione delle imprese sui mercati esteri vengono interpretate come segnali di una trasformazione incrementale (e incontrollata) dell’assetto economico internazionale. Le rassicurazioni che il governo cinese ha indirizzato agli altri global players con l’incremento della quota di aiuto erogato mediante canali multilaterali (quindi anch’esso con ruolo di indirizzo verso la governance dei paesi recipient), le iniziative a sostegno delle imprese private coinvolte negli investimenti esteri (e il conseguente ridimensionamento della presenza di imprese statali) e la sottoscrizione degli accordi internazionali sugli obblighi di responsabilità sociale e ambientale delle imprese, avrebbero dovuto rimuovere preoccupazioni e atti relativi alla difformità di comportamento. I negoziati per la Trans Atlantic Trade and Investment Partnership e la Trans Pacific Partnership (a cui la Cina risponde con i negoziati per la Regional Comprehensive Economic Partnership) da cui, al momento, sono esclusi i Brics dimostrerebbero al contrario che «l’introduzione di norme che impediscono alla Cina di partecipare al processo di globalizzazione, che minano il vantaggio competitivo delle imprese cinesi e che alla fine conterranno l’avanzata della Cina» (Annual Report on China’s National Security Studies 2014) sono ancora nell’agenda di molti paesi.