I recenti interventi di depenalizzazione
I decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016 hanno dato vita all’ultimo intervento di depenalizzazione in astratto e si segnalano per il fatto che il legislatore ha percorso anche strade diverse rispetto al passato. Accanto alla tradizionale opzione della trasformazione di reati in illeciti amministrativi, si è assistito alla introduzione di una nuova categoria, quella degli illeciti punitivi civili. Il lavoro si propone di analizzare l’articolato impianto normativo, evidenziando in particolare, sul primo versante, i profili di frizione con la legge delega, sul secondo, le note di fondo della neonata figura di illecito e le delicate questioni interpretative sollevate dalle scelte di disciplina compiute dal legislatore.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 La trasformazione di reati in illeciti amministrativi 2.2 (segue). Profili di disciplina e norme transitorie 2.3 L’introduzione degli illeciti punitivi civili 2.4 (segue). Profili di disciplina e norme transitorie 3. I profili problematici
Il ricorso alla depenalizzazione ha rappresentato il rimedio classico all’inflazione penalistica1. Da anni sono state compiutamente analizzate le ragioni storiche alla base di quest’ultimo fenomeno2 e non si è mancato, in tempi più recenti, di individuare ulteriori fattori alla base dell’espansione del diritto penale: dall’incidenza degli obblighi di penalizzazione di fonte UE3 al sempre maggiore ricorso all’arma della pena per placare i bisogni di sicurezza della collettività4.
Le periodiche campagne di depenalizzazione sono il frutto e al contempo certificano l’incapacità del legislatore di governare il processo di formazione delle norme penali. La nota circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri del 1983 sui criteri di scelta tra sanzione penale e sanzione amministrativa – non a caso intervenuta subito dopo la l. 24.11.1981, n. 689, che ha rappresentato il punto di arrivo del percorso di codificazione dell’illecito punitivo amministrativo – non si è rivelata nei fatti uno strumento in grado di porre limiti al legislatore, nella prospettiva di riportare il diritto penale al suo ruolo di extrema ratio di tutela.
La l. 28.4.2014, n. 67 ha dato così vita, nel quadro di un più articolato disegno di riforma del sistema sanzionatorio5, all’ennesimo intervento in materia di depenalizzazione.
Da questo specifico angolo visuale la decisione del legislatore è stata però quella di affiancare alla tradizionale strada della depenalizzazione in astratto quella della depenalizzazione in concreto. Ha così fatto il suo ingresso nel sistema codicistico l’istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., con l’obiettivo di affidare al giudice il compito di selezionare, all’interno del tipo astratto, quelle sottofattispecie che in concreto non meritano la celebrazione del processo e l’applicazione della sanzione penale.
Per quanto attiene invece alla depenalizzazione in astratto, è stato inserito un nuovo binario punitivo: accanto alla sperimentata via della trasformazione di reati in illeciti amministrativi, il legislatore ha coniato l’innovativa figura degli illeciti civili corredati da una sanzione pecuniaria aggiuntiva al risarcimento del danno.
I dd.lgs. 15.1.2016, nn. 7 e 8 rappresentano così, per un verso, l’ultimo punto di approdo di una collaudata strategia di deflazione penale – familiare al legislatore sin dal lontano 1967 e rivitalizzata a cadenze periodiche6 –, per altro verso segnano il debutto di una tipologia di illecito anch’essa tributaria dei risultati di un esteso dibattito, ma sin qui confinata nel confronto teorico sulle potenzialità della pena privata.
Il diverso impatto quantitativo dei due interventi – decisamente sbilanciato a favore del primo filone di depenalizzazione – e quello che è stato da subito segnalato come il loro differente grado di innovatività7 – tutto a favore degli illeciti punitivi civili – consigliano di seguire un ordine espositivo che muova dall’analisi del secondo decreto – il n. 8 – con cui si è realizzata la degradazione di una serie di reati in illeciti amministrativi.
La trasformazione di reati in illeciti amministrativi è stata attuata dal legislatore affidandosi a una clausola generale di depenalizzazione – contenuta nell’art. 1, co. 1, d.lgs. n. 8/2016 e in forza della quale «non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» – che si combina con interventi mirati su specifiche fattispecie criminose – sparse tra il codice e la legislazione complementare – le quali, come avremo modo di dire, sarebbero sfuggite, in base all’impostazione qui seguita8, al criterio di cui sopra9.
a) Sul versante della clausola generale, non si registrano invero particolari novità: siffatte clausole sono ben presenti nei precedenti provvedimenti di depenalizzazione (quelli, ad esempio, del 1975 e del 1981), ma tale scelta segna un arretramento rispetto a quello del 1999 – ove si era preferito compiere un’opera di “ripulitura” e sistemazione normativa di determinati settori di disciplina –, nonché avuto riguardo ai più recenti progetti di riforma in materia ove era sì presente una clausola di tale tipo ma nel quadro di un disegno a più ampio respiro10.
Già in passato, peraltro, erano state avanzate critiche nei confronti del criterio automatico, che si rivela inadeguato sia per eccesso che per difetto. Nella misura in cui continua a fare riferimento a scelte, in termini di maggiore o minore disvalore della condotta, compiute nel passato, il criterio adottato rischia di escludere dalla depenalizzazione figure di reato che, alla luce della mutata sensibilità sociale, ben potrebbero essere degradate a illecito amministrativo; sul fronte opposto, operando detta clausola in modo automatico, rilevanti sono i rischi di intercettare ipotesi criminose che lo stesso legislatore probabilmente avrebbe risparmiato dalla depenalizzazione11 e comunque di intervenire a macchia di leopardo. Insomma, i limiti sono quelli propri di un meccanismo che finisce con l’operare in modo incontrollato e dà vita a quella che non a caso è stata definita una depenalizzazione “cieca”12.
Per mitigare gli effetti della clausola di cui si tratta, il legislatore delegato è intervenuto su due fronti: si sono eccettuati dal raggio di azione del criterio generale di depenalizzazione una serie di reati indicati in un elenco allegato al decreto medesimo e ricadenti nelle materie espressamente menzionate nell’art. 2, co. 2, lett. a), l. n. 67/201413 – con l’aggiunta del t.u. imm. (d.lgs. 25.7.1998, n. 286) su cui avremo modo più avanti di soffermarci14 –, nonché – profilo su cui taceva la delega – i reati previsti dal codice penale15.
La prima direttrice di intervento si pone, salvo che per la materia dell’immigrazione, nel solco della legge delega, secondo peraltro una tecnica per nulla sconosciuta al legislatore16, e risponde alla volontà di preservare da una clausola “cieca” quale quella di cui all’art. 1, co. 1, beni collettivi rispetto ai quali il legislatore ha reputato opportuno mantenere un presidio penale17. Sotto questo profilo la modalità seguita è stata, opportunamente, quella di indicare nell’apposito elenco, sopra richiamato, i corpi normativi e, in taluni casi, le sole disposizioni all’interno degli stessi (allorché essi presentassero contenuti eterogenei) sottratte alla depenalizzazione così da evitare i rischi di rimettere all’apprezzamento del giudice, nei casi dubbi, la riconducibilità di una data fattispecie criminosa alle materie escluse18.
La seconda direttrice è invece frutto della lettura sistematica data alla delega sul punto dal legislatore delegato: come si è anticipato, la l. n. 67/2014 nulla diceva sull’esclusione dalla clausola generale dei reati contenuti nel codice penale. Sono due gli indici interpretativi, desumibili dalla relazione al decreto qui in commento, a sostegno della soluzione adottata, pur in mancanza di una espressa esclusione contenuta nella delega. Da un lato, si è valorizzata la circostanza che, tra le ipotesi oggetto di depenalizzazione “nominativa”, figurassero alcuni reati contenuti nel codice puniti con pena pecuniaria – il riferimento è agli artt. 659 e 726 c.p.: la loro espressa menzione testimonierebbe l’intenzione del legislatore delegante di sottrarre al criterio “cieco” di depenalizzazione la “materia codicistica”, atteso che, diversamente, tale previsione non avrebbe avuto ragione d’essere, risultando dette fattispecie coperte dalla clausola generale. Dall’altro, si sono messi in risalto gli effetti “distorsivi” che, abbracciando l’opposto indirizzo, si sarebbero determinati. Risultano eloquenti sul punto le parole della relazione al decreto: «l’effetto depenalizzante andrebbe a colpire fattispecie delittuose, sanzionate con la sola multa inserite in un complesso normativo organicamente deputato alla tutela di beni rilevanti, come a titolo esemplificativo l’amministrazione della giustizia; mentre altre fattispecie contravvenzionali, sicuramente meno offensive, non sarebbero depenalizzate in quanto rientranti nelle materie escluse, come ad esempio quelle previste dagli articoli 727-bis, comma 2, e 703, comma 1, c.p.». In definitiva, a prevalere è stata la preoccupazione per il rischio connesso all’incidenza di una clausola che avrebbe potuto spiegare effetti su diversi sistemi di disciplina: si pensi solo, per citarne alcuni, non a caso però oggetto di espressa esclusione dalla depenalizzazione nei lavori di recenti commissioni di riforma19, alle ipotesi di vilipendio sanzionate con la pena pecuniaria (artt. 290, 291, 292, co. 1, 299 c.p.) le quali sarebbero cadute sotto la scure del criterio “cieco” di depenalizzazione20.
In direzione diversa – nel senso di ampliare lo spettro di incidenza dell’intervento – si colloca la scelta compiuta con il disposto di cui al comma 2 dell’art. 1 del decreto in oggetto. Il legislatore delegato ha deciso di ricomprendere nella depenalizzazione anche le fattispecie di reato che nell’ipotesi base siano punite con la pena pecuniaria ma che nella forma aggravata prevedano reclusione o arresto – eventualmente insieme o in alternativa a multa o ammenda. Si è così assicurata piena operatività al principio di delega di cui all’art. 1, co.1, lett. a), l. n. 67/2014 che prevedeva la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda21. Il risultato è che, essendo la fattispecie base trasformata in illecito amministrativo, l’ipotesi aggravata sarà da ritenersi figura autonoma con tutti i riflessi in punto di disciplina22.
b) L’ulteriore linea di depenalizzazione è quella che si indirizza verso determinate fattispecie di reato: da qui il richiamo, in contrapposizione naturalmente a quella “cieca” sin qui esaminata, a una depenalizzazione nominativa.
L’intervento tocca una congerie di disposizioni – si è sopra ricordato – collocate nel codice penale o disseminate nella legislazione speciale. Bisogna subito dire che la sua portata è stata ridotta per effetto del mancato esercizio della delega in relazione all’ipotesi di cui all’art. 659 c.p. – Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone – nonché al reato cd. di “immigrazione clandestina” (art. 10 bis t.u. imm.), su cui peraltro avremo modo di tornare più avanti23. In entrambi i casi ha prevalso la natura “‘sensibile” degli interessi coinvolti tale per cui, ad avviso del legislatore delegante, l’arma della pena si rivelerebbe lo strumento più appropriato: certamente sorprende, avuto riguardo all’art 10 bis, la scelta di mantenere in vita – nonostante l’avviso contrario espresso dalla stessa Commissione Giustizia della Camera in sede di parere sullo schema di decreto – una fattispecie criminosa che ha coagulato critiche così penetranti e che, da qualunque angolo visuale ci si ponga, fatica a trovare giustificazione24.
Volendo adesso individuare i criteri sostanziali alla base della selezione operata, essi paiono essere tre.
Il primo è quello della laicizzazione di settori di disciplina che risentono dell’epoca di emanazione del codice. In questo ambito ricadono i delitti di osceno e la previsione di cui all’art. 726 c.p. che, come si è osservato, può essere considerata un «avamposto del delitto di atti osceni in luogo pubblico»25. D’altronde sono note le letture dottrinali dirette a spostare l’asse di tutela delle figure in questione verso i profili di tutela della libertà individuale, della libertà cioè a non essere sottoposti, senza il proprio consenso, a manifestazioni di contenuto erotico26. Qui però il legislatore delegato, in ossequio alle chiare indicazioni della delega, segue, rispetto al delitto di osceno, una diversa strada, già presente in recenti progetti di riforma: quella di mantenere rilievo penale alla sola condotta del compimento di atti osceni all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori, e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano, trasformando l’ipotesi base in illecito amministrativo. Per il resto, divengono illeciti amministrativi i primi due commi dell’art. 528 – laddove l’ipotesi di cui al terzo comma rimane nell’alveo penale – e la stessa sorte tocca alla contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza di cui all’art. 726 c.p., oggi illecito amministrativo.
Il secondo criterio si connota per un’attenzione alle esigenze di deflazione processuale – rientrandovi, nel disegno della delega, fattispecie che presentano una certa ricorrenza nei repertori giurisprudenziali – pur non mancando valutazioni di ordine in senso lato “politico”. Esso tuttavia è stato depotenziato dal legislatore delegato: a essere interessato dall’intervento di depenalizzazione è stato infatti soltanto il reato di omesso versamento delle ritenute ex art. 2, co. 1-bis, d.l. 12.9.1983, n. 463 – oggetto di riformulazione27 –, essendo rimaste fuori, come già detto, dal perimetro del decreto n. 8/2016, le ipotesi di cui agli artt. 659 c.p. e 10 bis t.u. imm.
L’ultimo è invece quello della «potatura di rami secchi»28 dell’ordinamento penale: a venire in rilievo sono, tra le altre, fattispecie codicistiche quali il rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto (art. 652 c.p.) o l’abuso della credulità popolare (art. 661 c.p.) nonché un lungo elenco di reati contenuti in leggi speciali29.
Tre sono poi le questioni di fondo che il legislatore delegato ha dovuto affrontare. In primo luogo, l’individuazione della cornice sanzionatoria dei nuovi illeciti amministrativi e del quadro di disciplina di riferimento; a seguire, la previsione (o meno) di una disciplina transitoria.
Sul primo fronte si è proceduto alla definizione di tre fasce sanzionatorie – diverse a seconda che si tratti di depenalizzazione “cieca” o “nominativa”30 – al cui interno riportare le singole ipotesi oggetto di depenalizzazione secondo un criterio di corrispondenza costruito sulla base di una loro classificazione per gruppi omogenei di disvalore.
Nel primo caso – depenalizzazione “cieca” – è l’art. 1, co. 5, lett. a), b) e c) a fissare le cornici sanzionatorie generali, nel secondo caso – depenalizzazione “nominativa” – esse sono riportate nella relazione ed è il legislatore ad averne fatto applicazione in rapporto alle singole figure di reato di volta in volta in questione, sempre naturalmente nel rispetto del vincolo generale posto dalla delega (sanzioni non inferiori a euro 5.000 né superiori a euro 50.000)31.
Per quanto riguarda le sanzioni accessorie, la delega limitava tale possibilità ai soli casi di depenalizzazione nominativa: la scelta del legislatore delegato è stata quella di prevederle nei soli casi in cui i reati depenalizzati già contemplassero pene accessorie oppure in quelli in cui la loro introduzione apparisse opportuna ma al contempo non alterasse gli equilibri di disciplina dei settori ove i reati depenalizzati sono collocati. Su quest’ultimo versante, il risultato è stato quello di stabilire sanzioni amministrative accessorie unicamente per i reati di cui agli artt. 668 c.p. e 171 quater l. 22.4.1941, n. 663 e 28, co. 2, d.P.R. 9.10.1990, n. 309 (t.u. stupefacenti), prevedendone l’applicazione nei casi di reiterazione specifica. Per tali illeciti si è poi previsto che in ipotesi di reiterazione specifica non sia ammesso il pagamento in misura ridotta.
Si è infine dettata una disciplina apposita per il caso in cui la fattispecie base – trasformata in illecito amministrativo – preveda una ipotesi aggravata, fondata sulla recidiva, esclusa dalla depenalizzazione. Qui si poneva il problema di adeguare il riferimento alla mutata natura della figura base: il legislatore ha così previsto all’art. 5 che «per recidiva è da intendersi la reiterazione specifica dell’illecito depenalizzato».
Sul fronte dei principi generali di disciplina il legislatore delegato, in presenza di poche indicazioni da parte della delega, ha reputato opportuno far richiamo a quelli contenuti nella l. n. 689/198132. Quest’ultimo provvedimento (artt. 39 e 40), insieme a quello del 1999 (artt. 100102 d.lgs. 30.12.1999, n. 507), è stato altresì fonte di ispirazione per quanto riguarda la normativa transitoria. La l. n. 67/2014 non prendeva posizione sul punto: si è tuttavia ritenuto che, proprio a fronte dei precedenti illustri appena richiamati, fosse possibile e opportuno dettare una disciplina ad hoc per evitare l’effetto che si sarebbe altrimenti prodotto alla luce della consolidata giurisprudenza in materia33, ovverosia la non assoggettabilità della violazione ad alcuna sanzione: non quella penale, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, ma neppure quella amministrativa attesa la sua irretroattività in assenza di una apposita disciplina derogatoria dei principi generali (art. 2 c.p. e art. 1 l. n. 689/1981).
Si è così prevista, all’art. 8, la retroattività della sanzione amministrativa pecuniaria con il limite dell’intervenuta irrevocabilità della sentenza o del decreto che hanno definito il procedimento in questione. In quest’ultimo caso si prevede che il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 667 c.p.p., revochi la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adottando i provvedimenti conseguenti. Si è poi opportunamente precisato che l’importo della sanzione amministrativa irrogata non potrà mai superare, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’art. 135 c.p., quello della pena in origine inflitta; si è limitata, infine, l’applicazione di sanzioni amministrative accessorie ai soli casi in cui andassero a sostituire corrispondenti pene accessorie e si sono regolamentate le modalità di raccordo tra autorità giudiziaria e autorità amministrativa34.
La seconda strada battuta dal legislatore è quella più innovativa: si è infatti proceduto a trasformare un numero limitato di fattispecie criminose contenute nel codice penale in illeciti civili tipici sanzionati con il pagamento di una somma di denaro che si affianca al risarcimento del danno.
Non che una soluzione siffatta non poggiasse su un solido retroterra culturale; tutt’altro. Sono noti i dibattiti agli inizi degli anni ‘80 sulla riscoperta delle pene private e sul ruolo che esse avrebbero potuto giocare sul terreno della ricerca di strumenti alternativi alla sanzione criminale35. E altrettanto note sono le interferenze di tale questione, sul versante civilistico, con la tematica, per certi versi contigua, dei danni punitivi nonché con il riconoscimento al risarcimento del danno di una funzione non solo meramente compensativa ma deterrente. Sul versante penalistico, basti menzionare l’esteso confronto sulle tecniche di tutela da preferire rispetto alla lesione dei diritti della personalità – a cominciare dai delitti contro l’onore – o sul prospettato ruolo del risarcimento del danno come «terzo binario del diritto penale»36. Che la sede ideale per rivitalizzare il dibattito in questione fosse quella di una riforma del sistema sanzionatorio era del resto già con chiarezza presente nelle parole di Bricola, che collocava il ricorso alla pena privata nell’ottica del penalista, per parafrasare il titolo di un suo scritto, nell’ambito del richiesto «sforzo di fantasia nel reperimento di una più articolata gamma di sanzioni»37; ed anche in quel caso il nodo centrale da sciogliere era individuato nelle modalità di costruzione della nuova sanzione (e dunque del nuovo illecito).
Le difficoltà con cui il legislatore delegato si è dovuto cimentare sono dipese dall’ampiezza della categoria – quella della pena privata – con cui fare i conti, sulla quale si registrano nella dottrina civilistica posizioni dubbiose circa la sua stessa riconducibilità a unità38, ma anche dalla laconicità delle indicazioni contenute nella delega, silente su punti centrali della disciplina – per tutti la scelta se attribuire gli importi oggetto della sanzione al privato o allo Stato.
Non è possibile qui neppure lambire l’universo della pena privata; ma si è certamente in presenza di una realtà composita, tale dunque da ricomprendere figure differenziate e compresenti nell’ordinamento39, alcune delle quali rispondono al suo paradigma classico – secondo cui essa «nella sua versione pura … dovrebbe costituire una sanzione giuridica lasciata unicamente alla previsione dei privati, la cui operatività, in secondo luogo, dovrebbe essere rimessa all’iniziativa degli stessi, e i cui beneficiari dovrebbero essere sempre i privati»40 –, mentre altre si caratterizzano per il fatto che la sanzione è applicata ex officio e destinata a favore dello Stato.
In questo quadro magmatico non sono peraltro mancate in dottrina autorevoli indicazioni al legislatore circa la strada da seguire nella configurazione di illeciti di tale tipo e delle relative sanzioni, la cui irrogazione si immaginava, per la verità, rimessa all’iniziativa dei privati e con costoro che ne fossero beneficiari41.
Su questo sfondo si è mosso il legislatore delegato, che ha strutturato il suo intervento in due fasi.
Anzitutto, si è proceduto all’abrogazione di un novero (ristretto) di fattispecie criminose, operando le modifiche necessarie al tessuto codicistico; quindi i reati in questione, in una pressoché analoga veste, hanno ripreso vita quali illeciti punitivi civili.
Le figure criminose di cui si tratta sono raggruppabili in tre categorie: delitti di falso, limitatamente alle falsità in scrittura privata e con esclusione dell’ipotesi di testamento olografo, cambiale o altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore; ingiuria; delitti contro il patrimonio (danneggiamento semplice, sottrazione di cose comuni, appropriazioni indebite minori)42.
Il lavoro più significativo di revisione ha riguardato la materia dei delitti di falso: l’abrogazione secca delle ipotesi generali di falsità in scrittura privata di cui agli artt. 485 e 486 c.p. è alla base di una serie di ritocchi del tessuto codicistico, mentre le altre modifiche sono state dettate dall’esigenza di mantenere rilevanza penale alle condotte di falso sopra richiamate.
Per il resto, è stato abrogato l’art. 594 c.p., previa modifica a una serie di disposizioni collegate (artt. 596, 597 e 598), senza tuttavia eliminare il richiamo a tale previsione in apertura del delitto di diffamazione ex art. 595 c.p.
L’indicazione contenuta nella delega di abrogare l’ipotesi base di danneggiamento (art. 635, co. 1, c.p.) ha condotto il legislatore delegato a riformulare l’intera disposizione affinché gli elementi prima circostanziali divenissero requisiti costitutivi di altrettante fattispecie autonome di danneggiamento, con esiti peraltro non sempre in linea con la delega43.
Sono quindi stati tipizzati i nuovi illeciti i quali, in ossequio alla delega che “invitava” a specificare «tassativamente» le condotte colpite dalla nuova sanzione, sono ricalcati sulle abrogate figure di reato.
I soli due aggiustamenti hanno riguardato l’ingiuria e le ipotesi di falso in scrittura privata. Nel primo caso si è attribuito rilievo – prendendo atto delle odierne esigenze di tutela – anche all’offesa realizzata con comunicazioni informatiche o telematiche; nel secondo, si è sostituito il dolo specifico di procurare a sé o altri un vantaggio o recare ad altri un danno (che selezionava la rilevanza penale degli abrogati artt. 485 e 489, co. 2, c.p.), con un più pregnante evento di danno – scelta giustificata nella relazione al decreto in considerazione dello stretto legame intercorrente tra i nuovi illeciti e il risarcimento del danno44.
Per quanto concerne infine il quadro sanzionatorio dei nuovi illeciti, il legislatore ha optato per l’identificazione di «due distinte clausole generali sanzionatorie»45, contrassegnate da gravità crescente, al cui interno far ricadere le singole figure di illecito.
La sfida più impegnativa per il legislatore delegato era quella, come già anticipato, di disegnare l’architettura della disciplina dei nuovi illeciti.
Questo compito era stato in larga parte affidato dalla delega al Governo: nessuna indicazione sull’autorità competente a irrogare la sanzione, niente neppure – si è anticipato – in merito al beneficiario della stessa; la sola indicazione pregnante era il legame con il risarcimento del danno, nel senso che doveva trattarsi di sanzioni aggiuntive rispetto al «diritto al risarcimento del danno dell’offeso»46.
Il legislatore delegato – muovendo dal carattere ultracompensativo che caratterizza gli illeciti in questione già nella pur debole trama della delega e preoccupato altresì delle esigenze di deflazione processuale – ha fissato le linee portanti della disciplina in modo da allontanare la sanzione dalle sponde della pena privata, almeno nel suo idealtipo, a favore di una sua connotazione pubblicistica.
L’art. 3 del d.lgs. n. 8/2016 – che è l’asse portante della “mini” parte generale ideata – afferma la natura esclusivamente dolosa degli illeciti in questione, replicando le scelte compiute in relazione agli abrogati reati, oltre a ribadire la funzione deterrente della sanzione, che si aggiunge al risarcimento del danno. Il quadro si completa poi con le successive previsioni: il legame con il risarcimento del danno ha fatto sì che la competenza a irrogare la sanzione di cui si tratta fosse affidata al giudice civile – e da qui anche il termine di prescrizione mutuato dall’art. 2947 c.c. e la disciplina del procedimento (che è quella dettata dal codice di procedura civile, in quanto compatibile con le specifiche norme dettate) –; l’intenzione di valorizzare la componente di deterrenza della sanzione (e la sua vocazione pubblicistica)47 ha portato a individuare nello Stato (nella specie la Cassa delle Ammende)48 l’esclusivo beneficiario del relativo importo, nonché a sottrarne al privato la disponibilità, prevedendo che fosse applicata ex officio dal giudice, solo però una volta che questi abbia accolto la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa49 (e non dunque dal danneggiato, ristabilendo anche qui un parallelo con le previgenti ipotesi di reato). Sempre quest’ultimo profilo ha condotto a vietare la copertura assicurativa ma a sancire la non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo di pagare la sanzione pecuniaria50, nonché a escluderne l’applicazione allorché l’atto introduttivo del giudizio per il risarcimento del danno sia stato notificato nelle forme dell’art. 143 c.p.c. (riguardante le modalità di notificazione a persona irreperibile), salvo che la controparte si sia costituita in giudizio o vi sia prova certa della sua conoscenza del processo.
In questo scenario ben si comprende come il legislatore abbia poi attinto, per gli ulteriori profili di disciplina di cui al decreto, al campo penalistico – soprattutto sul piano dei criteri commisurativi – e a quello dell’illecito punitivo amministrativo – il riferimento è alla l. n. 689/1981. In tale contesto si collocano le disposizioni di cui all’art. 5, sulla commisurazione appunto della sanzione pecuniaria, all’art. 6 – in tema di reiterazione dell’illecito – alla quale si collega l’istituzione di un registro informatizzato dei provvedimenti ex art. 11 –, e quella infine di cui all’art. 7 – relativa al concorso di persone nel reato.
Infine, il legislatore delegato ha previsto anche per gli illeciti punitivi civili, all’art. 12 del d.lgs. n. 7 qui in esame, una disciplina transitoria nel solco dell’art. 2, co.4, c.p. Anche qui, in assenza di indicazioni sul punto nella delega, hanno prevalso le ragioni di giustizia sostanziale e di regolamentazione del fenomeno successorio secondo la logica della successione di leggi a contenuto punitivo che hanno ispirato, come visto, la analoga disciplina dettata per gli illeciti amministrativi51.
Si è poi posto il quesito se, qualora la persona offesa si sia costituita parte civile, il giudice penale, in caso di sentenza di condanna, possa decidere in sede di impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, sulle statuizioni civili e, correlativamente, sulle sanzioni punitive civili. Si è tuttavia giustamente esclusa una tale eventualità, pur conforme a esigenza di economia processuale, attesa l’assenza di una apposita disposizione derogatoria della disciplina generale di cui all’art. 538 c.p.p., sulla scia di quanto invece fatto per l’illecito amministrativo52.
A riguardo si è peraltro registrato un contrasto di posizioni in giurisprudenza che ha condotto, dopo un articolato percorso, alla rimessione della questione alle Sezioni Unite della Cassazione, che hanno optato per l’interpretazione appena richiamata (Cass. pen., S.U., 29.9.2016, n. 46688)53.
I decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016 hanno richiesto all’interprete di prendere posizione su diversi profili problematici, alcuni dei quali sono stati già oggetto di esame nel corso del presente lavoro.
L’economia di questo scritto non consente di passare in rassegna tutte le questioni emerse: soffermeremo pertanto l’attenzione su quelli che ci sembrano alcuni nodi di fondo.
Per quanto attiene alla trasformazione di reati in illeciti amministrativi, due sono gli aspetti di maggiore rilievo: l’esclusione del codice penale dal raggio di azione della clausola generale di depenalizzazione e la mancata degradazione a illecito amministrativo dell’art. 10 bis d.lgs. n. 28/1998 (t.u. imm.).
Abbiamo detto in precedenza dei motivi alla base della scelta del legislatore delegato di eccettuare la “materia codicistica” dal criterio “cieco” di depenalizzazione. Essi tuttavia non appaiono irresistibili, come si è da più parti evidenziato54: non quello relativo agli effetti “distorsivi” che l’operare della clausola generale determinerebbe su diversi settori di parte speciale, trattandosi piuttosto di rilievo critico rispetto al funzionamento pratico di detti criteri di depenalizzazione che di indice decisivo per abbracciare una diversa soluzione, in carenza di una indicazione ad hoc della delega; ma neppure quello sistematico, relativo, come detto, alla presenza tra le fattispecie interessate dalla depenalizzazione nominativa di ipotesi codicistiche sanzionate con la pena pecuniaria (artt. 659 e 726 c.p.). Verso la soluzione opposta – di includere cioè il codice penale – depone sia il dato testuale della delega, che fa riferimento quale spettro di incidenza della clausola generale a tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda senza eccezione espressa alcuna per il codice, sia lo stesso esame delle disposizioni appena richiamate. Per quanto attiene all’art. 659 c.p. la scelta di menzionare specificamente la disposizione è dovuta al fatto che l’ipotesi di cui al primo comma è punita alternativamente con l’arresto o l’ammenda; per quanto riguarda l’art. 726 c.p. essa è da ricercare nell’intenzione di evitare eventuali dubbi interpretativi, atteso che l’originario quadro edittale è quello dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda da euro 10 a euro 206 ma, in virtù della sua devoluzione alla competenza del giudice di pace in sede penale, trova applicazione la pena pecuniaria (art. 52 d.lgs. 28.8.2000, n. 274). A supportare infine la tesi qui sostenuta sono i lavori preparatori, il cui esame evidenzia chiaramente la volontà e consapevolezza del legislatore dell’incidenza della clausola generale di depenalizzazione sul terreno del codice penale55.
La seconda questione delicata concerne l’art. 10 bis t.u. imm. che, come abbiamo visto, non è alla fine stato trasformato in illecito amministrativo. In tale caso tuttavia, pur a fronte di quanto riportato nella relazione al decreto, non di mancato esercizio della delega ci sembra possa parlarsi, bensì di un caso in cui si è operato in contrasto con la delega medesima.
L’esame dei lavori preparatori assume anche qui peculiare rilevanza. In una prima fase difatti era ricompresa nell’ordito della delega, tra le materie escluse dalla depenalizzazione, l’immigrazione; materia che viene in seguito depennata dal legislatore, inserendosi per contro nella parte dedicata alla depenalizzazione nominativa un principio di delega relativo alla (radicale) abrogazione dell’art. 10 bis. In seguito, si decise invece di tornare indietro: si sostituì all’abrogazione l’indicazione di trasformare tale ipotesi in illecito amministrativo, aggiungendo però che si sarebbero dovute escludere dalla depenalizzazione “cieca” le figure di reato in tema di immigrazione fondate sulla violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia (art. 2, co. 3, lett. b), l. n. 67/2014). Il principio di delega così coniato si limitava in qualche modo a ribadire, per quanto riguarda l’art. 10 bis, un effetto discendente direttamente dall’applicazione della clausola generale di depenalizzazione, mentre indicava al Governo di sottrarre alla depenalizzazione le ipotesi concretantesi nella violazione dei provvedimenti di cui sopra. La specifica previsione dedicata all’art. 10 bis, sebbene collocata nella parte della delega riguardante la depenalizzazione nominativa, era in realtà da leggere sistematicamente in relazione a quella di cui all’art. 1, co. 1, l. n. 67/2014 – secondo cui, ricordiamolo, «non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» – di talché figurassero tra le eccezioni al suo operare anche i reati del testo unico immigrazione aventi ad oggetto la violazione dei provvedimenti amministrativi in materia. Ciò che tuttavia non poteva fare il legislatore – cosa invece accaduta – era di reintrodurre l’immigrazione tout court tra le materie escluse dal parametro formale di depenalizzazione, con ciò andando contro la delega56.
Volgendo adesso lo sguardo agli illeciti punitivi civili, gli sforzi dell’interprete dovranno indirizzarsi a dare soluzione ai numerosi quesiti che, per un verso, la lacunosità della disciplina generale dettata dal legislatore; per altro verso, la peculiare conformazione dell’illecito ad opera del d.lgs. n. 7/2016 – più vicino, come già evidenziato, a dar vita a una “pena pubblica” che “privata” – hanno sollevato e continueranno a generare.
Dovendosi qui limitare a un rapido inventario dei problemi, basti menzionare sul primo fronte l’assenza di una disciplina in tema di imputabilità o di cause di giustificazione o, ancora, una normativa analoga a quella prevista per l’illecito amministrativo in materia di principio di specialità; sul secondo, invece, si pensi alle complesse problematiche legate anzitutto alla scelta di rendere lo Stato unico beneficiario dei proventi della sanzione e di prevedere una sua applicazione ex officio da parte del giudice civile, configurandosi così il risarcimento del danno come «presupposto processuale» della sanzione punitiva civile. Il dibattito originatosi da subito sugli aspetti più direttamente connessi a tali opzioni ricostruttive – rispetto del principio del contraddittorio sull’illecito punitivo civile, non dovendo a rigore la persona offesa nell’atto introduttivo del giudizio per il risarcimento del danno “occuparsi” anche di siffatto illecito; possibilità del giudice di ricercare ex officio elementi di prova; riflessi dell’assetto di disciplina prefigurato sul piano dell’impugnazione dei provvedimenti del giudice civile concernenti l’illecito punitivo in questione –, nonché quelli più generali sullo standard probatorio da seguire – quello penalistico oppure la regola del “più probabile che non” – è estremamente significativo57.
Ci sembra peraltro che, mentre sul versante delle “lacune” di disciplina possa ben soccorrere l’esperienza dell’illecito punitivo amministrativo – e dunque la l. n. 689/198158 –, su quello dei profili processuali, un ampio spazio di riflessione si apra. Andrebbe comunque assegnato un ruolo di primo piano al giudice nell’assicurare il contraddittorio sull’applicazione dell’illecito civile e, nell’assetto attuale, nella ricerca della prova59, mentre, sul lato dello standard di prova, la chiara volontà del legislatore di fare degli abrogati reati, illeciti civili – pur con una conformazione sui generis – accertati dal giudice civile, con la disciplina generale del processo civile, inducono ad optare per la soluzione secondo cui sia lo standard civilistico a dover essere seguito60.
Note
1 Sul tema rimane fondamentale il lavoro di Paliero, C.E., «Minima non curat Praetor». Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1984, passim.
2 V., per tutti, ancora Paliero, C.E., «Minima non curat Praetor», cit., 3 ss.; Giunta, F., voce Depenalizzazione, in Dizionario di diritto e procedura penale, a cura di G. Vassalli, Milano, 1986, 197 ss.
3 In argomento sia consentito rinviare, anche per i relativi riferimenti bibliografici nonché per alcune osservazioni a riguardo, a Gullo, A., Deflazione e obblighi di penalizzazione di fonte UE, in www.penalecontemporaneo.it, 10.2.2016, 1 ss.
4 Su questo profilo v. Demuro, G.P., Ultima ratio: alla ricerca di limiti all’espansione del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1677 ss.
5 Su cui v. Palazzo, F.C., Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1703 ss. Va peraltro detto che alla fine non è stata data attuazione alla parte della delega relativa alle pene detentive non carcerarie che, come efficacemente osservato, ne rappresentavano «il piatto forte» (l’espressione è di Palazzo, F.C., Le difficoltà interpretative degli istituti sostanziali previsti dalla L. n. 67/2014, in Sistema sanzionatorio e processo penale: lavori in corso, Giurisprudenza italiana. Gli speciali, a cura di F.C. Palazzo e G. Spangher, Milano, 2015, 1).
6 Per una accurata ricostruzione del processo di depenalizzazione in Italia v. Siniscalco, M., Depenalizzazione e garanzia, Bologna, 1983, 55 ss.; Bernardi, A., L’evoluzione della depenalizzazione in Italia, in Bernardi, A.Zoda, I., Depenalizzazione. Profili teorici e pratici, Padova, 2008, 33 ss.
7 In questi termini si esprime Gargani, A., La depenalizzazione bipolare: la trasformazione di reati in illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie amministrative e civili, in Dir. pen. e processo, 2016, 579. Così pure si era espresso l’Autore in Tra sanzioni amministrative e nuovi paradigmi punitivi: la legge delega di ‘riforma della disciplina sanzionatoria’, in Legisl. pen., 2015, 2, il quale in entrambi gli scritti procede prima all’analisi del tema della depenalizzazione ‘tradizionale’. Di soluzione «radicalmente innovativa» a proposito sempre degli illeciti punitivi civili parla Palazzo, F.C., Nel dedalo, cit., 1704. Mette parimenti in risalto questo profilo Gatta, G.L., Depenalizzazione e nuovi illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili: una riforma storica, in www.penalecontemporaneo.it, 25.1.2016.
8 Con l’eccezione di cui all’art. 10 bis t.u. imm. (v. infra n. 3).
9 V. infra n. 3.
10 Il riferimento è qui al Progetto elaborato dalla Commissione presieduta dal Prof. Fiorella. Su questi aspetti, anche per ulteriori richiami, sia consentito rinviare a Gullo, A., La depenalizzazione in astratto tra vecchi e nuovi paradigmi. Un’analisi dei decreti legislativi 7 e 8 del 15.1.2016, in www.lalegislazionepenale.eu, 29.7.2016, 17 ss.
11 V. il passaggio della relazione al d.lgs. n. 8/2016 (p. 2) ove si dà atto della trasformazione del reato di interruzione da parte della donna della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate dalla legge (art. 19 l. 22.5.1978, n. 194), evidenziandosi tuttavia come si tratti di figura posta «a tutela di beni particolarmente significativi».
12 Così già Palazzo, F.C., Nel dedalo, cit., 1715 e, in seguito, in sede di commento ai decreti nn. 7 e 8 del 2016, Gargani, A., La depenalizzazione, cit., 580, 584.
13 Questo l’elenco delle materie contenuto nella citata disposizione: «edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d’azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento ai partiti; proprietà intellettuale e industriale».
14 V. i rilievi svolti infra n. 3.
15 V. art. 1, co. 3, d.lgs. n. 8/2016. Per alcuni rilievi inerenti alla scelta di escludere i reati contenuti nel codice penale dallo spettro di applicazione della clausola “cieca” di depenalizzazione v. infra n. 3.
16 Analogo criterio è utilizzato nella depenalizzazione del 1975 e in quella più ampia del 1981.
17 Per richiami ai lavori preparatori e per riferimenti bibliografici sul punto sia consentito rinviare al nostro La depenalizzazione in astratto, cit., 21.
18 Possibilità ben presente, attesa la latitudine semantica di talune materie: l’esempio subito fatto è stato quello della «sicurezza pubblica» (v. le osservazioni di Palazzo, F.C., Le deleghe sostanziali: qualcosa si è mosso, tra timidezze e imperfezioni, in Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di C. Conti, A. Marandola e G. Varraso, Padova, 2014, 160. Sottolinea parimenti questo aspetto Sereni, A., La depenalizzazione nella società di massa tra logica liberale e logica economica, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 561.
19 V. art. 1, co. 4, n. 1 del progetto Fiorella. Analogo richiamo in Gargani, A., Tra sanzioni amministrative, cit., 12, nonché in Sereni, A., op. cit., 570, nota 52.
20 Per osservazioni critiche in merito alla scelta compiuta dal legislatore delegato si rinvia infra n. 3.
21 Più dettagliati chiarimenti in Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 20.
22 V. l’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 8/2016. Sui profili di disciplina v. l’analisi dell’Ufficio del Massimario della Cassazione (Relazione, 5 s.). V. poi le disposizioni di coordinamento dettate per l’ipotesi di recidiva collegata alla violazione amministrativa (infra n. 2.2).
23 V. infra n. 3.
24 Maggiori riferimenti in Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 27 s.
25 L’espressione è di Losappio, G., Depenalizzazione, tranquillità personale e inquinamento acustico, in www.penalecontemporaneo.it, 4.11.2015, 9.
26 V., per tutti, Fiandaca, G., Problematiche dell’osceno e tutela del buon costume, Padova, 1984, 53 ss. e 105 ss. Nella manualistica v. Fiandaca, G.Musco,E., Diritto penale. Parte speciale, II, tomo I, Delitti contro la persona, Bologna, 2011, 119 ss.; Cadoppi, A., Atti osceni e spettacoli osceni, in Elementi di diritto penale. Parte speciale, II, I reati contro la persona, I, a cura di P. Veneziani e A. Cadoppi, Padova, 2014, 127 ss.
27 Si circoscrive l’ambito della rilevanza penale alle sole ipotesi in cui l’importo omesso superi i 10.000 euro (punite con la reclusione fino a tre anni e la multa fino a euro 1.032), applicandosi diversamente la sanzione amministrativa da euro 10.000 a euro 50.000. Si introduce poi una causa di esclusione della sanzione penale e di quella amministrativa nei casi in cui il datore di lavoro provveda al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
28 Gargani, A., Tra sanzioni amministrative e nuovi paradigmi punitivi, cit., 10.
29 Per un elenco di queste figure di reato v. Guida dir., 2016, fasc. 8, 72 ss.
30 Nel primo caso si trattava difatti di figure di reato punite con la sola pena pecuniaria.
31 Sono state apportate deroghe nel caso dell’art. 527 c.p., perché la cornice così determinata non appariva, per la severità, in linea con il mutato disvalore del fatto, nonché in quelli in cui fosse necessario per fare sì che gli aumenti di pena legati all’operatività di circostanza consentissero di mantenere la sanzione entro il limite massimo di euro 50.000.
32 V. art. 6 d.lgs. n. 8/2016.
33 V. i richiami contenuti nella relazione (§ 8) dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione.
34 V. art. 9 d.lgs. n. 8/2016.
35 Il riferimento è naturalmente agli scritti contenuti nel volume Le pene private, a cura di F.D. Busnelli e G. Scalfi, Milano, 1985, passim.
36 Per un analitico inquadramento e per gli indispensabili richiami bibliografici v. Gargani, A., La depenalizzazione, cit., 591 ss., nonché sia consentito rinviare a Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 35 ss.
37 V. Bricola, F., La riscoperta della «pene private» nell’ottica del penalista, in Le pene private, cit., 29.
38 V. le osservazioni di Moscati, E., Pena (dir. priv.), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 784 ss. e soprattutto 786.
39 Per una elencazione abbastanza completa v. Bartella, M.G., Le pene private, Milano, 2006, 15 ss. e 221 ss. Per una attenta analisi di molte delle figure in questione, nella dottrina penalistica v. Borsari, R., Ibridismi sanzionatori: pena pecuniaria e pene civili, in Diritto penale, creatività e codisciplinarità. Banchi di prova dell’esperienza giudiziale, Padova, 2013, 326 ss. Nella manualistica v. De Vero, G., Corso di diritto penale, I, 3ª ed., Torino, 2012, 54 ss.
40 Così specificamente Ponzanelli, G., voce Pena privata, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 5.
41 V. Bricola, F., La riscoperta, cit., 1582 s.; Busnelli, F.D., Responsabilità e deterrenza, in Danno e responsabilità civile, a cura di F.D. Busnelli e S. Patti, Torino, 2013, 247 s.
42 Non è stata esercita la delega in relazione ai delitti di usurpazione, deviazione di acque e modificazioni dello stato dei luoghi e, infine, invasione di terreni ed edifici (artt. 631, 632, 633 c.p.).
43 V. Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 41.
44 V. p. 5 della relazione al d.lgs. n. 7/2016.
45 V. p. 4 s. della relazione al decreto nonché, per le cornici sanzionatorie dei singoli illeciti, l’art. 4 del d.lgs. n. 7.
46 È qui ripreso pressoché testualmente il disposto dell’art. 3, co. 2, lett. d), l. n. 67/2014.
47 V. i riferimenti contenuti nell’art. 7 d.lgs. n. 7/2016.
48 V. art. 10 d.lgs. n. 7/2016.
49 V. art. 9 d.lgs. n. 7/2016.
50 V. art. 9, co. 4 e 5, d.lgs. n. 7/2016.
51 Per ulteriori dettagli v. Gargani, A., La depenalizzazione, cit., 599 ss.; Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 49 s.
52 V., in quel caso, l’espressa previsione di cui all’art. 9, co.3, d.lgs. n. 8/2016. È questo il ragionamento svolto e la soluzione prospettata dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione nella sua relazione (v. p. 27). Nello stesso v. Gargani, A., La depenalizzazione, cit., 600. In questa direzione sembra altresì orientata, più di recente, Lavarini, B., I profili processuali dei recenti provvedimenti di depenalizzazione, in Arch. pen., 2016, 3, 18 s., la quale al contempo osserva come, laddove non sia possibile ovviare in via interpretativa alla caducazione delle statuizioni civili, sarebbe inevitabile una questione di legittimità costituzionale.
53 Sul punto sia consentito rinviare a Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 50, nonché, da ultimo, a Lavarini, B., I profili processuali, cit., 17 ss.
54 V. Gargani, A., già nel suo scritto Tra sanzioni amministrative e nuovi paradigmi punitivi, cit., 13; Sereni, A., La depenalizzazione, cit., 570 s., nonché il nostro Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 24 ss.
55 Maggiori dettagli in Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 25 s.
56 Per i riflessi di questa scelta e le possibili censure di incostituzionalità v. Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 23.
57 Tra i commenti specifici v. Bove, M., Sull’introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie dal punto di vista del processualcivilista ( note a margine del d.lgs. n. 7 del 15/1/2016), in www.lanuovaproceduracivile.com, 1 ss.; Id., Un nuovo caso di pronuncia d’ufficio: profili processualcivilistici del d.lgs. 15 Gennaio 2016, n. 7, in Le nuove leggi civili commentate, 2016, 3, 412 ss.; Gargani, A., La depenalizzazione, cit., 596 ss.; Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 45 ss.; Lavarini, B., op. cit., 6 ss.; Martini, R., L’avvento delle sanzioni pecuniari civili. Il diritto penale tra evoluzione e mutazione, in www.lalegislazione.eu, 28.9.2016, 11 ss.
58 V. Padovani, T., Procedibilità e applicazioni, le differenze più nette, in Guida dir., 2016, fasc. 8, 77 ss. Sia consentito rinviare altresì al nostro La depenalizzazione in astratto, cit., 45 s.
59 Ulteriori dettagli in Gullo, A., La depenalizzazione in astratto, cit., 48 s.
60 Stessa conclusione in Gargani, A., La depenalizzazione, cit., 598 e, da ultimo, in Martini, R., op. cit., 9. Di diverso avviso – per il quale a trovare applicazione dovrebbe essere il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio – Bove, M., Sull’introduzione, cit., 4. Così sembra pure orientata Lavarini, B., op. cit., 9.