I regni cristiani di Spagna
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei secoli XI e XII si costituiscono in Spagna quegli Stati cristiani destinati a definire a lungo la configurazione politica della penisola. Con un lento processo di accorpamento nei confronti di altre formazioni cristiane e di espansione ai danni del dominio musulmano di al-Andalus i regni di Castiglia e di Navarra emergono come i protagonisti della Spagna cristiana tardomedievale. Caratteristica di questi regni è una società in cui, accanto al predominio delle aristocrazie clerico-militari, si segnala la notevole importanza dell’elemento popolare, favorito dalle immunità che la politica di ripopolamento imponeva ai re.
In Spagna, i secoli XI e XII vedono il lento delinearsi, e poi l’espandersi e il consolidarsi, di alcune entità politiche cristiane di ampio respiro, eredi da un lato del Regno delle Asturie, nucleo originario della resistenza cristiana all’invasione musulmana, dall’altro dei piccoli domini sorti lungo i Pirenei con l’aiuto e la tutela dei Franchi.
Infatti, dopo la morte di al-Mansùr si esaurisce la spinta conquistatrice musulmana, e con essa l’elemento che aveva da ultimo tenuto unito, a spese dei paesi razziati, il califfato omayyade di Cordova.
Ne segue una gravissima crisi politica nella Spagna musulmana (fine del califfato, 1031), con il frazionamento conosciuto come periodo dei Reinos de Taifas, fino alla ricostituzione dell’unità politica sotto la dinastia degli Almoravidi a partire dal 1090 circa. L’indebolimento arabo del periodo dei Taifas consente, come naturale contraccolpo, un’importante ripresa cristiana, che si manifesta anzitutto in un rinnovato processo di unificazione politica, dopo quello che nel IX secolo aveva avuto come protagonista il Regno delle Asturie. Un primo importante accorpamento si verifica con Sancho III di Navarra el Mayor il quale, ereditati i titoli di re di Navarra e conte di Aragona, riesce con una accorta politica, e militare e matrimoniale, ad annettersi successivamente le contee di Sobrarbe e di Ribagorza, nonché la contea di Castiglia (in qualità di marito dell’ultima discendente castigliana, Munia) e la parte orientale del regno di León, strappata (1029) al piccolo Bermudo III di León, il cui padre, Alfonso V, era caduto in battaglia sotto Viseu, mentre tentava di estendere il suo regno a spese dei Mori. La grande unificazione raggiunta intorno al 1030 da Sancho III el Mayor dura pochi anni, dividendo egli il proprio dominio prima di morire tra i suoi quattro figli: a García la Navarra, a Ferdinando la Castiglia e la citata parte di León (il tutto elevato a regno), a Gonzalo Sobrarbe e Ribagorza, a Ramiro il Bastardo l’Aragona (anch’essa elevata a regno). Tuttavia, il processo di unificazione non è compromesso, bensì prosegue, pur attraverso un intricato complesso di vicende e di contese. Nella parte occidentale della Spagna cristiana, Ferdinando I di Castiglia el Magno riunisce per la prima volta nella sua persona le corone di Castiglia e di León, per aver sposato Sancha, sorella di Bermudo III di León, e per aver sconfitto in battaglia lo stesso Bermudo (1037). Ferdinando è poi il primo tra i sovrani cristiani di Spagna a intraprendere con forza l’opera di Reconquista, costringendo i musulmani a un sensibile ripiegamento e a riconoscere con il tributo la supremazia castigliana. Anche il regno di Ferdinando va incontro alla suddivisione ereditaria, ma uno dei figli, Alfonso VI di Castiglia el Bravo, riesce, dopo anni di alterne vicissitudini e lotte fratricide, a unificare di nuovo le corone di León e Castiglia, riprendendo poi l’offensiva contro i Taifas fino alla gloriosa conquista di Toledo (maggio 1085) – momento importante della Reconquista, ma preludio non di ulteriori immediate vittorie, bensì della tremenda controffensiva almoravide, già in atto con la disfatta cristiana a Zalhaca (ottobre 1086).
Al fianco di Alfonso VI, ma più spesso in azione personale, troviamo Rodrigo Díaz de Bivar, vale a dire el Cid Campeador, l’eroe per eccellenza dell’epica spagnola (Cantar de mio Cid) e della Reconquista, la quale nell’XI secolo vive una decisiva svolta uscendo dalla sua dimensione locale per divenire parte della generale riscossa della croce sulla mezzaluna.
Nello stesso arco di tempo fa notevoli progressi l’unificazione della parte orientale cristiana, dove l’Aragona di Ramiro I il Bastardo si ingrandisce inglobando i territori di Sobrarbe e di Ribagorza, e il figlio di Ramiro, Sancho I di Aragona diviene anche re di Navarra. Le corone di Aragona e Navarra restano poi unite sotto i regni dei due figli di Sancho, Pietro I e Alfonso I el Batallador, perseverante e glorioso artefice, quest’ultimo, della prima riconquista aragonese (vittoria di Cutanda, 1120).
Ancora nello stesso periodo si configura un’unificazione catalana attorno alla contea di Barcellona, che fin dai tempi di Guifre el Pilós (Goffredo il Peloso), si era resa ereditaria e di fatto indipendente dalla dominazione franca, e che ora, con Ramón Berenguer I detto il Vecchio, si pone alla testa delle varie contee della regione, raggiungendo la massima estensione con l’acquisto della Provenza sotto Ramón Berenguer III el Grande, per poi essere di nuovo ridimensionata, perdendo la parte provenzale nella solita divisione ereditaria. Le contee catalane pervengono allora al primogenito di el Grande, Ramón Berenguer IV, la cui importanza è dovuta soprattutto al matrimonio che gli consente di dare origine alla monarchia catalano-aragonese. Infatti, morto senza eredi Alfonso I el Batallador, la corona d’Aragona (ma non la Navarra, che nella circostanza torna indipendente) passa al fratello, Ramiro II el Monje, il quale abdica subito dopo aver formalizzato la promessa di matrimonio della sua neonata Petronilla con il conte di Barcellona, delegando il futuro marito a governare il regno. Da queste importantissime nozze nasce Alfonso II el Casto, re d’Aragona e conte di Barcellona dal 1162 al 1196, con il quale compie un passo decisivo l’unificazione di una delle parti più attive e prospere della penisola iberica, a cui l’acquisto di Barcellona – attenta alla politica marittima fin dai tempi di Ramón Berenguer III – apre la possibilità di un’espansione politica e commerciale nel Mediterraneo.
In Castiglia la ripresa almoravide e la morte di Alfonso VI mettono in grave difficoltà la monarchia (difesa allora da Alfonso I di Aragona), finché Alfonso VII di Castiglia el Emperador restituisce unità e capacità militari al Regno, dapprima riprendendo con ardore l’offensiva antimusulmana, poi fronteggiando il ritorno arabo guidato (dal 1147) dalla nuova dinastia degli Almohadi. Al termine del suo regno, Alfonso VII rinuncia di nuovo all’unità politica ricreando per il figlio minore un regno separato di León (che solo nel 1230, ma questa volta definitivamente, tornerà a essere unito alla Castiglia sotto un unico sovrano). Nella Castiglia regna invece il nipote ex filio di Alfonso VII, Alfonso VIII el Noble, uno dei grandi protagonisti della Reconquista, in prima fila nella epocale vittoria cristiana di Las Navas de Tolosa (battaglia di Las Navas de Tolosa, 16 luglio 1212).
Nel 1143 si pone inoltre la nascita di un nuovo regno cristiano, quello di Portogallo. Esso è in origine una contea soggetta alla Castiglia, ma nel 1139 Alfonso I Henriques di Portogallo, altro protagonista della Reconquista, viene proclamato Rex Portugalensium, ottenendo poi, quattro anni dopo, il riconoscimento del papa e di Alfonso VII di Castiglia.
Al termine di questi due secoli di gestazione troviamo dunque una Spagna strutturata in cinque regni: León-Castiglia, Aragona-Catalogna, Navarra, Portogallo, Sultanato di Granada.
Pur suddivisa in diversi Stati, la Spagna cristiana presenta – almeno dall’XI secolo in poi – alcuni tratti strutturali comuni. Al vertice della gerarchia sociopolitica, assistito da un Consiglio di grandi ufficiali, si trova il re, a cui l’unzione sacra e l’ereditarietà conferiscono maggiore stabilità rispetto al passato visigoto, quando la monarchia era elettiva.
Accanto al re e alla sua corte occupa un posto di grande rilievo l’aristocrazia, laica ed ecclesiastica: le necessità della Reconquista, vale a dire l’esigenza della difesa militare (mediante una cavalleria feudale), e quella di un apparato di sostegno ideale della lotta (fornito dalla fede religiosa), conferiscono forza, prestigio e senso di appartenenza a questa doppia aristocrazia, i cui interessi si erano del resto reciprocamente saldati già in epoca visigota. Clero e nobiltà militare si giovano poi dell’apporto di elementi stranieri, franchi in particolare, che attraversano i Pirenei a sostegno della Reconquista, rafforzando l’aristocrazia clerico-militare spagnola (profonda, ad esempio, l’opera dei monaci di Cluny, seguiti da cistercensi e da altri ordini monastici). Ma in Spagna assume notevole importanza anche el brazo popular, l’ordine (o braccio, brazo) che in Francia viene chiamato “terzo stato”. Presente nelle Cortes – le assemblee rappresentative cui il re tradizionalmente si rivolge soprattutto in caso necessiti dell’“aiuto” finanziario dei sudditi – il popolo si fa forte altresì dei privilegi che il re non può lesinare: infatti, la riconquista va accompagnata e consolidata con il ripopolamento delle città e delle aree rurali sottratte al nemico, attirando in esse lavoratori mediante le franchigie e le immunità sancite nelle leggi municipali (i fueros) e nelle “carte di popolamento” (cartas pueblas o cartas de población). Elemento vitale dei regni in espansione, le città e le poblaciones (le località provinciali) hanno dunque una parte notevole nella storia della Spagna medievale, e specialmente nelle sedute delle Cortes, almeno dal XII secolo in poi. Gli stessi sovrani spagnoli troveranno conveniente avvalersi dell’aiuto delle città per controbilanciare il grande potere delle aristocrazie.
Nel periodo in oggetto, la fondamentale opera di repopulatio e il secolare confronto con l’islam favoriscono, al di là dell’ufficialità politico-religiosa, una particolare permeabilità culturale della Spagna cristiana, che non respinge le influenze delle varie culture contemporanee, così quella “europea” trasmessa da monaci e cavalieri (e pellegrini che da ogni parte accorrono a Santiago de Compostela), come quelle araba, ebraica e mozarabica, comunicate soprattutto per il tramite di ebrei, mozarabi e musulmani rimasti nei territori riconquistati e per lo più ben accolti. Inevitabile sottolineare allora il ruolo privilegiato di mediazione culturale svolto dalla Spagna cristiana, attraverso cui – a tacer d’altro – fluiscono in Europa, del patrimonio di civiltà arabo, le scienze matematiche, astronomiche, mediche e la conoscenza della dimenticata filosofia aristotelica.