I regni romano-barbarici
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il processo di sfaldamento dell’egemonia romana si protrae per oltre un secolo, durante il quale popoli germanici si insediano nelle province occidentali dell’impero. Inizialmente legati ai centri di governo imperiali, attraverso un rapporto di foederatio, questi regni, cosiddetti romano-barbarici, dei Burgundi, dei Visigoti e degli Ostrogoti, agiscono come una sorta di prolungamento ideale dell’antico ordine romano.
Il cedimento della parte occidentale dell’impero romano e la riduzione di questo alla sola area orientale europea si va compiendo progressivamente già a partire dall’inizio del V secolo. La frammentazione dell’Occidente romano non può infatti ricondursi a un unico avvenimento deflagrante. La critica storica è concorde piuttosto nella ricostruzione delle ultime fasi del periodo tardoantico come di un momento convulso e drammatico della storia di Roma, la cui caduta, ormai irreversibile, si protrae per decenni, coprendo grosso modo oltre un intero secolo.
D’altronde la perdita del controllo da parte del governo centrale delle province imperiali, che comprendevano la regione nordafricana, la penisola iberica, la Gallia e le isole britanniche, è l’esito di un lungo processo di dissesto politico e soprattutto militare che, seppure ha all’origine un decisivo fattore esterno rappresentato dalle invasioni barbariche, trova la prima, e forse decisiva, causa in molteplici elementi interni, tra cui il gigantismo dell’amministrazione, l’estesa corruzione delle istituzioni, la contrazione dei commerci, il declino delle città e la ridotta vitalità demografica della popolazione. A questi fattori di debolezza interna consegue una graduale incapacità dei Romani di provvedere alla difesa dei territori imperiali e dei loro abitanti, la cui tutela viene spesso affidata a eserciti in gran parte composti da milizie barbare. Ciò presto favorisce una notevole infiltrazione di soldati germanici nelle stesse gerarchie militari, preludendo allo stanziamento stabile dei loro popoli all’interno delle regioni occidentali dell’impero.
Fino agli anni Quaranta del V secolo, i Romani cercano di opporre una fiera resistenza contro l’avanzata dei popoli germanici. La disfatta di Ravenna, capitale dell’impero d’Occidente, in cui Odoacre, a capo delle schiere barbare degli Eruli, degli Sciri, dei Turcilingi e dei Rugi, depone nel 476 l’imperatore Romolo Augustolo e invia le insegne imperiali a Costantinopoli, sigilla definitivamente questo processo di infiltrazione dell’elemento barbaro e di dissoluzione dell’unità imperiale dei territori d’Occidente, che aveva avuto inizio diversi decenni addietro.
Con il progressivo sfaldamento dell’autorità romana vengono a formarsi stabili principati barbarici che si dividono le province imperiali: gli Alemanni, insediatisi nell’odierna Svizzera, gli Angli e i Sassoni nelle isole britanniche, i Burgundi, nella valle del Rodano, i Franchi, nel basso Reno, gli Ostrogoti, in Italia, i Vandali nella regione africana e i Visigoti, nella Francia meridionale e successivamente nella penisola iberica. La costituzione di questi regni è il risultato di un lungo processo di deterioramento dell’autorità imperiale nei territori d’Occidente e della graduale infiltrazione dei popoli germanici entro i confini dell’impero. Essi iniziano a insediarsi ai margini esterni delle province imperiali, formando, già nel IV secolo, piccole colonie agricole e militari nelle campagne devastate dalle guerre. Entrano quindi progressivamente a far parte delle milizie romane, di cui presto vengono a costituire il nucleo principale. A partire poi dai primi anni del V secolo si riversano nei territori romani, spinti dall’avanzata unna in Oriente, invadendo la Gallia, la penisola iberica e quella italiana.
Ma per lungo tempo il controllo di queste regioni, che già dalla metà del secolo il governo di Ravenna ha ormai perduto, non passa integralmente nelle mani dei nuovi padroni germanici. Essi, infatti, si stanziano nelle province d’Occidente, assumendo inizialmente il ruolo di federati dell’impero, ossia di alleati militari cui viene concesso l’insediamento in un determinato territorio in qualità di guarnigione permanente, affinché sia garantita la protezione delle popolazioni e soprattutto la continuità delle istituzioni romane.
Questo rapporto di foederatio riflette il disperato tentativo di scongiurare, o almeno di ritardare, il sovvertimento dell’ordine romano, cui i popoli germanici acconsentono a partecipare, lasciandosi inizialmente imbrigliare nella complessa rete amministrativa dell’impero, che realizza in tal modo una sorta di inquadramento, secondo la tradizione romana, dei nuovi governi stranieri. Un inquadramento reso possibile dalla struttura decentrata delle istituzioni romane d’Occidente, caratterizzata dalla divisione del territorio imperiale in circoscrizioni provinciali, ciascuna dotata di un suo complesso di istituzioni per il governo locale. Lo stanziamento barbarico avviene entro questi compartimenti circoscrizionali, cosicché la gran parte degli uffici e degli organi del sistema imperiale è incorporata nei nuovi regni germanici, sopravvivendo in tal modo alla rovina dell’impero.
I due ordini, il governo straniero e il vecchio potere romano, tendono così a sovrapporsi, in modo che i sistemi amministrativi, monetari, fiscali e giudiziari rimangano pressoché immutati nel trapasso dall’antico ordine al nuovo assetto di potere. Questa transizione appare dunque un processo estremamente graduale, favorito dall’incontro tra le esigenze dei settori socialmente più elevati delle due società, barbara e romana, che si trovano a convivere nel medesimo territorio. L’intesa tra la nobiltà guerriera dei popoli germanici e l’antica aristocrazia romana è infatti quantomeno necessaria perché sia mantenuta l’efficienza del sistema tributario e sia organizzato e difeso il regime della proprietà, di cui le due sottosocietà sono le prime beneficiarie.
È pur vero, tuttavia, che questo rapporto di mutua collaborazione non si realizza in tutti i territori d’Occidente.
Nei principati alemanni e bavari l’elemento barbaro assume un’assoluta preminenza. Così come nella provincia britannica, dove i segni dei costumi romani vanno progressivamente dissolvendosi nel corso del V secolo. Nella regione africana, poi, i Vandali, dopo aver ottenuto nel 435 il riconoscimento della propria posizione di federati da parte dell’imperatore d’Occidente Valentiniano III, ben presto instaurano un regime dispotico, rivalendosi con la forza e il sopruso sull’antico ceto romano senatorio.
Di segno ben diverso è la compenetrazione tra l’elemento barbaro e l’elemento romano che contraddistingue altri principati germanici: i regni dei Burgundi, dei Visigoti e, in particolare, il regno ostrogoto, i quali per questa ragione possono propriamente dirsi romano-barbarici (o latino-germanici). Qui la prossimità del nuovo governo al vecchio ordine assume un carattere strutturale.
La continuità con il sistema romano tardoantico si realizza soprattutto attraverso la diffusa partecipazione dell’aristocrazia romana alle alte cariche del governo e dell’amministrazione dei regni. Una partecipazione i cui effetti sono ben visibili nella prolifica produzione legislativa della seconda metà del V secolo. Presso i Burgundi, il re Gundobado promulga la Lex Romana Burgundiorum; i Visigoti nel 459 rompono il patto di foederatio con l’impero, stipulato nel 419 con l’imperatore d’Occidente Onorio, e rivendicano una propria autonomia legislativa, pubblicando raccolte di leggi che si dimostreranno di fondamentale importanza per la trasmissione, per tutto l’alto Medioevo, della cultura giuridica romana: ne sono esempi pregevoli l’Edictum Theoderici regis, emanato da Teodorico II, e la Lex Romana Visigothorum, promulgata da Alarico II nel 506.
Ma è con il regno ostrogoto di Teodorico che la saldatura tra il vecchio ordine e il nuovo potere germanico si realizza compiutamente, dando vita a una piena attuazione del governo barbarico che integra la tradizione romana. Qui i Goti costituiscono per lungo tempo esclusivamente il braccio militare del regno, mentre l’amministrazione rimane saldamente nelle mani dell’aristocrazia romana. D’altronde, lo stesso Teodorico è anche formalmente un semplice delegato imperiale, cui Costantinopoli affida il governo del pretorio d’Italia, cosicché il nuovo assetto di potere appare non già un sovvertimento dell’antico ordine romano, bensì sembra essere un vero e proprio prolungamento di questo. Si realizza, insomma, una limpida linea di continuità, la cui direzione nel segno della permanenza e del rispetto della tradizione è indicata anche dalla sopravvivenza, durante la reggenza del potere ostrogoto, delle scuole e dei centri di cultura del periodo tardoantico, le cui massime espressioni sono le opere di Boezio e Cassiodoro.
Un discorso in parte diverso va, infine, svolto per il regno dei Franchi. Qui la continuità con l’elemento romano è infatti non tanto indicata dalla natura della produzione legislativa, che anzi è in gran parte estranea ai costumi tradizionali, quanto dal rispetto dimostrato dal nuovo potere germanico, soprattutto a partire dalla conversione del re Clodoveo al cristianesimo, nel 496, verso la gerarchia e gli ordini ecclesiastici. È proprio attraverso la condivisione della fede e della dottrina religiosa e per mezzo della devozione tributata alla tradizione cristiana e ai suoi sacerdoti, ai quali è riservata una giurisdizione speciale e la concessione di ampi privilegi, che può così perdurare, anche qui per lungo tempo, il primato sociale ed economico dell’antica aristocrazia di origine romana.
L’antagonismo religioso tra la romanità cristiano-cattolica e le popolazioni germaniche di confessione cristiano-ariana è certamente alla base del debole radicamento nei territori d’Occidente del governo barbarico, fortemente contestato dall’adesione del mondo ecclesiastico alla dottrina di Gelasio I, che rivendica il riconoscimento della superiorità dell’autorità del pontefice sullo stesso potere del re.
Ma altre sono le ragioni del rapido crollo del nuovo corso germanico, interrotto dalla riconquista imperiale delle province occidentali avviata da Giustiniano negli anni Trenta del VI secolo: innanzitutto, l’opposizione dell’aristocrazia romana, che, pur essendosi adattata all’autorità germanica, cova il desiderio di essere assoggettata a Costantinopoli; a ciò si aggiunge, inoltre, l’insoddisfazione dello stesso ceto dirigente barbaro che vede nel governo del re, spesso accomodante verso l’impero, un tradimento delle velleità guerriere delle popolazioni che guida. Per queste ragioni i regni germanici installati nelle province imperiali d’Occidente non sono destinati a durare a lungo, lasciando infatti ben presto il posto a popoli meno civilizzati e in gran parte estranei alla tradizione romana.