Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’Europa del Nord, dominata dal regno dano-norvegese, assiste alla progressiva affermazione del regno svedese. La ricerca degli equilibri interni passa per la Riforma, favorita dai sovrani dei due domini in quanto riconosciuta come strumento politico utile per il rilancio o la creazione di un potere forte. D’altra parte la Danimarca non accetta di buon grado la fine dell’Unione sotto la sua corona.
Verso la fine dell’Unione scandinava
Dal 1497 il re di Danimarca Hans I è a capo di tutti i Paesi scandinavi, ma nel 1501 il reggente svedese Sten Sture il Vecchio si rivolta e rompe l’Unione di Kalmar (1397), che aveva riunito le tre Corone in un unico sovrano. D’altro canto le aperture commerciali ai Frisoni nel 1512 gli valgono una guerra contro Lubecca (oggi in Germania), che, nonostante la vittoria, inaugura un periodo di lotte per il dominio politico-economico dei mari. Alla morte di Hans I (1513), il figlio Cristiano II – che prosegue la politica di ridimensionamento del potere della nobiltà e del clero intrapresa dal padre – appoggia il movimento riformatore. Con l’intento di riunire i Paesi scandinavi sotto la corona danese, nel 1520 Cristiano II attacca la Svezia e sconfigge il reggente Sten Sture il Giovane. Nominato re ereditario dal Consiglio svedese, Cristiano II applica anche in Svezia la politica di promozione sociale ed economica delle forze popolari e borghesi e a novembre condanna a morte 80 nobili sulla piazza del mercato di Stoccolma: è il cosiddetto “bagno di sangue di Stoccolma”. La Svezia non resta a guardare e il capo della resistenza antidanese Gustavo I Vasa, partendo dalle zone minerarie di Dalécarlie, organizza una rivolta che si estende a macchia d’olio: è la “corsa di Gustavo Vasa”. Divenuto reggente (1521), Gustavo Vasa nel 1523 depone il monarca con l’appoggio di Lubecca – duramente colpita da Cristiano II a profitto di Olandesi e Russi – e con l’aiuto di Federico I Oldenburg (figlio di Cristiano I, re di Danimarca, Norvegia e Svezia) e delle forze borghesi e popolari che, seppure rilanciate dal re danese, patiscono il peso delle imposte. È la vera fine dell’Unione scandinava, l’inizio del lungo regno di Gustavo Vasa – incoronato dai quattro ordini (nobiltà, clero, borghesia e popolo) – e di Federico I che, divenuto suo malgrado re di Danimarca, governa per un decennio con grande prudenza.
La Svezia di Gustavo Vasa
Nel 1527 Vasa non ha ancora sbloccato la situazione: l’economia è stagnante, le imposte pesanti, la corona è indebitatissima, il popolo protesta. Il luteranesimo procede a grandi passi e il sovrano sposa la Riforma protestante, cosciente dell’apporto che può dare alla rinascita del regno. L’uomo del momento è il cancelliere luterano Olaf Petersson, che però si perde in una lunga battaglia dottrinale con l’arcivescovo Hans Brask. La decisione è presa: Vasa si fa capo della Chiesa, incamerando i beni dei vescovi, nel 1529 sopprime la maggior parte dei riti tradizionali e con il sinodo di Uppsala (1536) fa dei vescovi dei veri e propri funzionari. Ma Petersson è spinto dalla vocazione, mentre Vasa pensa alla politica; e se il primo lavora per una riforma della Chiesa, il secondo lavora per ottenerne il controllo. Il 2 gennaio 1540 Petersson e il teologo protestante Laurentius Andreae (vero nome Lars Andersson), che chiedono l’indipendenza della religione dalla politica, vengono arrestati, condannati a morte e quindi graziati. Alla Dieta di Västerås la Svezia viene proclamata Stato evangelico: pellegrinaggi, culto dei santi e crocifissi vengono banditi e viene riconosciuta l’ereditarietà del regno di Vasa. Sino alla sua morte (1560) vengono metodicamente espropriati gli ultimi beni della Chiesa.
Il regno dano-norvegese di Federico I
Il re Federico I è in una posizione delicata: Cristiano II cerca con ogni mezzo di tornare al potere; del popolo e della borghesia non si fida, mentre nobiltà e clero pensano a recuperare quanto perduto negli anni passati. Salito al potere nel 1523, Federico I è costretto a firmare un accordo secondo cui deve sottostare alle decisioni del Consiglio, in mano ai vescovi; ogni alto incarico viene riservato ai nobili; la fede è quella cattolica e l’eresia viene schiacciata. Per la borghesia la pillola è amara, ma Federico I si sforza di addolcirla e depura l’aria che circola intorno alle schiere di preti simoniaci. Siamo al primo passo: il re capisce che la Riforma ha un futuro, e si avvicina al luteranesimo che negli anni intorno al 1526 è in netta avanzata. Non si assiste a nessuna vera guerra di religione, ma gli effetti – come il rumore delle chiese distrutte – non tardano a farsi sentire. Il cerchio si chiude quando Federico I sposa in seconde nozze la luterana Sofia di Pomerania e nel 1530 arriva la confessione di Copenaghen.
La guerra del Conte
Nel 1533, al momento della successione, il Consiglio si incarica della reggenza poiché non vuole che salga al potere il figlio di Federico I, Cristiano; la minoranza luterana presieduta da Mogens Gjøje abbandona l’aula, creando il caos. Copenaghen e Malmö si ribellano contro il Consiglio e si alleano con il borgomastro di Lubecca Jürgen Wullenweber per rimettere sul trono Cristiano II: questa prospettiva attira la borghesia e il popolo, che hanno perso molto a causa della nobiltà cattolica. I combattimenti imperversano: il conte protestante Cristoforo d’Oldenburg riesce quasi a liberare Cristiano II; il protestante Mogens Gjøje, per scongiurare il ritorno di Cristiano II, obbliga il Consiglio a riconoscere Cristiano come sovrano con il nome di Cristiano III. Accettare significa sancire la fine del cattolicesimo, ma questo è il male minore: il conte d’Oldenburg e Clemente Andersen, detto Skipper Clement, stanno decimando la nobiltà. Mentre un’armata dano-svedese sconfigge i lubecchesi a Svendborgsund, Johan Rantzau sconfigge il conte d’Oldenburg a Øksnebjerg. Mentre poi il re assedia Copenaghen (che si arrende nel luglio del 1536), Rantzau invade lo Jutland, soffoca gli ultimi fuochi dei grandi borghesi ancora ribelli e prende Ålborg, occupata da Andersen.
Cristiano III
La vittoria è totale, ma Cristiano III eredita un Paese ferito e sull’orlo della rovina economica: il problema è come rimpinguare le casse dello Stato, e la soluzione è proprio la Chiesa cattolica. Cinque giorni dopo l’ingresso a Copenaghen, Cristiano III–in una vera operazione di polizia –arresta i vescovi, sospendendoli seduta stante dai loro incarichi ed espropriandoli dei loro beni. Il Consiglio diventa laico, le finanze prendono una boccata d’ossigeno (una parte dei proventi passa all’aristocrazia) e la Chiesa cattolica viene smantellata, aprendo la strada all’affermazione del luteranesimo che diventa l’unica fede ammessa. Nel 1537 viene promulgata l’Ordinatio ecclesiastica: Cristiano III crea una Chiesa di Stato guidata dal re, della quale i vescovi sono i funzionari. Della decima, cioè della parte di raccolto che in genere si versava alla Chiesa, beneficiano la corona, i pastori, i poveri e i malati. La confessione d’Asburgo sostituisce così la confessione di Copenaghen: si volgarizzano le messe, le prediche e i testi religiosi. Il regno di Cristiano III si svolge all’insegna della pace sociale ed economica: è un regno ad hoc per l’aristocrazia, ma pure il popolo, sempre dipendente dai signori, vive in crescita, anche se mai raggiungerà il benessere. Chi paga è la borghesia: il grande business legato a Lubecca è ormai passato.
La guerra dei Sette anni
Gli anni tra il 1559 e il 1560 segnano una svolta: con la scomparsa di Cristiano III e di Vasa si fanno strada le nuove leve. Il Regno dano-norvegese (comprendente l’Islanda, la Groenlandia, le isole Faer øer e una serie di province svedesi) è senza dubbio la più grande potenza dell’Europa del Nord, e il giovane e ambizioso Federico II Oldenburg (1534-1588, re dal 1559), figlio di Cristiano III, sale sul trono sognando un passato lontano: la riunificazione dei paesi scandinavi. D’altra parte la Svezia dopo Vasa si sente stretta nei suoi abiti: quasi totalmente accerchiata dal regno dano-norvegese, rischia di restare indietro nei traffici con la Russia, mercato in ascesa.
Così la guerra –covata negli animi ma scongiurata per decenni –si avvicina, e la congiuntura internazionale non aiuta: con la dissoluzione dell’Ordine teutonico si è scatenata la corsa all’accaparramento. Nel 1563 Federico II dichiara guerra alla Svezia, aprendo sette anni di combattimenti per mare e per terra, con esiti alterni che si concludono con la pace di Stettino (oggi in Polonia), e la ratifica della situazione preesistente. Il costo è caro: la Danimarca continua a essere la più grande potenza dell’Europa del Nord, ma la sua situazione economica è disastrosa; la Svezia non ha perso molto, ma è sicuramente più povera di prima. Le sorti dei due Paesi si separano nuovamente: per il regno dano-norvegese comincia un periodo di pace che, dopo la scomparsa di Federico II (1588), prosegue con una reggenza di otto anni e con il felice regno di Cristiano IV; per la Svezia iniziano di nuovo i problemi.
Da Erik XIV a Carlo IX
Erik XIV (1560-1568) conduce il suo regno con capacità machiavellica ma discontinua; dilaniato tra controriformisti, luterani e calvinisti, persegue la nobiltà e rimette in gioco l’episcopato. Ma la sua esperienza finisce presto e male: imprigionato dai fratelli nel 1568, segue l’epilogo della guerra dal carcere, mentre Giovanni III, che ha sposato la principessa cattolica Caterina Jagellona (sorella del re di Polonia), impugna lo scettro e apre alla Controriforma. Laurentius Petersson nel 1571 redige un ordinamento ecclesiastico e, per rispondere a norme confuse, crea un rituale che mantiene alcuni passaggi formali del rito cattolico e li riempie di contenuti luterani. Ma, dopo la morte di Petersson, il sovrano elabora il Libro Rosso (1577), esplicito ritorno a molte tematiche cattoliche. A Giovanni III segue il figlio Sigismondo III Vasa nel 1592, fervente cattolico e già re della Polonia (1586). Il suo regno è minato dai conflitti con lo zio reggente Carlo di Sudermania, luterano, e marcato dal sinodo di Uppsala del 1593, che fa tabula rasa di tutte le manifestazioni cattoliche. La confessione di Söderköping compie il passo decisivo, espellendo dal territorio tutti i cattolici rimasti: nel 1599 Carlo IX detronizza Sigismondo III.
La Norvegia e l’Islanda
La Norvegia è obbligata a seguire gli altri regni scandinavi e niente di più. La luteranizzazione, seppure compiuta a ogni livello – nel 1539 la Camera dei nobili, composta da Danesi e da Norvegesi feudatari dei Danesi, è costretta ad approvare l’Ordinatio ecclesiastica danese – non riesce a scendere in profondità e la “danesizzazione” del culto, che ha per scopo la “danesizzazione” del popolo, crea solamente una miriade di microresistenze. L’Islanda, dal 999 Paese cattolico e dal 1385 colonia danese, verso il 1520 si trova con le due sedi vescovili vacanti: con l’elezione di Ögmundur Palsson a Skalholt e di Jón Arason a Holar esplodono i dissidi. Palsson spera di poter gestire l’elezione dell’altra diocesi in modo da divenire il “capo” di tutta l’Islanda e alla sessione parlamentare del 1524 Palsson e Arason arrivano in forze. La battaglia è scongiurata dalla saggezza e le sorti vengono affidate a due campioni che però non risolvono lo stallo. Nel frattempo i rapporti con i Tedeschi permettono l’ingresso di preoccupanti focolai di luteranesimo che i due vescovi decidono di combattere accordandosi. Gli anni passano, gli uomini invecchiano e preparano la “discendenza”. Palsson al limite delle sue facoltà sceglie un giovane promettente, Gissur Einarsson, che però a sua insaputa si è convertito al protestantesimo. Nel 1539 Cristiano III decide di applicare in tutto il Regno l’Ordinatio ecclesiastica danese. Il governatore incaricato di compiere il passaggio decide di imporsi con la forza e attacca Palsson, che però ha la meglio. Cristiano III convoca allora Gissur Einarsson e, appresa la sua fede luterana, lo fa soprintendente di Skalholt. Palsson finalmente capisce e si organizza insieme ad Arason. È battaglia aperta: nel 1541 Palsson viene fatto prigioniero e muore; nel 1548 muore anche Gissur. Restano Arason nella sua roccaforte di Holar e il desiderio di Cristiano III di mettere fine agli ultimi focolai cattolici. A Gissur succede Marteinn Einarsson e la situazione torna al punto di partenza: Skalholt contro Holar. È una storia di clan e di tradimenti e l’epilogo si gioca in casa luterana: il 7 novembre 1550 le teste di Arason e dei suoi due figli rotolano; per la Chiesa cattolica si chiude un altro capitolo e nei forzieri della corona danese entra altro oro.