I sistemi urbani nordamericani
L’interesse per i grandi sistemi urbani nordamericani nasce non tanto dalla loro attuale capacità di espansione – imparagonabile rispetto a quella registrata fra la fine del 19° sec. e il secondo dopoguerra, ma anche all’odierna, vertiginosa crescita di quelli cinesi, indiani, africani o latinoamericani – né dalla loro oggettiva dimensione – la megalopoli che, per es., si è formata alla fine del secolo scorso intorno a Tokyo è più popolosa di qualsiasi città degli Stati Uniti – e nemmeno da altri fattori noti quali la loro estesa ed efficiente infrastrutturazione o la verticalizzazione dei centri solitamente contrapposta a una diffusione estensiva nel territorio, quanto piuttosto dal fatto che tutto lascia pensare che essi stiano attualmente attraversando un momento di profondo cambiamento. Dal modello dell’anticittà, sostanzialmente una degenerazione del pensiero urbanistico moderno successivamente diffusosi dagli Stati Uniti in gran parte del mondo, a un nuovo modello, forse meno evidente, ma certamente più maturo, improntato alla ricerca della sostenibilità e segnato da un marcato multiculturalismo (che non conosce eguali altrove) oltre che da un avanzatissimo livello tecnologico.
Gli Stati Uniti sono oggi, e con ogni probabilità continueranno a essere, il Paese preferito dagli emigranti, con ingressi che, per es., nel 2006, sono stati pari a 1,5 milioni (meno della metà dei quali legali). Quasi il 50% di essi proviene dal Messico, quasi un terzo dall’America Centrale, ma moltissimi sono mediorientali o asiatici: fra questi, non pochi fanno parte di qualificate élites culturali ed economiche che contribuiscono e contribuiranno in misura significativa al mantenimento della leadership americana. Una tipologia migratoria cui non è estranea la possibilità di concretizzare una sorta di ‘rifondazione identitaria’ alla ricerca di quella libertà di espressione personale che spesso incontra consistenti difficoltà nei Paesi d’origine. La California, in particolare, negli ultimi anni si è confermata un vero e proprio polo d’importanza mondiale per la sua competitività tecnologica e la perdurante capacità di attrazione delle ‘classi creative’, quelle di cui, per es., ha parlato Richard Florida nei suoi recenti libri. Questo e altri elementi lasciano insomma pensare che le città nordamericane, ancora una volta, siano in grado di giocare oggi, e siano destinate a giocare nel prossimo futuro, un ruolo molto importante su scala globale.
Sul ‘peso’ del continente nordamericano e degli Stati Uniti in particolare, basti ricordare i dati riportati dalle principali classifiche mondiali. Si pensi a quelli pubblicati dal Metropolitan world atlas nel 2005: cinque città statunitensi si collocano nei primi nove posti per le telecomunicazioni (nell’ordine, New York al primo assoluto, San Francisco, Washington, Miami e Los Angeles); quindici gli aeroporti statunitensi fra i primi ventiquattro per traffico passeggeri (i primi tre, in assoluto, sono Atlanta, Chicago e Los Angeles); quattro i porti statunitensi fra i primi sei per traffico petrolifero (Houston, New Orleans, Los Angeles-Long Beach e New York) e così via.
Se poi, com’è noto, oltre il 50% della popolazione mondiale vive oggi in città, negli Stati Uniti tale percentuale arriva all’80% (Erickson 2006, p. 25). Fra il 1982 e il 1997, a fronte di un incremento demografico del 17%, la quantità di territorio urbanizzato è cresciuta del 47% (p. 5). Un divario dovuto al preoccupante fenomeno – anche in un Paese in cui ancora oggi non mancano le superfici libere – della proliferazione dell’edificato che, forte della capillare diffusione dei mezzi di trasporto privati, tende a espandersi rapidamente, sottraendo spazio alla natura. Negli ultimi decenni le fasce suburbane sono cresciute a una velocità doppia rispetto a quella delle città vere e proprie, fino ad arrivare a ospitare, in quelli che vengono chiamati first suburbs o inner ring suburbs, cioè i più vicini ai centri, un quinto della popolazione degli Stati Uniti (World changing, 2006, p. 238). Allo sconsiderato consumo territoriale provocato da tali insediamenti si è aggiunta l’altrettanto scarsa sostenibilità del modello residenziale fondato sulla casa unifamiliare, con il garage privato e il prato curato a forza di pesticidi. Essenzialmente in tali fasce si è collocata quella vera e propria wasteland fatta di sconfinati parcheggi asfaltati intorno alle colossali scatole edilizie che ospitano le sedi di catene commerciali come Wal-Mart o Best Buy. È qui che oggi i piani più accorti tendono alla riconversione e progressiva densificazione, cercando di impedire il proliferare di tali aree ancor più all’esterno.
Dal punto di vista demografico, le prime tre città nordamericane sono New York, Los Angeles e Chicago. Stando ai dati pubblicati nel 2008 da The Phaidon atlas of 21st century world architecture, seguono Miami, Philadelphia, Toronto (la prima in Canada), Dallas, Boston e Houston. Secondo invece il già citato Metropolitan world atlas, dopo le prime indiscusse tre si colloca la conurbazione formata da Washington-Baltimora, cui fa seguito quella formata da San Francisco-Oakland; vengono poi Philadelphia, Boston, la conurbazione di Dallas-Fort Worth, Toronto e Detroit. Secondo lo US Census bureau seguono invece Hous-ton, Phoenix, Philadelphia, San Antonio, San Diego, Dallas e San José (ma tali dati sono riferiti ai perimetri delle municipalità e non a quelli delle aree metropolitane). In termini invece di crescita demografica, se ai primi tre posti si ritrovano nuovamente New York, Los Angeles e Chicago, subito dopo si collocano Toronto, Atlanta e Miami. Per quanto riguarda infine le percentuali di residenti nati all’estero, la prima è Los Angeles (che sfiora il 30%), seguita da San Francisco (28,3%) e New York (22,8%); ma, secondo altre stime (The endless city, 2007, p. 76), New York è invece al primo posto con il 37%. Per avere un’idea della forte componente multietnica dei tessuti sociali delle città statunitensi e di come esse continuano ad attrarre popolazione da tutto il mondo, si pensi che la percentuale dei nati all’estero scende allo 0,7% in megalopoli, pure in forte espansione, come Shanghai o Città di Messico. A New York, in particolare, si calcola che il 65% dei residenti appartenga a una minoranza etnica: si tratta insomma di una città in cui le minoranze, messe insieme, costituiscono una solida maggioranza. Interessante è anche ricordare che gli Stati più visitati dai turisti stranieri sono quello di New York – la città ha fatto registrare 43 milioni di visitatori nel 2005 (The endless city, 2007, p. 76) – seguito da Florida e California; le città più pericolose sono considerate New Orleans, Camden nel New Jersey, Detroit e Saint Louis; le più pulite Minneapolis/Saint Paul, Portland e San Diego; quelle culturalmente più rappresentative ancora New York e poi Washington e Chicago (http://www.infoplease.com/ipa/A0108476.html, 9 dic. 2009). Interessanti anche le classifiche delle città più facoltose, nonostante il fatto che i dati proposti siano sempre difficili da interpretare. Un gran numero di ricchi è prevedibilmente concentrato a New York e a Los Angeles (si pensi, per quest’ultima, ad aree quali Beverly Hills o Bel Air), ma i valori medi non portano queste città ai posti più alti. Secondo le analisi di Forbe’s, per lo più basate sui valori immobiliari, al primo posto si colloca San José, seguita da Anchor-age, San Francisco, Virginia Beach e San Diego. La California, da sola, ospita oltre il 40% del totale. Altre classifiche, basate sui redditi medi pro capite, segnalano invece al primo posto Greenwich (Connecticut), ai margini dell’area metropolitana di New York.
Ovviamente non tutte le città del continente sono in espansione demografica ed economica: quello delle shrinking cities (città demograficamente in contrazione, spesso a favore dei sobborghi esterni ai confini municipali e talvolta in assoluto) è anzi un fenomeno che vede gli Stati Uniti al primo posto nel mondo. Il brusco passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, ha infatti provocato l’abbandono di una serie di centri urbani un tempo altamente industrializzati, concentrati soprattutto nell’area centro-settentrionale del Paese. Si tratta di città che, più di altre, hanno fatto fatica a riconvertire le proprie economie locali: fra le più colpite, Saint Louis in Missouri, Youngstown e Cleveland in Ohio, Pittsburgh in Pennsylvania, Detroit in Michigan. Ma vi sono anche città gravemente in crisi per motivi diversi: si pensi a New Orleans e ai danni provocati dall’uragano Katrina nel 2005.
Megalopoli
Da un rapido confronto fra i dati appena riportati e una carta geografica non è difficile dedurre che le grandi megalopoli contemporanee nordamericane sono sostanzialmente due: quella atlantica a est e quella pacifica a ovest, entrambe orientate nord-sud. Certo, ve ne sono altre: oltre a Chicago, si pensi alle grandi conurbazioni canadesi intorno a Montréal e Toronto. Quest’ultima, in particolare, fa parte di un’estesa regione urbanizzata posta a cavallo fra gli Stati Uniti e il Canada, nella regione dei Grandi Laghi. Oppure si pensi al sistema che va da Portland a Tacoma-Seattle fino alla canadese Vancouver; o ancora alle due coste della Florida, affacciate sull’Atlantico da una parte e sul Golfo del Messico dall’altra, entrambe pressoché completamente edificate; o infine alle estese aree urbanizzate texane come Houston e Dallas-Fort Worth. Ma nessuna di queste è paragonabile alle due indicate in apertura di paragrafo.
La megalopoli atlantica comprende, da nord, Boston, New York, Filadelfia, Baltimora e Washing-ton. La pacifica include invece a nord San Francisco e la Bay Area, al centro l’area metropolitana di Los Angeles e, a sud, San Diego. Semplificando, la prima rappresenta il passato (gli olandesi acquistarono l’isola di Manhattan dai nativi americani nel 1626, Boston fu fondata nel 1630, Filadelfia nel 1682) e gli originari legami con l’Europa; la seconda il presente, forse il futuro, e l’apertura verso l’Asia.
Si può osservare, tra parentesi, che il termine megalopoli (com’è noto di origine greca, letteralmente «grande città») indicava, nella Grecia antica, il nome di una città, precisamente il maggiore centro abitato dell’Arcadia. Negli anni Cinquanta del secolo scorso fu applicato, per la prima volta, proprio alla regione urbanizzata nord-orientale degli Stati Uniti dal geografo francese Jean Gottmann; quest’ultimo scrisse poi un libro, intitolato Megalopolis (1961), in cui era descritta appunto tale vasta area geografica, che si estende per oltre 500 miglia da Boston a Washington.
La megalopoli atlantica
Fra Boston, in Massachusetts, e New York si collocano i piccoli Stati del Rhode Island, con la capitale Providence, e del Connecticut, con la capitale Hartford, e le città costiere di New Haven, Bridgeport, Stamford e Greenwich, tutte disposte in sequenza lungo la Highway 1. Proseguendo verso sud, si arriva al confine con lo Stato e con la stessa area metropolitana di New York, mentre dall’altra parte del Long Island sound, l’ampio canale che separa Long Island dal continente, si estende una vasta regione urbanizzata, strutturata a cavallo delle tre arterie autostradali costituite dalla Long Island expressway, dalla Grand central parkway e dalla Southern parkway che, verso ovest, arriva a Queens (dove sono i due principali aeroporti di New York, La Guardia e Kennedy) e a Brook-lyn: dall’altra parte dell’East River è Manhattan.
L’eccezionalità di New York City è difficilmente opinabile: non solo a livello regionale, ma anche nazionale e mondiale. Città globale per eccellenza, come e forse più di Londra e di Tokyo, New York è la più popolosa e ‘urbana’ fra le città americane. Cosmopolita e multiculturale, è una delle pochissime grandi città dell’America Settentrionale ad avere una ‘cultura della strada’, avendo fatto un uso relativamente parsimonioso del territorio e delle sue risorse. Ma è anche quella di maggiore successo, continuando ad attirare nuovi abitanti da ogni parte del mondo.
Le sue infrastrutture, pur possenti, sono ormai vecchie; ancora oggi manca un rapido collegamento ferroviario fra il centro e i suoi tre principali aeroporti. Ma, nonostante tutto ciò e diversamente da quanto ci si aspetterebbe, proprio grazie all’efficiente sistema dei trasporti pubblici, utilizzato peraltro dal 55% dei suoi abitanti (la rete ferroviaria sotterranea, con i suoi 390 km di linee, è seconda solo a quella di Londra e non ha eguali negli Stati Uniti), la città è anche ai primi posti nelle classifiche della sostenibilità urbana: l’alta densità fa sì che moltissime persone vadano a lavorare a piedi (soltanto 210 abitanti su 1000 sono proprietari di un’auto), così il consumo di carburante dei mezzi privati è infinitamente minore di quello di aree metropolitane estese e disperse come, per es., Houston o Phoenix, ma anche di quello di molte capitali europee.
La città vera e propria è amministrativamente suddivisa in cinque boroughs, Manhattan, Queens, Brook-lyn, Staten Island e il Bronx, tutti insulari tranne l’ultimo, per complessivi 830 km2 e oltre 8 milioni di abitanti. L’area metropolitana, la cosiddetta Tri-state area, include invece città dipendenti da tre Stati diversi: New York, Connecticut e New Jersey. Fra tali città, oltre ovviamente alla stessa New York, spicca in particolare Newark, la maggiore del New Jersey: nel complesso, in un’area di circa 27.000 km2 vivono oltre 21 milioni di abitanti.
New York City, in particolare, ha una densità altissima: 9610 abitanti per km2, contro i 4800 di Londra o i 2590 di Shanghai (in alcune aree essa può raggiungere i 53.000 ab./km2); altissimo anche il reddito lordo medio pro capite: 58.700 dollari contro i 38.400 di Londra o i 6900 di Shanghai; come altissimi sono i consumi energetici, fra i più elevati del mondo (The endless city, 2007, pp. 246-47). Interessanti anche alcuni dati relativi al lavoro: il settore manifatturiero ha visto scendere il numero dei suoi addetti dal 29% della popolazione nel 1964, al 20% nel 1980, al 4% nel 2005; il settore dei ‘servizi’ avanzati concentra così oggi il 93% degli addetti.
Dopo la crisi sopravvenuta con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 – la ricostruzione della zona dove sorgeva il World Trade Center è ancora in corso – la città sembra aver riguadagnato fiducia in sé stessa e nelle sue straordinarie capacità produttive e creative. PlanNYC 2030, il piano voluto dal sindaco Michael Bloomberg per controllare in qualche misura lo sviluppo della città per il prossimo decennio, ha fra i suoi punti salienti l’ambiente, la mobilità e l’edilizia residenziale. Quest’ultima, soprattutto quella di lusso, è in costante aumento. Il divario fra Manhattan e gli altri quattro boroughs è in diminuzione; la forte crescita di gruppi etnici diversi ha certamente mitigato lo storico contrasto fra bianchi e neri. La città, negli ultimi anni, è apparsa sicura e dinamica; ha fatto dimenticare i suoi aspetti meno piacevoli legati alla sporcizia, alla criminalità e ai senza tetto, proponendosi sempre più come competitiva capitale globale favorita dalle élites economiche e creative. Probabilmente New York, insieme a Boston, è la più ‘europea’ fra le grandi città americane, il suo stile di vita assomiglia molto a quello di Londra, città con la quale intrattiene uno speciale rapporto, testimoniato, oltre che dalla storica unità linguistica e culturale, dagli odierni scambi fisici e soprattutto telematici (tali da aver fatto parlare di un’unica grande città: Ny-Lon) e dal parallelismo che è facile stabilire fra le loro parti (Wall Street e la City, Midtown e il West End, Battery Park e Canary Wharf ecc.).
La crisi economica globale del 2008 ha tuttavia accentuato alcune condizioni di disagio: una percentuale relativamente elevata di famiglie è oggi sotto la soglia federale di povertà; forti anche le disparità socioeconomiche: a Manhattan il segmento sociale più ricco (il 20% degli abitanti) dichiara in media entrate 50 volte superiori a quelle del segmento più disagiato.
A ovest di New York, al di là del fiume Hudson, si estende una sconfinata area metropolitana che fa parte del New Jersey e include alcuni grossi centri urbani, da Paterson a Jersey City, da Newark (dov’è il terzo principale aeroporto) a Elizabeth, tutti in continuità l’uno con l’altro. Le propaggini meridionali di tale conurbazione, costituite dalle città di North ed East Brunswick, sono collegate con Trenton dalla Highway 1; quest’ultima tocca Princeton, sede della prestigiosa, omonima università e, poco più a sud, al di là del fiume Delaware, arriva in Pennsylvania. Anche in questo caso, un’estesa area metropolitana si sviluppa sui due lati del fiume e a cavallo di tre Stati: la Pennsylvania a ovest con Philadelphia, il New Jersey a nord e a est (rispettivamente con Trenton da una parte e Camden dall’altra), il Delaware a sud con Wilmington. Soltanto più a sud-ovest si incontra infine l’area metropolitana più meridionale della megalopoli atlantica: si tratta della conurbazione Baltimora-Washington, che si estende, oltre che nel Maryland e nel District of Columbia (il distretto federale), anche al di là della sponda meridionale del fiume Potomac, in Virginia, con la città di Arlington.
La megalopoli californiana
Dall’altra parte del Paese, a tre ore di fuso orario, è la megalopoli californiana, formatasi più di recente lungo la West Coast e affacciata sull’Oceano Pacifico. In generale, tale estesa conurbazione lineare – al cui interno sono ancora facilmente distinguibili almeno tre poli principali, San Francisco, Los Angeles e San Diego – e l’area metropolitana di Los Angeles in particolare, è vista da molti autorevoli osservatori, fra i quali Jacques Attali, come il luogo dove, più che altrove, si giocheranno i destini del mondo almeno per i prossimi tre decenni: per la collocazione geografica, forte del formidabile entroterra continentale statunitense, ma anche aperta verso l’Asia (con tutto il crescente peso demografico ed economico di quest’ultima) e l’Oceania (aerei di nuova generazione collegheranno presto la West Coast al Giappone e a ogni altro punto del Pacific Rim in meno di quattro ore); per il clima, stabile e attraente; per la presenza di una massiccia ed efficiente infrastrutturazione, di almeno tre grandi porti (San Diego, Los Angeles-Long Beach e Oakland-San Francisco) e di numerosi aeroporti; di un sistema industriale avanzatissimo in settori chiave quali l’estrazione dei combustibili fossili, ma soprattutto l’aerospaziale, la difesa, le telecomunicazioni, lo spettacolo, la microelettronica, le bio- e nanotecnologie; e infine per la presenza di università e centri di ricerca fra i più qualificati al mondo.
Quinta per popolazione negli Stati Uniti (oltre 7 milioni di abitanti, dietro a New York, Los Angeles, Chicago e Washington-Baltimora), trentacinquesima nel mondo, l’area metropolitana di San Francisco si estende nella cosiddetta Bay Area, un luogo segnato da assoluta eccezionalità dal punto di vista geografico e caratterizzato da un’enorme baia che, assieme a quelle di Seattle e di Vancouver, costituisce uno dei più spettacolari porti naturali del Pacifico. Attraversata da sette ponti e racchiusa da rilievi accidentati come se ne vedono solo nelle aree afflitte da forte sismicità, la baia è collegata alle acque dell’oceano da uno stretto dove, nel 1937, venne costruito uno dei ponti sospesi più celebri del mondo, il Golden Gate, progettato da Joseph Strauss, simbolo stesso della città.
Si tratta di un’area metropolitana conformata ad anello intorno alla baia che ospita molte città, alcune di notevoli dimensioni, fra le quali San Francisco è solo la più nota: a est, collegata dal Bay Bridge (1936), sorge Oakland, grosso centro industriale; poco più a nord, dalla stessa parte, sono le colline di Berkeley, dov’è lo storico campus della University of California, una delle più qualificate del mondo. L’area urbanizzata si estende ancora verso nord con Concord, Vallejo e San Rafael, e all’estremo sud, con una città che da sola è, per popolazione, la decima degli Stati Uniti: San José. Quest’ultima è circondata da una conurbazione che include, fra le altre, Sunnyvale, Saratoga, Cupertino, Los Altos, Santa Clara e, risalendo verso nord, lungo la Silicon Valley, Palo Alto, ancora sede della famosa Stanford university. Vengono poi San Mateo, San Bruno, South San Francisco, Daly City e, finalmente, San Francisco. Un crinale montuoso, sul quale passa la faglia di Sant’Andrea, separa questo imponente sistema, affacciato sulle acque interne della baia, dall’oceano; la sua accidentata orografia ne ha preservato l’aspetto originale, naturale e poco urbanizzato. A nord, oltre il Golden Gate, la natura è ancora più bella: la costa è punteggiata di località turistiche famose come Sausalito. Abitare a Marin County, in un contesto naturale fra la baia e l’oceano ben collegato al centro urbano, è privilegio di pochi. Dal Golden Gate riparte anche, verso nord, la mitica Highway 1, la superstrada che ricalca il vecchio Camino real della colonizzazione spagnola, collegando il Messico al Canada.
Sconvolta da due disastrosi terremoti nel 1906 e nel 1989, con un clima gradevole e stabile, ricca di scorci panoramici giustamente famosi, San Francisco ha uno spirito radicalmente libertario: qui ebbe inizio il Sessantotto; qui prese forza il movimento di liberazione delle donne, si affermarono la beat generation, la cultura gay, la rivoluzione digitale. Ma la città è importante anche per altri motivi: il suo porto è al quattordicesimo posto nel mondo per traffico di container e all’ottavo per il petrolio; il suo principale aeroporto (ve ne sono almeno cinque di grosse dimensioni nella Bay Area) è ancora quattordicesimo per traffico passeggeri. Nel 2000 si è collocata al quinto posto assoluto nell’ambito delle telecomunicazioni (espresse in megabits al secondo), dopo New York, Londra, la cosiddetta Randstadt Holland-Amsterdam e Parigi, e davanti a giganti come Tokyo. Dai quadri statistici emergono poi altri elementi interessanti: in termini di reddito pro capite, è ai vertici negli Stati Uniti e, se la si paragona alle città asiatiche, è dietro solo alle ricchissime città giapponesi e a Singapore. Analoghe considerazioni valgono per il prodotto regionale lordo, che è ai livelli di Londra. I tassi di disoccupazione sono inferiori a quelli della maggior parte delle grandi città americane ed europee. La criminalità è inferiore a quella di Roma. La popolazione è in crescita, anche se non così vertiginosamente come nella vicina Los Angeles (van Susteren 2005).
Non diversamente dalle altre grandi metropoli americane, il traffico è prevalentemente basato sull’automobile, con percentuali impensabili in Europa (95,3%), ma tempi di percorrenza relativamente contenuti e velocità medie elevate; va comunque ricordato anche il successo del BART (Bay Area Rapid Transit), un sistema di trasporto pubblico celere che garantisce un’efficiente e rapida mobilità su rotaie all’interno dell’intera Bay Area. La struttura urbana di San Francisco è caratterizzata da due griglie ortogonali, ruotate fra loro, che si incontrano lungo la diagonale di Market street: indifferenti all’orografia, generano spesso le situazioni vertiginose immortalate da innumerevoli inseguimenti cinematografici. Le autostrade sopraelevate l’hanno fortemente sconvolta, ma i sovrappassi e gli svincoli realizzati, in parte fermati dalla cosiddetta freeway revolt degli anni Settanta del 20° sec., consentono ancora oggi, spostandosi in auto, di poter ammirare i suoi panorami.
La città, consapevole della propria storia architettonica, conta una lunga serie di edifici contemporanei progettati, oltre che dai maggiori studi statunitensi (da SOM a Johnson/Burgee, da HOK a William Pereira, da Kevin Roche a Pei Cobb Freed), da italiani come Gae Aulenti e Renzo Piano, svizzeri come Mario Botta e Jacques Herzog e Pierre de Meuron, francesi come Philippe Starck, inglesi come Norman Foster, giapponesi come Fumihiko Maki. Molte anche le realizzazioni di altri qualificati progettisti statunitensi (Peter Pfau, David Baker, Jim Jennings, Stanley Saitowitz, Leddy Maytum Stacy, SMWM, Michael Willis), spesso segnate da un equilibrato e sostenibile sperimentalismo (che differenzia la scena architettonica locale dagli eccessi linguistici di Los Angeles), oltre che costituite da un gran numero di eccellenti e creative ristrutturazioni. Inaugurati di recente sono infine almeno quattro edifici subito divenuti famosi: il raffinato e innovativo (anche nelle scelte espositive, improntate a grande rispetto per la produzione artistica delle culture extraoccidentali) de Young Museum of Art (2005) dello studio Herzog & de Meuron; il Federal Building (2007) di Thom Mayne/Morphosis, imponente fabbrica attenta al risparmio energetico, che ospita gli uffici del governo federale e che, in quanto tale, non è stata sottoposta al vaglio dei restrittivi regolamenti edilizi in vigore; il Contemporary Jewish Museum (2008) di Daniel Libeskind, caratterizzato dalle spigolose e instabili volumetrie che costituiscono ormai da anni la cifra stilistica del famoso architetto; il quarto, infine, è la nuova sede della California Academy of Sciences (2008) di Piano, all’interno del Golden Gate Park: un ‘edificio verde’ costato 392 milioni di dollari e caratterizzato da una copertura ondulata autoportante che unifica i diversi edifici preesistenti.
Pochi e poco significativi gli insediamenti urbani a nord della Bay Area; straordinaria invece la qualità del paesaggio costiero, percorso dalla citata Highway 1 o PCH (Pacific Coast Highway). Lo stesso vale per la costa a sud: pressoché inaccessibile, è una delle più famose del mondo per i suoi panorami e i parchi naturali che la punteggiano, da Big Sur alla Los Padres national forest. Per trovarvi centri abitati di rilievo bisogna arrivare a Santa Barbara, che costituisce, in qualche modo, l’avamposto settentrionale dell’area metropolitana di Los Angeles. Diversa la situazione all’interno, lungo le principali arterie stradali nord-sud: ciò vale, in particolare per la Interstate 5 e per la statale 99, che della 5 costituisce una sorta di raddoppio verso l’interno, lungo la San Joaquin Valley: qui si trova una consistente striscia urbanizzata che (iniziando in realtà molto più a nord, già nella Sacramento Valley con Sacramento, capitale della California, e altri centri minori) tocca alcune città di medie dimensioni come Fresno e Bakersfield. Procedendo ancora verso sud, la 99 si immette poi nella 5 e, dopo aver attraversato il tratto più meridionale della Los Padres national forest, toccato Santa Clarita e tagliato gli sconfinati, densi sobborghi continui della San Fernando Valley, raggiunge Los Angeles da nord.
Estesissima e articolata è quest’ultima area metropolitana. Più o meno al centro è la città di Los Angeles; intorno a quest’ultima si estende la Los Angeles County che, con i suoi circa 10 milioni di residenti, è la contea più popolosa del Paese e comprende 88 municipalità diverse. Assieme all’adiacente Orange County (che include invece 34 città amministrativamente autonome e si affaccia sull’oceano con la cosiddetta Tech coast, lungo la quale spicca il centro universitario di Irvine) essa forma la Los Angeles metro area: la sua popolazione, secondo le stime ufficiali del 2005, era molto vicina ai 13 milioni di abitanti. C’è poi la Greater Los Angeles area o Southland, che comprende anche le aree metropolitane di Riverside, San Bernardino e Ontario a est e Oxnard, Thousand Oaks e Ventura a nord-ovest, con una popolazione censita nel luglio 2006 dallo US Census bureau di 17.776.000 abitanti. Si tratta, come s’è detto, della seconda area metropolitana nordamericana, dopo quella di New York; ma anche di una di quelle più rapidamente in crescita. Al di fuori della California meridionale, tale estesa regione urbanizzata viene, nel suo insieme, genericamente chiamata Los Angeles, pur comprendendo cinque contee, centinaia di municipalità e una popolazione che supera quella di ogni altro Stato a eccezione di Texas, New York e Florida, oltre che della stessa, restante, California.
Los Angeles, in particolare, è anche una vera e propria capitale architettonica, sede di alcuni fra i più noti studi di architetti della scena contemporanea: da Frank O. Gehry a Thom Mayne (Morphosis), da Eric Owen Moss a Michael Rotondi. Ospita edifici di celebri architetti stranieri come R. Piano, Rem Koolhaas e Coop Himmelb(l)au e alcune delle migliori e più sperimentali scuole di architettura, da quella della UCLA (University of California Los Angeles), a SCI/Arch (Southern California Institute of Architecture).
Dalle estreme propaggini meridionali dell’area metropolitana di Los Angeles si sviluppa una fascia costiera densamente popolata che si attesta lungo la Interstate 5; i suoi centri principali, pressoché contigui, sono Laguna Beach, San Juan Capistrano, San Clemente, Oceanside, Carlsbad ed Encinitas. Molte le zone residenziali che godono della piacevolezza del clima e della vicinanza con le spiagge oceaniche. Ai confini con il Messico, c’è infine San Diego, l’ultimo grande porto naturale, che con circa 1.300.000 abitanti è dunque la seconda città californiana. Si tratta di una delle più ricche del Paese, delle più attive dal punto di vista architettonico (recente la realizzazione del Museum of Contemporary Art sul vecchio Santa Fe Depot, un deposito ferroviario dismesso, opera di Gluckman Mayner del 2007), ma anche di uno dei luoghi di maggior contrasto fra prosperità e miseria: oltre il confine, lungo il quale è dislocata una poderosa forza militare aerea e navale, si trova infatti la messicana Tijuana, che conta oggi quasi 1,5 milioni di abitanti ed è l’ottava città nordamericana (Messico incluso) in termini di crescita demografica. Nell’insieme, l’area metropolitana di San Diego-Tijuana supera i 5 milioni, ma è lungi dal poter essere considerata in termini unitari.
I sistemi urbani centro-settentrionali
Si è accennato all’estesa regione urbanizzata creatasi a cavallo dei Grandi Laghi, fra gli Stati Uniti e il Canada. Sul Lago Michigan, Chicago costituisce una vasta area metropolitana suddivisa in almeno sei contee che circondano la città vera e propria; quest’ultima ricade amministrativamente all’interno della Cook County. I suoi confini vanno oltre quelli dello Stato dell’Illinois, includendo parti dell’Indiana a sud e del Wisconsin a nord, per complessive 3800 miglia quadrate e 265 municipalità. L’espansione urbana ai danni del territorio circostante è stata molto forte: negli ultimi decenni del Novecento, a fronte di una crescita demografica di poco superiore al 4%, le aree residenziali hanno avuto un incremento pari al 46%, quelle commerciali sono arrivate al 74%. Per il 2020, si prevede che la popolazione delle contee più lontane dal centro registrerà un incremento demografico compreso fra il 70 e il 100%, per lo più ai danni di pregiati terreni agricoli. In controtendenza, un eccezionale esempio di restituzione di una spettacolare fascia costiera lungo le rive del lago per usi ricreativi è costituito dal grande progetto di tutela e riqualificazione del waterfront: gran parte delle 29 panoramiche miglia lungo le acque del Michigan è oggi tutelata a parco; il cosiddetto Chicago lakefront path, un percorso che si estende per 18,5 miglia, è fra i più utilizzati del continente, con oltre 60 milioni di presenze l’anno fra pedoni e ciclisti. La sua parte centrale ospita il Millennium Park, completato di recente con interventi di architetti come Gehry, paesaggisti come Kathryn Gustafson, artisti come Anish Kapoor. Non lontano, a Soldier Field, è il rinnovato Chicago Bears Stadium, monumentale struttura di gusto Beaux arts, risalente al 1920 e coraggiosamente recuperata dallo studio Wood and Zapata nel 2003.
Affacciata invece sul Lago Ontario, la città canadese di Toronto è stata amministrativamente rinnovata nel 1998 con la fusione di sette municipalità precedentemente autonome. Diversamente da quanto avvenuto a Chicago, il suo waterfront, pur dotato di straordinarie vedute del vertiginoso skyline urbano da una parte e del lago e delle isole dall’altra, non è utilizzabile a fini ricreativi se non in piccola parte. Fortemente rinnovata appare invece la sua immagine architettonica grazie a nuovi, importanti edifici, fra i quali è doveroso ricordare le ambiziose Renaissance Galleries (2007) aggiunte al Royal Ontario Museum da Libeskind in collaborazione con B+H architects e la radicale ristrutturazione della Art Gallery of Ontario (AGO) di Gehry (2008).
Città sostenibili
Gli Stati Uniti non godono di buona reputazione internazionale nel campo della sostenibilità, essendo anzi spesso additati come Paese non molto attento al tema delle emissioni nocive e alle questioni del risparmio energetico. Eppure, negli ultimi anni, l’interesse e la sensibilità popolare per l’ambiente e la sua conservazione appaiono in forte e deciso aumento, soprattutto in alcuni Stati.
Fra le molte questioni dibattute, centrale è l’interconnessione degli spazi aperti, intendendo per questi ultimi quelli dedicati al lavoro (allevamento e agricoltura) come alle attività ricreative, dai parchi nazionali agli ecosistemi riconoscibili. Tale interconnessione è favorita ricorrendo alle greenways (significativi i piani messi a punto in Florida nel 1998 e in Pennsylvania nel 2001), ma anche alle greenbelts e alle parkways. Tutte garantiscono, in modi diversi, la presenza di corridoi verdi per favorire la biodiversità, spesso lungo i fiumi o le coste di laghi e oceani. Le prime sono sistemi lineari vincolati di notevole ampiezza, istituiti con l’obiettivo di collegare fra loro i più estesi ecological hubs, riserve naturali vincolate di grandi dimensioni. Un esempio di greenway è costituito dal Burke-Guilman trail a Seattle, un percorso verde che nasce dalla riconversione di una linea ferroviaria dismessa e che, da una lunghezza originaria di 11 miglia nei primi anni Settanta del 20° sec., ha raggiunto oggi le 27 miglia.
Le greenbelts, un’eredità delle città-giardino inglesi, sono invece utilizzate intorno ai centri urbani per garantire il loro isolamento nel paesaggio ed evitare il fenomeno della rifusione e confusione delle città l’una nell’altra senza soluzioni di continuità all’interno del tessuto edificato.
Fra gli esempi più virtuosi vi sono alcune città che punteggiano la costa pacifica settentrionale, da Port-land in Oregon a Seattle, nello Stato di Washington, fino alla canadese Vancouver, in British Columbia. Quest’ultima è oggi amministrativamente suddivisa in 21 municipalità che, verso sud, arrivano al confine con gli Stati Uniti. Oltre ad avere un clima relativamente mite, considerata la latitudine, e a godere delle spettacolari panoramiche delle sue baie, del delta del fiume Fraser e di alte catene montuose, si tratta del maggiore porto canadese e, come s’è detto, di uno dei pochi, grandi porti naturali nordamericani sul Pacifico; ma è oggi anche una delle città più ambite del mondo in termini di qualità della vita e fra le più propense all’innovazione e alla sperimentazione di nuovi stili e comportamenti sociali. La sua popolarità, cui non è estraneo l’essere un importante centro dell’industria cinematografica e televisiva canadese, l’ha portata a concentrare al suo interno circa metà degli abitanti dell’intera British Columbia. La sua area metropolitana attira in media 40.000 nuovi residenti ogni anno (Erickson 2006, p. 182). Diversamente da molte altre città nordamericane, il suo downtown, facilmente percorribile a piedi, non è stato invaso da superstrade e sopraelevate ed è densamente popolato (50.000 residenti che si prevede arriveranno a 100.000 nel 2020), rendendo possibile l’inversione della tendenza, tipicamente nordamericana, verso lo sprawl, la dispersione nel territorio. L’osservatorio Sightline ha rilevato che se la città fosse cresciuta in maniera analoga alla vicina Seattle, avrebbe sottratto alla campagna 650 km2 in più (World changing, 2006, p. 231). Il suo residenziale West End ha la densità più elevata del Canada. Ma, anche fuori dal centro, si sono strutturati quartieri compatti e a misura d’uomo, per lo più costituiti da edifici divisi in appartamenti che consentono densità medio-alte. In molti di essi, l’edilizia economica si alterna a quella riservata alle famiglie più agiate, senza che ciò risulti troppo evidente, favorendo in tal modo l’integrazione fra le diverse fasce di reddito. I nuovi edifici progettati e realizzati per i Giochi olimpici invernali del 2010 e la riconversione di alcune strutture ricettive hanno inoltre dato un notevole contributo alla complessiva riqualificazione architettonica e infrastrutturale dell’intera regione.
Elevata è la sensibilità ecologica: la qualità dell’aria ha livelli molto buoni e, non a caso, lo Stanley Park (1887) è fra le mete turistiche più visitate. Ma è soprattutto la qualità delle aree verdi, in termini di accessibilità, sicurezza e panoramicità, più che la loro estensione, a renderle per molti versi eccezionali (purtroppo i dispositivi di sicurezza scattati, anche qui, dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 a New York, hanno limitato, in parte, l’apertura delle aree portuali). Anche l’architettura più recente mostra grande attenzione all’ecocompatibilità: un buon esempio è costituito dalla copertura verde del nuovo Convention Centre realizzato dal gruppo di DA/MCM+LMN architects proprio in occasione dei citati Giochi del 2010: 6 acri di habitat naturale che ospitano la tipica flora costiera locale, offrendo complessi sistemi di recupero, filtraggio e riuso delle acque piovane.
Analoghe considerazioni sono possibili per Portland che, nelle classifiche della qualità della vita, è spesso ai primi posti negli Stati Uniti e nella quale si è sviluppata un’elevata sensibilità civica che tende ad allontanare le decisioni amministrative dalla burocrazia politica, per riportarle nelle mani di cittadini e associazioni comunitarie quali, per es., la Portland’s coalition for a livable future. Non lontana dal Pacifico, alla confluenza dei fiumi Columbia e Willamette, in una regione ricca di foreste, cascate e montagne altissime, la città si è dotata nel tempo di un sistema di parchi che ha raggiunto i 37.000 acri, con curatissimi percorsi panoramici pedonali e ciclabili lungo le rive. La pressione demografica cui è sottoposta (si prevede che l’area metropolitana, entro il 2040, sfiorerà i 2 milioni di abitanti) e la crescente sensibilità per la tutela del paesaggio urbano, con provvedimenti quali il controllo dello sprawl e la protezione dei terreni agricoli da parte di un’unica autorità regionale chiamata Metro e appositamente istituita nel 1978, la rendono un esempio significativo di crescita sostenibile. Metro, caso raro all’interno degli Stati Uniti, coordina oggi le amministrazioni locali di città e contee, il territorio, i fiumi, i porti, i distretti scolastici e così via. La più estesa area metropolitana dell’Oregon si colloca così anche al primo posto nelle classifiche rilasciate dallo US Green building council in termini di LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), seguita da Washington, Atlanta, Seattle e Denver. Fra le realizzazioni recenti, tese appunto a ridurre il traffico automobilistico, si ricorda in particolare l’Aerial Tram (2007), funivia urbana che collega la Oregon health and science university, progettata da agps.architecture.
Nel 1995, con l’attivo coinvolgimento sociale di una serie di gruppi diversi (cui non è estranea la diffusione popolare di videogiochi come, per es., SimCity), è stato redatto il Metro 2040 growth concept, un piano di sviluppo che garantisce l’attiva tutela degli ecosistemi urbani e rurali, oltre che il supporto alle economie locali, ai nuovi sistemi di trasporto e d’infrastrutturazione accessibili e alla realizzazione di complessi residenziali a basso costo: l’obiettivo risulta essere, quindi, quello di contrastare fermamente da un lato la tradizionale debolezza delle amministrazioni locali americane e, dall’altro, gli estesi diritti solitamente garantiti ai proprietari delle aree.
Bibliografia
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