I siti della Magna Grecia: un panorama esemplificativo. Le colonie doriche
di Graziella Fiorentini
La fondazione della città greca (gr. Γέλα; lat. Gela) si deve a coloni rodi e cretesi guidati, rispettivamente, da Antifemo e da Entimo e avvenne, secondo la testimonianza di Tucidide (VI, 4, 3), 45 anni dopo la fondazione di Siracusa e pertanto nel 689/8 a.C.
Sempre Tucidide ci informa che la località dove più tardi sorse la città e che per prima fu fortificata (l’acropoli) fu chiamata inizialmente Lindioi. La scelta del sito da parte dei coloni si spiega con la ricerca di spazi liberi e di terreni fertili, dopo che le località migliori sulla costa orientale erano state occupate dai Greci (Calcidesi, Corinzi, Megaresi) nel secolo precedente e prima che Siracusa estendesse il suo territorio verso occidente con la fondazione di Camarina. Aspre lotte dovettero intercorrere tra i coloni greci e le genti del luogo per il possesso della piana che si estendeva tra la collina di G. e le alture che la delimitano a nord e nord-ovest, occupata da insediamenti indigeni. Assicuratisi il possesso del sito, i Geloi intrapresero un processo di espansione commerciale e politica lungo la costa e di penetrazione verso l’interno. Il principale sforzo espansionistico fu teso lungo la costa occidentale e culminò, nel 581 a.C., con la fondazione di Akragas (Agrigento), mentre una precoce ellenizzazione dei centri indigeni dell’entroterra, lungo la valle del Gela e del Salso, assicurava ai Geloi il dominio di una larga parte della Sicilia centro-meridionale.
Sotto il tiranno Ippocrate, agli inizi del V sec. a.C., il predominio geloo raggiunse anche la Sicilia orientale fino allo Stretto. Il successore di Ippocrate, Gelone, nel 483 a.C. si trasferì a Siracusa e nel 480 prese parte con gli Agrigentini alla vittoria sui Cartaginesi nella celebre battaglia di Imera. Nel 463 a.C. milizie mercenarie espulse da Siracusa occuparono il territorio di G. Altre vicissitudini attraversò la città a seguito della rivolta dei Siculi sotto Ducezio. Non vi è dubbio che, dopo il trasferimento dei Dinomenidi a Siracusa, G. perse il suo primato sotto il profilo politico ma restò insigne per arte e cultura: la città ospitò il tragediografo Eschilo negli ultimi tre anni della sua vita, sino alla morte nel 456 a.C. G. fu anche sede, nel 424 a.C., del famoso convegno di pace tra le città siceliote nel quale il siracusano Ermocrate pronunciò il celebre discorso riportato da Tucidide (IV, 58 ss.) in cui fu proclamata l’autonomia delle città greche di Sicilia.
Dopo la metà del V sec. a.C., G. venne a trovarsi in notevoli difficoltà di fronte alle intensificate minacce cartaginesi, sino a che nel 405 a.C., nonostante gli aiuti portati da Dionisio di Siracusa, la città fu conquistata e distrutta dai Cartaginesi guidati da Imilcone. Se una tempestiva ma stentata ripresa della città si attuò nei primi decenni del IV sec. a.C., G. venne totalmente ricostruita e ampliata grazie all’opera di Timoleonte a partire dal 339 a.C. (Plut., Timol., 35). Dopo un periodo di prosperità e tranquillità, la città fu nuovamente occupata da Agatocle di Siracusa, che nel 311/10 a.C. la utilizzò come base militare contro i Cartaginesi (Diod. Sic., XXII, 107-10), e tra il 285 e il 282 a.C. fu definitivamente distrutta dal tiranno agrigentino Phintias che ne trasferì gli abitanti a Eknomos (presso Licata) dando vita a una nuova città che denominò Phintiade (Diod. Sic., XXII, 4). L’area della città di G. sulla collina rimase quindi quasi abbandonata sino al 1233 quando, sulle sue macerie, Federico II Hohenstaufen ricostruì una città murata chiamata dapprima Herakleia e poi Terranova, finché nel 1927 le venne restituita la denominazione originaria.
La storia degli scavi a G. ha inizio con le ricerche di P. Orsi che, sul finire dell’Ottocento, interruppe un singolare e deplorevole silenzio degli studi sulle antichità locali e una deleteria attività di predatori che andavano disperdendo una impressionante quantità di materiale archeologico di grandissimo pregio (vasi attici dalle necropoli, monete, ecc.). Proprio le ricche e vaste necropoli gelesi furono oggetto delle ricerche di Orsi dal 1900 al 1905, ma da tali esplorazioni anche la topografia della città antica cominciava a delinearsi. Particolare attenzione egli dedicò all’unico notevole monumento di cui restava traccia, il cosiddetto “tempio dorico” (Tempio C) sull’estremità orientale dell’acropoli. Nello stesso tempo Orsi intraprendeva una fortunata campagna nell’area del santuario extraurbano di Demetra sulla collina di Bitalemi, nel quale le successive ricerche di P. Orlandini identificarono un thesmophorion. Gli scavi di Orsi ripresero nel 1907 sull’acropoli, con la scoperta dell’altro tempio (Tempio B) più arcaico del precedente, presso il quale si rinvennero abbondantissimi avanzi di terrecotte architettoniche dipinte, conservate al Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa, in seguito sistematicamente studiate e pubblicate da L. Bernabò Brea.
Dopo gli scavi di Orsi le ricerche a G. subirono una pausa pressoché ininterrotta di circa un altro cinquantennio, fino a che, negli anni Cinquanta - Sessanta del Novecento, nuovo impulso e sistematicità portarono gli scavi di P. Griffo, con la scoperta delle fortificazioni timoleontee di Capo Soprano (1948) e soprattutto di Orlandini e D. Adamesteanu, con le note campagne sia nell’area dell’acropoli e in tutta la collina di G. sia nel suo retroterra (1950-67). Dal 1973 al 1982 le ricerche sono state sistematicamente riprese da G. Fiorentini sull’acropoli con la individuazione di un’articolata stratigrafia archeologico- monumentale dall’età protoarcaica a quella timoleontea e di un regolare impianto urbanistico di questo importante settore dell’abitato. Nello stesso periodo e negli anni successivi ricerche settoriali in vari punti anche periferici della città (Bosco Littorio, scalo ferroviario, via Venezia, ecc.) consentivano di verificare e meglio definire l’ampio e unitario disegno dell’impianto urbano tardoarcaico e l’articolazione funzionale del medesimo in rapporto al territorio. Ancora negli anni 1988-89 si conducevano sistematici scavi sottomarini esplorando il relitto di una nave tardoarcaica presso le foci del fiume Gela, nel sito dell’emporio della città arcaica e di V sec. a.C.
La collina di G. si estende lungo la costa meridionale della Sicilia, in forma stretta e allungata, con un’altezza pressoché uniforme di 45 m s.l.m.: essa termina a est nell’altura di Molino a Vento presso la foce dell’omonimo fiume; a ovest si biforca nei due promontori di Capo Soprano verso il mare e di Piano Notaro a nord-ovest. A nord si estende una vasta piana, delimitata da colline a nord-ovest; a sud è la breve fascia della sponda marina. La vita sulla collina è testimoniata a partire dalla prima età del Rame da necropoli (tombe a fossa circolare e ingresso a pozzetto) individuate alle due opposte estremità di Piano Notaro (Predio Iozza) e di Molino a Vento; è probabile che coevi insediamenti fossero disseminati sull’intera collina (capanne della prima età del Bronzo sono state accertate a Molino a Vento), dando inizio a una caratteristica diacronicamente costante dei processi insediativi, evidentemente suggerita dalle caratteristiche morfologiche e naturali del sito. Dal passo sopra citato di Tucidide, che fa cenno a una primitiva cittadella fortificata denominata Lindioi, si è supposto che la fondazione definitiva e “ufficiale” (ktisis) di G. fosse stata preceduta da iniziative di occupazione e insediamenti di protocoloni rodi da Lindos, tra lo scorcio dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C.
Le testimonianze archeologiche sembrano confermare tale ipotesi, documentando una presenza greca, precedente la data di fondazione storica della città (689/8 a.C.), sia pure di poco, lungo tutta la fascia costiera geloa, sulla collina omonima e a oriente di essa. In particolare nell’area dell’acropoli arcaica – ubicata all’estremità orientale della collina, prospiciente la foce del fiume (loc. Molino a Vento) – la stessa esistenza della Lindioi protoarcaica citata da Tucidide pare suffragata da rinvenimenti di scavi, anche recenti, che documentano una frequentazione della zona tra gli ultimi decenni dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C. (frammenti di ceramica tardogeometrica rodia e protocorinzia nello strato sottostante la fondazione dei primi edifici dell’acropoli geloa). Quanto alla città di fondazione rodio-cretese, le più recenti ricerche sembrano dimostrare che la città greca già in età arcaica e tardoarcaica non fosse circoscritta e inclusa sull’altura della collina entro il perimetro coincidente con la cinta muraria medioevale (come tradizionalmente ritenuto), ma si estendesse lungo i versanti e sulle più basse pendici, proiettata verso il mare a sud e verso il territorio agrario a nord.
A parte la cinta arcaica dell’acropoli, pertanto, i limiti dell’area urbana in età arcaica e classica sembrano segnati da confini naturali: a sud dalla costa marina, a ovest da un valloncello sulle cui pendici occidentali si estendeva la necropoli (mentre su quelle orientali già dal VII sec. a.C. operavano officine di figuli), a est dalla foce del fiume Gela e a nord forse da un’antica ansa dello stesso fiume di cui sembra rilevarsi traccia da documenti cartografici del XVII e XVIII secolo. L’area sacra della città, fin dal primo secolo di vita della colonia, si sviluppò lungo l’asse longitudinale est-ovest della collina, divenuto subito percorso essenziale e primario, ricalcato dalla plateia dell’organizzazione urbana consolidatasi nel secolo successivo. Intorno alla metà del VI sec. a.C., infatti, l’area dell’acropoli era già organizzata in un regolare schema viario con la plateia est-ovest, una serie di stenopòi nord-sud e due modesti terrazzamenti paralleli alla plateia. L’acropoli, nella fase arcaica, risultava protetta da una cinta muraria di cui restano tracce del lato che correva in direzione est-ovest a metà pendio del versante nord della collina e un tratto che piegava a squadra in senso sud-nord all’estremità orientale dell’acropoli, forse lungo un antico asse viario, o ampio piazzale, in tal senso.
Nei primi decenni del V sec. a.C. avviene una completa ristrutturazione dell’impianto urbano: viene eliminato il lato nord delle mura dell’acropoli, si definisce e regolarizza la sistemazione a terrazzi, gli stenopòi si infittiscono (della larghezza di 4 m, a regolare distanza di 30,5 m) e si proiettano verso la piana sottostante, inserendo anche il settore del versante nord dell’acropoli nella regolare maglia stradale. Questa a sud raggiunge la costa (come dimostra la serie di case in mattoni crudi allineate ai margini di una strada est-ovest, messe in luce in località Bosco Littorio, nei pressi degli impianti connessi all’emporio presso la foce del Gela, di cui sono state individuate anche le strutture originarie del VII sec. a.C.). Verso nord, l’intero versante della città digrada a terrazzi e il reticolato urbano raggiunge la piana, come dimostrano i recenti scavi del quartiere dell’ex scalo ferroviario, ove un complesso artigianale e di edifici sacri di VI-V sec. a.C. è regolarmente organizzato in una maglia viaria di cui si sono riconosciuti almeno tre stenopòi e una plateia ai piedi della collina.
Alla fine del V sec. a.C. la città dovette affrontare gli attacchi cartaginesi che portarono alla sua distruzione nel 405 a.C. Tracce di questa resistenza si riconoscono nella ricostruzione, con materiali eterogenei e di recupero, di un muro di fortificazione sull’acropoli, pressoché sulla linea della cinta arcaica obliterata nella ristrutturazione urbana di inizio V secolo; tratti di muro difensivo di caratteristiche analoghe si riconoscono anche fuori dall’acropoli, sempre sul versante nord della collina (via Tucidide), eretto a proteggere la parte sommitale della città in cui dovettero arroccarsi per difesa i Geloi nel momento di maggiore pericolo. Gli scavi più recenti hanno chiaramente dimostrato che già a partire dai primi decenni del IV sec. a.C., almeno sull’acropoli, venne avviata una prima ricostruzione degli edifici sulle macerie della distruzione cartaginese che vennero spianate, riducendo così, e in seguito annullando, la sistemazione a terrazzi. Ma si deve all’opera innovatrice di Timoleonte la vera e propria rinascita e la totale ricostruzione della città nella seconda metà del IV sec. a.C.
La parte orientale dell’acropoli viene quasi completamente abbandonata (sopravvive solo qualche luogo di culto di antica tradizione), trasformandosi in area a prevalente destinazione artigianale, mentre il fulcro dell’area sacra si sposta al margine occidentale dell’acropoli (Molino di Pietro), ove dovette sorgere un grande tempio del quale si sono rintracciati i resti delle strutture sotto il centro moderno. L’abitato in età timoleontea si sviluppò, ampliandosi, a ovest, al di sopra delle necropoli di età arcaica e classica, e il limite occidentale venne protetto da poderose mura di fortificazione (Capo Soprano). Nella fase edilizia timoleontea la città si arricchì anche dei complessi funzionali di uso comune quale uno stabilimento di bagni pubblici. Nello stesso tempo un nuovo impianto portuale dovette essere costruito all’estremità occidentale nei pressi dell’attuale porto dove saggi subacquei hanno rivelato l’esistenza di un antemurale in conci di tufo. Sopravvissuta tra varie vicissitudini in età agatoclea, dopo il 310 a.C. la città si contrasse nella estremità occidentale della collina e fu definitivamente distrutta da Phintias tra il 285 e il 282 a.C.
Per quanto riguarda l’edilizia sacra più arcaica, sembra che la prima generazione dei coloni utilizzasse esclusivamente strutture in legno e mattoni crudi. Solo a partire dalla metà del VII sec. a.C. vengono costruiti i primi edifici con zoccolatura in pietra, quando si dà inizio alla prima essenziale organizzazione dell’area urbana. Di questa fase edilizia restano due edifici, entrambi ubicati al margine nord dell’asse viario principale est-ovest: l’Edificio I, a pianta trasversale tripartita con ingressi sul lato lungo sud; l’Edificio II, meno conservato, ma di caratteristiche analoghe, ubicato all’estremità orientale dell’asse viario succitato, ma con ingressi aperti a est, probabilmente su una via perpendicolare (o ampio piazzale) che marginava a est l’acropoli. Lo schema planimetrico dei due arcaicissimi edifici, a piante rettangolari con ingressi sul lato lungo, sembra riflettere aspetti della tradizione cretese che perdureranno a lungo e riaffioreranno nel tempo non solo nell’architettura sacra geloa, ma anche in quella akragantina.
Con gli inizi del VI sec. a.C., mentre sorgono altri sacelli con schema planimetrico analogo ai precedenti, si sperimenta la realizzazione del primo edificio monumentale dell’acropoli, di ordine dorico (Tempio B), dedicato ad Atena Lindia, del quale restano solo un filare del basamento e alcuni rocchi di colonne scanalate. Questo monumento presenta alcune singolarità, sia nei moduli e rapporti delle strutture sia nei rivestimenti fittili dipinti (rinnovati tre volte in meno di un cinquantennio) che sembrano rivelare la difficoltà della sperimentazione delle ancor nuove tecnologie di una peristasi lapidea in un ambiente che, sul posto, aveva sino ad allora privilegiato i sacelli in pietrame e lo schema planimetrico trasversale. Intorno alla metà del VI sec. a.C., nell’ambito della prima regolare sistemazione urbana dell’acropoli sorgono nuovi edifici sacri, prevalentemente con schema planimetrico longitudinale est-ovest, inseriti nel reticolato viario, ma con ampi spazi di pertinenza funzionale. Sono prevalentemente edifici in pietrame a oikos, di cui alcuni hanno restituito la vivace decorazione fittile architettonica, come l’Edificio VI, con serie di antefisse plastiche gorgoniche e gorgoneion acroteriale del kalyptèr hegemòn.
Fuori dell’acropoli, un importante santuario urbano si trovava al centro della città, sin dall’epoca più arcaica: malgrado la scarsa consistenza dei resti di strutture superstiti sotto l’abitato moderno, un modello di tempietto fittile a capanna rinvenuto sul posto può suggerirne la tipologia originaria, mentre un frammento con iscrizione graffita ci consente di identificarlo come Heraion. Una serie di sacelli, in gran parte dedicati a Demetra, sorgeva in area urbana periferica ai piedi della collina, alcuni addirittura in area extraurbana, oltre il fiume, come il thesmophorion di Bitalemi a est, presso la foce, e il santuario ctonio in contrada Alemanna a nord, ai limiti del territorio agricolo. Il rinnovamento architettonico urbanistico dei primi decenni del V sec. a.C. coincide con la fase di massima potenza della città e si arricchisce nel clima di fervore seguito alla vittoria di Imera sui Cartaginesi, evento che viene celebrato con la costruzione di un nuovo Athenaion: un tempio dorico canonico (Tempio C) eretto in sostituzione del precedente, eliminato, all’estremità orientale dell’acropoli, a sud della plateia. Di esso rimangono pochi resti delle fondazioni e una sola colonna dell’opistodomo. Copiosi e notevoli sono, invece, i materiali provenienti dal santuario, tra cui sculture fittili acroteriali (di cui restano le grandi teste di cavallo), terrecotte architettoniche, coroplastica e ceramica, che si aggiungono alle ricche stipi di oggetti votivi del santuario arcaico (statuette di Atena Lindia, ecc.).
Del rinnovamento timoleonteo non restano evidenti tracce monumentali di edifici sacri se non i frammenti architettonici marmorei (capitello e guancia di altare) di stile ionico, rinvenuti presso resti di strutture murarie in località Molino di Pietro al limite occidentale dell’acropoli. Quanto alla edilizia domestica, scarse sono le tracce relative all’abitato vero e proprio che si estendeva, per la massima parte, sotto la città attuale. Tuttavia il reticolato viario individuato sull’acropoli e definito dalla serie di sei stenopòi perpendicolari alla plateia principale est-ovest (e, forse, a una stradella parallela a metà del versante nord, realizzata nel V sec. a.C. sopra la linea della fortificazione arcaica demolita) sembra mostrare una differenziata destinazione funzionale – almeno nel V sec. a.C. – tra il settore a est dello stenopòs III, riservato precipuamente ad attività cultuali e a edilizia sacra, e il settore a ovest dello stesso stenopòs III, tra questo e lo stenopòs I. In quest’ultimo settore si sono riconosciuti due isolati di 35 m di lunghezza, ciascuno comprendente due unità edilizie assai probabilmente di tipo abitativo che sembrano caratterizzate dalla presenza di un ampio cortile o pozzo di luce, posto tra le due case, queste ultime con vani diversamente articolati prospicienti su cortili a L o rettangolari, talora con cisterna e tutte con un portichetto a nord che attraversa in senso est-ovest l’intera ampiezza della casa forse prospiciente la stradella est-ovest sopra citata.
Nel IV sec. a.C. le strutture abitative di questo settore si semplificano e perdono di organicità nel progressivo abbandono della zona. Un esempio importante di architettura militare dell’età timoleontea, con ricostruzioni anche successive, è costituito dalle fortificazioni della parte occidentale della città, e cioè le mura di Capo Soprano, costruite in una tecnica nota anche in altri siti di Sicilia (Vassallagi presso Caltanissetta): una muratura in conci di arenaria (spessore 3 m ca.) nella parte inferiore, con sovrastruttura in mattoni crudi. La tecnica non isodoma dei conci di varia pezzatura e la presenza delle “specchiature” ai margini dei blocchi stessi, così come il tipo di sovrastruttura in fornelle di mattoni crudi di facile disgregazione hanno fatto supporre che l’intera muratura fosse originariamente rivestita da uno spesso intonaco andato perduto.
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di Laura Buccino
Città (gr. Λοκροί οἱ Ἐπιζεφύριοι; lat. Locri, Locris) fondata sulla costa ionica della Calabria da coloni provenienti dalla Locride in Grecia, guidati dall’ecista Evante. La documentazione archeologica fa risalire la fondazione alla fine dell’VIII sec. a.C., anche se le fonti tramandano la data del 679 o 673 a.C.
Secondo la tradizione riferita da Aristotele, la città venne fondata dai discendenti illegittimi di nobili donne locresi che si erano unite con servi durante una lunga assenza dei mariti, impegnati a combattere con gli Spartani nella guerra messenica. I coloni si stabilirono inizialmente a Capo Zefirio, dove furono accolti dai Siculi, ma pochi anni dopo cacciarono gli indigeni e si trasferirono 20 km a nord, presso il colle di Esopis. Il legislatore Zaleuco promulgò le prime leggi scritte alla metà del VII sec. a.C. Nel primo quarto del VI sec. a.C. l’espansione sul versante tirrenico portò alla fondazione delle subcolonie di Hipponion (Vibo Valentia), Medma (Rosarno) e più tardi di Metauros (Gioia Tauro). Poco dopo la metà del VI sec. a.C., dopo aver partecipato alla distruzione di Siris, i Crotoniati attaccarono L.E., che aveva sostenuto la città ionica, ma nella battaglia presso il fiume Sagra, che segnava il confine tra i territori delle due poleis, l’esercito di Locresi e Reggini ebbe la meglio, secondo la tradizione grazie all’intervento divino dei Dioscuri.
Nel 477 a.C. il tiranno di Reggio, Anassilao, attaccò L.E., che si difese grazie all’aiuto di Siracusa, dando avvio a una solida alleanza con la potente città. Al tempo della spedizione ateniese in Sicilia, L.E. accolse nel porto navi siracusane, mentre rifiutò la richiesta di scalo della flotta di Atene. Dionisio I, che aveva sposato una nobile locrese, combatté con l’appoggio di L.E. contro Reggio e la Lega italiota per estendere il proprio dominio nell’Italia meridionale. Nel 346 a.C. l’allontanamento del dispotico figlio del tiranno, Dionisio II, che si era stabilito a L.E. dopo la fuga da Siracusa nel 356 a.C., comportò l’avvento di un regime democratico. Per difendersi dalla minaccia dei Bretti, L.E. accolse nel 282 a.C. un presidio romano, ma poco dopo si consegnò a Pirro, che nel 276 a.C. saccheggiò il tesoro del santuario di Persefone. Dopo la sconfitta del re dell’Epiro, L.E. entrò a far parte dei socii navales di Roma. Passata dalla parte di Annibale durante la seconda guerra punica, fu riconquistata dai Romani nel 205 a.C.
I Locresi impiantarono la colonia su una pianura costiera e sul retrostante arco collinare, articolato in tre dorsali separate da profondi valloni. L’area era già abitata dagli indigeni, che furono costretti a spostarsi verso l’interno. Una via urbana antica, ricalcata dal moderno Dromo, separava il settore collinare da quello pianeggiante della polis. Nella seconda metà del VI sec. a.C. fu costruita in blocchi di calcare e arenaria la prima cinta muraria, che delimitava la città bassa. Nei tratti meridionale e orientale sono state messe in luce le porte di età arcaica (Porta Portuense e Porta di Afrodite), caratterizzate da un doppio passaggio, per la strada e per le acque che scendevano dalla zona collinare. La cinta rispettava le aree sacre preesistenti, come nel caso della cosiddetta Stoà a U di Centocamere, risparmiata tramite una brusca rientranza delle mura. Nello stesso periodo furono realizzati gli assi stradali dell’impianto urbano, già pianificato sicuramente al momento della fondazione. L’abitato fu organizzato, a cominciare dalla parte bassa della città, in prossimità del mare, secondo il consueto schema per strigas, con isolati stretti e lunghi orientati nord-ovest/sudest, definiti dall’incrocio di una larga arteria principale nord-sud (plateia) con assi minori (stenopòi), come emerge dal settore indagato in località Centocamere.
Questo quartiere fu destinato fino alla metà del III sec. a.C. ad attività artigianali per la lavorazione dell’argilla, come indica la scoperta di numerose fornaci. File di botteghe, con piccoli vani retrostanti adibiti a depositi, si affacciavano lungo le strade, dentro e fuori le mura. Nella seconda metà del III sec. a.C. il quartiere venne nuovamente lottizzato e occupato da case a cortile. Tra il IV e il III sec. a.C. il circuito murario fu rafforzato, regolarizzato e provvisto di torri. Il tratto a gomito nei pressi di Centocamere fu obliterato e sostituito da una cortina con andamento rettilineo. Probabilmente solo in questa fase fu costruita la cinta che difendeva la parte alta della città. Alla fine del III sec. a.C. le fortificazioni furono rese più sicure, con la chiusura di molti varchi e la creazione di uno spazio vuoto a ridosso delle mura, che determinò l’abbandono delle strutture sacre esterne. L’ubicazione dell’agorà non è stata ancora individuata. Un bacino portuale è stato localizzato nella zona di Marasà sud, a est del sacello di Afrodite. Due lunghi muri di calcarenite, ortogonali alla fortificazione meridionale, proteggevano l’approdo. Tra le necropoli, che si addensavano nella piana costiera lungo i maggiori assi di comunicazione, è stata indagata in particolar modo quella situata in località Lucifero, a sud-est della città.
Sin dai tempi della fondazione, le aree di culto sorsero ad anello intorno alla città, entro le mura e immediatamente al di fuori, per garantirle la protezione divina, lungo il percorso più tardi ricalcato dalle fortificazioni. La posizione dei santuari a ridosso delle mura sta a indicare che, almeno sino al III sec. a.C., la cinta non aveva un valore difensivo, quanto piuttosto di materializzazione del limite dell’area urbana. In contrada Marasà sorgeva un importante santuario dedicato ad Afrodite, all’interno del tratto sud-orientale della cinta muraria, nei pressi di uno dei principali accessi alla città. Alla fine del VII - inizi del VI sec. a.C. risale il primo tempio, con cella stretta e lunga divisa in due navate e pronao, che segue un orientamento rituale differente da quello dell’impianto urbano. Le fondazioni erano di pietra, l’elevato di mattoni crudi, le colonne e la trabeazione di legno. Il tetto e la cella erano rivestiti di terrecotte policrome. Il tempio fu ricostruito nel terzo quarto del VI sec. a.C. e modificato con l’aggiunta dell’opistodomo e della peristasi esterna.
Intorno al 480-470 a.C. l’edificio arcaico di contrada Marasà fu ricostruito interamente in pietra, utilizzando un calcare importato da Siracusa. Il tempio era di ordine ionico, con peristasi di 6 x 17 colonne decorate e cella tripartita, nella quale si trovava un pozzo rituale. Nel terzo quarto del V sec. a.C. il frontone ovest fu decorato con sculture di marmo, di cui rimangono i gruppi dei Dioscuri che scendono da cavallo e una figura femminile centrale. Nel corso del V sec. a.C. fu aggiunta una stoà per accogliere i fedeli. A nord-est della città, entro le mura, in località Casa Marafioti, fu costruito nel terzo quarto del VI sec. a.C. il tempio dorico di Zeus, che da un’altura terrazzata dominava la città bassa. Al rifacimento del tetto verso la fine del V sec. a.C. appartiene un acroterio fittile che raffigura uno dei Dioscuri su un cavallo sorretto da una sfinge. Con il santuario è stato connesso l’archivio di Zeus Olimpio, composto da 39 tavolette bronzee iscritte scoperte in una teca di pietra interrata a valle del tempio, databili tra la metà del IV e la metà del III sec. a.C. Alle pendici sud-orientali della collina del santuario si appoggiava il teatro che, costruito nella seconda metà del IV sec. a.C. e più volte ristrutturato, mostra un orientamento coerente a quello dell’impianto urbano. Ai piedi del colle della Mannella è attestato dalla fine del VI sec. a.C. il luogo di culto poliade di Atena Iliàs, dove sono stati messi in luce un piccolo edificio sacro e numerose statuette della dea.
Il versante sud-ovest del colle della Mannella era occupato dal celebre santuario di Persefone, frequentato dalla metà del VII al III sec. a.C. e privo di un tempio monumentale. Gli interventi di ristrutturazione della seconda metà del V sec. a.C., quando fu ampliato il terrazzo e fu costruita un’edicola con blocchi di calcare intorno a una fossa quadrata, comportarono la creazione di un’enorme stipe votiva, che ha restituito tra le ricche offerte i celebri pinakes, le tavolette fittili di forma rettangolare, decorate a rilievo con scene della vita della dea e temi connessi al culto, che dalla fine del VI e soprattutto nella prima metà del V sec. a.C. erano state appese come ex voto alle pareti dei sacelli o all’aperto agli alberi entro il recinto sacro del santuario. Immediatamente fuori del tratto sud-orientale delle mura, in contrada Marasà sud, fu impiantato alla fine del VII sec. a.C. un santuario di Afrodite, venerata come protettrice della navigazione. Nel santuario era forse praticata la prostituzione sacra, connessa alla frequentazione dell’adiacente area portuale. La struttura principale è costituita dalla cosiddetta Stoà a U, in località Centocamere, un edificio porticato disposto su tre lati, intorno a un vasto spazio rettangolare, aperto verso il mare. Le due ali laterali, prolungate alla metà del VI sec. a.C., erano suddivise in piccoli ambienti rettangolari, interpretati come sale per banchetti rituali.
Alla metà del IV sec. a.C. il complesso fu sostituito da un’altra struttura porticata, distrutta a fine secolo in concomitanza con il rifacimento delle mura. Nella parte orientale del santuario è stato scoperto un sacello di pietra tardoarcaico (inizio del V sec. a.C.), cui si sovrappose alla metà del IV sec. a.C. la cosiddetta Casa dei Leoni, che deve il nome alle gronde a protomi leonine rinvenute riutilizzate nelle fondazioni. Il complesso, organizzato attorno a un ampio cortile e decorato con stucchi policromi, è interpretato come un luogo di culto di Adone. In contrada Parapezza, all’esterno dell’angolo orientale delle mura, è stato localizzato un santuario di Demetra Thesmophoros, sede di un culto ctonio. I grandi depositi votivi rinvenuti entro il recinto hanno restituito le tipiche offerte alla dea (seconda metà del VI-III sec. a.C.). Gli scavi recenti hanno messo in luce un sacello del V sec. a.C., con muri in pietrame e banchine per le offerte. La scoperta di una stipe votiva tra il santuario di Demetra e la Porta Portuense ha permesso l’individuazione di un’area sacra extramuraria dedicata a Zeus. Nel settore collinare della città, si sviluppò dall’inizio del VI al II sec. a.C. il santuario suburbano di Grotta Caruso, dove scaturiva una sorgente, presso la quale erano venerati le Ninfe e il pugile locrese Eutimo, più volte vincitore alle Olimpiadi, oggetto di culto già in vita e assimilato a un dio fluviale.
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di Laura Buccino
Città (gr. Μέγαρα ἡ Ὕβλα; lat. Megara Hyblaea) della costa sud-orientale della Sicilia, sull’attuale golfo di Augusta, colonia della Megara greca, fondata nel 728/7 a.C. secondo la data tramandata da Tucidide.
I coloni megaresi, guidati dall’ecista Lamis, dopo precedenti tentativi falliti di stabilirsi in varie località della zona, accettarono l’offerta del re siculo Hyblon. Questi concesse loro il territorio dove fondarono M.H., il cui nome ricorda la madrepatria greca e la città dell’ospitale re, Hybla. La colonia venne distrutta nel 483 a.C. dal tiranno di Siracusa Gelone. Gran parte degli abitanti furono deportati a Siracusa e venduti come schiavi, mentre solo i più ricchi ottennero la cittadinanza siracusana. Il sito, rimasto abbandonato, fu teatro di operazioni militari in occasione della spedizione ateniese in Sicilia. I Siracusani vi costruirono nel 415 a.C. un fortino, che resistette all’attacco nemico. Solo verso il 340 a.C. fu rifondata da Timoleonte una seconda città nello stesso sito di quella arcaica. Assediata dall’esercito romano di M. Claudio Marcello, fu distrutta nella primavera del 213 a.C. La colonia fu impiantata in un’area disabitata, costituita da due pianori, nord e sud, separati da una depressione, con il mare a est. Il tessuto urbano fu suddiviso mediante strade nord-sud, di 3 m di larghezza, che individuano isolati larghi circa 25 m.
L’orientamento divergente delle reti stradali determinò la formazione di cinque quartieri abitativi. Nella parte centrale del pianoro nord, due gruppi di isolati erano separati da un ampio spazio libero di forma trapezoidale, destinato sin dal principio a ospitare l’agorà. Due grandi arterie est-ovest, larghe 5 m e di andamento non sempre rettilineo, attraversavano l’intero pianoro, giungendo fino alle porte della cinta arcaica. Le prime case dei coloni, che occupavano la metà di un isolato, diviso in lunghezza da un muro mediano, erano costituite da un unico vano quadrato, di circa 4,5 m di lato, con fondazioni a ortostati e muri di pietrame a secco. Nel corso del VII sec. a.C. le case vennero gradualmente ampliate con la giustapposizione di uno o due vani a quello originario, fino ad arrivare allo schema usuale della casa arcaica, con tre ambienti allineati, aperti a sud su un cortile. Nella seconda metà del VII sec. a.C. furono costruiti i muri a delimitazione delle strade e si cominciò a edificare l’area riservata all’agorà. Due lunghe stoài delimitarono a nord e a est la piazza, che aveva il suolo in terra battuta. Due templi con orientamento est-ovest, di dimensioni modeste e senza peristasi, chiudevano la parte meridionale del piazzale, allo sbocco di due strade: uno a est in antis (terzo quarto del VII sec. a.C.), l’altro più grande a ovest con pronao e cella con colonnato centrale (ultimo quarto del VII sec. a.C.).
All’intersezione di due strade, all’angolo nord-occidentale dell’agorà, intorno al 630 a.C. fu eretto un edificio rettangolare a doppia cella, interpretato come l’heroon dell’ecista Lamis. Sullo stesso lato ovest sorsero anche un tempio (databile al 600 a.C. ca.), nettamente arretrato rispetto alla piazza, e nell’angolo sud-occidentale il pritaneo, con tre sale da banchetto allineate e cortile porticato antistante (seconda metà del VI sec. a.C.). A sud dell’agorà, un grande edificio pubblico di forma trapezoidale, con due serie di vani raggruppate intorno a cortili e precedute da un recinto, occupava un intero isolato (seconda metà del VII sec. a.C.), mentre un edificio ad ali fu aggiunto sull’altro lato della strada nel VI sec. a.C. Altri piccoli templi furono costruiti fuori dell’agorà, a nord e a sud-est. Il ritrovamento di un elemento architettonico frammentario attesta l’esistenza anche di un tempio di ordine ionico, databile intorno al 530 a.C. Nel pianoro a sud, meno scavato, sono emersi resti sia di un’area sacra con un tempio prostilo che del tessuto urbano e delle mura arcaiche. Queste, con paramento a grandi blocchi regolari inclinati, furono costruite alla fine del VI sec. a.C. Precedute da un fossato e fortificate da torri semicircolari, avevano un andamento rettilineo nel tratto nord e a quarto di cerchio nei restanti tratti, per una lunghezza complessiva di 1500 m. La necropoli era articolata in tre nuclei principali a nord, a ovest e a sud della città, ma non mancavano tombe isolate in altre aree fuori le mura. La prima necropoli a essere utilizzata densamente nel corso del VII sec. a.C. fu quella meridionale, che si estendeva lungo il mare. I coloni inviati a ripopolare M.H. nel tardo IV sec. a.C. si stabilirono inizialmente su parte del pianoro nord, nella zona compresa tra l’agorà e il mare.
La piccola città, soggetta all’autorità di Siracusa, venne progressivamente sistemata e fu ricostruita sulla base del tessuto arcaico, anche se lo spazio urbano venne organizzato in modo meno rigoroso. Furono edificate case di grandi dimensioni, mentre l’area dell’agorà si ridusse notevolmente. Immediatamente a nord della piazza, fu eretto poco dopo la metà del IV sec. a.C. un piccolo tempio dorico in antis, con ricche modanature ioniche. L’agorà, su cui si affacciavano numerose botteghe, fu delimitata a nord da un portico, più arretrato rispetto a quello arcaico. La parte meridionale fu occupata da un grande complesso termale (prima metà del III sec. a.C.) e da un santuario, con pianta singolare. Una palestra, con ampio cortile per gli esercizi e sale per studio e lettura, si estese per un intero isolato a sud dell’agorà, sulle fondazioni del tempio arcaico di sud-est (fine del IV sec. a.C.). Una potente fortezza, quasi subito distrutta dai Romani, fu eretta nel 214 a.C. a ovest dell’agorà. Le mura, costruite con grandi blocchi squadrati e ben disposti, molti di reimpiego, erano rinforzate da sei torri quadrate, a protezione delle porte. Dopo la distruzione della città, nelle immediate vicinanze e sulle rovine stesse della fortezza sorsero un abitato di case rurali (II-I sec. a.C.) e gruppi di dimore in età tardoromana (III-IV d.C.).
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di Laura Buccino
Città (gr. Συρακούσαι; lat. Syracusae) sulla costa sud-orientale della Sicilia, fondata nel 734/3 a.C. da coloni di Corinto, guidati dall’ecista Archias, della famiglia dei Bacchiadi.
Il territorio scelto contava numerosi insediamenti siculi lungo la costa. Secondo la testimonianza di Tucidide, i coloni corinzi allontanarono violentemente gli indigeni e impiantarono l’abitato a Ortigia (detta poi Nasos, Insula dai Romani) e nell’immediato retroterra, cui allora l’isola era unita da un istmo. Il sito era difeso naturalmente dal mare a sud e a est, dal vasto altopiano dell’Epipole a nord e da un’estesa palude (Lysimeleia) a ovest, alla foce dell’Anapos. Disponeva, inoltre, di due bacini portuali, il cosiddetto Porto Grande a sud e il Lakkios, oggi Porto Piccolo, a nord; la Fonte Aretusa garantiva il rifornimento idrico. In età arcaica la polis dovette essere governata dal regime oligarchico dei gamoroi, i nobili e ricchi proprietari terrieri. La mancanza nelle immediate vicinanze di buoni terreni coltivabili, che si estendevano solo al di là della palude, può spiegare la precoce vocazione espansionistica di S. Nell’interno montuoso abitato dai Siculi furono fondate le subcolonie di Acre (663 a.C.) e Casmene (643 a.C.); sulla costa orientale fu dedotta una colonia presso la foce del fiume Eloro, forse già alla fine del VII sec. a.C., e nel 598 a.C. Camarina sulla costa meridionale.
La politica di espansione territoriale proseguì con i tiranni della dinastia dei Dinomenidi. Gelone, succeduto a Ippocrate quale tiranno di Gela nel 491/90 a.C., nel 485 a.C., chiamato a risolvere un contrasto politico sorto tra i gamoroi e il demos, prese il potere a S., che scelse come capitale del proprio dominio. La deportazione degli abitanti di Camarina nel 484 a.C. e di metà della popolazione di Gela e dei ricchi (pachèis) delle città vicine conquistate, Megara Hyblaea ed Euboia l’anno seguente, e la concessione della cittadinanza a molti dei suoi mercenari determinarono lo sviluppo demografico e urbanistico della città. La potenza di S. fu legittimata dalla vittoria contro i Cartaginesi, conseguita insieme al tiranno di Agrigento Terone a Imera nel 480 a.C. Il notevole arricchimento economico (bottino e prigionieri catturati) consentì ai vincitori di promuovere monumentali progetti urbanistici e architettonici. Gruppi scultorei celebrativi delle vittorie negli agoni atletici e splendidi doni furono dedicati dai tiranni nei santuari panellenici di Delfi e Olimpia.
Il fratello e successore di Gelone, Gerone (478-467 a.C.), continuò con successo la politica espansionistica di S. in Sicilia e fuori dell’isola. Nel 474 a.C. sconfisse gli Etruschi nei pressi di Cuma, allontanandoli dal Tirreno meridionale, e intensificò i rapporti commerciali e culturali con la madrepatria, in particolare con l’area dorica e attica. Chiamò alla sua corte insigni esponenti della cultura greca, come i poeti Pindaro, Bacchilide, Simonide e il grande tragediografo ateniese Eschilo, che celebrarono le sue imprese e le numerose vittorie nei giochi panellenici, e dedicò offerte preziose nei santuari greci. Dopo la cacciata di Trasibulo e la fine della potente dinastia nel 466 a.C., i Siracusani instaurarono un regime democratico, innalzarono una statua colossale a Zeus Eleutherios e stabilirono di celebrare ogni anno le feste Eleutheria per ricordare la liberazione. Alla metà del V sec. a.C. iniziarono le ingerenze ateniesi in Sicilia: Atene inviò una prima volta delle navi in Sicilia in aiuto di Lentini nel 424 a.C., in seguito al celebre discorso del neosofista Gorgia, e nel 415-413 a.C. rispose a un appello dell’alleata Segesta con la famosa spedizione contro S., che si risolse in una dura disfatta.
Dei contrasti interni alla grecità approfittarono i Cartaginesi, che vendicarono la sconfitta del 480 a.C. distruggendo Selinunte e Imera nel 409 e Agrigento nel 406 a.C. La preoccupazione per la minaccia punica favorì a S. l’ascesa al potere di Dionisio I (405-367 a.C.). Il nuovo tiranno stipulò un trattato con Cartagine, che riconosceva l’egemonia punica su tutta la Sicilia occidentale. Nel frattempo fortificò S., reclutò numerosi mercenari campani, consolidò il proprio potere sulle città vicine e poté riprendere l’offensiva contro i Cartaginesi, espugnando Mozia nel 398 a.C. Per estendere il proprio dominio in Italia, Dionisio combatté con l’appoggio di Locri contro Reggio e la Lega italiota e si alleò con i Lucani, impadronendosi di Reggio, Caulonia, Hipponion e Skylletion. Nel 396 a.C. S. fu assediata dalla flotta cartaginese guidata dal generale Imilcone. Nel 383 a.C. i Cartaginesi alleati con la Lega italiota ripresero le ostilità contro il tiranno in Italia e in Sicilia. Alla morte di Dionisio nel 368 a.C., mentre la guerra era in pieno corso, gli successe il figlio Dionisio II.
Nel 366 a.C., dopo la pace negoziata con i Cartaginesi, arrivò alla sua corte Platone, che tentò invano di convincere il giovane tiranno a governare secondo le sue dottrine politiche. Da Corinto fu inviato Timoleonte (346/5-338 a.C.), che instaurò un governo equilibrato, sconfisse i tiranni e i Cartaginesi, stipulando con loro una pace e dando vita a un periodo di rinascita per le città siceliote. Nel 316 a.C. divenne tiranno di S. Agatocle, il suocero di Pirro, che nel 304 a.C. assunse il titolo di re (basileus) e alla morte, nel 289 a.C., restituì volontariamente la democrazia alla città. Dopo la sconfitta di Pirro, prese il potere a S. Gerone II, che assunse anch’egli il titolo di re. La scelta di mantenere buoni rapporti con Roma garantì la fortuna del suo dominio. Alla fine della prima guerra punica, nel 241 a.C., i Romani accordarono l’autonomia a S. e alle città del regno, mentre il resto della Sicilia fu trasformato in provincia. Dopo la morte di Gerone II nel 215 a.C., il figlio Ieronimo si alleò con i Cartaginesi durante la seconda guerra punica. I Romani, sotto il comando di M. Claudio Marcello, assediarono e saccheggiarono S. nel 213/2 a.C., ponendo fine alla sua libertà. Per attaccare le mura, il generale romano colse l’occasione favorevole mentre i Siracusani ebbri celebravano la festa in onore di Artemide, la dea principale della città sin dalla fondazione.
L’abitato pregreco era concentrato dall’età del Bronzo Antico nell’area centrale dell’isoletta di Ortigia, dove sorgeranno l’Athenaion e il tempio ionico, come documentano i resti di capanne e le tombe a grotticella artificiali rinvenute. I recenti scavi in piazza Duomo hanno messo in luce una grande capanna di forma ellittica scavata nella roccia, databile nell’età del Bronzo Antico, e materiali ceramici riferibili alla cultura di Castelluccio. Il rinvenimento di due pozzi per sacrifici dimostra la continuità della destinazione sacra di quest’area di Ortigia. A partire dal XV sec. a.C. (cultura di Thapsos) la frequentazione divenne più intensa. I materiali archeologici documentano un periodo di convivenza di abitanti greci e indigeni (XIV-IX sec. a.C.). I coloni corinzi si stanziarono a Ortigia e nell’immediato entroterra alla fine dell’VIII sec. a.C. L’impianto del primo abitato fu impostato su un asse viario che attraversava tutta l’isola, con andamento nordsud, in linea con la lingua di terra che la univa alla terraferma, e costeggiava i temene dei tre santuari, sicuramente previsti già nella pianificazione iniziale dell’area.
Questa plateia, insieme a un’altra o altre due arterie nord-sud, doveva incrociare una serie di strade minori parallele con andamento estovest (stenopòi), dando vita a una serie di isolati allungati (23-25 x 75 m), secondo il sistema detto per strigas. L’ipotesi della regolare sistemazione urbanistica di età arcaica è stata confermata negli ultimi anni dai risultati degli scavi effettuati nel complesso di Montevergini, nell’area esterna a Palazzo Montalto, in piazza Duomo e nel cortile del palazzo della Prefettura, in cui sono stati rinvenuti un bothros contenente materiale votivo databile dal VII al III sec. a.C. e fossette scavate nella terra, di destinazione cultuale, connesse a una struttura arcaica (stoà?) di blocchi di arenaria, ancora in corso di studio. Le case quadrate dei primi coloni (4 x 4 m) erano monovano, dotate di cortile e focolare, con fondazioni di pietra locale e pavimenti in battuto di pietra gialla e bianca. I muri erano già allineati all’orientamento delle strade, che furono realizzate solo in seguito. Gli scavi eseguiti in vista della ripavimentazione di piazza Duomo nel 1992-93 e nel 1996-98 hanno permesso di acquisire importanti dati sul luogo di culto posto nel punto centrale e più elevato dell’isola di Ortigia, aperto sul Porto Grande.
La nascita della colonia fu sancita dalla costruzione di un oikos rettangolare, databile alla fine dell’VIII sec. a.C., con fondazioni in muratura povera ed elevato di legno o mattoni crudi. Nell’area sacra sono state rinvenute fossette sacrificali (thysiai) e una stupenda oinochoe a fondo piatto di stile protocorinzio, proveniente da una piccola stipe votiva e databile intorno al 670 a.C. Il vaso, che reca sul lato principale la raffigurazione della Potnia theròn, indica che Artemide doveva essere la divinità cui era dedicato il più antico luogo di culto ufficiale di S. Nella seconda metà del VII sec. a.C. il primo sacello fu incorporato in un tempio monumentale, di cui restano le fondazioni scavate nella roccia. Gli oggetti rinvenuti in due pozzi votivi attestano che questo edificio rimase in uso sino alla fine del VI sec. a.C. L’area sacra era costeggiata lungo il margine orientale dalla strada principale nord-sud, che tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. venne inglobata nel santuario, con la costruzione di un ingresso monumentale. La prima agorà doveva trovarsi nelle adiacenze di piazza Duomo, dove sono state rinvenute botteghe di ceramisti, attivi sin dal VII sec. a.C.
Nel primo quarto del VI sec. a.C. fu eretto il tempio di Apollo, il più antico periptero della Sicilia, costruito con blocchi di arenaria, entro un temenos, di cui rimangono resti del muro. L’edificio è caratterizzato da una forma molto allungata e da colonne monolitiche di ordine dorico, tozze e pesanti, divise da intercolumni strettissimi e con architrave particolarmente alto. La fronte orientale era enfatizzata da una doppia fila di colonne. La trabeazione era completata in legno e decorata con terrecotte policrome. Sullo stilobate è incisa un’iscrizione, di problematica integrazione, che ricorda il nome dell’architetto (da alcuni inteso, però, come l’epistates che sovrintese alla costruzione del tempio) e pone l’accento sul colonnato, realizzato in pietra per la prima volta in Sicilia: “Kleomenes (o Kleomedes) fece per Apollo, il figlio di Knidieida e innalzò le colonne, opere belle”. L’Athenaion appare preceduto da un tempio arcaico dorico, costruito in legno e con decorazione fittile policroma, cui viene attribuita anche la celebre lastra con la Gorgone (già riferita da S. Benton alla fronte di un altare e datata alla metà del VII sec. a.C., negli studi più recenti collocata intorno al 570-550 a.C. e ritenuta pertinente alla decorazione frontonale o metopale del tempio arcaico). Sotto il palazzo del Senato, a nord dell’Athenaion, è stato messo in luce un tempio ionico, iniziato dai gamoroi alla fine del VI sec. a.C. e rimasto probabilmente incompiuto, all’insorgere della tirannide. L’edificio periptero, identificato con un Artemision, documenta la presenza a S. di maestranze samie.
La città si estese ben presto anche sulla terraferma antistante Ortigia, nel quartiere di Acradina, che occupava la parte orientale dell’altopiano di S. I confini dell’abitato arcaico, che era circondato da mura, secondo la testimonianza di Tucidide, sono segnati dai percorsi di antichi corsi d’acqua e dalle necropoli, disposte a semicerchio intorno all’area urbana. La necropoli del Fusco, posta a sud-ovest, è di gran lunga la più vasta ed è utilizzata dall’inizio della colonizzazione alla tarda epoca romana. Da qui proviene il singolare cavallino bronzeo di stile geometrico, databile nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. La necropoli dell’ex Giardino Spagna, a nord, utilizzata dalla metà del VII sec. a.C. alla fine dell’età arcaica, e quella di Santa Lucia, in uso dal 600 a.C. circa, documentano l’ampliamento della città in epoca arcaica. Circa 1 km a ovest di Acradina sorgeva il santuario di Apollo Temenites, il cui altare più antico risale alla fine del VII sec. a.C. e in cui sono state individuate le fondazioni di un tempio arcaico. Una gradinata rettilinea datata nel VI sec. a.C. è stata connessa a esigenze di culto dell’adiacente santuario di Demetra e Kore. Nella prima metà del VI sec. a.C. si data l’Olympieion sorto sull’altura a sud della città, al di là del fiume Anapos. Il tempio, un periptero dorico decorato da terrecotte architettoniche, simile al coevo Apollonion, fu incluso in un secondo momento in una cittadella fortificata, la Polichne.
Sotto la tirannide di Gelone, Acradina fu cinta da un nuovo muro, che ricalcava per lo più il circuito arcaico. Gelone fece realizzare l’agorà ad Acradina, presso l’istmo, in un punto più aperto ai traffici rispetto a quella di Ortigia (piazza del Foro Siracusano). Nelle vicinanze sono state rinvenute case di VII-VI sec. a.C. Sappiamo dalle fonti che la piazza doveva essere adorna dei principali monumenti pubblici, come il pritaneo e il bouleuterion. Gelone fece potenziare gli arsenali del Lakkios, creò attrezzature portuali per la potente flotta e presumibilmente acquedotti. Nel programma architettonico inteso a celebrare la vittoria sui Cartaginesi si annovera anche l’Athenaion, ricostruito nell’isola di Ortigia sul luogo del precedente tempio arcaico, in un’area opportunamente livellata e ampliata. L’edificio fu costruito in ordine dorico canonico in calcare locale, ma con le tegole del tetto, la sima a protomi leonine e la cornice di marmo pario. Sappiamo dalle fonti scritte che il frontone orientale era ornato con uno scudo dorato, isolato o imbracciato da una statua di Atena. Il tempio era celebrato nell’antichità per i preziosi doni votivi dedicati nel santuario.
La crescita demografica comportò lo sviluppo di due nuovi sobborghi di Acradina, uno a nord, di cui non conosciamo il nome del tempo, e quello di Temenites a ovest, nei pressi dell’omonimo santuario di Apollo, dove si trovava anche il teatro, nel quale nel 470 a.C. furono rappresentati I Persiani di Eschilo. A Temenites, Gelone e Gerone innalzarono templi nel santuario preesistente di Demetra e Kore. In questo periodo si segnala un’intensa attività delle cave di calcare delle Latomie. Il sepolcro monumentale di Gelone e Damarete, costruito nei possedimenti di quest’ultima, nelle vicinanze dell’Olympieion, fu distrutto dal generale cartaginese Imilcone, che ne riutilizzò le pietre per costruire l’accampamento durante l’assedio del 396 a.C., mentre le nove torri di cui era munito furono abbattute da Agatocle nel 317 a.C. Durante il regime democratico, nel 463-461 a.C., furono ampliate le mura arcaiche contro i mercenari che Gelone aveva stanziato a Ortigia e Acradina. Nell’inverno 415/4 a.C. per fronteggiare l’assedio degli Ateniesi accampatisi intorno all’Olympieion, i Siracusani costruirono a nord un nuovo muro, che correndo lungo le pendici dell’altopiano delimitava la città verso le Epipole e racchiudeva il sobborgo Temenites e probabilmente anche quello settentrionale, ancora scarsamente abitato.
Nel 414 a.C. gli Ateniesi distrussero i canali sotterranei che portavano l’acqua in città e costruirono un forte sul Labdalon, nella zona nord-orientale dell’altopiano, e sul margine meridionale del pendio delle Epipole il kyklos, un circuito murario di accerchiamento diretto verso la costa, previsto per una lunghezza di 4,7 km, ma non completato nell’ultimo tratto. I Siracusani eressero in difesa muri trasversali. Sotto la tirannide di Dionisio I iniziò la costruzione del circuito difensivo delle Epipole. In cinque anni (402-397 a.C.) furono completate le mura nord, dall’Eurialo alla Scala Greca; più tardi le mura sud, per una lunghezza totale di 180 stadi (27 km ca.), secondo Strabone. Problematica è la datazione del forte in cima alle Epipole, il Castello Eurialo (posto anche nell’età di Agatocle), più volte rimaneggiato nei secoli per adattarlo alle esigenze strategiche. Dionisio fece circondare di portici l’agorà presso l’istmo, vi fece costruire un grandioso orologio solare visibile da lontano e rinnovò le fortificazioni di Acradina e di Ortigia, che fu separata da Acradina mediante un muro munito di torri, abbattuto nel 214 a.C. Una seconda cinta interna racchiuse gli arsenali del Porto Piccolo e la reggia costruita da Dionisio, che ospitava i fedeli del tiranno e i mercenari. Il palazzo (cd. tyranneia), noto solo dalle fonti, comprendeva giardini, portici, statue, armerie e magazzini. La roccaforte fu distrutta da Timoleonte (346/5- 338 a.C.), che ricavò dal suo spianamento un’agorà a Ortigia.
Ad Acradina gli scavi sotto piazza della Vittoria hanno messo in luce un santuario di Demetra e Kore, obliterato da abitazioni di età ellenistico-romana, con tempio tetrastilo, altare e fontana monumentale. La ricca stipe ha restituito migliaia di ex voto, databili tra la fine del V e i primi decenni del IV sec. a.C. Nell’epoca di Dionisio I il sobborgo settentrionale di Acradina assunse la denominazione di Tyche, da un antichissimo tempio della dea, e venne intensamente urbanizzato. Il piccolo quartiere, privo di mura proprie, ospitava numerosi edifici sacri e un ginnasio. Sotto Dionisio conobbero un notevole sviluppo le Latomie settentrionali di Santa Venera e del Paradiso (dove si trova il celebre Orecchio di Dionisio), che erano usate anche come prigioni di stato. In concomitanza con l’arrivo di nuovi abitanti da Corinto, dal resto della Grecia propria, dalla Magna Grecia e dalla Sicilia, il sobborgo di Temenites si sviluppò al di là delle mura del 415 a.C., probabilmente rinforzate e rinnovate negli anni seguenti di fronte alla minaccia cartaginese. Il quartiere residenziale nella parte nordoccidentale di Temenites, sorto su una serie di necropoli in uso dal VII al V sec. a.C., prese il nome di Neapolis e venne incluso nel circuito difensivo delle Epipole.
Il quartiere era incentrato su una grande arteria est-ovest, che allineata con la fronte del teatro doveva giungere sino in contrada Fusco. Il tracciato è stato identificato a ovest fino all’area dei grandi monumenti della Neapolis e all’estremità est, all’altezza di piazza S. Lucia, intersecava un asse perpendicolare nord-sud, in asse con l’istmo e con l’arteria principale di Ortigia. Questa strada, documentata dagli strati archeologici dal V sec. a.C., ma forse anteriore, costituiva un antico collegamento viario verso la necropoli del Fusco e divenne l’asse portante del vasto sistema urbanistico di Acradina. Nell’area compresa tra viale Cadorna e l’anfiteatro, a nord dell’arteria, l’impianto (assegnato al IV-III sec. a.C.) fu organizzato in una serie di isolati rettangolari nord-sud, larghi 38 m, ortogonali all’asse principale. A sud dell’arteria, l’impianto precedente (forse di età dionigiana) mostra gli isolati disposti con un orientamento differente, nord-ovest/sud-est. Nell’area attorno a piazza S. Lucia è stato identificato il quartiere dei vasai (Ceramico), attivo tra il IV sec. a.C. e il I-II sec. d.C. Alla morte di Timoleonte fu eretto ad Acradina, intorno alla sua tomba, il Timoleontion, un ginnasio circondato da portici e munito di palestre.
Agatocle (317-289 a.C.) costruì a Ortigia un’enorme dimora, la cosiddetta Casa delle 60 Klinai, e ornò la cella del tempio di Atena con una serie di tavole dipinte, che raffiguravano un combattimento della cavalleria contro i Cartaginesi, e una galleria di 27 ritratti di tiranni e re di Sicilia, tutte opere derubate da Verre. Lungo la riva del Porto Piccolo fece erigere torri, recanti il suo nome iscritto con mosaico di pietre multicolori. Anche Gerone II (275-215 a.C.) stabilì la propria reggia a Ortigia, dove un tempo si trovava quella di Dionisio I, che divenne poi la sede dei governatori romani, e costruì nell’isola granai pubblici fortificati, cinti di mura in opera quadrata. Sotto di lui si ebbe la massima espansione di S. (325 ha), che viene descritta come una pentapoli, costituita da Ortigia, Acradina, Tyche, Neapolis ed Epipole, quest’ultima mai veramente edificata. Il quartiere di Neapolis fu munito di mura proprie e monumentalizzato attraverso la creazione di una grande area pubblica, dove venne ristrutturato il teatro (240-230 a.C.). Quest’opera, ricavata quasi interamente nella roccia del colle Temenites, era rivolta verso il mare ed era allineata al sistema viario.
A sud-est del teatro, Gerone fece erigere un’ara lunga uno stadio (198 m), per i sacrifici pubblici, con scale di accesso ornate da Telamoni, datata alla fine della prima guerra punica, intorno al 240 a.C. In età romana fu sistemata la piazza antistante all’ara e fu costruito l’anfiteatro, datato in età augustea in base a studi recenti, all’estremità ovest dell’arteria principale dell’impianto di Neapolis. Sulla terrazza che sovrastava il teatro, Gerone fece ristrutturare in maniera scenografica il santuario arcaico di Apollo Temenites, che fu racchiuso entro una monumentale stoà a U, le cui estremità raggiungevano il margine della terrazza, inquadrando perfettamente la struttura del teatro, con il quale il portico veniva a formare un complesso organico. Le due strutture templari poste all’estremità meridionale del braccio orientale del portico precipitarono in seguito a crolli nella sottostante Latomia del Paradiso, davanti all’Orecchio di Dionisio. La terrazza che dominava il teatro a nord-est era occupata dal santuario di Demetra e Kore, costituito da due templi, orientati nord-sud, e due piazzali, entro un recinto sacro. Gerone fece costruire, inoltre, un vasto ginnasio e un nuovo Olympieion nell’agorà, nel quale pose le spoglie dei Galli e degli Illiri donategli dai Romani.
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di Laura Buccino
Città (gr. Τάρας; lat. Tarentum) della Puglia sul golfo omonimo nel Mar Ionio, fondata nel 706 a.C. da coloni di Sparta, guidati dall’ecista Falanto, i cosiddetti Partheniai.
In base alla versione di Antioco, questi erano figli di Spartiati che per essersi rifiutati di partecipare alla prima guerra messenica erano stati ridotti al rango di iloti. Dopo che la congiura da loro ordita nel santuario di Amyklai durante le feste iacinzie fu sventata, seguendo il responso dell’oracolo di Delfi, furono espulsi e si diressero sulla costa pugliese. Secondo Eforo di Cuma, invece, i Parteni erano i figli che le vergini spartane ebbero durante la guerra messenica al di fuori del matrimonio. Non considerati cittadini di pieno diritto, ordirono una vana congiura insieme agli iloti nell’agorà di Sparta, dopo la quale partirono per fondare la colonia. Le fonti antiche citano come meta della spedizione e primo luogo dell’insediamento Satyrion, che sarebbe il nome prelaconico del sito dove sorgerà T. e più precisamente dell’acropoli. I coloni spartani cambiarono il nome dell’insediamento preesistente dandogli quello del fiume Taras, che scorreva nel territorio. Altri studiosi hanno ipotizzato, invece, un’occupazione precedente del promontorio di Saturo, 12 km a est di T. Il nome della località potrebbe derivare dalla presenza di un santuario dedicato alla ninfa Satyria, presso la fonte omonima, che ha restituito ricche stipi votive risalenti al VII sec. a.C., deposte nelle grotticelle naturali.
La città greca fu fondata su una penisola, designata come acropoli da Strabone, sulla quale oggi insiste la Città Vecchia, nel luogo di un esteso abitato indigeno, con relativa necropoli di tombe a fossa scavate nella roccia, che venne obliterata dopo una bonifica rituale. La penisola era legata alla terraferma da un istmo, oggi tagliato da un canale navigabile, che divide le due insenature dette rispettivamente Mare Grande (Tarentinus sinus) e Mare Piccolo (Tarentinus portus). I coloni lacedemoni, per occupare il territorio, dovettero combattere contro gli Iapigi. Dagli inizi del V sec. a.C. gli scontri si fecero frequenti. In seguito alle vittorie conseguite, i Tarantini nella prima metà del V secolo dedicarono nel santuario di Delfi due gruppi scultorei, descritti da Pausania. Nel 473 a.C. subirono, però, una grave sconfitta, ricordata da Erodoto e altre fonti, nonostante l’aiuto fornito dall’alleata Reggio. Lo squilibrio sociale causato dal disastro portò alla caduta del regime aristocratico e all’instaurazione di un governo democratico, definito politeia da Aristotele. La guerra con Thurii per il controllo della Siritide sfociò nella fondazione di Eraclea nel 433 a.C. Nel corso della guerra del Peloponneso, T. si schierò contro Atene dalla parte della metropolis, accogliendo in due riprese la flotta spartana nel 414 a.C. Negli anni seguenti la città conobbe un periodo di espansione economica e culturale, che culminò con il governo del pitagorico Archita (367-361 a.C.), eletto massimo stratega per sette anni consecutivi, al tempo del quale T. assunse il comando della Lega italiota, con sede a Eraclea.
Nella seconda metà del IV sec. a.C. la prosperità economica non corrispose a un’adeguata potenza militare e nelle lotte contro gli indigeni e i Romani T. dovette invocare più volte l’aiuto di condottieri stranieri: nel 344 a.C. il re di Sparta Archidamo, rimasto ucciso nel 338 a.C.; nel 334/3 a.C. Alessandro il Molosso, re dell’Epiro e zio di Alessandro Magno, morto in battaglia contro i Bretti nel 331 a.C. Alla fine della seconda guerra sannitica, nel 304 a.C. T. fu affiancata contro i Lucani dal figlio del re di Sparta Cleonimo e in seguito da Agatocle di Siracusa. I Romani, violando un trattato concluso con T. nel 302 a.C., nel 282 a.C. posero un presidio a Thurii. T. in risposta saccheggiò la città, determinando lo scoppio della guerra nel 281 a.C. In difesa di T. intervenne Pirro, re dell’Epiro, che vinse i Romani a Eraclea e ad Ausculum in Daunia, ma, dopo una parentesi di battaglie in Sicilia, fu sconfitto a Maleventum nel 275 a.C. Nel 272 a.C. il capo del presidio che Pirro aveva lasciato a T. consegnò la città ai Romani, che ne fecero una loro alleata. Nel corso della seconda guerra punica, nel 213 a.C., i Tarantini fecero entrare Annibale senza opporre resistenza. I Cartaginesi tennero la città fino al 209 a.C., cioè fino alla riconquista e al saccheggio da parte di Q. Fabio Massimo, che portò via numerose opere d’arte, tra cui celebri bronzi di Lisippo. Il trattato di pace del 202 a.C. poneva T. nella condizione di civitas foederata. Nel 122 a.C. fu dedotta la colonia marittima di Neptunia. Nell’89 a.C. dopo la guerra sociale fu istituito il municipium, che inglobò poco tempo dopo la colonia romana.
I coloni spartani si stabilirono sulla penisola e sull’area adiacente all’istmo. I primi corredi tombali rinvenuti con materiali greci, databili allo scorcio dell’VIII sec. a.C., confermano la cronologia della fondazione indicata dalle fonti. L’impianto urbano, fortemente condizionato dalla conformazione del luogo, doveva essere impostato su un’arteria principale longitudinale (ovest-est), da cui partivano percorsi trasversali minori. Le tracce di lastricati rinvenuti risalgono però all’età romana-bizantina. Dalla metà del VI sec. a.C. l’acropoli fu cinta da fortificazioni sui lati brevi e sul lato nord, a difesa del porto interno, mentre il lato sud era protetto naturalmente dall’erta scogliera rocciosa. Un ampio tratto di muro difensivo arcaico è stato rinvenuto a largo S. Martino, sul margine settentrionale del promontorio. Nell’acropoli rimangono i resti di due grandi templi dorici. All’estremità orientale, all’ingresso del promontorio, fu costruito in pietra nel primo quarto del VI sec. a.C. il tempio di piazza Castello (di cui si conservano due colonne), attribuito tradizionalmente a Poseidon. In posizione simmetrica, a ovest, si ergeva il tempio sottostante la chiesa di S. Domenico, che doveva dominare l’ingresso al porto. L’edificio periptero di età arcaica fu ricostruito nella prima metà del V sec. a.C. La grande agorà, ricordata dalle fonti, doveva trovarsi all’esterno dell’acropoli, al di là dell’istmo, nella zona detta oggi Borgo Nuovo.
Aree di culto sono state individuate in località Pizzone, dove si trovava un santuario di Demetra e Kore, incluso entro il circuito murario dopo la ristrutturazione, e a fondo Giovinazzi, sulla costa del Mare Piccolo, al margine orientale dell’abitato, dove sono state rinvenute numerose terrecotte votive. In piazza del Carmine, sul versante meridionale, sono stati scoperti pozzi sacri riferiti a un santuario dei Dioscuri. A est dell’abitato si estendeva la vasta necropoli arcaica. Le tombe, per lo più del tipo a fossa, erano organizzate in gruppi, probabilmente ricollegabili ad associazioni familiari, dislocati lungo le direttrici che collegavano la città con il territorio. Dalla seconda metà del VI sec. a.C. furono costruite alcune notevoli tombe a camera, arredate con klinai e ornate da terrecotte architettoniche, pertinenti al ceto dominante. La necropoli cominciò a essere sistemata in maniera regolare, organizzata su assi viari ortogonali. I ricchi corredi mostrano il ruolo centrale del simposio e degli agoni atletici nell’ideologia aristocratica, come quello della Tomba dell’Atleta, rinvenuta nel 1959 nelle fondamenta di uno stabile in via Genova. Quattro anfore panatenaiche, di cui tre conservate, attribuite alla bottega del Pittore di Kleophrades (500-480 a.C.), erano collocate ai quattro angoli della fossa. L’atleta, deposto in un monumentale sarcofago di carparo, aveva ottenuto questi vasi, contenenti il pregiato olio attico, come premio per le sue vittorie ai giochi panellenici di Atene, presumibilmente nelle specialità del salto in lungo e del lancio del disco, raffigurate su una delle anfore rinvenute, come parrebbero confermare le analisi dei resti scheletrici.
La trasformazione politica seguita alla sconfitta militare della classe aristocratica nel 473 a.C. e la grande crescita economica e demografica determinarono un’estensione verso est dell’abitato, che andò a sovrapporsi alle tombe della necropoli arcaica. Alla metà del V sec. a.C. risale la sistemazione e l’ampliamento della cinta muraria, composta da lunghi tratti rettilinei, che arrivò a recingere una superficie di 510 ha. Le mura furono costruite con blocchi parallelepipedi di tufo locale a doppia cortina, congiunta da setti trasversali e riempita con terra e pietrame. In alcuni punti, la fortificazione era rinforzata dalla presenza di un fossato, come nel tratto vicino al Mare Piccolo e nell’angolo sud-est. Finora non sono state individuate le porte. Le mura, o almeno alcuni tratti, furono abbattute in seguito alla conquista romana del 272 a.C., come hanno confermato le indagini archeologiche sul lato est. Un nuovo muro di difesa, più stretto e costruito di fretta con il carparo, risale probabilmente all’età annibalica. La nuova sezione dell’abitato, estesa tra l’agorà e un asse nord-sud (oggi via Duca degli Abruzzi), che segnava il limite con la necropoli, fu organizzata secondo un impianto ortogonale. I piccoli isolati di forma rettangolare, racchiusi con blocchi quadrati più ampi, erano distinti dalle strade più larghe ad andamento est-ovest (plateiai), intersecate da assi viari minori nord-sud.
Oltre alla grande agorà a est dell’acropoli, le fonti ricordano anche il mercato della carne e quello delle stoffe, situato sulla costa del Mare Piccolo, a nord-est della piazza principale, dove sono rimaste le tracce della lavorazione dei murici e dell’estrazione della porpora. Gli impianti dei vasai erano localizzati soprattutto lungo il Mare Grande, nella zona dell’Ospedale Nuovo, ai margini dell’abitato, dove sono state rinvenute numerose fornaci (VII-I sec. a.C.), mentre non si hanno dati sufficienti per l’identificazione delle officine adibite alla lavorazione della pietra e dei metalli. Nella fascia costiera prospiciente il Mare Piccolo, invece, si trovavano le strutture portuali, con i relativi impianti artigianali e commerciali. Agli inizi del V sec. a.C. deve risalire l’edificio quadrangolare scoperto vicino all’agorà, con cavea e orchestra, interpretato come auleuterion o bouleuterion. Nel IV secolo fu costruito il tempio ionico, rinvenuto a est dell’agorà. Tra il nuovo limite dell’abitato e la cinta muraria si sviluppò la necropoli, inusualmente compresa entro le mura, che riprendeva parzialmente il sistema ortogonale urbano, con caratteristiche diverse a seconda delle zone. La necropoli conobbe uno straordinario incremento tra la fine del IV e il III sec. a.C. Alle tipologie tombali arcaiche si aggiungono quelle a cassa e a semicamera. Dalla metà del IV sec. a.C. torna il lusso funerario privato e diventa sempre più frequente il rito della cremazione.
Lo splendore della città in questo periodo è documentato dai corredi più ricchi, comprendenti numerose oreficerie, e dalla ripresa delle tombe a camera, segnalate in modo monumentale da naiskoi, che presentano una decorazione scultorea in pietra (IV-II sec. a.C.). Lo spazio della necropoli appare diviso in lotti, delimitati da strade perpendicolari, con un’area di servizi comune. In altre zone si osservano file di tombe uguali, pertinenti a thiasoi (associazioni). All’estremità sud-orientale, due tombe a camera costruite in blocchi, strette e lunghe, che contenevano resti e corredi di numerosi individui cremati, sono state interpretate come sepolture pubbliche per defunti di guerra (fine IV - primo quarto del III sec. a.C.). Nel III sec. a.C. vennero ricostruite le strutture difensive dell’acropoli, dove si impiantarono guarnigioni e presidi, al tempo delle guerre contro gli Italici e i Romani. Discussa rimane la collocazione del teatro greco, luogo in cui i Tarantini decisero l’attacco alle navi romane e che secondo un’ipotesi si trovava sulla riva del Mare Piccolo, sopra il porto, connesso al santuario di fondo Giovinazzi, mentre altri, sulla scorta della testimonianza delle fonti, preferiscono ubicarlo nei pressi dell’agorà, sulla costa del Mare Grande.
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