I tecnici: una terza via tra partiti e antipolitica
Il governo Monti nasce in uno scenario internazionale che vede ridursi ovunque la credibilità della politica, incapace di rappresentare gli interessi delle generazioni future. Ma alcuni ministri, per quanto competenti, restano legati ai settori economici da cui provengono.
Nel novembre 2011 l’Italia ha fatto l’esperimento di affidarsi in via temporanea a un governo ‘tecnico’ di non eletti, sostenuto da una ‘grande coalizione’, per fermare una crisi dove la debolezza economica e finanziaria del paese, sottolineata dalla pessima congiuntura internazionale, entrava in un circolo vizioso con lo stallo della politica.
Quale che siano i suoi esiti, l’esperimento è interessante perché collocato in un difficile quadro internazionale dove molti paesi sperimentano i limiti dei governi democratici tradizionali nell’assumere le decisioni necessarie. A parte i casi estremi come la Grecia, dove un altro tecnico ha cercato di presiedere il governo, il 2012 non ha visto brillare per qualità importanti competizioni elettorali come quella statunitense o francese.
La credibilità della politica si riduce ovunque: di fronte alle sfide del momento un articolo del Financial Times ha definito Cameron un «dilettante». In uno scenario dominato dalla crisi economica sono soprattutto le politiche economiche a evidenziare l’inceppamento dei consueti processi di decisione democratica. Fra l’altro, il ruolo dei debiti pubblici nella crisi mostra la carenza delle democrazie nel rappresentare gli interessi delle ‘generazioni future’ superando la miopia dei governi che guardano a breve e scialacquano il benessere di lungo termine dei cittadini.
I problemi dei governi eletti nelle odierne democrazie hanno diverse cause. Il tramonto delle leadership socioculturali premoderne rende difficile sostituirle con gruppi di potere più legittimati, ma anche coesi, qualificati e lungimiranti.
Le interdipendenze globali rendono le istituzioni statali inadatte a fronteggiare bisogni collettivi sovranazionali. L’efficienza selettiva delle elezioni si è ridotta man mano che il suffragio universale ha incentivato la semplificazione dei messaggi, con l’invadenza e la massificazione dei mezzi con cui vengono fatti circolare, con il condizionamento che il denaro esercita su costose macchine di propaganda.
La vastità dei settori pubblici distorce il potere di chi è eletto e opacizza i suoi rapporti con la burocrazia e con gruppi di interessi privati. Di fronte a questo insieme di problemi, aumentare il ruolo e i poteri di ‘tecnici’ non eletti nel funzionamento delle democrazie presenta almeno due ordini di potenziali benefici e una serie di pericoli.
Un primo beneficio può essere la facilitazione dell’azione collettiva che sacrifica interessi particolari a favore dell’interesse generale. L’azione collettiva stenta quando i singoli non hanno sufficiente incentivo per mobilitarsi e si rassegnano al mancato perseguimento dell’interesse generale in cambio della difesa del loro particolare. Serve allora un’imprenditoria politica che raccolga il consenso implicito e disperso e lo usi per riforme che beneficino la collettività. Quando la competizione politica è troppo disgregante e gli interessi particolari troppo forti, questa ‘impresa’ richiede grandi coalizioni di emergenza e il passo indietro dei partiti, come è successo in Italia dopo la caduta di Berlusconi.
Ma le coalizioni trasversali hanno bisogno di un braccio operativo, insieme esecutivo, propositivo, coordinatore. In questo i tecnici non eletti possono svolgere un ruolo essenziale, convogliando l’armistizio politico verso risultati concreti. Napolitano, Monti e i partiti hanno discusso se includere nel governo anche rappresentanti politici della coalizione. Si è scelto di non includerli e i risultati diranno anche della giustezza della scelta.
Il secondo beneficio che i governi democratici possono cercare nelle tecnocrazie riguarda il problema della credibilità che, quando manca, indebolisce l’azione politica. Come un genitore credibile può evitare di urlare per farsi obbedire dai figli, un politico credibile può ottenere i risultati desiderati con minor attrito socio-economico. La ricerca del consenso a breve induce spesso i politici a non mantenere le promesse, ad agire in modo incoerente, perdendo credibilità. Può allora convenire anche a loro affidare a non eletti il mandato a realizzare le strategie che promettono, ‘legandosi le mani’ per non interromperne l’azione, che è di natura meno sensibile alle sirene dell’incoerenza, dell’opportunismo di breve andare, dell’effimero e prossimo vantaggio elettorale. Ai politici rimane il compito di controllare, sulla base di una rendicontazione trasparente e oggettiva, i risultati e la conformità al mandato dell’azione dei non eletti. L’esempio più noto è quello dell’affidamento delle politiche monetarie a banche centrali indipendenti che hanno più credibilità dei politici nel tenere basse le attese di inflazione.
La tecnocrazia, come metodo per accrescere la credibilità degli impegni politici, è preziosa anche nelle relazioni internazionali, dove agenzie tecniche ‘sovranazionali’ aiutano a garantire reciprocamente gli Stati che contraggono accordi, in mancanza di vere autorità capaci di forzarne l’esecuzione. Da questo punto di vista l’Unione Europea, che ha visto evolvere faticosamente anche nel 2012 l’equilibrio fra tecnocrazia comunitaria e politica intergovernativa, è un laboratorio di innovazione e sperimentazione per il mondo, dove la crisi economica è anche crisi delle democrazie nazionali nell’organizzare il governo della globalizzazione. A fronte dei benefici, l’ingresso dei non eletti in politica presenta costi e pericoli. Fra i più importanti ci sono quelli connessi agli interessi corporativi delle burocrazie tecniche e alla loro ‘cattura’ da parte di lobby di governati. Il ‘tradimento dei chierici’ è più opaco e dannoso di quello di politici di parte.
Nel governo Monti, per esempio, il fatto che il ministro della Giustizia sia un avvocato, quello della Difesa un ammiraglio, quello dell’Istruzione un rettore, quello dello Sviluppo economico un banchiere, e così via, garantisce la competenza ma non l’autonomia dai rispettivi settori governati, circa la quale si può essere rassicurati solo da un sovrappiù di trasparenza del loro operato e dalla loro credibilità personale. C’è anche il pericolo che manchino dell’esperienza politica necessaria per ottimizzare il loro rapporto con la coalizione che li appoggia e con l’opinione pubblica: sempre prendendo esempio dall’esperimento italiano, un pericolo del genere si è manifestato nella complessa vicenda della riforma del mercato del lavoro. Inoltre, l’uso di non eletti, protetti da una soglia di competenza tecnica, può complicare il ripudio di governi indesiderati. Ci potrebbe poi essere il fallimento, anche in buona fede, dell’azione dei tecnici non eletti, che può avere effetti più scoraggianti e disorientanti del fallimento di chi risponde agli elettori. Comunque verrà giudicato l’esito dell’esperimento italiano nel delegare per qualche tempo il governo ai non eletti, è probabile che si riveli istruttivo per la politologia e per paesi con esigenze analoghe, oggi come in futuro.
Cause profonde di sfiducia
Il calo della fiducia degli italiani nelle istituzioni politiche e di governo (ma anche in quelle sociali ed economiche) può essere letto senz’altro come una conseguenza della crisi economica e finanziaria in corso ormai dal 2007-08 o, più esattamente, dell’insoddisfazione per i rimedi fin qui proposti dalle istituzioni italiane ed europee. Particolarmente significativo appare infatti il declino della fiducia nell’Unione Europea, rimasta più o meno stabile fino al 2010 e calata nettamente nel periodo in cui, mentre si acuiva la crisi dei debiti sovrani, non si percepiva una reazione decisa e unitaria dei paesi dell’eurozona. In una prospettiva di più lungo periodo, tuttavia, non vanno dimenticati due dati meno evidenti e immediati che esercitano probabilmente un’influenza forse nascosta, ma notevole, nella percezione delle masse.
Il primo è il ricordo della prova, a volte fallimentare, data dalle classi dirigenti italiane in alcuni cruciali momenti di crisi della storia nazionale (per esempio, dopo la Prima guerra mondiale e durante la Seconda, in particolare all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943); il secondo, solo in parte collegato al primo, è lo scollamento sempre esistito tra le élite politiche ed economiche da un lato e gran parte della popolazione dall’altro.
Anche se l’Italia di oggi non è più il paese ‘duale’ che è stato per un buon periodo della storia unitaria in cui a una classe dirigente fortemente ‘europeizzata’ si contrapponeva una popolazione in maggioranza rurale e analfabeta, il retaggio di un passato tutto sommato recente persiste forse in forme diverse, nonostante l’opera di integrazione delle classi popolari nello Stato perseguita con tenace coerenza dai grandi partiti di massa durante tutta la prima Repubblica.
I ministri del governo Monti
■ Presidente del Consiglio dei ministri - Mario Monti (n. Varese, 1943). Commissario europeo per il Mercato interno nella commissione Santer tra il 1995 e il 1999; commissario europeo per la concorrenza fino al 2004; presidente del Bruegel (comitato di analisi delle politiche economiche) tra il 2005 e il 2008; international advisor per Goldman Sachs tra il 2005 e il 2011; presidente europeo della Commissione Trilaterale nel 2010. Da questi incarichi si è dimesso il 24 novembre 2011, quando è stato nominato presidente del Consiglio.
■ Affari europei - Enzo Moavero Milanesi (n. Roma, 1954). Giudice e poi presidente di sezione presso il tribunale dell’Unione Europea (Corte di giustizia dell’Unione Europea) a Lussemburgo dal 2006 al novembre 2011.
■ Affari regionali, turismo e sport - Piero Gnudi (n. Bologna,1938). Membro della giunta direttiva di ASSONIME; consigliere di amministrazione e vicepresidente di Unicredit; presidente, membro del consiglio di amministrazione e del comitato direttivo di Confindustria; presidente dell’ENEL; presidente e amministratore delegato di IRI; presidente di Rai Holding, Locat, Astaldi; membro del consiglio di amministrazione o sindaco di ENI, ENICHEM, STET, Merloni, Ferrè, Beghelli, IRCE; membro del consiglio generale dell’Aspen Institute e del comitato direttivo del consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti.
■ Coesione territoriale - Fabrizio Barca (n. Torino, 1954). Dal 2010 fino alla nomina a ministro è stato consigliere speciale del Commissario europeo per la politica regionale.
■ Rapporti con il Parlamento - Piero Giarda (n. Milano, 1936). Vicepresidente e poi consigliere del Consiglio di sorveglianza del Banco Popolare, dal luglio 2007 al novembre 2011; presidente del comitato per la finanza locale della Provincia Autonoma di Trento fino al novembre 2011; presidente di Cassa del Trentino dal 2005 al novembre 2011; presidente del collegio dei revisori del Fondo Interbancario di Garanzia dei Depositi, dal 2010 al novembre 2011; consigliere dell’Istituto europeo di oncologia dal 2007 al novembre 2011; coordinatore della commissione su ‘bilancio e patrimonio pubblico’ presso il ministero dell’Economia e finanze nel 2010-2011.
■ Cooperazione internazionale e integrazione - Andrea Riccardi (n. Roma, 1950). Nel 1968 ha fondato la Comunità di Sant’Egidio, oggi diffusa in 70 paesi del mondo.
■ Pubblica amministrazione e semplificazione - Filippo Patroni Griffi (n. Napoli, 1955). Presidente di sezione del Consiglio di Stato dal 2009 al novembre 2011; componente della commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni.
■ Affari esteri - Giulio Terzi di Sant’Agata (n. Bergamo, 1946). Ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti. La lunga carriera di diplomatico lo ha visto direttamente impegnato nelle scelte della politica estera italiana sui principali temi della sicurezza internazionale e della tutela e promozione dell’interesse nazionale, anche nel campo dell’impresa, della cultura e della ricerca.
■ Interno - Anna Maria Cancellieri (n. Roma, 1943). Al ministero dell’Interno dal 1972 al 2009. Nominata commissario straordinario di Bologna nel 2011, nell’ottobre del 2011 ha svolto lo stesso compito nel comune di Parma.
■ Giustizia - Paola Severino Di Benedetto (n. Napoli, 1948). Vicerettore della LUISS ‘Guido Carli’ di Roma dal 2006. Ha fatto parte della redazione dell’Enciclopedia giuridica Treccani.
■ Difesa - Giampaolo Di Paola (n. Torre Annunziata, 1944). Ammiraglio, dal 2004 al 2008 è stato Capo di Stato Maggiore della Difesa; presidente del Comitato militare della NATO dal 2008 al 17 novembre 2011.
■ Economia e finanze - Vittorio Grilli (n. Milano, 1957). Prima della sua nomina a ministro dell’Economia e delle finanze, avvenuta l’11 luglio 2012, è stato, dal novembre 2011, viceministro dello stesso ministero; dal 2002 al 2005 ragioniere generale dello Stato; dal 2005 al 2011 direttore generale del Tesoro.
■ Sviluppo economico, infrastrutture e trasporti - Corrado Passera (n. Como, 1954). Amministratore delegato e Chief Executive Officer in Banca Intesa nel 2002, carica mantenuta anche dopo la fusione con Sanpaolo IMI, da cui è nata Intesa Sanpaolo. Nel novembre 2011 ha lasciato l’istituto di credito.
■ Politiche agricole, alimentari e forestali - Mario Catania (n. Roma, 1952). Dal 2009 capo dipartimento delle politiche europee e internazionali del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, con competenze relative alla politica agricola comune e alla politica della pesca.
■ Ambiente, tutela del territorio e del mare - Corrado Clini (n. Latina, 1947). Direttore generale del ministero dell’Ambiente dal 1990.
■ Lavoro e Politiche sociali con delega alle Pari opportunità - Elsa Fornero (n. San Carlo Canavese, 1948). Coordinatore scientifico del CeRP ‘Center for Research on Pensions and Welfare Policies’; ‘Honorary fellow’ del collegio Carlo Alberto; ‘Research fellow’ di Netspar (Network for Studies on Pensions, Aging and Retirement).
■ Istruzione, università e ricerca - Francesco Profumo (n. Savona, 1953). Presidente del Management Board del Clean Energy Center (EC2) EU Project in Cina, presso la Tsinghua University, dal 2010 al 2011; presidente del CNR dall’agosto 2011.
■ Beni e attività culturali - Lorenzo Ornaghi (n. Villasanta, 1948). Vicepresidente del consiglio di amministrazione di Avvenire dal 2002 al 2011; presidente dell’Agenzia per le ONLUS dal 2001 al 2006; membro del consiglio di amministrazione della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano dal 2005 al 2009.
■ Salute - Renato Balduzzi (n. Voghera, 1955). È professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano. Direttore dal 2003 del bimestrale culturale Coscienza.