I' vegno il giorno a te infinite volte
Sonetto (abba abba; cde edc) di Guido Cavalcanti a D., come attestano sia, esplicitamente, il cod. Mezzabarba, sia, nella restante tradizione (Chigiano L VIII 305, Magliabechiano VII 1060, ecc.), la sua contiguità con gli altri sonetti cavalcantiani a D. (un'isolata attribuzione a Guido Orlandi è in Vaticano lat. 3214). I temi, enunciati nelle quartine e ripetuti simmetricamente nelle terzine, sono: l'attuale ‛ viltà ' di D. (" pensar troppo vilmente ", v. 2; " vil tua vita ", v. 9; " l'anima invilita ", v. 14), da intendersi come prostrazione dell'animo, come un suo venir meno a un ideale di " gentilezza " aristocratica e schiva (vv. 3 e 5-6); la conseguente ‛ noia ', come scorata rinuncia a ogni nobile tensione spirituale, che perseguita ora D. (v. 13) e lo spinge ad appagarsi della compagnia dei mediocri (" l'annoiosa gente ", v. 6); l'estinguersi del legame di amicizia fra i due poeti (vv. 1 e 11), fondato su comuni ideali etici e artistici (vv. 5-6 e 9-10). Non è una " intemerata " (D'Ovidio), ma un'austera e accorata esortazione a D. affinché ritrovi la dignità smarrita, scritta in un linguaggio non tanto " ermetico " (Pagliaro), ma spontaneamente allusivo, proprio per il suo carattere intimo.
L'esegesi del sonetto è, però, per questo, assai controversa. Il Barbi, seguito da molti, lo riferì all'abbattimento derivato a D. dalla morte di Beatrice (cfr. Vn XXXV 3), ponendolo quindi, nella '21, fra le Rime della Vita Nuova (XXIX). Altri pensarono che qui Guido rimproveri a D. un " traviamento " o quello relativo all'amore per la Donna gentile, a proposito del quale si parla di viltà in Vn XXXVII 1, XXXVIII 2 e 4 e XXXIX 2 (ma non ci pare ipotesi sostenibile), o il periodo " di dissipazione o almeno di compagnie volgari " (Maggini), cui già aveva pensato il D'Ovidio, facendolo coincidere con l'amicizia di D. con Forese e la sua comitiva.
La critica ha, per lo più, intravisto nel sonetto il primo manifestarsi di un dissidio letterario e insieme ideologico fra i due poeti, accentuando or l'uno or l'altro dei due aspetti, ma tenendone ferma la correlazione, nella prospettiva più ampia del disdegno di Guido di If X 63 (anch'esso, peraltro, di non facile soluzione esegetica). Il Pagliaro vi scorge l'espressione del distacco che si aprì fra i due quando D. si sentì chiamato verso le più complesse esperienze di pensiero che sboccarono poi nel poema, opposte all'" averroismo " del suo primo amico (Nardi); su questa via, il Padoan è giunto a proporre l'identificazione dell'" annoiosa gente " con le scuole de li religiosi di Cv II XII 7, accentuando l'" epicureismo " filosofico di Guido. La tesi del Pagliaro è apparsa assai discutibile al Maggini e al Contini, il quale non ha neppure escluso, sia pure in forma dubitativa, che il rimprovero possa riferirsi a un troppo generoso carteggio di D. coi poeti della vecchia scuola (e questo porterebbe il sonetto a una data anteriore al 1290-91). Egli, però, in If X vede nella " renitenza " di Guido non solo quella, pur probabile, dell'ateo che rifiuta la grazia, ma soprattutto quella del poeta " contento alla letteratura coi suoi sistemi di metafore ", sì che D. qui farebbe ammenda, in Guido, " d'una teologia usata come tropo ". Il distacco si sarebbe avuto quando Beatrice fu sublimata e trasferita sul piano trascendente; o, come afferma il Petrocchi, quando Guido rifiutò d'incamminarsi per la nuova strada poetica e religiosa, " per percorrere la quale Dante dovette distaccarsi dalle concezioni della loro giovinezza e abbandonare il limitato campo della poesia d'amore ". Tuttavia i due critici evitano un riferimento puntuale e immediato al sonetto; il Contini, nel commentarlo, si è limitato a citare le due ipotesi dell'" abbattimento " e del " traviamento ", ma come " mere congetture ".
Più decisamente il Marti, riprendendo indicazioni del Lamma, del Rivalta, del Pastine, ha proposto una spiegazione " politico-sociale " del sonetto. Esso testimonierebbe proprio il momento del distacco fra i due poeti, quando D. rifiutò la " metafisica aristocrazia stilnovistica " per immergersi nella realtà e viverla con quell'impegno etico-politico totale che divenne stimolo alla sua poesia più alta, chiaramente orientata in senso realistico. Guido resta invece, qui, ancorato ai miti stilnovistici e alla casta magnatizia, avverso, sia per necessità sia per elezione, all'" annoiosa gente ", cioè al popolo minuto dominatore della vita del comune fiorentino.
Bibl.-F. D'Ovidio, L'intemerata di Guido, in " Nuova Antol. " 16 giugno 1896 (ora in Studi sulla D.C., Caserta 1931, I 311-333); E. Lamma, La rimenata di Guido, in " Fanfulla della Domenica " 6 febbr. 1898 (ora in Questioni dantesche, Bologna 1902, 33-50); E. Rivalta, D. e Guido, in " Nuova Antol. " XXXIX (1904) 469-476; M. Barbi, recens. a Zingarelli, Dante, in " Bull. " XI (1904) 12-13; L. Pastine, Il sonetto di Guido, in " Giorn. d. " XXXIV (1931) 201-208; A. Pagliaro, Il disdegno di Guido, in Saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1953, 355-379; G. Contini, D. come personaggio poeta della Commedia, in " L'approdo letterario " IV (1958) 19-46; G. Padoan, Il canto degli Epicurei, in " Convivium " n.s., XXVII (1959) 12-39; M. Marti, Sulla genesi del realismo dantesco, in Realismo dantesco e altri studi, Milano-Napoli 1961, 1-32; B. Nardi, D. e Guido Cavalcanti, in " Giorn. stor. " CXXXIX (1962) 505 (ora in Saggi e note di critica dant., Milano-Napoli 1966, 190-219); L. Vitetti, Il sonetto a D. di G. Cavalcanti, Torino 1962; G. Petrocchi, Tre postille in margine a Farinata, in " Studi d. " XLII (1965) 270-275 (rist. in Itinerari danteschi, Bari 1969, 276 ss.). Per il testo si veda l'ediz. critica delle Rime del Cavalcanti, a c. di G. Favati, Milano-Napoli 1957; per il testo e il commento, G. Contini, Cavalcanti in D., in Le rime di Guido Cavalcanti, a c. di G.C., Verona 1966, 85-104 (cfr. 96-97). Barbimaggini, Rime 132-134 e Contini, Poeti II 548-549. Cfr. anche la voce Cavalcanti, Guido.