I Veneziani delle colonie
La storia della presenza veneziana nel Mediterraneo orientale nel secolo XIV riflette i continui mutamenti della situazione politica che si manifestarono nella regione entro questo arco di tempo. Si indebolirono, e persero gradatamente influenza, due dei protagonisti della lotta politico-militare del secolo precedente, Bisanzio e gli Angioini, mentre contemporaneamente si affacciarono, e raggiunsero ben presto una posizione da protagonisti, due nuove forze, la Compagnia catalana e le tribù turche, in questo periodo non ancora unificate in un unico stato, ma facenti capo ad emirati indipendenti, spesso in lotta tra loro; né gli ultimi tentativi di crociata riuscirono ad eliminare questa minaccia che incombeva su tutti i domini cristiani della regione. A nord degli Stretti i Mongoli, che erano in grado di far sentire la propria influenza ben oltre i limiti del mar Nero.
Rimaneva ben salda, e in grado di contrastare validamente le posizioni veneziane, la rivale tradizionale, Genova, e non a caso i limiti cronologici entro cui si sviluppa il presente saggio sono rappresentati da due paci, che posero fine ad altrettante guerre veneto-genovesi. Venezia quindi, se da una parte, approfittando dei vuoti di potere che si venivano determinando, riuscì ad aggiungere nuovi territori a quelli su cui esercitava il proprio dominio, ed a creare nuove basi politico-economiche in paesi indipendenti, d'altra parte dové impegnarsi a fondo nella difesa contro le minacce catalana e turca, che a volte si presentavano contemporaneamente.
I rapporti con Catalani e Turchi non erano solo di ostilità, ma anche di collaborazione economica. In generale, le basi veneziane nel Mediterraneo orientale rappresentavano i centri da cui venivano riesportati negli altri paesi rivieraschi, ed anche verso l'interno, i prodotti europei che vi giungevano dalla madrepatria, e in cui affluivano i prodotti provenienti dall'Oriente e destinati, insieme alle produzioni locali, a Venezia, funzione questa che conobbe un ulteriore sviluppo quando il mercato in cui agiva Venezia si estese verso l'Europa nord-occidentale, coll'istituzione delle galee di Fiandra. Di qui la necessità di stabilire accordi commerciali con delle forze per altro verso ostili, creando un quadro entro cui si mossero gli operatori economici, non solo veneziani della madrepatria e delle colonie, ma anche indigeni, soprattutto greci ed ebrei.
Ancora, col succedersi delle generazioni, dove più, soprattutto a Creta, dove meno, si manifestò un processo di sostanziale fusione tra i discendenti dei Veneziani immigrati ed alcuni strati della popolazione indigena, che si manifestò non solo sul piano economico, ma anche su quello demografico (matrimoni misti), linguistico e più in generale culturale.
Tale processo portò alla formazione di un'aristocrazia veneto-bizantina, che non si sentiva più tutelata, ma anzi sfruttata dalla madrepatria: da qui un sentimento di ostilità che sfociò in un tentativo di ribellione, rapidamente stroncato.
Gli anni a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo segnarono una svolta fondamentale nella storia della dominazione veneziana nell'Oriente bizantino. A Creta l'accordo raggiunto nel 1299 con Alessio Calergi (1) pose fine ad una rivolta che durava da 16 anni, e più in generale diede un forte impulso al processo di integrazione dell'aristocrazia indigena, o almeno della parte più rappresentativa di essa, nella realtà politica e sociale veneziana (2). Nello stesso anno la pace stipulata con Genova poneva l'alleato di quest'ultima, l'Impero bizantino, non compreso nella pace, isolato, senza aiuti esterni, di fronte alla soverchiante potenza politico-militare veneziana. Ciò significò la perdita di tutte le conquiste effettuate sotto Michele VIII e difese nel primo periodo di regno di Andronico II. Agivano flotte armate dalla Repubblica e flotte armate da privati cittadini. Così Giacomo II Barozzi, dopo un fallito tentativo da parte del duca di Nasso Guglielmo Sanudo, conquistò Santorino, Belletto Giustinian e Bartolomeo Michiel conquistarono invece Ceo e Serifo. Un'altra famiglia veneziana, i Venier, riottenne il possesso dell'isola di Cerigo, anch'essa temporaneamente perduta durante la guerra. Nel corso di una nuova guerra veneto-bizantina (1306-1310) un feudatario cretese, Andrea Corner, occupò l'isola di Scarpanto (3).
La difesa, e la successiva riconquista dell'Eubea, erano state possibili grazie al consistente intervento, finanziario (4) e militare, di Venezia. Parallelo è il sostanziale affievolirsi dell'influenza angioina nel principato di Acaia e nelle sue dipendenze, di cui era alto signore il monarca napoletano. Dopo il fallimento delle azioni militari tentate da Carlo I, e soprattutto dopo lo scoppio della guerra del Vespro, Carlo II non fu più in grado di intervenire efficacemente in questo scacchiere, per cui il 21 giugno 1299 egli nominò Geoffroy du Port suo plenipotenziario per concludere una tregua con Andronico II. In pari data questa nomina fu comunicata da Carlo ai suoi vassalli in Romània, compresi i signori terzieri (o meglio i signori dei terzieri, domini tertie partis insule Nigropontis, a seguito della divisione dell'isola effettuata nel 1216) dell'Eubea. Il 12 aprile 1300 questo incarico fu affidato ad Isabella di Villehardouin, principessa di Morea, che successivamente riuscì a concludere con l'imperatore bizantino la tregua desiderata da Carlo (5).
Poco dopo, le trattative veneto-bizantine, iniziate nell'aprile 1302 per iniziativa imperiale, portarono nel settembre successivo alla conclusione di un trattato, con cui l'imperatore cedeva direttamente a Venezia le isole di Ceo, Serifo, Santorino e Amorgo (6). Si determinava così una notevole modifica sul piano istituzionale: le prime tre isole erano infatti sottratte alla signoria eminente dei Ghisi (Ceo e Serifo) e dei duchi di Nasso (Santorino), e quindi alla sovranità angioina, e Venezia ne diveniva signore eminente. In verità i Ghisi ed i signori di Nasso cercarono di riaffermare la propria autorità nei confronti dei nuovi signori (Giustinian, Michiel, Barozzi), ma gli interventi di Venezia impedirono l'attuazione di queste aspirazioni (7).
Un mutamento imprevisto si ebbe con la comparsa della Compagnia catalana nella Grecia centrale. La Compagnia, disponibile a seguito della pace di Caltabellotta (1302), era stata assoldata dall'imperatore bizantino Andronico II per combattere contro i Turchi in Anatolia. Ben presto i rapporti tra l'imperatore e la Compagnia si guastarono; l'uccisione di Roger de Flor, comandante della stessa, voluta dal figlio di Andronico II, e coimperatore, Michele IX, portò alla guerra aperta ed all'invasione ed al saccheggio da parte dei Catalani della Tracia, della Macedonia e della Tessaglia. Spingendosi sempre più a sud, essi giunsero in contatto con le signorie franco-italiane della Grecia centrale; dopo alterni rapporti si giunse allo scontro aperto, che ebbe luogo il 15 marzo 1311 presso Demetriade, in Tessaglia (8), e che si concluse con la vittoria della Compagnia e la morte del duca di Atene, Gualtieri di Brienne, e di numerosi altri signori che avevano combattuto al suo fianco, tra cui Giorgio I Ghisi, signore terziere di Negroponte a seguito del suo matrimonio con Alice, figlia ed erede di Merinetto dalle Carceri. Un altro esponente della nobiltà euboica, Bonifacio da Verona, signore di Caristo in Eubea, di Gardiki in Tessaglia e delle isole di Egina e Salamina, fu fatto prigioniero (9).
Già nel luglio del 1308 il governo veneziano era stato informato di un progetto di conquista, da parte della Compagnia, dell'Eubea, per la cui difesa si pensò di utilizzare anche le forze cretesi (10). Si andava definendo il concetto politico-militare per cui tutti i domini veneziani dell'Egeo - Corone-Modone, Creta, Negroponte - formavano, pur se governati in forme diverse, un sistema unitario; quindi in caso di minaccia ad una singola parte, anche le altre dovevano intervenire in sua difesa. Nello stesso periodo si ebbero i primi atti di ostilità nei confronti dei Catalani, in cui era presente un intervento, sia pure indiretto, di Venezia. Una galea, sulla quale era imbarcato il cronista Ramon Muntaner, fu assalita nel porto di Negroponte da una flotta al soldo del re di Francia, ma costruita a Venezia e con equipaggi veneziani. Vi furono dei morti, ed in questa occasione il Muntaner perse denaro e merci per un valore complessivo, almeno a suo dire, di 100.000 fiorini, probabilmente il frutto di razzie a danno dei Bizantini (11).
Di fronte all'avanzata dei Catalani, gruppi di abitanti del continente si rifugiavano nell'isola; dopo la vittoria del 1311 e la conquista del ducato di Atene la Compagnia, che agiva come associazione indipendente di soldati, si rivolse, per legittimare la conquista, al sovrano di Sicilia, Federico II, che nominò duca di Atene il suo secondogenito, don Manfredi; il governo del ducato era esercitato da vicari generali. Ben presto iniziarono le scorrerie catalane in Eubea (12), ed erano frequenti gli atti di pirateria a danno di navi veneziane (13). Da parte sua Venezia prese per tempo le misure più urgenti per la difesa dell'isola (14), e combattimenti ebbero luogo (15), ma la situazione precipitò quando don Alfonso Fadrique, figlio naturale di Federico II e vicario generale nel ducato di Atene, sposò la figlia di Bonifacio da Verona, Marulla, che gli portò in dote, tra l'altro, i castelli euboici di Caristo e Larmena (16). Nel 1313 era ripresa la guerra tra Federico II e Roberto d'Angiò, che aveva ancora, come altri membri della sua famiglia, diritti ed interessi in Grecia, compresa l'Eubea; esistevano quindi i presupposti per un'alleanza veneto-angioina. Venezia aveva però avviato una politica rivolta ad ottenere la piena sovranità sull'Eubea - sembra infatti che verso il 1316 il governo veneziano avesse tentato, o almeno progettato, di ottenere dai principi di Acaia la cessione dei loro diritti sull'isola (17) - e se non poteva accettare una presenza catalana, non vedeva neppure di buon occhio un rafforzamento della presenza angioina, per cui quando nel marzo 1318 re Roberto, Giovanni di Gravina principe di Acaia e Filippo principe di Taranto chiesero l'intervento di Venezia contro Alfonso Fadrique, la risposta ebbe un carattere interlocutorio: si comunicava l'invio di un'ambasceria a Federico II, per raggiungere una soluzione amichevole del problema; solo se ciò non fosse stato possibile, Venezia avrebbe agito per l'onore di Dio, per il proprio e per quello dei reali di Napoli ("id quod sit placabile Deo, et honor et bonum vestre regie maiestatis, fratrumque vestrorum et nostrum, sicut fuerit oportunum") (18).
Identico risultato ebbero un tentativo dell'aprile 1318 della vedova di Gualtieri di Brienne, Giovanna di Chàtillon, che aveva chiesto un prestito di 6o.000 fiorini e la concessione di una flotta per inviare truppe in Eubea (19), ed un altro del pontefice Giovanni XXII, che insisteva sulla tutela dei diritti del fratello di Marulla, e sul fatto che i Catalani avevano introdotto in Eubea anche i loro mercenari turchi (20). D'altra parte, la situazione pericolosa che si era venuta determinando nell'isola indusse Venezia a rafforzare, sul piano militare, i poteri del bailo, che a partire da questo momento ebbe anche le funzioni di capitano, per cui il suo titolo ufficiale fu di "ballo e capitano di Negroponte" (21). Ancora, il concreto dominio veneziano esercitato, sempre a partire da questi anni, sulla città di Negroponte, fu un fatto universalmente riconosciuto, per cui il pontefice Benedetto XII, nel luglio 1336, poteva scrivere che la città "a XX annis citra est sub dominio Venetorum redacta" (22).
Altri motivi di preoccupazione si erano presentati al governo veneziano nel 1309, quando il maestro dell'Ordine degli Ospedalieri, Folco di Villaret, preparò a Genova, Napoli e Messina una flotta in vista della definitiva occupazione dell'isola di Rodi. Il governo veneziano temeva che il maestro volesse occupare anche altre isole dell'Egeo, tra cui Mitilene, e dirigersi a Cipro ed a Creta, per cui il 29 novembre di quell'anno si diede ordine a tutti i regimina di Romània di controllare la situazione e di tenersi pronti ad ogni evenienza (23). Altri ordini simili il 14 gennaio 1310 ai castellani di Corone-Modone, al bailo di Negroponte ed al duca di Creta (24), ed il successivo 7 febbraio a tutti i regimina, con contemporaneo invio a Corone e Modone di armamenti difensivi (25). I timori, determinati soprattutto dal cointeressamento di Genova all'azione del maestro, si mostrarono infondati, anzi l'instaurazione del dominio dell'Ordine a Rodi contribuì a rafforzare ed a sviluppare il sistema di scambi commerciali veneziani nel Mediterraneo orientale.
Elemento decisivo fu nel 1310 la definitiva sistemazione delle relazioni veneto-bizantine; l'accordo del1'11 novembre di quell'anno (26) permise anche la nomina di baili veneziani a Costantinopoli, la cui serie si prolunga ininterrottamente sino al 1453 (27), e la cui attività ben presto superò i limiti di semplici governatori della colonia veneziana in quella città, per svolgere anche le funzioni di ambasciatori della Repubblica presso l'imperatore, ed avere un peso sempre più determinante nella vita stessa dell'Impero, man mano che la sua crescente debolezza faceva dipendere sempre più la sua sopravvivenza dall'appoggio veneziano (28).
In quello stesso volger di anni Venezia riuscì ad ottenere, per la prima volta, anche una salda base commerciale nell'isola di Cipro, la cui importanza era data sia dalle produzioni locali - il cotone ed il sale, e più tardi la canna da zucchero - sia dalla sua posizione geografica, scalo intermedio sulla rotta per la Piccola Armenia, ove i Veneziani avevano forti interessi commerciali, per Alessandria e per la Siria-Palestina. La conquista musulmana, nel 1291, di tutti i porti siro-palestinesi ancora nelle mani dei Cristiani aveva fatto divenire ancor più importante Cipro, che però continuava ad esser poco frequentata da mercanti veneziani. Gli atti del notaio genovese Lamberto di Sambuceto, che rogò a Famagosta tra il 1296 ed il 1310, mostrano che negli anni 1297-1301 il 23,87% del cotone acquistato a Famagosta, per un valore di 95.207 bisanti bianchi (d'argento) di Cipro, era destinato a Venezia, ma che questo traffico era gestito in gran parte da mercanti non veneziani (29). Anche la colonia veneziana nella capitale cipriota, nei primi anni del XIV secolo, era rappresentata da pochi individui stabilitisi nella città, e da parecchi altri che vi si fermavano per brevi periodi, e soprattutto da persone di modesta rilevanza economica e sociale, da popolani; scarso era il numero dei grandi interessati al commercio in quell'isola (30). Ma proprio in questi anni i rapporti veneto-ciprioti subirono una radicale trasformazione con la conclusione, il 3 giugno 1306, di un accordo, in base al quale ai Veneziani erano concessi tre quartieri, a Famagosta, a Nicosia ed a Limassol, completa esenzione fiscale ed altri privilegi di carattere giurisdizionale (31). Era così aperta la via ad una penetrazione economica veneziana, che doveva raggiungere il suo culmine verso la metà del XIV secolo.
Nel 1318 morì, senza eredi, il sovrano della Tessaglia, Giovanni II Angelo, lasciando il suo stato in una situazione di profonda debolezza, anche a causa dei danni subiti a seguito delle scorrerie effettuate in precedenza dalla Compagnia catalana. Quindi la disgregazione, con la formazione di signorie locali ad iniziativa di alcune potenti famiglie, l'occupazione delle zone settentrionali della Tessaglia da parte dell'Impero bizantino, e di quelle meridionali da parte catalana, mentre la città di Pteleon, posta all'imboccatura del golfo di Volo, nel 1319 si pose sotto la sovranità di Venezia, che così ebbe per la prima volta una base in terraferma. Pteleon era importante, oltre che per il porto, anche per le saline esistenti nel suo territorio; inoltre la vicinanza a Negroponte determinò il concretizzarsi di intensi rapporti con quell'isola, da cui tra l'altro provenivano molti dei rettori preposti al suo governo: Pteleon, saccheggiata dai Genovesi nel 1351, dai Serbi nel 1366, rimase in possesso di Venezia sino al 1470, quando, dopo la conquista turca di Negroponte, seguì le sorti di quell'isola cui era tanto strettamente legata (32).
Qualche decennio più tardi, nel 1333, a conclusione di trattative condotte dall'ambasciatore alla corte mongola, Nicolò Giustinian, fu stipulato un accordo con il khan Uzbek, in base al quale Venezia ottenne un quartiere nella città di Tana, sul mar d'Azov, alla foce del Don, che divenne sede di un console (33). Si stabiliva così una via diretta verso le attuali Ucraina e Russia e verso l'Estremo Oriente. Gli effetti di queste nuove situazioni si manifestarono nelle rotte seguite dalle mude, dai convogli di galee organizzati dallo stato: quasi sistematicamente, a partire dal 1337, da quando cioè disponiamo di una documentazione ininterrotta, le mude di Romània proseguivano il loro viaggio sino alla Tana ed a Trebisonda, mentre le mude dirette verso il Mediterraneo orientale ebbero, almeno sino al 1345, come ultima destinazione l'isola di Cipro (34).
Verso la metà del secolo, infine, vi fu un tentativo di venire in possesso delle isole Ionie e di basi sulla vicina costa epirotica, punti chiave per il controllo del traffico tra l'Adriatico e lo Ionio ed il Mediterraneo orientale. Furono avviate trattative con l'imperatore titolare di Costantinopoli, Roberto d'Angiò, per l'acquisto di Corfù, di Cefalonia e di Butrinto; si giunse a determinarne il prezzo, 60.000 ducati, ed il 30 gennaio 1351 il senato, ed il 6 febbraio il maggior consiglio, decisero la nomina dei rettori delle due isole (35). Lo scoppio della guerra con Genova ed altre circostanze impedirono una definitiva presa di possesso di questi territori, che ebbe luogo solo nei decenni successivi.
La lettera di Giovanni XXII del 1318 rifletteva una situazione in atto già da alcuni anni, da quando le parti in lotta in Grecia erano ricorse alla utilizzazione di gruppi, anche di notevole consistenza numerica, di mercenari turchi; in particolare, la loro comparsa nei ranghi della Compagnia risaliva agli anni immediatamente successivi alla sua presenza nei paesi bizantini (36); ora però la situazione si era decisamente aggravata. Il crollo del dominio bizantino in Anatolia, verificatosi tra il XIII ed il XIV secolo - causato in gran parte dalla necessità per l'Impero di fronteggiare le minacce provenienti dall'Occidente, destinando a questo scopo la maggior parte delle proprie risorse finanziarie e militari, e della sua attività politica - aveva determinato il sorgere nella penisola di diversi emirati, anche nelle regioni costiere; particolarmente importanti per l'argomento qui trattato erano quelli di Menteshe (comprendente la regione di Mileto) e di Aydīn (regione di Efeso e Smirne). La presenza di questi emirati ebbe gravi conseguenze per i domini veneziani nell'Egeo, giacché i Catalani di Atene non si limitarono ad utilizzare i Turchi che avevano aggregato al loro esercito come mercenari, ma strinsero vere e proprie alleanze con gli emirati anatolici (37). Quindi scorrerie contro Negroponte (che verso il 1327 divenne tributaria di Menteshe) (38), contro Creta (39) e le isole minori dominate da signori veneziani (40). Ciò determinò importanti fenomeni demografici: cattura di prigionieri da vendere come schiavi sui mercati anatolici (41) e fughe delle popolazioni dai luoghi più minacciati verso quelli ritenuti più sicuri, in concreto dalle isole minori a Negroponte e a Creta. Ma anche catture di navi; una recrudescenza della pirateria, che vedeva come protagonisti essenzialmente Catalani e Turchi (42).
L'atteggiamento veneziano nei confronti dei Turchi non fu di intransigente ostilità. Di fronte ai ripetuti inviti a partecipare a guerre aperte, la Repubblica tergiversava; contemporaneamente a spedizioni militari di portata limitata, effettuate quasi esclusivamente da flottiglie armate localmente, a Negroponte ed a Creta (43), si sviluppava anche l'azione diplomatica, volta a garantire libertà di commercio per i propri cittadini nei domini turchi. Se infatti nei primi anni i Turchi erano stati protagonisti di devastazioni e saccheggi nelle regioni anatoliche occidentali, con il consolidarsi del loro dominio l'economia, specialmente agraria, si normalizzò, la produzione di frumento permise la formazione di un surplus destinato all'esportazione e l'allevamento dei cavalli si incrementò (44) per cui era importante per Venezia poter utilizzare questa fonte di approvvigionamento. In tale contesto, protagonista fu il regimen cretese, anche per la funzione economica svolta dall'isola.
Già prima del 1318 il regimen cretese aveva concluso un trattato con i Turchi - i documenti che ad esso fanno riferimento (45) non specificano di quale emirato si trattasse - ed è del 1319 la stipulazione tra il bailo veneziano di Negroponte ed i signori feudali dell'isola da una parte, ed Alfonso Fadrique e la Compagnia catalana dall'altra, di una tregua, che doveva durare sino a che una delle due parti non la denunciasse, colla quale si garantiva la cessazione di ogni azione di pirateria a danno di Negroponte (46). Sembrava così assicurata la pace, ma dopo non molti anni gli attacchi da parte turca ripresero con grande frequenza e violenza, per cui, quando il 5 aprile 1331 fu rinnovata la tregua tra il regimen di Negroponte ed Alfonso Fadrique e la Compagnia, furono introdotte nuove clausole relative ai Turchi: restando salvi i trattati in atto tra Alfonso Fadrique ed i Turchi, era vietato conchiuderne di nuovi, i Turchi non sarebbero stati accolti nei domini catalani e, nel caso di un loro attacco ai domini veneziani o a quello dei fedeli di Venezia, i Catalani, se fossero venuti anticipatamente a conoscenza di questi piani, avrebbero dovuto informarne le autorità veneziane e respingere, anche con le armi, i Turchi che fossero sbarcati nei loro territori (47). Il 13 aprile successivo il duca di Creta, Marino Morosini, rinnovò il trattato con l'emiro di Menteshe, Orkhan: erano regolati i rapporti economici, in un contesto di pace ed amicizia tra le due parti, comprese le isole egee poste sotto l'alto dominio veneziano, Scarpanto, Cerigo, Santorino, Zea, ossia Ceo, e Serifo (48). Nessun accordo invece, come sembra, con i Turchi di Aydīn.
Molti particolari sulle azioni di questi ultimi ci sono noti tramite il poema di un autore turco del XV secolo, Enverī, il Düsturnāme, in cui è confluito un testo più antico, che narrava le gesta di Umūr, pascià di Aydīn (1326-1348) (49). Specificatamente si tratta delle guerre contro i Cristiani dell'Egeo e della Grecia centro-meridionale, della crociata del 1345-1347 e, cosa per noi più interessante, delle spedizioni contro i territori veneziani. Al periodo primavera-estate 1332 è da riportare una spedizione contro Bodonitza, Negroponte, il Peloponneso (50), in occasione della quale il bailo veneziano di Negroponte, "messer Pir" (Pietro Zeno), vinto sul campo di battaglia, avrebbe pagato la partenza di Umūr dall'isola e la pace mediante ricchi doni: oro, argento, pietre preziose, rubini, turchesi, stoffe, cavalli arabi, fanciulli, odalische.
È questo l'elenco, ovviamente inaccettabile nella sua interezza, riportato da Enverī; ma, a confermare il punto essenziale del racconto, vi è la notizia riportata da Giovanni Villani, contemporaneo agli avvenimenti, secondo cui "quelli di Negroponte si fecero tributari" dei Turchi (51), ed il fatto che il 13 giugno 1332, di fronte alla "desolatio insule Nigropontis" i saggi designati ad esaminare la situazione dell'isola proposero l'invio di due provveditori che, di concerto col bailo, dovevano cercare di concludere un accordo coi Turchi; se il tentativo non fosse riuscito, sarebbe stato necessario stringere una lega antiturca con i signori delle isole egee, compreso il maestro degli Ospedalieri di Rodi (52).
Questa proposta non venne accolta, ma le trattative per formare una coalizione fra tutti coloro che fossero potenzialmente interessati ad un'azione unitaria antiturca - Filippo VI di Francia, in realtà più propenso ad una crociata in Terra Santa che ad una offensiva antiturca nell'Egeo, Roberto d'Angiò, l'imperatore bizantino Andronico III, il maestro degli Ospedalieri -, trattative precedentemente avviate per iniziativa di Filippo VI (53), si conclusero con un accordo tra Venezia, l'imperatore bizantino ed il maestro degli Ospedalieri, stipulato a Rodi il 6 settembre 1332, in base al quale doveva essere armata per il 15 aprile 1333 una flotta di 20 galee - le parti contraenti dovevano fornire rispettivamente 6, 10 e 4 galee -, che si sarebbe riunita a Negroponte per muovere contro i Turchi, sotto il comando di un capitano veneziano (54).
La data prevista non fu rispettata; tra l'altro alla fine del 1333 scoppiò una rivolta a Creta, per sedare la quale venne anche utilizzata una parte delle forze destinate all'impresa antiturca (55), il cui inizio fu prorogato al maggio 1334 (56). Progetti più grandiosi - la partecipazione di Filippo VI all'unione, l'organizzazione di una crociata, che stava tanto a cuore al re di Francia ed a Giovanni XXII (57) - si concretizzarono 1'8 marzo 1334 in un accordo stipulato ad Avignone, in base al quale nel maggio successivo doveva essere armata una flotta di 40 galee - 10 degli Ospedalieri, 10 di Venezia, 6 del re di Cipro, 6 dell'imperatore bizantino, 8 del papa e del re di Francia - che avrebbe tenuto il mare per 8 mesi; per l'anno successivo erano previste forze ancora superiori: 800 uomini d'arme a cavallo ed almeno 30 galee e 32 uscieri, le imbarcazioni destinate al trasporto dei cavalli, forze raccolte anche con la probabile partecipazione del re Roberto d'Angiò. Se le cifre previste non fossero state raggiunte, si sarebbe richiesto l'intervento dei Genovesi, dei Pisani e di tutti coloro che fossero interessati all'impresa (58).
Non tutte le parti mantennero i loro impegni; nell'autunno del 1334 erano presenti in Egeo galee veneziane, pontificie, degli Ospedalieri, dei re di Francia e di Cipro, capitano generale un veneziano, Pietro Zeno; mancavano le galee dell'imperatore bizantino. Questa flotta fu in grado di assicurare una valida protezione dei territori tenuti dai Latini e di infliggere pesanti perdite ai Turchi - lo scontro più importante ebbe luogo nel golfo di Adramyttion, contro la flotta di quell'emiro, Yahsi, e si concluse con la vittoria delle forze dell'unione - ma nello stesso anno la morte di Giovanni XXII (4 dicembre 1334), che era stato protagonista delle trattative che avevano portato alla formazione dell'unione, e in particolare lo scoppio della guerra dei 100 anni (1337), impedirono la formazione di nuove coalizioni contro i Turchi, che ripresero con maggior vigore le scorrerie anticristiane (59).
5. Il controllo dell'Eubea
In una situazione che, nel corso di decenni, aveva visto l'indebolimento dell'influenza angioina nell'Egeo e l'incapacità di quei sovrani a venire in aiuto dei loro vassalli, le minacce rappresentate prima dai Catalani, poi dai Turchi, la crescente necessità per i signori delle isole e per i terzieri di Negroponte dell'appoggio veneziano per mantenere le loro posizioni - Venezia era anche intervenuta in appoggio dei Corner, signori di Scarpanto, contro il maestro degli Ospedalieri che da Rodi rivendicava la sovranità su quell'isola - determinò il riconoscimento di fatto da parte di questi signori minori dell'autorità veneziana, riconoscimento più facile quando si trattava di signori che erano anche sudditi della Repubblica, e quindi soggetti alla sua giurisdizione (60).
Nel caso specifico di Negroponte Venezia cercò di eliminare dall'isola ogni traccia di presenza catalana. Nella tregua stipulata nel 1319 con la Compagnia catalana non era stata affrontata la questione dei due castelli di Caristo e di Larmena, e nel novembre dello stesso anno il senato aveva deciso di non rispondere ad una lettera di Federico II relativa ai due castelli (61). Negli anni successivi il problema si era ripresentato, sempre nel contesto dei rapporti col re di Sicilia (62); contemporaneamente veniva ripetutamente dato incarico alle autorità di Negroponte di acquistare Caristo, spendendo sino a 30.000 iperperi (63). Non si concluse nulla, e negli anni successivi il castello di Caristo, il più importante dei due, passò in eredità al terzogenito di Alfonso Fadrique, Bonifacio, che vi inviò come capitano generale Gerardo del Antur, con il quale entrò in trattative nel 1349 il bailo di Negroponte, giungendo ad un accordo, per cui Bonifacio avrebbe ceduto il castello per 12.000 iperperi; la somma sarebbe stata versata da due nobili veneziani, Tommaso Lipomanno e Giovanni Sanudo, che avrebbero ricevuto in feudo da Venezia Caristo (64). Non se ne fece nulla, né alcuna conseguenza ebbe l'accordo stipulato nell'ottobre 1359 direttamente con Bonifacio (anche questa volta il prezzo previsto fu di 6.000 ducati = 12.000 iperperi) (65), in quanto nel dicembre-gennaio successivi Bonifacio rifiutò di consegnare il castello, affermando che il contratto di vendita non aveva alcun valore giuridico (66). Solo il 6 novembre 1365 il castello con le sue dipendenze fu effettivamente venduto, sempre per la somma di 6.000 ducati, ed il pagamento fu completato l'anno successivo (67). Contemporaneamente si delineava anche l'aspirazione del governo veneziano ad impossessarsi dei grandi feudi, dei terzieri in cui era divisa l'isola. Nel 1340, di fronte alla richiesta del duca dell'Arcipelago, Nicolò Sanudo, di ottenere un terziere dell'isola, divenuto vacante, il senato ordinò al regimen di Negroponte di fare in modo che il feudo in questione non venisse assegnato al Sanudo, ma al comune (68).
Con l'acquisizione di Caristo e Larmena, Venezia poneva saldamente piede, politicamente e militarmente, nel terzo meridionale dell'isola. Ma già da tempo era in atto un'azione tendente a limitare, nella pratica, l'autorità dei signori terzieri, sia nella città che nel contado, e ad affermare contro di essa l'autorità della Repubblica, come testimoniano alcune denunce presentate al doge nel 1361 da Fiorenza dalle Carceri, signora dei terzi settentrionale e meridionale quale tutrice del figlio minore Nicola dalle Carceri, e da Bartolomeo Ghisi, signore del terzo centrale. Si tratta di singoli episodi che, visti nel loro complesso, presentano un quadro abbastanza chiaro, e di cui ricordiamo i più significativi (69).
Ai vicari dei signori terzieri nella parte della città loro appartenente erano richieste cose contrarie ai diritti dei signori, per cui, non volendo i vicari aderire a tali richieste, essi erano banditi dalla città e colpiti con pene pecuniarie; durante la guerra con Genova molti abitanti dei borghi e del contado si erano rifugiati entro le mura cittadine, avevano costruito delle capanne nella parte dei terzieri, ed il terratico da essi pagato era riscosso dal bailo e non dai signori (70). Un soldato al servizio di Venezia, condannato a morte per omicidio, si era rifugiato nel territorio soggetto alla giurisdizione dei signori, ma il bailo Pietro Morosini (1358-1360) lo aveva fatto catturare e decapitare (71); lo stesso bailo aveva fatto arrestare il castellano del castello di Reachi (72) e lo aveva posto in libertà solo dietro una cauzione di 25 iperperi. Più in generale, i baili intervenivano nelle sentenze pronunciate dal podestà dei signori, e decidevano in appello contro di esse, e si occupavano di questioni proprie dei signori, quali feudi, dogane, collette e fitti di case.
Dalle risposte del senato, sembra che si trattasse di iniziative delle autorità locali e non di direttive delle autorità centrali; in ogni modo, questa documentazione testimonia l'esistenza di un processo che, alla fine, avrebbe portato all'affermazione dell'autorità veneziana su tutta l'isola.
6. Tentativi di crociata antiturca
L'ascesa al trono pontificio di Clemente VI nel 1342 significò la ripresa, efficace, dei tentativi di unione antiturca, e di una massiccia offensiva militare in Egeo. Già nel 1343 era stato raggiunto un primo risultato: un accordo tra il pontefice, Venezia, il re di Cipro ed il maestro dell'Ospedale, in base al quale il 1° novembre di quell'anno a Negroponte doveva riunirsi una flotta di 20 galee, che il pontefice sperava venisse aumentata coll'aggiunta di un'altra galea armata da Venezia e con la galea armata a Negroponte, "poiché, a causa delle terre e delle isole che tu [il doge> ed i Veneti possedete in quelle regioni, i vantaggi e gli svantaggi di una tale impresa interessano soprattutto te e gli stessi Veneti" (73). Il 20 settembre di quell'anno il pontefice ordinò al patriarca di Grado di bandire la crociata nelle diocesi suffraganee (74).
Nella primavera del 1344 la flotta dell'unione, riunitasi a Negroponte, mosse contro i Turchi sotto il comando del legato pontificio Enrico d'Asti patriarca di Costantinopoli, di Martino Zaccaria (75) comandante delle galee pontificie, e di Pietro Zeno, che era a capo delle galee veneziane (76). Un primo risultato fu ottenuto, probabilmente nel maggio 1344, presso Pallene, nella penisola Calcidica, ove fu assalita e distrutta una flottiglia turca. Dopo alcuni mesi la flotta dell'unione si diresse verso Smirne, il cui pascià, Umūr, non aveva preso alcuna misura difensiva, non attendendosi questo attacco; con un colpo di mano il 29 ottobre 1344 fu occupato il porto di Smirne e la fortezza che lo proteggeva, mentre i Turchi si ritirarono sull'acropoli. Nessuna delle due parti riuscì a scacciare l'altra dalle sue posizioni, finché il 17 gennaio 1345 vi fu un attacco, che appariva decisivo, da parte delle forze dell'unione, che in un primo tempo ebbero il sopravvento; ma i Turchi, passati al contrattacco, uccisero i capi dell'armata latina, il patriarca Enrico, Martino Zaccaria e Pietro Zeno. L'esercito si ritirò nella zona del porto, che rimase in mani cristiane sino ai primi anni del XV secolo (77).
In queste circostanze, si fece avanti il delfino di Vienne, Umberto II, che assunse le funzioni di capo di una crociata antiturca, ma i risultati conseguiti furono estremamente modesti, per cui si avviarono delle trattative con il successore di Umūr, morto nel maggio 1348, Hīzīr. Un ultimo tentativo, di portata più limitata, fu effettuato dal pontefice: un accordo decennale tra il re di Cipro Ugo IV, gli Ospedalieri di Rodi e Venezia, per armare una piccola flotta di 8 galee (2 del re di Cipro, 3 degli Ospedalieri e 3 di Venezia), per la difesa dei possedimenti delle tre parti contraenti nel Mediterraneo orientale, e per la distruzione dei Turchi e degli altri infedeli. L'accordo, stipulato a Villeneuve-lès-Avignon 1' 11 agosto 1350, alla presenza dei cardinali Pietro di Palestrina, Bertando di Ostia e Stefano dei SS. Giovanni e Paolo, avrebbe avuto vigore dal 1° gennaio successivo (78), ma nel frattempo scoppiò una nuova guerra tra Genova e Venezia, che interessò da vicino, soprattutto nel primo periodo, anche i domini veneziani nel Mediterraneo orientale, per cui, non essendo più possibile proseguire nelle operazioni militari antiturche, Clemente VI, nel 1351, sciolse anche la Santa Lega, formata nel 1343.
7. 1350-1355: nuova guerra con Genova
I secolari contrasti veneto-genovesi trovarono nuovo alimento nel corso del XIV secolo. Durante le guerre antiturche Genova aveva nuovamente fortificato le sue basi a Chio, Focea, Pera; nella guerra civile in atto nell'Impero bizantino si era schierata per l'imperatore Giovanni V Paleologo contro l'altro imperatore Giovanni VI Cantacuzeno - come risultato, l'isola di Lesbo venne in possesso della famiglia genovese dei Gattilusio. Nel mar Nero, Genova cercava di controllare le attività commerciali che si svolgevano in quell'ambito, proponendo il trasferimento della colonia veneziana dalla Tana a Caffa, possesso della città ligure. Al rifiuto veneziano, Genova vietò ai mercanti della città rivale di navigare nel mar Nero. Ancora, l'organizzazione da parte di Venezia di una muda diretta nelle Fiandre, a Bruges e quindi in Inghilterra, per esportarvi le merci orientali ed i prodotti dei suoi domini, in particolare il vino cretese, ed acquistarvi le produzioni locali, specialmente la lana inglese, minacciando quindi gli interessi genovesi nell'Atlantico e nel mare del Nord, aumentava i motivi di contrasto.
Nell'agosto 1350 fu deciso a Venezia di aprire le ostilità, e venne nominato capitano generale Marco Ruzzini, che salpò con la sua flotta verso la Romània (79). Nel settembre si decise di armare il maggior numero possibile di galee, e fu nominato capitano di questa nuova flotta Giovanni Foscarini, che a Modone si unì alla flotta comandata dal Ruzzini (80). Questi quindi salpò per affrontare la flotta nemica, forte di 14 galee, che era penetrata nelle acque dell'Arcipelago, e raggiuntala la assalì nei pressi di Kastri (81). 10 galee genovesi furono catturate ed il bottino fu ricco (82), ma le 4 scampate, unitesi ad altre 6 galee comandate da Filippino Doria, mossero verso Negroponte. Il 24 settembre 1350 questa flotta penetrò in quel porto, e senza praticamente incontrare resistenza, in quanto il bailo Tommaso Viaro era fuggito con i due consiglieri, abbandonando la città, occupò Negroponte, distrusse il quartiere veneziano e si allontanò conducendo seco molti prigionieri, che furono venduti come schiavi (83). Ancora nel 1360-1362 risultano affrancati o venduti a Famagosta numerosi schiavi greci di Negroponte; in un caso è detto esplicitamente che si trattava di una schiava catturata dai Genovesi, condotta nella città cipriota ed ivi venduta (84). I due capitani, il Ruzzini ed il Foscarini, nonché Tommaso Viaro, furono richiamati in patria; fu proposto di procedere penalmente contro quest'ultimo, ma per motivi di opportunità la proposta non venne accolta (85).
Alla ricostruzione di Negroponte si cominciò a provvedere già prima del 1353, destinando le entrate del comerclum (il dazio sulle esportazioni ed importazioni) alla riparazione delle mura (86); nella data citata fu concesso il permesso di importazione del materiale di carpenteria per la riparazione delle case (87). Quindi vennero emanate norme per il ripopolamento: il bailo ed i consiglieri, nonché le autorità della madrepatria, erano autorizzati a concedere la cittadinanza veneziana, con i diritti e gli obblighi connessi, a tutti coloro che venissero ad abitare a Negroponte, si impegnassero a risiedervi per dieci anni continui, e prestassero giuramento di fedeltà al doge ed al comune. Questa possibilità era preclusa agli Ebrei (88). Due documenti, del 10 e 16 luglio 1353, mostrano come le autorità della madrepatria esercitassero questo diritto (89).
Sin dallo scoppio delle ostilità si sviluppò l'azione diplomatica. Alleato naturale nella guerra contro Genova era il re d'Aragona, Pietro IV, cui fu inviato come ambasciatore Giovanni Steno, che riuscì a concludere un'alleanza quinquennale (90). In Oriente, l'ostilità dell'imperatore bizantino Giovanni VI Cantacuzeno nei confronti di Genova, in particolare nei confronti della colonia genovese di Pera, con cui aveva dovuto combattere una guerra (agosto 1348-marzo 1349), in quanto la sua presenza e la sua attività minavano alle basi l'economia e le finanze dell'Impero, favorirono la formazione di un'alleanza, anch'essa quinquennale, veneto-bizantina, destinata ad agire esclusivamente nel Mediterraneo orientale, a differenza di quella veneto-aragonese, il cui ambito di azione si estendeva a tutto il Mediterraneo. L'imperatore bizantino voleva infatti eliminare i possessi genovesi a Pera, Chio e nel resto della Romània; a questo scopo egli si impegnava a fornire una flotta di 12 galee, ai cui equipaggi egli avrebbe provveduto, mentre le spese per il mantenimento di questa flotta sarebbero state sostenute per 1/3 dall'imperatore (5.388 iperperi mensili) e per 2/3 da Venezia (10.776 iperperi mensili). Il trattato venne stipulato il 16 marzo 1351 (91).
I rischi che questa nuova guerra tra stati cristiani, combattuta nelle acque del Mediterraneo orientale, rappresentava di fronte all'incombente minaccia turca, erano ben presenti al neoeletto pontefice, Innocenzo VI, che il 22 aprile 1353, pochi mesi dopo la sua elezione (avvenuta il 18 dicembre 1352), scrisse al doge di Venezia Andrea Dandolo ed al doge di Genova, Giovanni Valente, chiedendo, al primo l'invio di propri rappresentanti presso la Sede apostolica, al secondo l'attribuzione degli opportuni poteri agli ambasciatori genovesi già presenti presso la Sede, affinché, insieme ai rappresentanti del re d'Aragona, concludessero la pace (92). Non essendosi raggiunto alcun risultato positivo, Innocenzo VI scrisse nuovamente, il 29 settembre successivo, alle tre parti interessate, perché inviassero alla corte pontificia, entro il prossimo 30 novembre (festa di s. Tommaso), ambasciatori per concludere la pace (93), data prorogata al 21 dicembre (festa di s. Andrea) (94). Pochi giorni dopo il pontefice, sempre in vista della conclusione della pace, scrisse all'arcivescovo Giovanni Visconti, in procinto di assumere la signoria di Genova (95). Sempre rimandando, altri inviti furono rivolti il 9-11 dicembre al doge di Venezia ed a Giovanni Visconti per l'invio di ambasciatori entro il successivo Natale (96). Non si concluse nulla; i tentativi del pontefice si prolungarono stancamente anche nei mesi seguenti, senza raggiungere alcun risultato positivo (97).
Intanto continuavano le operazioni militari nel Mediterraneo orientale. Nel dicembre 1350 fu dato ordine a Venezia di armare una nuova flotta, cui si dovevano unire 8 galee armate a Creta, e della quale fu nominato capitano generale Nicolò Pisani (98). Questa flotta, giunta a Costantinopoli, iniziò, assieme alle forze dell'imperatore bizantino Giovanni VI, l'assedio di Pera, che però non fu conquistata; unico risultato positivo fu la cattura di alcune navi genovesi (99). Da parte genovese vi fu l'apprestamento di una imponente flotta - 63 o 66 galee secondo le fonti veneziane, 60 secondo le fonti genovesi - comandata da Paganino Doria (100), che tentò una nuova azione contro Negroponte. Entrata in quel porto il 15 agosto, il giorno 20 successivo iniziò l'attacco alla città, questa volta senza alcun risultato. L'assedio, che sarebbe costato ai Genovesi 1.500 morti, si prolungò sino al 20 settembre, quando una flotta veneto-catalana costrinse gli avversari a ritirarsi a Pera senza combattere: unico risultato da essi conseguito fu l'occupazione ed il saccheggio di Pteleon (101). L'anno successivo vi fu l'ultima e più importante operazione militare nel Mediterraneo orientale. La flotta genovese da una parte, forte di 60 galee, e quella veneto-aragonese-bizantina dall'altra, forte di una quarantina di galee - ma in realtà le forze bizantine non parteciparono al combattimento - si affrontarono in una battaglia sanguinosissima, in cui caddero, secondo i cronisti veneziani, 5.000 Genovesi e 3.500 Veneto-Catalani, e che alla fine non vide né vinti né vincitori (102). A partire da questo momento, la guerra si spostò nel Mediterraneo occidentale e nella nuova situazione l'imperatore bizantino Giovanni Cantacuzeno, rimasto praticamentc isolato, fu costretto a stipulare il 6 maggio 1352 un trattato di pace con Genova, che conteneva anche alcune clausole antiveneziane: impegno a non accogliere a Costantinopoli e nelle altre piazzeforti imperiali navi veneziane o catalane per approvvigionamenti o per riparo; nessuna nave bizantina doveva recarsi alla Tana senza essere accompagnata da una nave genovese o senza l'autorizzazione del doge di Genova; le navi bizantine non dovevano frequentare i porti veneziani o catalani (103). Il successivo 10 ottobre, nuovo accordo con Venezia: a garanzia di un prestito di 20.000 ducati, di cui veniva immediatamente versata una prima rata di 5.000 ducati, l'imperatore Giovanni V Paleologo cedeva al doge ed al comune di Venezia l'isola di Tenedo, che in ogni caso sarebbe rimasta in possesso della Repubblica sino alla fine della guerra; alla conclusione della pace, l'imperatore avrebbe restituito i 20.000 ducati, e l'isola sarebbe tornata in possesso dell'Impero" (104). È probabile che entrambe le parti dubitassero che questa restituzione sarebbe effettivamente avvenuta - un debito di 30.000 ducati contratto dallo stesso Giovanni V nel 1343, dando in pegno i propri gioielli (105), non era stato ancora saldato, e non lo sarebbe stato, così come i 5.000 ducati versati in questa occasione, almeno sino al 1390 (106). In ogni modo, col mutare della situazione politica interna bizantina, la cessione temporanea di Tenedo non ebbe luogo, così come il versamento dei rimanenti 15.000 ducati; le aspirazioni veneziane al possesso di quest'isola, fondamentale per il controllo del traffico nei Dardanelli, potranno avverarsi, temporaneamente, solo qualche decennio più tardi (107).
La guerra si concluse con la pace stipulata a Milano il 1° giugno 1355; si ripeteva sostanzialmente quanto già stabilito nella pace del 1299. In particolare, erano definite le sfere di interesse delle due parti (l'Adriatico per Venezia, le zone di mare tra Pisa e Marsiglia per Genova); in queste due zone non poteva navigare nessun cittadino della controparte, e per quanto riguardava la Tana era stabilito che nessun mercante veneziano o genovese poteva recarvisi, e ciò per un periodo di tre anni, a partire dalla data della conclusione del trattato (108). Trascorsi i tre anni, i Veneziani ripresero a pieno la loro attività commerciale in quella città.
8. La rivolta cretese
Nei primi decenni del XIV secolo, Creta non aveva dovuto soffrire in modo particolare per le scorrerie turche; anzi erano stati stipulati dei trattati con gli emirati anatolici. Con Menteshe nel 1318 (il testo di questo accordo non ci è giunto), nel 1337 e nel 1359, con Aydīn nel 1337 e nel 1353, trattati che non solo garantivano l'isola da azioni ostili da parte turca, ma soprattutto offrivano la possibilità ai mercanti isolani di commerciare nei territori soggetti a quegli emiri, e determinavano le imposte ed i dazi per le merci importate ed esportate. Per meglio assicurare la libertà di commercio, fu concesso ai Cretesi un quartiere a Palatia (Mileto) e la possibilità di nominare un console in questa città ed a Teologo (Efeso) (109). Ma l'offensiva cristiana contro i Turchi, i cui primi episodi risalgono al quarto decennio del secolo, e poi la crociata, determinarono gravissimi ostacoli, e quindi impedirono completamente questo commercio, con gravissimi danni per l'economia cretese. Di contro, forti spese per armare delle galee da utilizzare nella guerra antiturca: in occasione della lega del 1332-1333, a Creta si dovettero armare due galee, e le spese necessarie dovevano esser coperte mediante l'imposizione di dazi, nonché di una imposta che gravava su tutti i feudi, grandi (milizie) e piccoli (sergenterie), e tutti i nuclei familiari (fuochi) dell'isola, ed inoltre, per un atto di liberalità, sugli ecclesiastici.
Particolarmente interessante è l'evoluzione demografica, culturale e sociale che si determinò nell'isola, già a partire dal XIII secolo. I feudatari veneziani, che dovevano assicurare la difesa militare, all'interno ed all'esterno, dell'isola, avevano la loro base economica nel possesso terriero, ed in pratica erano stati gradatamente esclusi dalle attività mercantili, monopolizzate, soprattutto quelle più lucrative, dai cittadini della madrepatria; erano inoltre obbligati a prestazioni, militari e finanziarie, sempre più gravose, per la difesa non solo di Creta, ma anche degli altri possessi veneziani d'Oltremare, né potevano disporre liberamente della produzione agricola dei loro possessi, in particolare del frumento, il cui commercio era regolato in funzione delle esigenze di approvvigionamento di Venezia. I rapporti tra i feudatari veneziani e l'originaria aristocrazia bizantina, gli arconti, erano complessi. Da una parte si guardava con sospetto ad un loro lento e graduale inserimento nella classe feudale, determinato sia da matrimoni misti - che certamente erano una realtà, ma sulla cui consistenza quantitativa non si può dir nulla, anche perché erano, almeno formalmente, vietati - sia dalla concessione da parte del governo veneziano di feudi a singoli arconti od a gruppi familiari che si cercava di guadagnare alla causa veneziana, ma d'altra parte si determinava, di fatto, una concreta comunità di interessi nei confronti della politica coloniale praticata dal governo centrale.
Ma, più in generale, sino a che punto le due comunità, bizantina e veneziana, che vivevano nell'isola, avevano superato le distanze che originariamente le separavano? Certo la diversa confessione religiosa - ortodossi i primi, cattolici i secondi - era rimasta in linea di massima ben salda. Nelle campagne la separazione tra la massa dei contadini greci ed i proprietari veneziani era rimasta immutata, ma nelle città, soprattutto a Candia, ove vivevano, accanto a Veneziani e ad altri Occidentali provenienti dai più diversi paesi, artigiani e piccoli commercianti greci, le differenze tendevano a ridursi, accanto a quotidiani rapporti economici si affermavano anche relazioni familiari, matrimoni misti, ed il fenomeno del bilinguismo conosceva una crescente diffusione. In conclusione, in questa colonia si determinò una realtà economica e culturale specifica, ben distinta da quella della madrepatria (110).
L'8 giugno 1363 il senato emanò una serie di provvedimenti fiscali relativi a Creta. Fu fissata una serie di dazi e di imposte che colpivano le merci importate ed esportate; in alcuni casi vi fu un aumento di imposte preesistenti - in particolare la messeteria, la tassa di intermediazione, fu portata da 6 ad 8 grossi -; gli obblighi militari dei feudati erano definiti con maggior rigore, e si doveva procedere ad un censimento dei villani, per poter meglio percepire le tasse e le prestazioni personali da essi dovute (111). Nell'agosto successivo, una serie di ordinanze emanate dal locale regimen aveva come oggetto, tra l'altro, le prestazioni militari: tutti i contumaci per omicidi, furti, rapine ed altri reati ricevevano il perdono, a condizione che servissero gratuitamente per 6 mesi il dominium e la comunità cretese; erano resi più rigidi gli obblighi di guardia notturna che gravavano sui cavalieri, i feudati titolari di cavallerie, e si obbligavano tutti gli abitanti di Candia ad essere armati, come balestrieri, arcieri o fanti, restando sempre a disposizione del governo (112).
Già precedentemente erano scoppiate due rivolte, nel 1332-1333 e nel 1341 - quest'ultima fu domata solo nel 1348 -; i provvedimenti fiscali del 1363 furono visti come un ulteriore esempio di sfruttamento dell'isola da parte della madrepatria, per cui il 9 agosto scoppiò la grande rivolta dei feudati, guidati da membri delle famiglie Venier e Gradenigo, al cui fianco si schierarono esponenti dell'aristocrazia indigena, bizantina, i Kalergis (113). Rapidamente la rivolta si diffuse per tutta l'isola e per prima cosa furono arrestati il duca Leonardo Dandolo, i due suoi consiglieri, e molti altri cittadini veneziani. Fu nominato un nuovo duca, Marco Gradenigo, e come simbolo dell'indipendenza dalla madrepatria si innalzò lo stendardo di s. Tito, tradizionale fondatore della Chiesa cretese e destinatario di una epistola paolina.
In un primo momento il governo veneziano cercò di ricondurre pacificamente all'obbedienza i rivoltosi, inviando a Creta, a questo scopo, un'ambasceria (114); in questo stesso senso vi fu un intervento del pontefice Urbano V, che incaricò l'arcivescovo di Candia, Pietro, di svolgere un'azione di mediazione tra il governo veneziano ed i rivoltosi (115). Il pontefice infatti temeva, così come anche il re di Cipro Ugo IV, che il determinarsi a Creta di uno stato di guerra rappresentasse un ostacolo per la progettata crociata. Fallito il tentativo, si ricorse alla forza. I rettori degli altri domini di Romània furono posti in guardia contro il pericolo che i ribelli cercassero di esportare la rivolta a Negroponte ed a Corone-Modone (116); si cercò di utilizzare i secolari contrasti esistenti nell'aristocrazia bizantino-cretese, guadagnandosi la fedeltà di un esponente della famiglia Skordilis, nemica dei Kalergis (117); si assicurò la benevola neutralità degli stati presenti nel Mediterraneo orientale, anche di Genova, cui i ribelli avevano offerto la sovranità su Creta (118), e del re di Cipro, che aveva anche offerto a Venezia un aiuto militare, cortesemente rifiutato (119); sul piano militare, dopo un infruttuoso tentativo da parte degli equipaggi delle mude di Cipro ed Alessandria di conquistare Sitia (120), si inviò una flotta di 10 galee, col compito di attuare il blocco navale dell'isola, impedendo qualsiasi rapporto con l'esterno (121), e si preparò un esercito da inviare nell'isola per sedare la rivolta. Nel novembre-dicembre furono fissate le condizioni per l'arruolamento di cavalieri (122); fu dato incarico a Giuliano de Baldachinis ed al notaio di curia Damiano di recarsi in Romagna e nelle Marche per arruolarvi mercenari (123); il 24 gennaio 1364 furono assoldati a Signa 100 cavalieri (124), mentre si attendeva l'arrivo a Venezia di uomini d'arme del conte di Savoia, già pronti per il passagium, la crociata contro gli infedeli, che avrebbero potuto essere sbarcati prima a Creta per partecipare alle operazioni militari, e quindi essere trasportati a Cipro, o dove essi avessero voluto, per portare a termine la loro impresa (125). Il 2 febbraio fu inviato a Luchino dal Verme, scelto per comandare la spedizione, il procuratore del doge e del comune, Rafaino de Caresini, che offrì le seguenti condizioni: un soldo di 800 ducati mensili, una sua guardia di 100 cavalieri e 150 fanti, che sarebbero stati pagati da Venezia, il comando delle truppe, da esercitare collegialmente con due governatori veneziani (126). Il 28 marzo il dal Verme giurò la sua commissione (127). Si provvide alle esigenze logistiche inviando in Turchia Angelo Michiel per l'acquisto di vettovaglie e frumento (128) - in un primo momento si era anche pensato di assoldare mercenari turchi, ma ben presto questa ipotesi fu abbandonata per timore dei problemi che i Turchi avrebbero potuto successivamente causare (129). In Boemia fu ingaggiato un gruppo di minatori che dovevano essere inviati a Creta insieme alle truppe, per cooperare alle operazioni militari mediante lo scavo di fossati, di mine e tutte le altre operazioni proprie della loro professione (130). Fu infine pronunciata la condanna a morte per i 10 capi della rivolta, condanna da eseguire senza remissione, non appena i condannati fossero stati catturati (131).
La flotta, salpata da Venezia il 10 aprile 1364, giunse a Creta il 6 o 7 maggio successivi. Superate le forze ribelli, formate sia da Veneto-Cretesi che da Greci, il giorno 9 fu occupata la città di Candia e subito dopo le altre città dell'isola. Alcuni ribelli si rifugiarono sulle montagne dell'interno, altri fuggirono via mare laddove il potere di Venezia non li potesse raggiungere. I capi della congiura che non erano riusciti a porsi in salvo furono giustiziati: Paolo Querini che era il capo dei ribelli di Retimno, Marco Gradenigo, Marco Fradello e Gabriele dell'Abate, rispettivamente governatore e consiglieri di Candia. I membri delle famiglie Gradenigo e Venier residenti a Candia furono puniti in proporzione alla gravità delle loro colpe, e chi non fu raggiunto dalla pena inflittagli fu bandito, insieme alla sua famiglia, da Venezia e dai paesi orientali in cui si esercitavano l'autorità e l'influenza veneziane, ed i suoi beni vennero confiscati (132). A Venezia la notizia della vittoria giunse il 4 giugno, e quindi si organizzarono cerimonie religiose di ringraziamento, giostre e tornei, di cui il Petrarca, testimone oculare, ci ha lasciato una coloritissima descrizione (133).
La guerriglia continuò, soprattutto nella piana di Lassithi, e fu domata solo nell'aprile 1366. Come ultima punizione, fu vietato coltivare, o utilizzare come pascolo, la pianura stessa, divieto che venne revocato solo nel 1497. Infine, a seguito della rivolta fu resa definitiva la carica di capitano dell'isola, preposto alla difesa esterna ed al mantenimento dell'ordine interno: era inoltre suo compito partecipare a tutti i consigli preposti al governo dell'isola (134).
9. La guerra di Chioggia: la questione di Tenedo
La pace di Milano non aveva posto un freno alla politica espansionistica genovese nel Mediterraneo orientale, che anzi aveva conosciuto notevoli successi, di cui il più importante fu l'occupazione di Famagosta nel 1374. D'altro canto, l'espansione ottomana in Europa rappresentava una minaccia sempre più incombente sugli interessi veneziani in Oriente, ed in questa situazione diveniva sempre più importante proteggere e controllare i Dardanelli, punto chiave per le comunicazioni tra l'Anatolia e la penisola Balcanica e per le rotte tra l'Egeo ed il mar Nero, ove gli interessi genovesi continuavano ad essere fortissimi. Proteggere i Dardanelli significava ottenere il possesso dell'isola di Tenedo, situata a non grande distanza dall'imboccatura di quello stretto, ed a questo possesso aspiravano sia Genova che Venezia (135).
In occasione del rinnovo della tregua con Venezia, avvenuto il 1° febbraio 1370 (136), sembra che l'imperatore Giovanni V Paleologo, a saldo dei suoi debiti nei confronti di Venezia, abbia acconsentito a cedere a quest'ultima l'ambita isola, con delle condizioni di cui non si conosce il contenuto, ma che certamente non vennero osservate (137), per cui anche in questa occasione l'isola contesa sfuggì, per il momento, a Venezia.
Nel 1376 l'imperatore Giovanni V, "homo veneti nominis amicissimus" (138), venne spodestato dal figlio primogenito Andronico, che già in precedenza si era ribellato al padre, e quindi era stato privato del diritto di successione al trono ed imprigionato. Andronico, evaso, con l'aiuto dei Genovesi di Pera, assediò Costantinopoli, che occupò il 12 agosto 1376 (139). Il nuovo imperatore aveva già promesso ai Genovesi l'isola di Tenedo; pochi giorni dopo il suo ingresso nella capitale, il 23 agosto, egli emise un crisobullo in favore di Genova, in cui tra l'altro confermò la cessione di quell'isola (140).
La reazione veneziana fu l'immediata occupazione di Tenedo (ottobre 1376), evento accolto con favore dalla popolazione indigena. Seguì la nomina di Donato Tron a capitano dell'isola e, nel gennaio 1377, quella di un bailo e capitano, Antonio Venier; conseguenza ovvia fu lo scoppio della guerra con Genova, che trovò i suoi più potenti alleati nell'Italia settentrionale ed Oltralpe. In questa guerra, famosa col nome di guerra di Chioggia, unica operazione militare di una certa rilevanza svoltasi nel Mediterraneo orientale fu un tentativo genovese di impadronirsi dell'isola contesa, fallito anche per la collaborazione della popolazione greca con i Veneziani (141); teatro principale delle operazioni fu l'Adriatico, in particolare le acque intorno a Venezia. L'assedio alla città, condotto per terra e per mare, fallì, e nella pace conchiusa a Torino nel 1381 si trovò per Tenedo una soluzione, che in apparenza doveva accontentare entrambe le parti, ma che in concreto si risolse in un ulteriore progresso dei Turchi. Venezia doveva abbandonare l'isola contesa e distruggerne le opere di fortificazione ed evacuarne la popolazione; quindi Tenedo sarebbe stata affidata al conte di Savoia (142). Il bailo veneziano, Zanachi Muazzo, appoggiato dalla popolazione isolana e dalla guarnigione veneziana, si rifiutò di abbandonare l'isola, certo che essa sarebbe stata immediatamente occupata dai Genovesi; ma alla fine dovette cedere: l'isola venne evacuata tra la fine del 1383 e l'inizio del 1384, il Muazzo fu processato, ma alla fine assolto e considerato un fedele servitore degli interessi della Repubblica, che continuò ancora per un certo numero di anni ad esercitare una sorta di velata sovranità su Tenedo (143).
10. Posizione giuridica dei vari territori costituenti il "dominium"; demografia, economia
Sotto gli aspetti politico, demografico, economico, questo insieme di domini presenta una sostanziale diversità di situazioni, dovuta a vari elementi, all'estensione territoriale degli stessi, ai diversi modi di acquisizione, ai rapporti politici e giuridici con la madrepatria, alla funzione che quest'ultima assegnava ad essi, per la tutela degli interessi politici, economici, militari di Venezia.
Vi era innanzi tutto una differenza sostanziale tra i possessi territoriali ed i quartieri posseduti, per concessioni dei sovrani locali, in città che per il resto sfuggivano completamente ad ogni interferenza veneziana, rimanendo sotto la piena sovranità del signore originario. Tale era, ad esempio, il caso di Famagosta o di Costantinopoli, ed in un primo tempo anche di Negroponte, ove il quartiere veneziano, sviluppatosi intorno al campus originario, era separato dal resto della città, rimasto dominio dei signori terzieri, non solo giuridicamente, ma anche fisicamente, da un muro di cinta, fatto costruire all'inizio del secolo, sia a scopo difensivo, sia per meglio garantire questa separazione (144). L'acquisizione del resto della città, così come di tutta l'isola, si attuerà gradatamente, nel corso del secolo, completandosi nel 1390. Diversa è la situazione dei territori occupati militarmente, sin dagli anni immediatamente dopo il 1204, Corone-Modone e Creta, posti direttamente sotto la sovranità veneziana, senza alcuna interferenza di poteri estranei, e che comprendevano sia i centri cittadini che il contado, quindi con caratteristiche e funzioni completamente diverse dai semplici quartieri cittadini. Vi erano infine le isole minori poste sotto la giurisdizione di signori veneziani: su alcune di esse Venezia ottenne l'alto dominio nel corso del '300 (145) - nel caso di Cerigo la sovranità veneziana sui signori locali, i Venier, si era già affermata nel '200 -, altre invece, originariamente feudi imperiali, erano passate sotto il dominio eminente dei principi di Acaia e quindi dei sovrani angioini; ma l'affievolirsi dell'influenza e delle capacità di intervento politico e militare di questi ultimi, e l'assoluta necessità per i signori veneziani delle isole della protezione veneziana, unite al fatto di rimanere sempre sudditi della Repubblica, avevano determinato l'instaurazione di fatto di una sovranità di Venezia su queste isole.
In questi territori il carattere urbano era, più o meno, prevalente (146). In Eubea, l'unica città, di diritto e di fatto, era Negroponte (147); la vita di Creta sembrava concentrarsi a Candia, anche se, a proposito di quest'isola, la documentazione disponibile, soprattutto quella notarile, proviene da questo centro. Molto meno sappiamo degli altri centri, pure importanti dell'isola, a cominciare dalla Canea. A Creta inoltre l'insediamento, sin dagli anni immediatamente successivi all'occupazione dell'isola, di gruppi sempre più consistenti di feudati, dotati di possessi fondiari a Candia e nel contado, nonché di contadini servi, i πὰpοιϰοι, aveva comportato il formarsi di un'aristocrazia fondiaria con forti interessi cittadini, che come comunità aveva anche una propria individualità giuridica, e che partecipava, sia pure in posizione subordinata, al governo dell'isola con un proprio consiglio dei feudati, che ovviamente aveva la propria sede a Candia. Ma esistevano anche altri consigli, sia a Creta che nelle altre colonie, emanazione della popolazione veneziana ivi residente, la cui sede era ovviamente nelle città sedi di tutti gli altri organi di governo (148).
La realtà demografica delle città era particolarmente complessa. Accanto ai Veneziani che vi risiedevano stabilmente - feudati a Candia ed alla Canea, mercanti ed artigiani in queste e nelle altre città poste sotto il pieno dominio veneziano, nonché nei quartieri veneziani di città soggette ad altre dominazioni (149) - vi erano Veneziani residenti nella madrepatria che si recavano in Oriente per svolgervi attività commerciali, e quindi si fermavano per brevi periodi nei vari centri soggetti alla madrepatria (per costoro a Candia era spesso usata la formula: "de Veneciis, nunc Candide commorans" (150)), Occidentali (definiti abitualmente Latini), originari sia degli altri paesi italiani, sia d'Oltralpe - anche qui si deve distinguere tra coloro che vi risiedevano in permanenza e che assumevano la condizione giuridica di borghesi, burgenses, e coloro che vi si fermavano per brevi periodi - ed esponenti delle popolazioni locali, ovviamente in maggioranza Greci (151). Altre comunità particolarmente importanti erano quelle ebraiche, presenti a Negroponte ed in altre città euboiche, ed anche a Candia ed in altre città cretesi (152). Mentre i Veneziani e gli altri Latini avevano diritto, in misura più o meno ampia, a svolgere attività commerciali (sempre nel quadro della politica veneziana, e delle relative norme emanate dal potere centrale), diritto riconosciuto anche alle popolazioni indigene delle città, gli Ebrei ne erano, in linea di principio, esclusi - era loro precluso anche lo status di burgensis (153); esistevano però deroghe a favore di singoli individui (154).
L'esistenza di questi domini deve esser vista, in primo luogo, nel contesto del sistema commerciale che faceva capo a Venezia. Non solo punti di appoggio, basi, per le navi ed i convogli che dalla madrepatria si dirigevano verso i porti che rappresentavano i punti di arrivo delle vie terrestri provenienti dall'Asia centro-orientale e dall'Africa subsahariana - Caffa, Trebisonda, Laiazzo, Beirut, Alessandria, Damietta - ma anche centri di sistemi di scambio di raggio più limitato, ove si raccoglievano le merci provenienti dai paesi circonvicini, in attesa di essere riesportate a Venezia, e le merci provenienti da Venezia, destinate a questi stessi paesi. Tale aspetto è particolarmente evidente per Creta (155), data l'abbondante documentazione relativa a quest'isola (156). Ad esempio, dalle imbreviature del notaio Giorgio Emo risulta che nel periodo gennaio-febbraio 1372 erano pronte nel porto di Candia, per salpare per Alessandria, sei imbarcazioni, il lignum di Giorgio Caludi e Marino Poliocto (appena tornato da un viaggio effettuato a Mileto), il banzono di ser Antonio Falier, la cocchina di Basilio Baseggio (di ritorno da un precedente viaggio per Costantinopoli), il lignum di Marco da Canal, il lignum di Michele Catharo ed il lignum di Marino Poliocto; il lignum di ser Nicola Pasqualigo doveva salpare per Efeso; il lignum di Pietro Rosso doveva salpare per Negroponte, mentre erano diretti a Venezia due ligna di ser Filippo Piçamano e di Cristoforo Bartolomei. Già questo limitatissimo elenco mostra come accanto ad armatori veneziani vi fossero anche armatori greci; altri armatori greci citati in questo protocollo notarile sono Stamati Vergizi e Costas Curtera. I mercanti - veneziani e greci - che vi si imbarcavano contraevano numerosi prestiti marittimi, con un interesse che in genere ammontava al 20% per i viaggi con destinazione Efeso, Negroponte, Corone, Mileto, Cipro, ed al 30% per i viaggi con destinazione Alessandria, Costantinopoli o Venezia (157).
Sul mercato cretese non si trovavano solo le merci importate, da Oriente ed Occidente; importantissima era la produzione agricola, soprattutto di prodotti destinati anch'essi all'esportazione, cotone (poco), frumento (abbondante) e vino (anch'esso abbondante, e di qualità superiore, malvasia, athiri e passito), prodotti destinati essenzialmente a rifornire il mercato veneziano, e quindi, sempre tramite Venezia, gli altri mercati europei (158). Un quadro complessivo delle possibilità offerte dal mercato cretese ci è offerto dalle Pratiche di mercatura, a cominciare dalla più famosa, quella di Francesco Balducci Pegolotti, che cita come presenti sul mercato di Candia spezie, grosse e sottili, metalli, miele, mandorle, sapone, olio, tessuto - canovacci, panni di lana -, vino, grano ed altri cereali; in particolare, i ragguagli tra pesi e misure usati a Candia e quelli di altre piazze permettono di stabilire che i canovacci venivano importati da Ancona, mentre da Creta si esportava frumento a Cipro, a Rodi ed a Venezia, e vino a Costantinopoli, a Rodi, alla Tana, a Venezia (159).
Un oggetto di scambio, non citato dalla Pratica del Pegolotti, né dagli altri manuali di mercatura, presente in abbondanza sul mercato candiota, erano gli schiavi (160). Si trattava di schiavi provenienti dalle più diverse regioni, dall'Anatolia e dai Balcani, in parte frutto di razzie effettuate da Turchi e Catalani; moltissimi provenivano dai porti del mar Nero, in particolare dalla genovese Caffa, ed erano originari sia dei paesi caucasici che dei territori dominati dai Mongoli. Solo una piccola parte di questi schiavi rimaneva nell'isola - in genere si trattava di donne, utilizzate come schiave domestiche -; la maggior parte era acquistata da mercanti, veneziani e stranieri, e riesportata nei diversi paesi europei. ed in gran numero in Egitto.
Altra merce non citata è il sale, anch'esso disponibile a Negroponte. Si trattava del sale delle saline di Pteleon, e probabilmente anche di quello proveniente dalla Tessaglia (161); ma vi era anche del sale prodotto, forse in modesta quantità, in Eubea (162).
La documentazione, molto più scarsa, relativa a Negroponte, in particolare quella prodotta nell'isola, ci fa conoscere molto poco sulla produzione locale e sugli acquisti, e generalmente sulle acquisizioni, da parte di cittadini veneziani, di proprietà agrarie. Di più conosciamo sulle merci che giungevano sul mercato. La città di Negroponte era separata dal continente da uno strettissimo braccio di mare (circa 40 metri), al centro del quale si trovava un isolotto, fortificato; un ponte di pietra univa l'isolotto al continente ed un ponte levatoio lo metteva in comunicazione con la città (163). Più importante di questa via terrestre erano le comunicazioni marittime con la terraferma, in particolare l'Attica, la Beozia e la Tessaglia, la cui abbondante produzione agricola, in specie il frumento, giungendo sul mercato della città euboica, veniva immessa nel sistema di scambi commerciali internazionali. Inoltre le navi provenienti da Venezia con destinazione Costantinopoli ed il mar Nero, per evitare un tratto di navigazione in Egeo, nel mare aperto, preferivano passare per il canale dell'Eubea, per cui i porti di Negroponte rappresentavano una tappa intermedia di questa importantissima rotta commerciale (164), e frequenti sono i riferimenti a mercanti ed a merci che da Venezia erano diretti specificamente a Negroponte (165).
Quindi amplissime disponibilità di merci; la Pratica del Pegolotti cita questi prodotti esportati da Venezia a Negroponte con galee armate: panni di lana grossi e grigi, canovacci, pannilani sottili, tele di lino sottili, rame, stagno; da Negroponte a Venezia erano esportati seta, bucherami, drappi di seta, uva passa, cera, spezierie grosse e sottili (queste indicazioni valgono anche per Chiarenza, Corone e Modone). I ragguagli tra le unità di misura usate a Negroponte e quelle usate a Venezia riguardano cera, seta, grana (queste merci sono anche citate nei ragguagli con Firenze) e biade; per i panni di lino vi è anche il ragguaglio con Chiarenza (166). Quindi esportazioni, nella prospiciente terraferma - parecchie volte le autorità isolane devono intervenire a tutela dei propri connazionali che si sono recati a commerciare in queste zone (167) - e nelle isole.
Particolare rilevanza avevano i rapporti con Tessalonica, ove sin dalla seconda metà del XIII secolo si era stabilita una consistente colonia veneziana, retta da un console (168); le mude di Romània non giungevano in questo porto, ma, superato il canale di Eubea, si dirigevano direttamente a Costantinopoli, per cui le merci destinate a Tessalonica erano sbarcate a Negroponte, e di qui trasportate al luogo di destinazione da mercanti di Negroponte, su imbarcazioni locali, di stazza più modesta (169); lo stesso accadeva ovviamente per le merci destinate da Tessalonica a Venezia, che facevano la loro prima tappa nella città euboica.
Corone e Modone, data la loro posizione geografica e la limitatezza del territorio da esse dipendente, rappresentavano essenzialmente un punto di appoggio per le navi che, superato lo Ionio, penetravano nel Mediterraneo orientale; modesta era la produzione locale che potesse essere commercializzata, e per i prodotti della Morea destinati a Venezia veniva utilizzato soprattutto il principale porto del principato di Acaia, Chiarenza (Glarentsa), anche sede di un console veneziano.
Alla fine del XIV secolo la struttura fondamentale dell'impero coloniale veneziano in Oriente era ormai ben salda, e la complessa funzione di questo insieme di domini nel contesto degli scambi commerciali tra l'Europa occidentale, che conosceva, malgrado le crisi, una sostanziale espansione economica, e l'Oriente, economicamente sempre più depresso, era ormai ben definita. In epoca successiva passeranno sotto il dominio veneziano, per periodi più o meno lunghi, altre città ed altre isole, che, con l'unica, e rilevantissima, eccezione di Cipro, accanto all'importanza politico-militare, svolgeranno dal punto di vista economico quasi esclusivamente la funzione di raccordo tra i sistemi economici dell'hinterland, non veneziano, ed il sistema veneziano; la produzione locale non sarà in genere tale da contribuire in modo rilevante allo sviluppo del commercio internazionale.
1. Edito in K.D. Mertzios, ῾Η συνθήϰη ῾Ενετῶν-Καλλέϱγη ϰαι οἱ συνοδεύοντεζ αὐτήν ϰατάλογοι, "Κϱητιϰὰ Χϱονιϰὰ", 3, 1949, pp. 264-274 (pp. 262-292). Su questo accordo v. David Jacoby, Les états latins en Romanie: phénomènes sociaux et économiques, in Id., Recherches sur la Méditerranée orientale du XIe au XVe siècle. Peuples, sociétés, économies, I, London 1979, pp. 24, 27-28, 38, 41 (pp. 3-51).
2. Secondo D. Jacoby, Les états latins, l'inserimento dell'aristocrazia indigena cretese nei quadri della feudalità veneziana non ebbe un carattere generale, ma fu limitato a pochi e specifici individui e gruppi familiari.
3. Silvano Borsari, Studi sulle colonie veneziane in Romania nel XIII secolo, Napoli 1966, pp. 78-82. Per Serifo v. anche Walter Haberstumpf, L'isola di Sèrifo e i suoi dinasti (1204-1537): note storiche e prosopografiche, "Θησαυϱίσματα", 24, 1994, pp. 22-24 (pp. 7-36).
4. V. le numerose autorizzazioni al bailo di Negroponte a contrarre mutui per la difesa dell'isola: 2 dicembre 1281, 8 agosto 1283, 3 luglio 1285, 7 agosto 1287, 13 agosto 1289, in Freddy Thiriet, Délibérations des assemblées vénitiennes concernant la Romanie, I-II, Paris-La Haye 1966-1971: I, nrr. 51, 72, 100, 120, 138, pp. 40, 44, 45, 54, 59.
5. Actes relatifs à la Principauté de Morée (1289-1300), a cura di Charles Perrat - Jean Longnon, Paris 1967, nrr. 218, 219, 236, pp. 189-190, 201; Franz Dölger, Regesten der Kaiserurkunden des Oströmischen Reiches, IV, Müinchen-Berlin 1960, nr. 2227, p. 32.
6. Diplomatarium Veneto-Levantinum sine Acta et Diilomata, Res Venetas, Graecas atque Levantiis illustrantia a. 1300-1454, a cura di Georg M. Thomas - Riccardo Predelli, I-II, Venezia 1880-1899: I, nr. 7, pp. 12-16 (regesto in F. Dölger, Regesten, IV, nrr. 2231, 2243, 2247, pp. 33, 37, 38-39).
7. V. S. Borsari, Studi, pp. 80-83; W. Haberstumpf, L'isola di Sèrifo, pp. 24-25.
8. Per l'esatta localizzazione della battaglia v. David Jacoby, Catalans, Turcs et Vénitiens en Romanie (1305-1332): un nouveau témoignage de Marino Sanudo Torsello, "Studi Medievali", ser. III, 15, 1974, pp. 223-230, e Raymondjoseph Loenertz, Les Ghisi dynastes vénitiens dans l'Archipel 1207-1390, Firenze 1975, pp. 121-122, sulla base soprattutto di una lettera di Marin Sanudo Torsello, che partecipò alla battaglia, edita in Aldo Cerlini, Nuove lettere di Marino Sanudo il vecchio, "La Bibliofilia", 42, 1940, p. 352 (pp. 321-359).
9. Gustave Schlumberger, Expédition des "Almugavares" ou routiers Catalans en Orient de l'an 1302 à l'an 1305, Paris 19255, pp. 287-294; Kenneth M. Setton, Catalan Domination of Athens 1311-1388, Cambridge (Mass.) 1948, pp. 9-12 (che localizza la battaglia presso il lago Copaide); Georgios Kolias, ῾Η μεταξὺ Καταλανῶν ϰαὶ μεγάλου δουϰὸζ ᾿Αθηνῶν μάχη (1311), "᾿Επετηϱὶζ ῾Εταιϱείαζ Βυζαντινῶν Σουδῶν", 26, 1956, pp. 358-379; R.J. Loenertz, Les Ghisi, pp. 121-122.
10. 23 settembre 1308: la Signoria veneziana informa il bailo di Negroponte del matrimonio tra la sorella del duca di Atene e Bernardo di Rocafort, gran maresciallo dell'esercito catalano in Romània e dell'intenzione dei due di impadronirsi dell'Eubea. Il bailo in caso di necessità si rivolga al duca di Creta per aiuti. Contemporaneamente il duca di Creta riceve l'ordine di prestare l'aiuto richiesto: A.S.V., Lettere di Collegio 1308-1310, c. 6r-v (regesti in Giuseppe Giomo, Lettere di Collegio rectius Minor Consiglio 1308-1310, "Miscellanea di Storia Veneta Edita per Cura della R. Deputazione di Storia Patria", ser. III, 1, 1910, nrr. 37-38, pp. 282-283; F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 150, pp. 118-119).
11. Il 20 giugno 1308 il re di Sicilia Federico II scrisse al doge Pietro Gradonico, chiedendo il risarcimento del danno subito in questa occasione da Ramon Muntaner, stimato in 25.000 once (= 125.000 fiorini). Questa lettera fu presentata al doge, insieme ad una lettera dell'ammiraglio d'Aragona, dal procuratore del Muntaner, Guglielmo Michiel: A.S.V., Commemoriali, I, c. 128v (regesto in I Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di Riccardo Predelli, I-VIII, Venezia 1876-1914: I, nr. 374, pp. 87-88). Il doge rispose di esser pronto a dare al procuratore del danneggiato tribunale e giudici, per esaminare la documentazione addotta dal querelante e decidere in merito: A.S.V., Commemoriali, I, c. 129 (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 375, p. 88). Evidentemente il Muntaner non ottenne soddisfazione, o, come più tardi affermò il doge Andrea Dandolo, non si presentò in giudizio, ed il 25 novembre 1350 il re d'Aragona Pietro IV il Cerimonioso scrisse al doge Andrea Dandolo, informandolo di una querela mossa dal genero del Muntaner, nel frattempo deceduto, Pascasio Marane, ripetendo la narrazione dei fatti e chiedendo un risarcimento di 100.000 fiorini, valore dei beni sequestrati, più 3.000 fiorini per spese ed un interesse del 10% annuo: A.S.V., Commemoriali, IV, cc. 178v-179 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 361, p. 186). Il doge rispose 1'11 aprile 1351, facendo notare che al momento dell'incidente la città di Negroponte non era ancora completamente veneziana, che la flotta assalitrice apparteneva al re di Francia ed alla Chiesa romana, e soprattutto che gli eredi del maggior danneggiato, l'infante di Maiorca, non avevano richiesto alcun risarcimento; anzi tra i re di Maiorca e Venezia era stato raggiunto un accordo, in base al quale i primi rinunciavano a qualsiasi risarcimento per i danni subiti prima della conclusione dell'accordo stesso, per cui il querelante non aveva diritto ad alcun risarcimento: A.S.V., Commemoriali, IV, c. 179r-v (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 375, p. 191). Non sembra che la questione abbia avuto un ulteriore seguito.
12. 23 marzo 1313: il pontefice Clemente V autorizzò Gualtieri, vescovo di Negroponte, che aveva partecipato al concilio di Lione del 1311, a rimanere per tre anni lontano dalla sua diocesi, ove non poteva tornare a causa dei frequenti attacchi della Compagnia all'Eubea e delle catture e depredazioni degli abitanti della stessa: Regestum Clementis papae V, cura monachorum o.s.b., I-IX, più indici, Romae 1885-1957: VIII, nr. 9153, pp. 131-132.
13. 13 aprile 1316: ordine al duca di Creta ed al bailo di Negroponte di dar la caccia ai pirati per la salvezza dei Veneziani: F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 347, p. 164,
14. Aprile 1315: si inviano dei soccorsi a Negroponte, chiedendo che i "Lombardi" (i signori terzieri) si addossino la metà delle relative spese: Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati (Senato). Serie "Mixtorum", I, a cura di Roberto Cessi-Paolo Sambin, Venezia 196o, reg. IV, nr. 17 (rubrica), p. 127; maggio 1315: ordine al capitano della flotta di recarsi a Negroponte "ad salvationem et bonum Nigropontis": ibid., reg. IV, nr. 126 (rubrica), p. 117.
15. Il 19 aprile 1318 il maggior consiglio concesse ad Alberto Barberio un posto di puer presso la giustizia nuova, avendo egli subito gravi ferite "pugnando viriliter in civitate Nigropontis contra Catellanos, pro recuperatione et conservatione castri Nigropontis": F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 399, pp. 176, 305; per identiche ragioni il successivo 20 giugno Francesco Moro, figlio di Marco, borghese di Negroponte, fu ammesso al maggior consiglio: ibid., nr. 403, p. 177.
16. V. la lettera di Giovanni XXII al governo veneziano dell'8 maggio 1318: Alfonso Fadrique, usando come pretesto il suo matrimonio con Marulla, si è impossessato dei castelli di Caristo e di Larmena, spettanti di diritto al fratello di Marulla; ha inoltre introdotto nell'isola, alla cui completa conquista egli aspira, truppe catalane e turche: A.S.V., Commemoriali, II, c. 31 (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 100, p. 191).
17. Gli schemi dei tre documenti relativi a questa questione, preparati dalla cancelleria veneta, in A.S.V., Commemoriali, I, cc. 240-241 (regesti in I Libri Commemoriali, I, nrr. 718-720, p. 162).
18. Le lettere dei principi angioini del 17-18 marzo 1318 in A.S.V., Commemoriali, II, cc. 24v-25 (regesti in I Libri Commemoriali, I, nrr. 8g, 90, 93, pp. 189-190). La risposta del doge, del 13 aprile 1318, ibid., c. 25 (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 95, p. 190).
19. La lettera di Matilde di Hainaut, in francese, del 28 marzo 1317, in A.S.V., Commemoriali, II, c. 4 (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 36, p. 176), ed in Raymond-Joseph Loenertz, Athènes et Néopatras. Regestes et Notices pour servir à l'histoire des duchés catalans (1311-1394), "Archivum Fratrum Praedicatorum", 25, 1955, nr. 5, p. 104 (pp. 101-212). Qui la notizia secondo la quale Andrea Corner, signore di un sesto di Negroponte, d'accordo con la Compagnia, avrebbe introdotto nella città di Negroponte 300 cavalieri catalani e 2.000 fanti. V. K.M. Setton, Catalan Domination, p. 30.
20. V. la lettera del pontefice cit. supra, n. 16.
21. La prima citazione di un ballo e capitano di Negroponte è in una parte del maggior consiglio del 10 luglio 1317: F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 382, pp. 172 (regesto), 304 (testo). Il primo bailo e capitano attestato è Francesco Dandolo, 26 giugno 1318: A.S.V., Commemoriali, II, c. 31 (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 110, p. 194).
22. Benoît XII (1334-1342). Lettres closes et patentes intéressant les pays autres que la France, a cura di Jean-Marie Vidal - Guy Mollat, I-II, Paris 1913-1950: I, nr. 988, coll. 259-260.
23. A.S.V., Lettere di Collegio 1308-1310, C. 62 (regesti in G. Glomo, Lettere di Collegio, nrr. 419-422, pp. 344-345, ed in F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 192, p. 129).
24. A.S.V., Lettere di Collegio 1308-1310, C. 66v (regesti in G. Giomo, Lettere di Collegio, nrr. 446-451 pp. 348-349, ed in F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 197, p. 130).
25. A.S.V., Lettere di Collegio 1308-1310, C. 68r-v (regesti in G. Giomo, Lettere di Collegio, nrr. 463-466, pp. 350-351, ed in F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 201, p. 131).
26. Edito in Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 46, pp. 82-85, ed in Antonio Rubió y Lluch, Diplomatari de l'Orient català, Barcelona 1947, nr. 46, pp. 56-58 (regesto in F. Dölcer, Regesten, IV, nr. 2325, p. 55).
27. Vedine l'elenco in Chryssa A. Maltezou, ῾Ο θεσμὸζ τοῦ ἐν Κωνσταντινουπόλει Βενετοῦ βαΐλου (1268-1453), ᾿Αθήναιζ 1970, pp. 107-125.
28. Ibid., pp. 43-52.
29. Svetlana V. Bliznjuk, Die Venezianer auf Zypern im 13. und in der ersten Hälfte des 14. >ahrhunderts, "Byzantinische Zeitschrift", 84-85, 1991-1992, nr. 2, pp. 445-446 (pp. 441-451).
30. Michel Balard, Les Vénitiens en Chypre dans les années 1300, "Byzantinische Forschungen" 12, 1987, pp. 587-603.
31. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 23, pp. 42-45.
32. V. Johannes Koder, Negroponte. Untersuchungen zur Topographie und Siedlungsgeschichte der Insel Euboia während der Zeit der Venezianerherrschaft, Wien 1973, pp. 126-127.
33. Bernard Doumerc, Les Vénitiens à la Tana au XVe siècle, "Le Moyen Âge", 94, 1988, pp. 363-364 (pp. 363-379).
34. Alberto Tenenti-Corrado Vivanti, Le film d'un grand système de navigation: les galères marchandes vénitiennes XIVe- XVIe siècles, "Annales E.S.C.", 16, 1961, pp. 83-86 e la relativa tavola.
35. Freddy Thiriet, Regestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Rornanie, I-III, Paris-La Haye 1958-1961: I, nr. 251, p. 72; Id., Délibérations, I, nr. 584, p. 224.
36. V. la lettera di Giovanni XXII cit. supra, n. 16. Qui l'affermazione che Alfonso Fadrique "ad tocius insule occupacionem aspirans, Catalanos et Turchos in dictam insulam introduxit, ipsam exponens faucibus eorumdem, qui usque ad menia civitatis Nigroponti [...> rabiem destructionis immanis exercuerunt et exercent immaniter in eadem".
37. Il 16 luglio 1318 il duca di Creta, Nicolò Zane, informò le autorità della madrepatria che i Turchi, dopo aver saccheggiato le isole di Scarpanto e Santorino, si preparavano ad assalire Negroponte con l'appoggio di Alfonso Fadrique, che aveva inviato loro due galee armate: Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 69, pp. 109-110.
38. Il pagamento di un tributo da parte di Negroponte ai Turchi è attestato a partire dal 1332: v. Paul Lenierle, L'Émirat d'Aydin, Byzance et l'Occident. Recherches sur "La Geste d'Umūr Pacha", Paris 1957, pp. 82, 88; Elizabeth A. Zachariadou, Trade and Crusade. Venetian Crete and the Emirates of Menteshe and Aydin (1300-1415), Venezia 1983, pp. 22, 198 (qui il testo del trattato tra il duca di Creta e l'emiro di Menteshe, in cui si fa riferimento al tributo pagato da Negroponte al precedente emiro, Orkhan).
39. Nel 1318 il duca di Creta e l'universitas dei feudati di Candia comunicarono al doge che una flottiglia turca, rinforzata da elementi catalani, si apprestava ad assalire l'isola nella zona di Sythia, e che erano state prese le misure necessarie per la difesa: Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nrr. 61-62, pp. 107- 109.
40. V. il doc. cit. supra, n. 37. Nei docc. citt. alla n. 39 si parla degli attacchi a Santorino e Scarpanto, e delle razzie di uomini, animali e beni effettuate in queste isole. V. anche Elizabeth A. Zachariadou, The Catalans of Athens and the Beginning of the Turkish Expansion in the Aegean Area, "Studi Medievali", 21, 1980, pp. 826-829 (pp. 821-838).
41. Da una bolla di Clemente VI al patriarca di Grado (30 settembre 1343): "[...> non sine amaritudine mentis accepimus quod gentes illorum infidelium paganorumque vulgari lingua Turchi vocatorum, sitientes sanguine populi christiani et ad exterminationem catholice fidei anelantes, collectis sue viribus nationis a certis retro conumeratis temporibus cum maxima quantitate lignorum navalium armatorum in partibus Romanie et aliis locis fidelium convicinis eisdem, Christianorum fines per mare fuerunt ingressi, et in Christianos et loca ac insulas eorundem atrociter sevientes, per mare discurrere hactenus non desistunt incessanter, damnificantes et depopulantes loca et insulas Christianorum partium earundem, ipsisque incendio miserabili supponentes, et quod nephandius est, Christianos eosdem in predam abducunt, et subiciunt orribili et perpetue servituti, vendentes eosdem ut animalia, ipsosque ad abnegandam (idem catholicam compellentes [...>": A.S.V., Commemoriali, IV, c. 63v (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 66, p. 127).
42. V. la lettera del duca di Creta al doge del 26 giugno 1318, in cui si citano numerosi atti di pirateria, in A.S.V., Commemoriali, II, c. 31V (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 110, p. 194).
43. aprile 1316: ordine al duca di Creta ed al bailo di Negroponte di armare delle navi e di fornirle di balestrieri per dar la caccia ai pirati e per la "salvatio gentis nostre": F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 347, p. 164.
44. Per l'importazione di frumento v. E.A. Zachari.Adou, Trade and Crusade, pp. 163-165; per l'importazione di cavalli ibid., pp. 165-166.
45. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nrr. 61-62, pp. 107-109. V. anche E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, p. 5.
46. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 70, pp. 120-122; v. K.M. Setton, Catalan Domination, p. 27.
47. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 108, pp. 214-229 (regesto in R.J. Loenertz, Athènes et Néopatras, p. 106 n. 14).
48. Il testo del trattato in E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 187-189.
49. Le Destān d'Umūr Pacha, a cura di Irène Mélikoff-Sayar, Paris 1954. V. P. Lemerle, L'Emirat.
50. Le Destān, vv. 593-664, pp. 66-71; P. Lemerle, L'Emirat, pp. 80-83.
51. Giovanni Villani, Cronica, X, 224.
52. F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 15, pp. 25-26. V. P. Lemerle, L'Emirat, p. 82, che però non specifica che la proposta dei saggi fu respinta dal senato.
53. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 109, p. 219 (regesto in I Libri Comrnemoriali, II, nr. 235, p. 40).
54. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nrr. 116-117, pp. 225-230 (regesti in I Libri Commemoriali, II, nrr. 264-265, p. 45).
55. F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nrr. 35, 36, p. 30.
56. Ibid., nr. 37, p. 30.
57. V. P. Lemerle, L'Erirat, p. 93.
58. Diplomatariwn Veneto-Levantinum, I, nr. 126, pp. 244-246 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 321, p. 54).
59. P. Lemerle, L'Émirat, pp. 95-101, che pensa anche ad un possibile tentativo di sbarco a Smirne che avrebbe avuto luogo nell'autunno-inverno 1334.
60. Altri esempi: il 21 settembre 1354 fu dato ordine al bailo di Negroponte di far tutto il possibile perché Serifo venisse restituita a Zanino Bragadin, che aveva combattuto valorosamente contro i Genovesi a Negroponte, e tolta ad Ermolao Minotto, cui era stata concessa da Simone Ghisi: v. R.J. Loenertz, Les Ghisi, pp. 127-128, 233-234; W. Haberstumpe, L'isola di Sèrifo, pp. 27-28; F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 229, p. 76. Un altro intervento si ebbe nel 1361-1363, quando si prospettò l'ipotesi di un matrimonio tra Fiorenza Sanudo, figlia del duca dell'Arcipelago Giovanni Sanudo, prima col genovese Pietro Recamelli capitano di Smirne, poi col fiorentino Ranieri Acciaioli. Ciò per impedire che le isole dell'Arcipelago cadessero "in malas manus". Due lettere alla regina di Napoli Giovanna I ed all'imperatore titolare di Costantinopoli Roberto di Taranto espongono chiaramente la posizione giuridica veneziana: Fiorenza Sanudo non è vassalla dei sovrani angioini, ma cittadina veneziana, e la sovranità della Repubblica sulle isole dell'Arcipelago è stata riconosciuta anche in occasione delle tregue veneto-bizantine: ibid., nrr. 381, 396, 404, pp. 99-100, 103, 104-105.
61. Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati, I, reg. V, nr. 445 (rubrica), p. 215.
62. Ibid., reg. VII, nr. 63, p. 252 (maggio 1322); reg. VIII, nr. 138, p. 294 (dicembre 1325); reg. XIV, nr. 160, p. 453 (luglio 1331) (rubriche).
63. Ibid., reg. VI, nr. 258, p. 243 (febbraio 1322); reg. VII, nr. 301, p. 270 (giugno 1323); reg. XIII, nr. 2, p. 413 (marzo 1330) (rubriche).
64. Carlo Hopf, Dissertazione documentata sulla storia di Karystos, Venezia 1856, pp. 44-45, e doc. 1, pp. 77-78 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 293, p. 74). V. anche F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nrr. 229, 238, pp. 67, 69. Quest'ultimo documento nonché l'altro edito in C. Hopf, Dissertazione, riferiscono di tentativi del maestro degli Ospedalieri di acquistare Caristo e del timore che nutriva il governo veneziano per l'eventuale presenza in Eubea di poteri estranei.
65. C. Hopf Dissertazione, pp. 47-48, e doc. 2, pp. 79-80 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 15, p. 304).
66. C. Hopf, Dissertazione, docc. 4 (qui da correggere sexagesimo nono in quinquagesimo nono), 5, pp. 82-86 (regesti in I Libri Commemoriali, II, nrr. 162, 170, pp. 306-307, 309).
67. C. Hopf, Dissertazione, pp. 50-52 e doc. 6, pp. 86-89. V. Anche F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 423, pp. 111-112: ordine al bailo di Negroponte di effettuare un'indagine sulle entrate di Caristo e sulle spese necessarie per la difesa del castello. Il castello di Larmena era in possesso di Venezia già prima dell'8 novembre 1348, quando il senato ordinò al regimen di Negroponte di concedere in feudo il castello in questione ed i casali che ne dipendevano: ibid., nr. 215, p. 64. Su tutta la questione v. anche K.M. Setton, Catalan Domination, p. 32 e n. 32, e R.J. Loenertz, Athènes et Néopatras, pp. 181 - 182, e Id., Les Ghisi, pp. 138-141.
68. F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 100, p. 42. 69. Editi in R.J. Loenertz, Les Ghisi, pp. 242-250 (regesti in F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nrr. 354, 373, pp. 94-95, 98).
70. Già in precedenza i signori avevano avanzato le loro querele a questo proposito, ed il senato aveva approvato una parte, che evidentemente non era stata osservata: R.J. Loenertz, Les Ghisi, p. 244.
71. L'8 settembre 1338 i signori terzieri di Negroponte, Bartolomeo Ghisi e Pietro dalle Carceri, si erano impegnati a riconoscere come banditi da tutta l'isola coloro che fossero stati condannati al bando dal bailo. L'arresto dei banditi, e la loro consegna al bailo, dovevano essere effettuati dagli stessi terzieri ("si dicti banditi inventi fuerint in insula prelibata, quod statim ipsos capi faciemus et contra ipsos procedemus secundum formam iuris, nec penam eisdem per iura imposita dilatabimus seu remittemus ullo modo, vel saltim ipsum vel ipsos malefactores captos mittemus ad suprascriptum dominum capitaneum, ut per ipsum procedi debeat"): A.S.V., Commemoriali, VIII, c. 17 (regesto in I Libri Commemoriali, III, nr. 2, p. 128). Il bailo quindi, facendo catturare direttamente il condannato, agiva contro quanto stabilito in questo accordo.
72. Probabilmente Ryaki. Località non registrata in J. Koder, Negroponte.
73. A.S.V., Commemoriali, IV, c. 21 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 53, p. 24).
74. A.S.V., Commemoriali, IV, cc. 58v-59 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 66, p. 127).
75. Su Martino Zaccaria v. Ludovico Gatto, Per la storia di Martino Zaccaria signore di Chio, "Bullettino dell'Archivio Paleografico Italiano", n. ser., 2-3, 1956-1957, pt. I, pp. 325-345
76. Per la storia della crociata v. Aziz S. Atiya, The Crusade in the Fourteenth Century, in A History of the Crusades, a cura di Kenneth M. Setton, III, Madison (Wisc.) 1975, pp. 11-13 (pp. 3-26); Anthony Luttrell, The Hospitaleers at Rhodes 1306-1421, ibid., pp. 294-295 (pp. 278-339) e soprattutto E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 41-62.
77. Una relazione su questa battaglia è in una lettera scritta a Candia il 26 febbraio 1345 dal mercante Francesco Bartolomei e diretta a Firenze ad un altro mercante, Vannino Fecini, in Lettere di mercanti a Pignol Zucchello (1336-1350), a cura di Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1957, pp. 31-32.
78. A.S.V., Commemoriali, IV, c. 172r-v (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 352, p. 184). Scopo dell'alleanza era "ad deffensionem et tuitionem Christianorum et terrarum, locorum et possessionum per ipsos detentorum in partibus illis et ad destructionem Turcorum et aliorum in partibus Turchie existencium infidelium et ad destructionem et captionem terrarum et locorum detentorum per ipsos et alios infideles in dictis partibus Turchie existencium".
79. Gian Giacomo Caroldo, Historia veneta, in Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it. cl. VII. 128a (= 8639), c. 204. Sull'opera del Caroldo v. Freddy Thiriet, Les chroniques vénitiennes de la Marcienne et leur importante pour l'histoire de la Romanie gréco-vénitienne, in Id., Études sur la Romanie gréco-vénitienne, III, London 1977, pp. 266-272; Antonio Carile, Caroldo, Gian Giacomo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 514-517; Id., La cronachistica veneziana (secoli XII-XVI) di fronte alla spartizione della Romania nel 1204, Firenze 1968, pp. 158-159. Sulla tradizione manoscritta dell'opera del Caroldo v. Julian Chrysostomides, Studies on the Chronicle of Caroldo, with Special Referente to the History of Byzantium from 1370 to 1377, "Orientalia Christiana Periodica", 35, 1969, pp. 123-182.
80. G.G. Caroldo, Historia veneta, c. 206r-v; su questi preparativi v. anche la Venetiarum historia vulgo Petro lustiniano lustiniani filio adiudicata, a cura di Roberto Cessi-Fanny Bennato, Venezia 1964, p. 231.
81. Sulla localizzazione di Kastri, in Eubea, v. J. Koder, Negroponte, p. 122.
82. Secondo G.G. Caroldo, Historia veneta, c. 206, fu inviato a Venezia "gran numero de Genovesi pregioni, li quali furono posti nelli magazeni de San Biasio"; secondo l'interpolatore di Raphayni De Caresinis Chronica aa. 1343-1388, a cura di Ester Pastorello, in R.I.S. 2 XII, 2, 1922, p. 6, le galee genovesi che successivamente distrussero Negroponte, quando si ritirarono dalla città saccheggiata portarono seco alcune delle loro galee precedentemente catturate dai Veneziani, cariche di merci.
83. G.G. Caroldo, Historia veneta, c. 206r-v; Venetiarum historia, pp. 231 -232; interpolatore di R. De Caresinis Chronica, p. 6; Georgii et Iohannis Stellae Annales Genuenses, a cura di Giovanna Petti Balbi, in R.I.S.2, XVII, 2, 1975, pp. 150-151. Ibid., la notizia della conquista da parte dei Genovesi dell'isola di Zea.
84. Nicola de Boateriis, notaio in Famagosta e Venezia (1355-1365), a cura di Antonino Lombardo, Venezia 1973, nrr. 2, 52, 6°0 100, 122, 123, 152, 157, 167, pp. 8-9, 56-57, 64-66, 103-104, 121-123, 152-153, 163, 177. Un documento del 15 novembre 1361 cita esplicitamente "Dimitrius de Calaffati de Nigroponte et Maria eius filia, prius antequam capta foret per lanuenses et ducta et vendita in Ciprum Herini proprio vocabulo nuncupata": nr. 124, pp. 123-124.
85. Venetiarum historia, p. 232. Ancora il 18 febbraio 1353 gli avvocati del comune proposero di processare il Viaro, ma il maggior consiglio si oppose: F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 600, p. 229. Secondo Giorgio Cracco, Società e Stato nel medioevo veneziano, Firenze 1967, p. 401 n., il mancato processo al Viaro si inquadra nella crisi della giustizia che si determinò verso la metà del '300, nel contesto di una più generale crisi dello Stato veneziano.
86. F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 259, pp. 73-74.
87. Ibid., nr. 260, p. 74.
88. A.S.V., Commemoriali, V, c. 3 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 8, p. 215).
89. A.S.V., Commemoriali, V, c. 3r-v; concessione della cittadinanza a Nicola de Captaneis di Bugiano, ed a Giovanni Saraxino cd. Guilelmacio Saraxino burgensis di Negroponte (regesti in I Libri Commemoriali, II, nrr. 9, 10, p. 215).
90. Il testo del trattato in A.S.V., Commemoriali, IV, c. 180r-v (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 368, pp. 187- 188). V. Albano Sorbelli, La lotta tra Genova e Venezia per il predominio del Mediterraneo (1350-1355), Bologna 1921, pp. 26-30.
91. Il testo del trattato in Diplomatarium Veneto-Levantinum, II, nr. 5, pp. 4-12 (regesti in I Libri Commemoriali, II, nr. 402, p. 196, ed in Frani Dölger, Regesten der Kaiserurkunden des Oströmischen Reiches, V, München-Berlin 1965, nr. 2975, pp. 26-27).
92. Innocent VI (1352-1362). Lettres secrètes et curiales, a cura di Pierre Gasnault - Marie-Hyacinthe Laurent, I-IV, Paris 1959-1976 (in corso di pubblicazione): I, nr. 233, pp. 87-88. Dalla lettera al doge di Genova risulta che già in precedenza il pontefice gli aveva scritto, sempre in vista della conclusione della pace.
93. Ibid., nrr. 569-571, pp. 184-186.
94. Lettera a Pietro IV d'Aragona del 4 ottobre 1353: ibid., nr. 577, p. 190.
95. Ibid., nr. 596, p. 196 (12 ottobre 1353).
96. Ibid., nrr. 663, 666, 668, 669, pp. 227-230.
97. Ancora il 15 febbraio 1354, Innocenzo VI era in attesa dell'arrivo degli ambasciatori veneziani: ibid., II, nr. 776, pp. 26-27. V. anche ibid., nr. 1041, pp. 124-125. Un ultimo tentativo ebbe luogo nell'aprile 1355: ibid., III, nrr. 1452-1457, pp. 68-70. Sullo spirito con cui si conducevano queste trattative è interessante una osservazione dell'autore della Venetiarum historia, p. 237: gli ambasciatori veneziani "cum lanuensibus coram papa fuerunt et super negotio disputando talia verba inhonestatis per partes relacta et dicta sunt, quod in disconcordium recesserunt".
98. G.G. Caroldo, Historia veneta, c. 207r-v.
99. Venetiarum historia, p. 233.
100. Sulla spedizione di Paganino Doria v. Michel Balard, A propos de la bataille du Bosphore. L'expédition génoise de Paganino Doria à Constantinople (1351-1352), "Travaux et Mémoires", 4, 1970, pp. 431-469. Per la consistenza numerica della flotta genovese v. G. et I. Stellae Annales Genuenses, p. 151; le indicazioni da parte veneziana (63 o 66 galee), sono fornite rispettivamente dalla Venetiarum historia, p. 233, e dall'interpolatore di R. De Caresinis Chronica, p. 6.
101. G.G. Caroldo, Historia veneta, c. 2 12; Venetiarum historia, p. 233; interpolatore di R. De Caresinis Chronica, pp. 6-7.
102. G.G. Caroldo, Historia veneta, cc. 213-214; Venetiarum historia, pp. 234-235.
103. F. Dölger, Regesten, V, nr. 2991, pp. 31-32. Il cronista veneziano considerò questo accordo quasi un tradimento.
104. Diplomatarium Veneto-Levantinum, II, nr. 8, pp. 17-18 (regesto in F. Dölger, Regesten, V, nr. 3005, P. 33).
105. A.S.V., Commemoriali, IV, cc. 23-24 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 56, pp. 124-125, ed in F. Dölger, Regesten, V, nr. 2891, pp. 9-10).
106. F. Dölger, Regesten, V, nr. 3192, pp. 73-74.
107. V. Freddy Thiriet, Venice et l'occupation de Ténédos au XIVe siècle, in Id., Études sur la Romanie gréco-venitienne, II, London 1977, pp. 222-223 (pp. 219-245).
108. Il testo della pace di Milano in Liber Iurium Reipublicae Genuensis, a cura di Ercole Ricotti, I-II, Torino 1854-1857: II, coll. 617-627.
109. E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 187, 190-194, 196-197, 211-212, 214, 217-218.
110. Sui presupposti della rivolta del 1363, v. Freddy Thiriet, Sui dissidi sorti tra il Comune di Venezia e i suoi feudatari di Creta nel Trecento, in Id., Etudes sur la Romanie gréco-venitienne, IV, London 1977, pp. 699-712. Ricalca un antico luogo comune un giudizio del Petrarca sui Cretesi suoi contemporanei: "Cretenses invenimus, non presenti tantum nostro, sed antiquo tam poetico quam apostolico testimonio infames": Seniles, III, 9, in Francesco Petrarca, Prose, a cura di Guido Martellotti - Pier Giorgio Ricci - Enrico Carrara - Enrico Bianchi, Milano-Napoli 1955, p. 1074. Lettera diretta a Bonaventura Baffo o.f.p.
111. F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nrr. 109-110, pp. 105-107.
112. Edite in J. Jegerlehner, Die Aufstand der kandiotischen Ritterschaf gegen das Mutterland Venedig, "Byzantinische Zeitschrift", 12, 1903, pp. 101-107 (pp. 78-125).
113. Sulla rivolta cretese è tuttora fondamentale lo studio di J. Jegerlehner, citato alla nota precedente, anche per la ricca appendice documentaria.
114. Ibid., pp. 107-108.
115. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 57, p. 98 (regesto in I Libri Commemoriali, II, nr. 14, p. 23).
116. F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 712, pp. 262-263.
117. Ordine ai castellani di Corone-Modone ed al bailo di Negroponte di cercare "quidam Georgius Scordilli dictus Cazamumiri Grecus qui est nobilis et potens", in quanto sarebbe utile "ipsum mittere [a Creta> ad inducendum alios Grecos ad procurandum nostrum honorem et confusionem inimicorum": ibid., nr. 709, pp. 261, 327.
118. I Libri Commemoriali, III, nrr. 101 -103, pp. 21-22. Il 24 e 25 novembre 1363 il collegio ordinò ai castellani di Corone-Modone ed al capitano generale del mare, Domenico Michiel, di far pervenire alle autorità genovesi nel Mediterraneo orientale il testo dell'ordinanza emanata dal loro governo: J. Jegerlehner, Die Aufstand, pp. 114-115, e F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 718, pp. 264-265, 329-342.
119. Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, nr. 56, pp. 96-97.
120. F. Petrarca, Seniles, III, 9, pp. 1070-1072.
121. V. n. 116.
122. I Libri Commemoriali, III, nrr. 112, 120, pp. 23, 24.
123. J. Jegerlehner, Die Aufstand, p. 115. Rispettivamente il 6 dicembre ed il 22 dicembre 1363 il cardinale Egidio d'Albornoç Commemoriali, III, nrr. 113, 116, pp. 23-24
124. I Libri Commemoriali, III, nrr. 127, 128, p. 26.
125. V. la lettera al re Pietro di Cipro del 19 gennaio 1364, in J. Jegerlehner, Die Aufstand, p. 119 (qui è da correggere "de gentibus dicti cortis Sabaudie" in "de gentibus dicti comitis Sabaudie").
126. Il 22 novembre 1363 il collegio, di fronte alla gravità della situazione, decise di affidare il comando della spedizione a Luchino dal Verme, fissando anche le condizioni: F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 716, p. 264. Il successivo 2 febbraio Rafaino de Caresini stipulò l'accordo col dal Verme: I Libri Commemoriali, III, nr. 129, pp. 26-27. Al dal Verme scrisse, per incarico delle autorità veneziane, anche Francesco Petrarca una lettera che non ci è pervenuta, ma è citata in Seniles, III, 9, p. 1074.
127. J. Jegerlehner, Die Aufstand, p. 125.
128. Ibid., pp. 118-119.
129. Da una lettera ai provveditori di Creta del 29 ottobre 1363: "[...> quia per formam commissionis vestre habetis libertatem si vobis videretur de trattando et uniendo vos cum Turchis ad dannum insule Crete, quod posset si fieret esse multum da⟨n>osum factis nostris pro multis respectibus, mandamus vobis [...> quod in tractando vel vos uniendo cum ipsis Turchis nullam faciatis novitatem pro modo [...>": ibid., p. 109.
130. I Libri Commemoriali, III, nr. 125, p. 25.
131. I nomi dei io condannati nella commissio dei provveditori Paolo Loredan, Nicolò Giustinian, Pietro Trevisan, Giovanni Mocenigo e Marco Querini in J. Jegerlehner, Die Aufstand, p. 122.
132. Il 27 luglio 1364 i provveditori di Candia condannarono al confino a Venezia, con alcune eccezioni, tutti i membri delle famiglie Gradenigo e Venier presenti a Candia al momento della rivolta; la stessa pena colpiva i figli dei ribelli giustiziati o condannati a morte: I Libri Commemoriali, III, nr. 168, p. 33. Da una lettera degli stessi provveditori del 2 agosto successivo, risulta che sino al 26 luglio erano stati giustiziati 16 ribelli: ibid., nr. 170, p. 33. V. anche nrr. 171-175, 177-178, 180-183, pp. 33-36. In particolare, da altri documenti risulta che fu decapitato Parlato Muazzo: Elisabeth Santschi, Regestes des arrêts civils et des mémoriaux (1363-1399) des archives du due de Crète, Venise 1976, Sentenze civili, nrr. 89, 141, pp. 20, 33.
133. F. Petrarca, Seniles, IV, 3, pp. 1076-1088 (lettera al retore Pietro da Muglio).
134. J. Jegerlehner, Die Aufstand, p. 97.
135. Su questi aspetti cf. F. Thiriet, Venise et l'occupation de Ténédos, pp. 219-224.
136. Diplomatarium Veneto-Levantinum, II, nr. 89, pp. 151-156 (regesto in F. Dölger, Regesten, V, nr. 3127, pp. 59-60).
137. V. F. Thiriet, Venire et l'occupation de Ténédos, pp. 224-225 e le fonti ivi citate. Heinrich Kretschmayr, Geschichte von Venedig, II, Gotha 1920, p. 229, data la promessa della cessione di Tenedo al 1376.
138. Marc'Antonio Sabellico, Istorie delle cose veneziane, Venezia 1718, lib. V, p. 358, citato in F. Thiriet, Venise et l'occupation de Ténédos, p. 225 n. 1.
139. Georg Ostrogorsky, Storia dell'impero bizantino, Torino 1968, pp. 486-488.
140. Liber Iurium, II, nr. 250, pp. 819-821 (regesti in F. Dölger, Regesten, V, nrr. 3155-3156 p. 64). La situazione è così riassunta dal cronista genovese: "Eodem anno [1376> eletto in imperatorem Grecorum Andronico, primogenito Kaloiane veteris imperatoris et ipso Kaloiane in odium accenso adversus eumdem primogenitum suum, contra ordinem et morem imperii, legavit ut Emanuel eius filius, licet Andronico natu minor, ipsi Kaloiani heres in regno succederet; valde enim amicabatur ipse Andronicus lanuensibus: nam suum erant patrocinium et asilum. Per eum quidem insula Tenedon gratis lanuensibus data est, dataque pariter Venetis per alterum imperatorem adversantem Andronico". G. et I. Stellae Annales Genuenses, p. 169.
141. V. F. Thiriet, Venice et l'occupation de Ténédos, p. 227. Sui precedenti della guerra di Chioggia v. J. Chrysostomides, Studies on the Chronicle, pp. 148-159.
142. Sulla guerra di Chioggia e la pace di Torino v. H. Kretschmayr, Geschichte, pp. 229-240.
143. V. F. Thiriet, Venice et l'occupation de Ténédos, pp. 237-243.
144. La parte del maggior consiglio del 4 gennaio 1304 che ordinava la recinzione del quartiere veneziano di Negroponte in A.S.V., Maggior Consiglio, Magnus, cc. 59v-59 bis. Numerosi documenti degli anni successivi si riferiscono ai finanziamenti necessari per questa operazione.
145. V. il luogo corrispondente alle nn. 6-7.
146. Su questo importantissimo aspetto v. D. Jacoby, Les états latins, pp. 17-22. Soprattutto nelle città si attuavano i rapporti tra la popolazione greca ed i Veneziani: v. Angeliki E. Laiou, Venetians and Byzantines: Investigation of Forms of Contact in the Fourteenth Century, "Θησαυϱίσματα", 22, 1992, pp. 29-43.
147. Questa situazione è attestata da numerosissime testimonianze. Ad esempio, nei documenti preparati nel 1318 dalla cancelleria veneziana in vista della cessione della sovranità sull'isola da parte dei principi di Acaia, si parla di "possessionem diete insule, civitatis [al singolare>, castrorum, portuum, honorificentiarum et iurium omnium": A.S.V., Commemoriali, I, c. 140 (regesto in I Libri Commemoriali, I, nr. 718, p. 162).
148. Sui consigli coloniali v. Freddy Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen-Âge. Le développement et l'exploitation du domaine colonial vénitien (XIIe-XVe siècles), Paris 1959, pp. 204-208.
149. A costoro bisogna, ovviamente, aggiungere i funzionari inviati dalla madrepatria.
150. Così, ad esempio, nelle imbreviature del notaio cretese Antonio Bresciano: v. Silvano Borsari, Il mercato dei tessuti a Candia (1373-1375), "Archivio Veneto", ser. V, 143, 1994, pp. 19-26 (tabelle I-III) (pp. 5-30).
151. Sugli aspetti demografici v. F. Thiriet, La Romanie vénitienne, pp. 259-302.
152. Sulle comunità ebraiche v. gli studi di D. Jacoby, editi in Id., Recherches sur la Mediterranée orientale du XIe au XVe siècle. Peuples, sociétés, économies, I, London 1979, nrr. IX-XII.
153. V. David Jacoby, Les Juifs à Venise du XIVe au milieu du XVIe siècle, ibid., nr. VIII, p. 201 (pp. 163-216).
154. Ibid., pp. 177-178. Naturalmente vi sono delle eccezioni, di cui la più nota è la concessione della cittadinanza veneziana all'ebreo di Negroponte David Kalomiti ed ai suoi discendenti: A.S.V., Commemoriali, I, cc. 3v, 5V, 6; III, cc. 94, 166; VI, c. 56 (regesti in I Libri Commemoriali, I, nrr. 3-4, 30-32, pp. 4, 10-11; II, nrr. 300, 485, 486, pp. 50-51, 84-85, p. 300 n. 124). Ebrei burgenses: v. il testamento di "Helyas de la Medega iudeus burgensis de Nigroponte" del 5 gennaio 1321 in A.S.V., Cancelleria inferiore, Notai, b. 68, nr. 7, notaio Nicolò Donusdeo, c. 47. Vi erano anche deroghe individuali al divieto di commercio: D. Jacoby, Les Juifs, p. 201. Nel repertorio del notaio Giorgio Emo (Aymo), che rogò a Candia nel 1369-1372, numerosi atti si riferiscono a prestiti marittimi concessi dall'ebreo cretese Mosè condam Jacuda per viaggi per località del Mediterraneo orientale, Cipro, Rodi, Palatia (Mileto), Alessandria, Costantinopoli, Teologo (Efeso), Negroponte, ma alcuni si riferiscono a viaggi con destinazione Venezia: anch'egli godeva di un trattamento di favore? V. A.S.V., Notai di Candia, b. I, notaio Giorgio Aymo (i documenti relativi a prestiti per Venezia a cc. 139v, 140, 142, 144v; nuova numerazione cc. 133v, 134, 136, 138v).
155. V. Mario Abrate, Creta-Colonia veneziana nei secoli XIII-XV, "Economia e Storia", 3, 1957, pp. 251-277, e soprattutto E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, passim. Per quanto riguarda in particolare gli scambi commerciali con Efeso, Gian Giacomo Caroldo ricorda che nel 1377, allo scoppio della guerra di Chioggia, dei "navilii de Candia, li quali sendo andati cargar de frumenti nelle parti de Theologi, erano sta impediti da gagliarda violenza da Genovesi de Sio [Chio> ". J. Chrysostomides, Studies on the Chronicle, pp. 176-177.
156. Tale disponibilità di documentazione è dovuta al fatto che, a differenza di quanto accaduto per altri possessi veneziani conquistati dai Turchi, la resa di Candia nel 1669 fu patteggiata, per cui i documenti esistenti nella capitale cretese poterono esser salvati e trasportati a Venezia. Per il periodo precedente v. Mario Gallina, Finanza, credito e commercio a Candia fra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, "Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche", ser. V, 7-8, 1986, pp. 3-68.
157. Questi dati si ricavano dal protocollo del notaio Giorgio Emo (v. supra, n. 154), che sarà oggetto di un mio specifico studio.
158. Su tutti questi problemi v. Mario Gallina, Una società coloniale del Trecento. Creta tra Venezia e Bisanzio, Venezia 1989.
159. Francesco Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, a cura di Allan Evans, Cambridge (Mass.) 1936, pp. 24, 40, 93, 104-107, 143, 149.
160. V. Charles Verlinden, L'esclavage dans l'Europe médiévale, II, Gand 1977, passim ed in particolare pp. 802-884.
161. Nel trattato stipulato nel 1403 tra la lega cristiana ed il sultano Suleiman, questi cedeva a Venezia una fascia profonda 5 miglia nella zona continentale che fronteggiava l'Eubea, colla clausola che "si in quelli fosse saline ni scala, chel sie mio": Diplomatarium Veneto-Levantinum, II, nr. 159, p. 292.
162. Un documento relativo alla chiesa di S. Marco di Negroponte cita, tra i redditi del relativo pievano, i "fructus et redditus vinearum [...> et salinarum similiter": A.S.V., S. Giorgio Maggiore, b. 121, proc. 516 (21 agosto 1274). Sul sale proveniente da Negroponte v. Jean-Claude Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, I-II, Lille 1978-1979: I, pp. 92-93.
163. V. J. Koder, Negroponte, pp. 79-85.
164. Ibid., pp. 40-42.
165. In particolare tessuti. Il 27 luglio 1345 il senato autorizzò l'invio a Negroponte di 179 balle di panni su di una nave disarmata, non essendo stato possibile caricarle sulle galee di Romània, ed il 17 ottobre 1347 la medesima autorizzazione fu concessa per panni, anche subtiles, destinati a Negroponte e nella Bassa Romània: F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nrr. 183, 205, pp. 58, 62.
166. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 118, 145, 149, 198. Sull'esportazione a Venezia di cera prodotta a Negroponte v. la parte del maggior consiglio del 29 aprile 1335 e quella del senato del 9 aprile 1369 in F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 468, p. 192, e Id., Regestes des délibérations, I, nr. 473, p. 192.
167. 2 aprile 1300: ordine al ballo ed ai consiglieri di Negroponte di intervenire presso il duca di Neopatrai a favore di alcuni mercanti veneziani, danneggiati in occasione di una spedizione militare effettuata dal duca o da suo padre contro Arta: A.S.V., Maggior Consiglio, Magnus, c. 6. 14 marzo 1350: intervento a favore di Cristoforo de Medio, fatto imprigionare dal signore di Salona: F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 238, p. 69. 5 luglio 1369: ordine al ballo di Negroponte di fare in modo che con la prossima conclusione della tregua coi Catalani di Atene si provveda anche alla restituzione di 522 iperperi a Nicoletto Basadona, confiscati nel 1362: ibid., nr. 479, p. 122. Vi furono anche interventi in favore di ecclesiastici. L'11 agosto 1309 il bailo di Negroponte fu invitato ad intervenire in favore di Pietro, canonico tebano, figlio del cancelliere ducale Tanto, il cui procuratore, Algisio, aveva affittato i beni che formavano la sua prebenda a condizioni estremamente svantaggiose: ibid., nr. 108, pp. 126 (regesto), 293 (testo).
168. La più antica citazione di un console veneziano a Tessalonica è nel trattato veneto-bizantino del 1277, in cui l'imperatore promette che "dabit eis [ai Veneziani> nostrum Imperium in urbe Thessalonicensi ecclesiam, quam tenent Ermeni, et circa ipsam ecclesiam domos sive hospicia hoc modo: videlicet unum pro mansione Consulis [...>": Gottlieb L.Fr. Tafel-Georg M. Thomas, Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig, I-III, Wien 1856-1857: III, nr. 368, p. 140 (regesto in Frani Dölger, Regesten der kaiserurkunden des Oströmischen Reiches, III, München-Bcrlin 1932, nr. 2026, p. 128).
169. Nel 1359 Marco Baseggio, anche a nome degli altri mercanti interessati a questo traffico, chiese al senato che la galea di Negroponte venisse utilizzata per la protezione contro gli attacchi dei pirati alle piccole imbarcazioni che trasportavano da Negroponte a Tessalonica le merci importate da Venezia: F. Thiriet, Regestes des délibérations, I, nr. 347, pp. 92-93.