I vitelloni
(Italia/Francia 1953, bianco e nero, 104m); regia: Federico Fellini; produzione: Lorenzo Pegoraro per Peg/Cité; soggetto: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli; sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano; fotografia: Otello Martelli, Luciano Trasatti, Carlo Carlini; montaggio: Rolando Benedetti; scenografia: Mario Chiari; costumi: Margherita Marinari Bomarzi; musica: Nino Rota.
Nella provincia balneare italiana, in una serata di fine estate al Kursaal, Sandra viene incoronata Miss Sirena 1953. Sandra è sorella del timido Moraldo e fidanzata del rubacuori Fausto. I due, insieme all'intraprendente Alberto, all'intellettuale Leopoldo e al tenore Riccardo, formano il quintetto dei 'vitelloni', bellimbusti di paese e perdigiorno con velleità di successo. Durante la premiazione Sandra sviene: è incinta di Fausto, capo e guida spirituale dei vitelloni che, per sfuggire alle responsabilità, tenta di darsela a gambe. Persuaso dal padre, da Moraldo e da un tenue senso di colpa, Fausto sposa Sandra e parte per Roma in luna di miele; gli altri quattro ammazzano la noia al bar, al biliardo o giocando ai cavalli. Ognuno ha il suo daffare: Leopoldo scrive l'ennesima commedia flirtando con la servetta dei vicini, Riccardo lotta col sovrappeso, Alberto redarguisce la sorella Olga che si accompagna a un uomo sposato, e il pensieroso Moraldo fa amicizia con un giovanetto che lavora in stazione. Tornato dal viaggio di nozze, Fausto prosegue a corteggiare belle sconosciute e la moglie del signor Michele, un amico del suocero che gli ha offerto lavoro e scoprirà ben presto le avances del giovanotto. Lo scandalo e il licenziamento che ne consegue provocano tensioni tra la famiglia di Sandra e Fausto; ma quest'ultimo, divenuto padre, insiste nel suo dongiovannismo anche con la compiacenza del cognato Moraldo. L'ultimo tradimento causa la fuga di Sandra col bambino, e la conseguente ricerca angosciosa e corale della ragazza. La riconciliazione della coppia, probabilmente temporanea, e l'improvvisa partenza di Moraldo verso un orizzonte metropolitano chiudono la vicenda, ma non il lento, gaudente e improduttivo girovagare dei vitelloni rimasti, che come sempre continuano a passare il tempo sulla spiaggia.
Incastonato tra Lo sceicco bianco (1952, il primo lungometraggio 'autonomo' di Federico Fellini) e La strada (che nel 1954 spalancò al regista le porte del successo internazionale), I vitelloni è opera schietta e melanconica. I cinque 'vitelloni' (neologismo poi entrato nel linguaggio abituale), protagonisti di una provincia pigramente arrivista ma non furba, hanno la fuga dalla noia quale tratto in comune con I basilischi di Lina Wertmüller, che dieci anni dopo approfondirà il discorso su una generazione perdente e poco creativa. I trentenni disegnati da Fellini (con linee meno impressionistiche o grottesche di quanto avverrà in Amarcord) rispondono all'esigenza autobiografica dell'autore, ma sono altresì animati dalla vena ironica di Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, che insieme al regista riminese hanno composto il soggetto in un clima di divertimento condiviso. È come se i personaggi felliniani fossero intimamente divisi tra il rispetto dei valori canonici (l'onore della famiglia, i doveri coniugali, la stabilità di un'occupazione lavorativa) e il fascino della trasgressione (il vivere di espedienti, la rinuncia al sentimento in favore della promiscuità sessuale, la superficialità degli interessi), con l'impossibilità di rintracciare un itinerario costruttivo e socialmente integrato, e senza prendere consapevolezza della inanità della propria esistenza.
Nella deriva di un infantilismo contagioso, il solo Moraldo, più giovane e riflessivo, deciderà nel finale di abbandonare la vacuità del 'vitellonismo' e della provincia. Gli altri paiono destinati a recitare a oltranza un ruolo tangenziale, nell'impotenza di assumersi delle responsabilità adulte. In questo senso è paradigmatica la storia di Fausto (su cui il regista fa ruotare la maggior parte della narrazione), che è trascinato pervicacemente dalla sensualità femminile e non riesce mai a esercitare il ruolo di marito e di padre, preso in una ridda di relazioni amorose che finirono per vincolare perennemente Franco Fabrizi al personaggio del seduttore punito. Apparentemente di caratura diversa è lo scrittore Leopoldo, la cui unica possibilità di successo artistico giunge dall'incontro con un attempato capocomico che però gli rivolge proposte ambiguamente viziose. Più esile Riccardo, pronto a puntare sui cavalli piuttosto che a trovarsi un lavoro sicuro. L'ultimo vitellone è Alberto, forse il personaggio più sfaccettato; disinvolto goliarda da una parte e geloso tutore dell'onore della sorella dall'altra, egli vive sino in fondo l'ambivalenza della sua maschera nella lunga e celebre sequenza del veglione di Carnevale: ubriaco, stremato dal ballo, deformato nel trucco facciale, ritorna a casa appena in tempo per salutare la sorella che ha deciso di seguire un uomo inaffidabile. È questo forse lo scacco più cocente che Alberto deve subire, prendendo coscienza qui, solo per un istante, della propria inadeguatezza e dello squallore in cui è precipitato suo malgrado.
D'altro canto, tutti i vitelloni vedono presto o tardi il disfacimento dei propri sogni all'indomani di una sbornia o di un'avventura fallimentare; tuttavia, lo sguardo del regista è sempre bonario, indulgente, affettuoso con questi perdenti del dopoguerra, lontani anni luce dai coetanei 'poveri ma belli' tratteggiati da Dino Risi. Più che interpretare fatti o comportamenti, Fellini li espone, senza una traiettoria critica. Girato tra Viterbo, Firenze, Ostia, Roma e Viareggio, il film risente di un impianto frammentario, che dette ad alcuni critici l'impressione di trovarsi dinanzi a un'opera poco compiuta; più che altro, pare innegabile la presenza di un bozzettismo tradizionale, arricchito però da una efficace descrizione della sonnolenta vita di provincia, che rende I vitelloni una nostalgica ode alla giovinezza perduta e a ciò che troppo spesso, una volta invecchiati, si dimentica o si rinnega di aver sognato. Vinse il Leone d'argento a Venezia e il Nastro d'argento per la miglior regia e il migliore attore non protagonista (Alberto Sordi).
Interpreti e personaggi: Franco Fabrizi (Fausto), Franco Interlenghi (Moraldo), Alberto Sordi (Alberto), Leopoldo Trieste (Leopoldo), Riccardo Fellini (Riccardo), Eleonora Ruffo (Sandra), Jean Brochard (padre di Fausto), Claude Farell (Olga, sorella di Alberto), Carlo Romano (Michele), Lida Baarova (Giulia, moglie di Michele), Enrico Viarisio (padre di Moraldo e Sandra), Paola Borboni (madre di Moraldo e Sandra), Arlette Sauvage (sconosciuta nel cinema), Achille Majeroni (capocomico), Vira Silenti (la 'cinesina'), Maja Nipora (soubrette), Silvio Bagolini (Giudizio, l'idiota), Guido Martufi (piccolo ferroviere), Gigetta Morano (madre di Alberto e Olga), Franca Gandolfi, Rosalba Neri, Ottavia Piccolo, Lino Toffolo.
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Sceneggiatura: in Il primo Fellini, Bologna 1969.