VITTORELLI, Iacopo Andrea
Poeta, nato a Bassano il 10 novembre 1749, ivi morto il 12 giugno 1835. Educato nel collegio dei gesuiti di Brescia dal '61 al '70, visse poi tra Bassano, Venezia e Padova ora senza, ora con mediocri uffici, lieto dell'ozio della vecchia repubblica finché essa fu in vita, scontento quando i burrascosi rivolgimenti minacciarono il vecchio ordine sociale e religioso, piamente consolandosi infine nella lunga vecchiaia. Sensibile e mite, riuscì sincero anche in sonetti d'occasione, ma più spontaneo e chiaro in altri di soggetto vario, come quello a Bassano e quello a Sirmione, e nei cinque ultimi alla Vergine, pieni di confidente pietà, di affetto caldo.
La vena facile, sebbene non limpida, gli eruppe dapprima in varî poemetti, quali, più notevoli, il Tupé (1772) e lo Specchio ('73), pariniani di soggetto, ma non di vigore, il Farnetico ('73) a sfogo forse contro un gonfio poetastro, il Naso e i Maccheroni ('73), burleschi e berneschi, e la traduzione, da versione latina, della Batracomiomachia, ove diede un primo segno più sicuro di perizia artistica scaltrita. Il metro tuttavia, finora costante, della discorsiva ottava, non era, come del resto gli argomenti, proporzionato alla sua versatilità del tutto breve e melica.
Arcade rinnovato come L. Salvioli e A. Bertola, risentì i rinati influssi classici, e lasciò la misura compiuta della sua grazia nativa e della raffinatezza acquisita nelle quaranta Anacreontiche ad Irene (donna forse reale) e in poche altre a Dori, di varia data dal 1770 al termine della vita, e nel metro fisso, le prime, di quattro quartine di settenarî legate in rima dai tronchi finali e a rima baciata nei mediani. Destinate al canto, non ne spirava, come dall'antica anacreontica, la gioia sapida e fugace del piacere, ma una grazia arguta o patetica; e ciò nonostante valse a farle denominare così la perfezione musicale della brevità e, certo, la sostanziale spensieratezza dell'argomento, dove si sfuma, anzi malinconicamente si esala, dal solitario vagheggiamento dell'insensibile amata al riposo nell'urna sacra al proprio dolore, un breve e lievissimo dramma amoroso, senza che tuttavia tanta tenerezza pungente e così melico affanno mostrino turbata l'eburnea fronte del poeta. Guarda che bianca luna e Non t'accostare all'urna, le due più famose, esprimono meglio di ogni altra come la contemplazione pura vi trasfigurasse la finzione sentimentale, e come un sereno candore si mescolasse alla mestizia; per la quale tuttavia il V., esaltato Anacreonte nella placida Arcadia, fu caro, quasi come precursore, anche ai malinconici romantici.
Ediz.: Rime, Bassano 1784; Rime ed. e ined., con trad. lat. di A. Trivellato, Padova 1825-26; Opere ed. e post., Bassano 1841; Poesie, a cura di A. Simioni, Bari 1911.
Bibl.: L. Carrer, Necrologia, in Gondoliere, 27 giugno 1835; G. Carducci, Poeti erotici del sec. XVIII, Firenze 1868 (prefazione); A. Simioni, I. V. La vita e gli scritti con la bibl. delle opere, documenti e poesie ined., Rocca S. Casciano 1907.