APPIANI, Iacopo
Nacque verso il 1460; e il 22 marzo 1474 successe al padre Iacopo III nella signoria del piccolo stato di Piombino: al giuramento di fedeltà degli Anziani fece seguito l'acclamazione del popolo. Rimase tuttavia sotto la tutela del re di Napoli Ferdinando I; ma mostrò subito di volersi cattivare l'animo dei sudditi ripristinando vari antichi privilegi e togliendo varie gravezze. D'altro canto, il re di Napoli per legarlo sempre più a sé gli diede in moglie nel 1476 la propria nipote Vittoria, nata dalla figlia Maria e dal duca d'Amalfi Antonio Piccolomini-Todeschini; e nel 1479 gli fece iniziare l'opportuno tirocinio guerresco, ponendolo al seguito dei duca di Calabria nella guerra mossa da Sisto IV, con l'aiuto napoletano, a Lorenzo de, Medici. Nella battaglia vittoriosa di Poggio Imperiale, il 7 settembre, l'A. si condusse da prode, ma incalzando le schiere avversarie cadde prigioniero. Poco dopo, però, fu liberato in seguito a scambio, e alla fine dell'anno la guerra ebbe termine.
L'A. s'era trovato a combattere nelle schiere alleate del papa, sebbene si trovasse in lite con lui per il possesso delle miniere d'allume di Montione, scoperte cinque anni prima, rivendicate dal vescovo di Massa Marittima e poi dallo stesso pontefice, che aveva acquistato dal vescovo i diritti su di esse, e non voleva che facessero concorrenza a quelle di Tolfa. La questione, inaspritasi fino a provocare nel 1478 una scomunica papale, venne appianata nel 1490 con una tregua di dieci anni, durante i quali l'A. si impegnò a non sfruttare le miniere, previo compenso di 1.000 ducati annui dalla Camera Apostolica.
Nel 1483 un'ambasceria segreta offrì all'A. la signoria della Corsica, qualora avesse liberato l'isola dalla dominazione genovese. Egli mandò un contingente di truppa al comando dei fratello Gherardo, ehe, però, vistosi poco sostenuto dalla popolazione, e trovata ostile anzi una parte di essa, mentre forze genovesi stavano per sbarcare, si rimbarcò per Piombino.
Nel 1489 dovè: seriamente pensare ai pericoli sovrastanti all'isola d'Elba, per le piraterie di corsari spagnoli. L'A. mancava di mezzi; ma la sua diplomazia risolse la questione: Ferdinando il Cattolico assicurò all'A. la sua protezione e proibì ai suoi sudditi di danneggiare le terre del signore di Piombino, mandando persino una fiotta a rassicurarlo. Così l'A. potè pensare allo sviluppo economico del piccolo stato, cercando di chiamare artigiani, e stabilendo in Piombino una fiera annuale, dal 21 al 28 settembre. Al tempo stesso riordinò gli introiti degli atti civili. Non tralasciò intanto la sua attività di uomo d'arme, poiché venne nominato capo delle schiere senesi, per un'impresa contro Castelnuovo della Berardenga, nido di fuorusciti senesi. Il castello s'arrese e i suoi difensori chiesero ed ottennero di aver salva la vita: ma i Senesi, nonostante le proteste dell'A., li fecero decapitare.
Dopo qualche anno l'A. fu di nuovo richiesto d'aiuto dagli Elbani, vessati da navi di Genova, allora sotto il protettorato di Lodovico il Moro, cui egli si rivolse direttamente, ottenendone soddisfazione. Premeva al Moro di legare a sé il signore di uno staterello piccolo sì e poverissimo, ma in posizione strategicamente molto importante, in vista della spedizione che Carlo VIII re di Francia si preparava a fare, col suo appoggio, in Italia. E riusciva a ottenere dall'A. un trattato di neutralità sia nei riguardi di Milano sia del re francese, stipulato ad Annone in Brianza il 26 sett. 1494.
Le conseguenze della calata di Carlo VIII si fecero presto sentire.
Nell'aprile 1495 Montepulciano, ribellatasi ai Fiorentini, si diede ai Senesi, che chiamarono l'A. a fronteggiare la reazione dei primi. Dalle due parti s'invocò l'arbitrato di Carlo VIII: il che portò a una interruzione delle ostilità, mentre l'A. continuò a restare al servizio senese. L'anno dopo, profittando dell'assenza dell'A., l'abbazia di Buriano si rifiutò di riconoscerne l'autorità. La questione s'inasprì, portando nel luglio 1497 a una guerricciola fra quelli di Piombino e di Massa Marittima, vinta dai primi. Per questo motivo e per l'aiuto dato da Siena ai suoi nemici, l'A. lasciò il servizio senese.
Il 31 ag. 1498 passò al servizio dei Fiorentini impegnati nella guerra di Pisa. Nel settembre con Rinuccio da Marciano respinse con abile manovra i Veneziani, alleati dei Pisani, penetrati sino a Marradi. Proprio con l'A., l'anno successivo, il Machiavelli fece come "mandatario" le sue prime prove: ne calmò le proteste tendenti ad ottenere condotta e stipendio pari a quelli di Rinuccio da Marciano ma diede un giudizio negativo di lui che, a suo dire, "discorreva bene, concludeva male, eseguiva peggio".
Nel 1501 l'A. si trovò alle prese con Cesare Borgia: pretesto dell'attacco, aiuti ai pirati e usurpazioni ripetute ai danni della Chiesa di Massa Marittima. Abbandonato dai Fiorentini, dai Smesi, dal re di Francia, povero di danari e di armi, concentrò le difese in Piombino, sostenuto dalla popolazione e da un pugno di fedelissimi Corsi. Ma alle forze terrestri del Valentino si unirono quelle navali del papa; l'A. il 16 agosto fuggì per mare a Livorno; il 3 settembre, dopo quasi tre mesi di blocco, Piombino si arrese. L'A. riparò allora a Genova, quindi in Francia, cercando inutilmente d'essere ricevuto da Luigi XII, che non intendeva inimicarsi il papa. Trovò asilo in un castello degli Spinola nell'Appennino ligure, finché raggiunse Venezia. Nel febbraio 1502 Alessandro VI e Cesare Borgia visitarono Piombino, esaminando i piani della nuova: fortezza da costruire e facendo scalpellare ogni iscrizione e ricordo degli Appiani.
Ma l'anno dopo, avuta notizia della morte di Alessandro VI e ottenuti soccorsi dai Fiorentini, i Piombinesi si sollevarono. L'A. si affrettò a tornare nel suo stato, ove premiò i sudditi fedeli con privilegi e nuovi diritti. Tese a riaccostarsi ai Senesi, impensierendo i Fiorentini, che. gli mandarono frequenti messi, per tenerlo amico e sorvegliarlo: fra questi, di nuovo il Machiavelli nell'aprile 1504.
Nel 1505 l'A. dovette premunirsi contro nuove minacce: una vasta cospirazione era in atto fra il cardinale Ascanio Sforza, fratello del Moro, gli Orsini, i Baglioni per abbattere, prendendo per base Pisa e servendosi di Bartolomeo d'Alviano, vittorioso della battaglia del Garigliano, la Repubblica fiorentina, ristabilire i Medici, cacciare i Francesi dalla Lombardia e insediare nuovamente in Milano gli Sforza. L'A. venne a trovarsi tra la minaccia dell'Alviano, che avanzava per la Alaremma, il contegno equivoco di Pandolfo Petrucci, signore di Siena, la diffidenza dei Fiorentini. Si appoggiò allora a Ferdinando il Cattolico e al suo condottiero nel Regno di Napoli, Gonzalo de Córdoba. Questi, desideroso di continuare a controllare le linee della politica antifrancese in Italia, inviò mille fanti spagnoli a Piombinoè Ma nel maggio, morì, il cardinale Ascanio, e il 17 ag. 1505 l'Alviano fu sconfitto dai Fiorentini presso Campiglia: svanì in tal modo la grave minaccia. L'A. restò tuttavia ancora, legato alla Spagna: nel 1507 Ferdinando il Cattolico, venuto in Italia, visitò Piombino e nominò l'A. comandante del presidio spagnolo ivi stanziato, e governatore generale delle armi spagnole in Toscana. Da allora soltanto l'A. s'intitolò signore di Piombino; ma volle. regolare la sua posizione giuridica con l'investitura imperiale. E nel 1509, mentre ardeva la guerra della lega di Cambrai, l'ottenne l'8 novembre in Rovereto da Massimiliano d'Asburgo: Piombino era dichiarato feudo nobile imperiale, con facoltà di battere moneta d'oro e d'argento.
Così l'A. era riuscito in mezzo ai trambusti e alle rovine degli ultimi tre lustri a conservare intatto il suo staterello, sotto la duplice garanzia spagnola e imperiale. Poco dopo, nella, prima, metà d'aprile del 1510, venne a morte, lasciando lo stato al figlio Iacopo V, subito accolto sotto le grandi ali della protezione spagnola. Morì rimpianto dai sudditi quale sovrano umano e paterno. Guerriero appena mediocre, seppe tuttavia destreggiarsi con innegabile abilità. Ma la sua fama presso i più si lega ai contatti, di non grande rilievo in verità, che con lui ebbe il Machiavelli, nonché all'impresa di Cesare Borgia.
Fonti e Bibl.: P. Litta, Fam. cel. ital., X, tav. II (lo dice morto, nel 1511); A. Cesaretti, Istoria del princip. di Piombino, Firenze 1789, passim; L. Cappelletti, Storia della città e stato di Piombino..., Livorno 1897, pp. 115-146; P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, Milano 1914, I, pp. 317, 363, 467, 485 s., 618-620, 632.