BALDOVINI, Iacopo (Iacobus Balduini o de Balduino, in cui Balduinus è il nome del padre, che, però, è già in funzione determinativa di cognome nelle fonti relative al B.)
Glossatore civilista e uomo politico bolognese, di nobile origine. Non conosciamo la data della sua nascita, né all'approssimativa determinazione di essa giova la notizia di Odofredo, secondo la quale Piacentino compose il trattato De varietate actionum (databile intorno al 1160) prima che il B. nascesse. Tenuto conto dei primi episodi documentati della sua esistenza, si può, congetturare che egli vedesse la luce intorno al 1175. Del 1210 è comunque la prima notizia sicura della sua esistenza: lo vediamo incaricato di arbitrare il conflitto tra i Cesenati e l'arcivescovo di Raverma. A quest'epoca il suo nome è accompagnato dalla qualifica di "iurisperitus". In Bologna, comunque, il B. deve essere già persona di un certo nome e apprezzata per la sua maturità di giudizio e la sua preparazione giuridica. Come "doctor legum", egli fa la sua prima apparizione nei documenti il 23 ott. 1213, giorno del suo giuramento solenne di non insegnare altrove che nello Studio bolognese. Il giuramento è il primo documento che si possiede della sua attività come professore di diritto, e al tempo stesso quello che ci assicura della sua cittadinanza bolognese. Alla carriera didattica del B. si lega strettamente, come è abituale tra i giuristi, oltre che la professione legale, il servizio del Comune in uffici ed incarichi politici, amministrativi, consultivi, sia interni sia estemi. Forse è il B. il "d. Balduinus" presente tra i molti consiglieri del Comune che giurano il 6 sett. 1214. l'alleanza quinquennale con Reggio (rinnovata poi il 2 genn. 1219 sempre con la presenza di un "d. Baldyinus"). Senza dubbio invece è il B. il consigliere ricordato il 19 febbr. 1216 fra gli intervenuti all'atto conclusivo di un'alleanza tra Bologna e Firenze. Il 1º settembre dello stesso anno il B. è a fianco del podestà di Bologna nell'atto di pace tra i Comuni di Bologna, Cesena, Reggio, Faenza, Forlì, Bertinoro, Ferrara da una parte, e dall'altra Ventura vescovo di Rimini, i Comuni di Rimini, Fano, Pesaro e Urbino, i conti di Montefeltro e della Carpegna e i loro fautori. Il 4 giugno 1218 è invece testimonio di un atto con cui il podestà di Forlì s'obbliga con l'intero consiglio della città a ottemperare al lodo del podestà di Bologna circa le contese tra Forlivesi e Faentini. Due giorni dopo presenzia a un atto analogo del podestà di Faenza. Il 15 luglio del 1220 il B. è ricordato tra i consiglieri di credenza favorevoli alla nomina di un sindaco a piena discrezione del podestà. Nello stesso documento appare un "d. Balduinus d. Iacobi", forse un suo figlio. Il 1º settembre dello stesso anno è presente all'atto di liberazione dei Bolognesi dal bando dell'impero, compiuto da Corrado, vescovo di Metz e di Spira, cancelliere e legato di Federico II. Il 24 dicembre successivo il B., membro del consiglio di credenza, è presente all'atto con cui il vescovo assolve il Comune di Bologna dalla scomunica che ad esso era stata irrogata per attentati alle immunità ecclesiastiche. Tacciono per diversi anni i documenti bolognesi, almeno quelli conosciuti. In questo periodo potrebbe collocarsi l'insegnamento del B. a Padova "probabilmente sul principio della Università o almeno per un anno", come sostiene il Gloria sulla fede di una matricola del collegio padovano dei dottori giuristi, in cui si legge: "Iacobus Baldoinus de Bononia, legum doctor".
Nel 1229 il B. entra nell'ufficio di podestà a Genova.
Con tale ingresso si apre nella vita del B. un episodio assai importante e sul quale siamo bene informati. Dal racconto degli annalisti genovesi balza vivo il ritratto di un uomo "attivo, invadente, instancabile" (Vitale, IlComune del Podestà),che "fece molti consigli, e molto e assai sovente per curare con sollecitudine i negozi del comune di Genova, per tutto il giorno, e talvolta infino a gran parte della notte, spontaneamente digiunava; e più volte fe, digiunare contro lor volere gli officiali e i consigliatori e i chiamati a consiglio, tanto per le minime cose, quanto per le grandi, non distinguendo tra giorno e giorno e fra ora e ora" (Annali, nella trad. Monleone, p. 42).
Durante il breve anno del suo ufficio il B. concluse trattati con le città marittime della Provenza, tra cui Arles e Marsiglia, prese provvedimenti giudicati assai opportuni circa i viaggi in "caravanna" delle navi che andavano verso Oriente e verso Occidente, combatté la pirateria. Sotto il suo governo si provvide inoltre a mettere in armi cinquecento cavalieri per fronteggiare gli inquieti Alessandrini; ma non si riuscì ad assicurare un valido aiuto a Nizza contro il conte di Provenza, cui la città finì per consegnarsi. Alla richiesta fatta da Federico II al Comune che gli fossero mandati degli ambasciatori, il B. prese tempo prima di incaricare della missione Guglielmo De Mari ed Enrico Domoculta, e per giunta ne fece ritardare la partenza, perché voleva, racconta l'annalista, approfittare egli stesso, ai fini del suo ritomo in patria dopo che fosse scaduto l'anno d'ufficio, della galea che sarebbe stata approntata per gli ambasciatori. Ma è meglio considerare il suo atteggiamento in tale circostanza in relazione alla politica genovese (in quel tempo ancora oscillante fra la Chiesa e l'Impero), sulla quale egli, di città guelfa e guelfo ardente egli stesso, cercò di influire a favore della lega. In questo quadro, se non si preferisse considerarlo un "troppo precoce tentativo di governo personale da parte di un podestà intraprendente ed ambizioso" (Vitale, Il Comune del Podestà), il proposito del B. di farsi confermare nella carica, fallito per la decisa opposizione popolare piuttosto che per le presunte mene di una fazione filoimperiale, si potrebbe spiegare come una mossa politica a largo raggio diretta a far rimanere nelle mani del giureconsulto bolognese, che aveva dato indubbie prove di capacità, la direzione della politica genovese in senso anti-imperiale.
La permanenza del B. a Genova, benché breve, non fu priva di durevoli effetti sul diritto genovese, come si conveniva all'opera di uno dei maggiori giuristi dell'epoca. Al B., nominato, non senza reazioni dell'opinione pubblica, unico "emendatore" degli statuti, si deve il riordinamento e la rielaborazione in un solo codice statutario, per la prima volta suddiviso in libri, della vasta materia consuetudinaria e dei brevi giurati dai consoli dei placiti: in una parola, del diritto privato. La tecnica del giurista di stampo romanistico è rilevabile non tanto nella relativa sistematicità del testo e nell'aggiunta dei capitoli nuovi, quanto, come osserva il Besta, "nell'adattamento ulteriore dei vecchi capitoli all'ordo e alla ratio iuris, nell'uso di clausole che mettessero in chiaro a quali persone si dovessero applicare le leggi e quali eccezioni dovessero subire". La compilazione del 1229 non è giunta fino a noi nella sua forma originaria, ma si ricava dalla più antica redazione statutaria sopravvissuta (incominciata nel 1306) che è quella nota con la denominazione di Statuti della colonia genovese di Pera. Al B. si deve anche il primo tentativo di far trascrivere fedelmente in un volume i documenti di maggiore interesse per il Comune. Un suo decreto fornisce i criteri per condurre l'opera e spiega i motivi di pubblico interesse che la suggeriscono. Nel pensiero del B. doveva trattarsi di una raccolta di atti riguardanti soprattutto i rapporti con le due sovranità universali e con l'estero. Dopo aver subito soste nella sua attuazione, l'idea del B. fu ripresa nel 1253 e portata decisamente avanti - ma con criteri più ampi circa le categorie dei documenti da comprendere nella raccolta - dal podestà Enrico Confalonieri, al quale risale il primo dei superstiti "libri iurium", ora nuovamente conservati, dopo un lungo esilio in Francia, a Genova. Una trentina dei documenti conservatici dall'iniziativa del B., e datati dal 1121 al 1201, sono oggi riconoscibili nei tre volumi del Codice diplomatico della Repubblica di Genova, che pubblicano criticamente i primi registri dei "libri iurium".
Per l'anno, quasi coincidente con l'anno solare, di permanenza a Genova, l'insegnamento bolognese del B. era rimasto sospeso per due anni accademici, il 1228-1229 e il 1229-30. Ma nei documenti bolognesi ritroviamo il B. solo il 19 apr. 1233, consigliere del Comune in un atto in cui questo e il vescovo decidono di affidare a un arbitrato le vertenze tra loro esistenti. Leggiamo per l'ultima volta il nome del B. in un atto pubblico del 13 nov. 1234, in cui è sancita la sottomissione al Comune di Bologna dei nobili del Frignano. Il B. muore poco dopo, il 10 apr. 1235. Un assai significativo compianto per la sua morte è espresso ai dottori bolognesi da una lettera di Pier delle Vigne (Epistolarum, IV, 9). Il 29 ottobre del 1235 è menzionata in una sentenza la casa "posita in curia S. Ambrosii in qua legebat dominus Iacobus Baldoini". L'abitazione del B. era invece nella parrocchia di S. Barbanziano. Si è già accennato a un probabile figlio del B., "Balduinus", che appare a fianco del padre nel 1220. Documenti del 1234 e del 1272 citati dal Sarti rendono certa l'esistenza di un fratello, Giovanni, e di una sorella, Gianuense, del Baldovini. Il Mazzuchelli, sulla fede dell'Alidosi, cita un Ugolino Balduini figlio di Iacopo, anch'egli dottore bolognese, che sarebbe fiorito nel 1250. Il "Iacopus de Baldoinis", poi, che figura in un consiglio del 1287, può darsi che sia un nipote del Baldovini. Un documento infine del 1330 ci fa conoscere un Bartolomeo e un Enrico figli di Francesco di Giacomo B., che abitavano una casa vicino a S. Barbanziano: essendo costoro sicuramente nipoti dei B., abbiamo quindi testimonianza dell'esistenza di un altro suo figlio, Francesco.
Attraverso Azzone, di cui era stato allievo e poi per qualche tempo collega, il B. si ricongiungeva alla già gloriosa - per quanto ancor giovane - tradizione della scuola bolognese, che attraverso Giovanni Bassiano, maestro d'Azzone, risaliva a Bulgaro e da Bulgaro a Irnerio. Maestro a sua volta e poi collega di Accursio, il B. occupò tra i suoi contemporanei una posizione senza alcun dubbio di primissimo piano, anche se l'opera sua di glossatore - come del resto quella di tanti altri eminenti giuristi del suo tempo - era fatalmente destinata a passare in secondo piano davanti alla straordinaria fortuna arrisa alla glossa accursiana. Pure, l'influenza esercitata dal B. attraverso i suoi allievi sullo svolgimento della scienza giuridica fu e rimase grandissima. Essa operò soprattutto in direzione delle scuole francesi e contribuì, insieme all'opera di Odofredo, allievo tra i principali del B., a formare il patrimonio di idee originali, indipendenti dalla Glossa e sovente in polemica con essa e sviluppate per giunta in forma che anticipa il metodo dialettico - al quale attinsero, tanto per citame alcuni, gli allievi della scuola di Orléans. Giurista assai sensibile alle esigenze della pratica - come mostrano le sue opere monografiche di carattere processuale per le quali soprattutto è ricordato, il B. fu anche tra coloro che, pur trovando nell'esperienza romanistica il superiore strumento concettuale che tutti conosciamo, non si fecero schiavi in tutto e per tutto del dettato, spesso anacronistico, delle leggi romane, ma seppero trovare nuove e felici soluzioni per la realtà nuova che premeva. Ciò è evidente, per esempio, in un processo che lo oppose ad Odofredo, nel quale il B. doveva difendere un marito contro la moglie che da lui pretendeva una "donatio propter nuptias" (Bellomo).
Fra gli allievi del B. vanno ricordati, oltre ad Accursio e Odofredo, al quale dobbiamo molte notizie sul B., Martino da Fano, Innocenzo IV, l'Ostiense, Benedetto da Isernia, i francesi Giovanni da Blanot e Guido de Cumis, oltre, probabilmente, a Pier delle Vigne, che disse nella sua lettera consolatoria ai dottori bolognesi alte parole di lode del loro collega scomparso: "... unicus et singularis in terris homo, in quo velut in suo proprio leges convenerant, et vivebat eloquentiae tuba, et consilii plenitudo sedebat..." (Epistolarum, loc. cit.). Del B., infine, ebbero altissima considerazione Bartolo e Baldo.
L'idea che si ha della produzione dottrinale e pratica del B. è ancora basata, per lo più, sulle notizie raccolte dal Savigny. Ma come per tante figure di giuristi del suo tempo, anche per il B. molto di nuovo è venuto in seguito alla luce, mentre una ricerca sistematica dell'inedito potrebbe rivelarci un materiale ancora più ampio e interessante. Qui di seguito si riassumono, seguendo il suo schema, i dati bibliografici forniti dal Savigny, a cui si aggiungono quelli di successive ricerche.
Scritti esegetici. Del "celeberimum opus" "super toto Codice" e dei "pulchra comentaria" "super ordinariis ff. orum", cui fa cenno il Diplovataccio, non restano, secondo il Savigny, che alcune glosse contrassegnate con la sigla del B. ("Iac. Bal.") in un Digestum vetus parigino con apparato accursiano (Bibl. Nat., Cod. lat. 4458); altre in un Digestum novum, pure con apparato accursiano (ibid., Cod. lat. 4486), in un Codex con apparato di Azzone a Bamberga (D. I. 2), in altro Codex con apparato di Ugolino della biblioteca del Museo nazionale di Praga, ancora in un Codex,di proprietà del Savigny stesso, e infine in un ms. viennese con glossa accursiana delle Institutiones (Ius Civ., 19;tutte le segnature sono del tempo del Savigny). A questi frammenti, di quelli che verosimilmente furono degli organici apparati di glosse alle diverse parti del Corpus iuris,non dissimili dagli apparati dei suoi contemporanei - tutti, prima o poi, soppiantati da quello fortunatissimo di Accursio - o che provengono da perdute esposizioni in forma diversa dalla glossa, vanno aggiunte - tenendo ben presente che l'elenco si allungherà considerevolmente il giorno in cui saranno state compiute metodiche ricerche nelle centinaia di manoscritti del Corpus iuris - le giosse riscontrate, nella Bibl. Apostolica Vaticana, in due manoscritti del Digestum novum con apparato d'Accursio (Vat. lat. 9665, ff. 53r, 152v; Pal. lat. 753, ff- 50v, 52v) e in due altri del Codex, pure glossati (Ross. 582, ff. 96v, 107r, 117v, 131v, 149r, 207r, 221r e passim; Pal. lat. 757, f. 79r). Glosse del B. sono anche segnalate da Sarti-Fattorini in Vat. lat. 1428, f. 40 e passim, e dal Seckel in un Codex del sec. XIV a Stoccolma.
Libellus instructionis advocatorum. Con questo scritto di carattere eminentemente pratico, tuttora inedito salvo il proemio parzialmente pubblicato dal Savigny, il B. apre la serie degli scrittori "de instructione advocatorum", di una, cioè, delle branche in cui andava specializzandosi il diritto processuale romano-canonico. La piccola opera, che appare incompiuta, limitata com'è alla trattazione dell'atto ("libellus") che introduce il giudizio, dovette avere una certa diffusione, a giudicare dai cinque manoscritti almeno in cui è conservata: quattro segnalati dal Savigny con le seguenti segnature: Mss. Paris. 4603 (che contiene solo la parte finale dello scritto), 4604, 4609, Ms. Paris. St. Germain 1368, il quinto scoperto dal Seckel nel Pal. lat. 689, pp. 97-109. L'opuscolo è ricordato da Giovanni d'Andrea, anche se il suo autore non è compreso nella celebre rassegna fatta dal decretalista fiorentino della letteratura sul processo.
De primo et secundo decreto. Questo trattato sui due gradi della "missio in possessionem", che rispecchia ciò soprattutto che l'autore udì in materia dal suo maestro Azzone, del quale si ebbero due redazioni (una breve iniziale, l'altra accresciuta), e che il Duranti utilizzò ampiamente nel titolo corrispondente dello Speculum, mentre Giovanni d'Andrea vi fece spesso riferimento, è edito con la falsa attribuzione "Iac. de Bel. e Guid. de Suza.", oltre che nel vol. VIII dei Tractatus lionesi del 1549, in Tractatus illustrium ... iurisconsultorum, III, 2, Venetiis 1584, cc. 136v-139v. Un manoscritto si trova nel già citato codice parigino 4604.
De remediis contra sententiam. È un brevissimo trattato di procedura contenuto anche esso nel manoscritto appena citato, al f. 74.
De confessionibus. È una "distinctio" attribuita da Giovanni d'Andrea al B., le cui parole iniziali sarebbero "Ad quorundam verbosam clamationem". Giovanni d'Andrea vi fa riferimento sotto il titolo corrispondente dello Speculum. Il fatto che tale "distinctio" sia stata anche con fondamento attribuita a Giovanni Bassiano non esclude che il B. possa averne data una sua redazione.
De effectu hominiciarum. Segnalato al Savigny dal MerkeI che lo aveva notato nel manoscritto parmense HH. I. 25 (oggi Parmense 1227) f. 54v, questo brevissimo scritto in materia feudale figura, secondo un recente inventario, come "Iacobus Baldi, De effectu hominiarum".
Alle opere segnalate dal Savigny vanno aggiunte quelle, in massima parte inedite, individuate dal Seckel nel cod. vat. Chis. E. VII. 18, e precisamente: Summa de successione ab intestato (f. 149 rv, secondo la numerazione del Seckel), di cui esiste anche un altro manoscritto a Halle, Ye fol. 57, ff. 234-236. A questa Summa il Seckel ritiene analogo uno scritto del B. conservato in un manoscritto del Codex,con glossa di Accursio e addizioni, a Cassel, Iur. fol. 4, tom. IV; il Kantorowicz ritiene invece che si tratti di due scritti diversi; Summa de quartis (ff. 149v-150r), edita dagli scolari del Meijers, che l'aveva attribuita solo dubitativamente al B., con il nome di Benedetto da Isernia, scolaro del B., in Iuris Interpretes saec. XIII, Neapolis 1925, pp. 3, 61-63. Il Seckel la pone in relazione con tutta una serie di "distinctiones" conservate in diversi codici, per le quali egli propone il nome dei Baldovini. Ma si veda, per talune di queste "distinctiones", il parere contrario di Kantorowicz, p. 219; una summa dubitativamente indicata come concernente il "Versäumnisverfahren" o procedimento in contumacia (c. 150r); Summa de testibus (c. 150v). Si tratta di due titoli, ciascuno recante la sottoscrizione "Iac(o). Bal.". Il Seckel pone in rapporto questo scritto con quello analogo, ma ben diversamente ampio (80 titoli) segnalato come opera del B. dal Blume (Bibliotheca... italica, Gottingae 1834, pp. 9, 11), che lo trovò a Milano (Bibl. Ambros., ms. D. 86). Il manoscritto milanese, però, avverte il Secke1, potrebbe coincidere con l'opera fornita di identico "incipit", la cui paternità viene attribuita, con qualche maggior fondamento rispetto ad altri (Bagarotto, Bartolo, il B. appunto), a un Iacopo di Egidio da Viterbo; Summa de interesse, a proposito di C.7.47.I (f 151rv); e infine, ma dubitativamente, una "distinctio" che incomincia "Fuit actenus dubitatum quid iuris sit, quod aliquando pater moritur testatus (f. 155v).
"Quaestiones" e "consilia" del B. sono infine conservate nei mss. Pal. lat. 2301, ff. 13r, 20v, e Pal. lat. 761, f. 286r, nonché a Lipsia, Haen. 15, ff. 275v-276v, dove è singolare la contiguità del testo della "quaestio" del B. con la Summa de testibus sopra ricordata, quella di Iacopo di Egidio da Viterbo per la quale è stato fatto anche il nome del B.
La materia di due "quaestiones" del B. - delle quali il B. stesso avrebbe fatto una "notula" (un trattatello), che incominciava con le parole "Ut plena notitia, quantum daret, infra dicam" - individua Giovanni d Andrea in Speculum, IV, tit. "de locato" § "iam dicendum.". E Bartolo riferisce ampiamente nel suo commento a D - 48.16.1 § "suspecti" un'opinione del B. contraria alla Glossa a proposito del giudice competente a giudicare "de suspecto tutore".
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