Bellondi (o Bellundi) Iacopo, detto Puccio
Poeta fiorentino, nato intorno al terzo decennio del 1200. Lo si potrebbe identificare con un Puccio d'Aldrovandesco, noto in documenti dal 1262 al 1268, commerciante iscritto col padre alla Società de' Toschi di Bologna; e ulteriore conferma di tale identità potrebbe essere un altro documento del 1269 riguardante un fratello di Iacopo, Accurro. Meno probabile è invece la sua identificazione con un Iacopo d'Odarrigo. (o Oderigo) citato in due documenti fiorentini del 1256 e del 1260. Un Puccio Bellondi prende inoltre ripetutamente parte alla vita politica e amministrativa della repubblica fiorentina dal 1278 al1291; e potrebbe trattarsi, mancando nei documenti delle Consulte la precisazione della paternità, dell'uno o dell'altro Puccio, se non, addirittura, di un terzo omonimo. Unicamente per argomentazione ‛ a silentio ' se ne può segnare la morte agli ultimi anni del secolo.
Oltre a una canzone di stampo nettamente provenzale, " Kome per deletanza " - adespota nel cod. Vaticano Lat. 3793, cc. 94r-94v, ma a lui assegnata dal Castelvetro -, e a un sonetto in tenzone con Monte Andrea, Tener volete del dragone manera, contenuto nel medesimo codice (c. 159r), la tradizione manoscritta attribuisce al B. due altri sonetti che sono in qualche relazione con le Rime di Dante. Il primo, Così com ne l'oscuro alluma il raggio, segue al sonetto di proposta Saper vorrìa da voi, nobile e saggio, di dubbia paternità dantesca (potrebbe trattarsi, come in molti altri casi, di Dante da Maiano), dati i moduli guittoniani e la forma fortemente gallicizzante che lo caratterizzano; in esso Puccio, essendogli stato chiesto se fosse conveniente amare una donna d'alto lignaggio, afferma che Amore " sol si pon dov'è 'I suo desire; / non cura del più bel né del migliore " (vv. 11-12). L'altro sonetto, Volgete li occhi a veder chi mi tira, è invece attribuito a D. dai più autorevoli codici; soltanto il Marciano it. IX. 191, c. 63 r, e il Vat. Lat. 5225, II, c. 455 r lo assegnano a Puccio. Il Barbi suppone nelle rubriche di questi codici lo scambio del nome del destinatario (Puccio) con quello dell'autore (Dante); le rubriche stesse sarebbero pertanto da reintegrare in " [Dante a] Puccio di Bellundi "; e a Puccio sarebbe da assegnare invece il sonetto che segue immediatamente, Cui virtù move, mai non s'affatica, che, infatti, nel Marciano it. IX 191 ha la rubrica " Puccio ". Il Maggini tuttavia avanzò seri dubbi sulla relazione " a tenzone " dei due sonetti, parendogli assolutamente insolito " un sonetto responsivo che non riprende nemmeno una rima di quello di proposta ". I più recenti e autorevoli editori delle Rime dantesche assegnano a D. Volgete li occhi; e potrebbe trattarsi, comunque, di un sonetto responsivo (cfr. Contini, Rime 44). Il sonetto Cui virtù move è, soprattutto nella forma, assai diverso dagli altri a Puccio attribuiti, non presentando la consueta struttura provenzaleggiante; in esso il poeta muove a un amico (v. 12) un rimprovero di carattere morale: poiché solo la ragione può condurre durevolmente l'uomo sulla via della virtù, non da ragione, ma da piacere egli sarà stato mosso alla virtù, se si è arrestato " quando li primi passi furon novi " (v. 11).
Bibl. - L. Castelvetro, Ragione d'alcune cose segnate nella Canzone d'Annibal Caro, [Modena sec. XVI] 123; F. Torraca, Studi su la lirica ital. del Duecento, Bologna 1902, 161; Barbi, Studi 13 nota; G. Zaccagnini, Poeti e prosatori delle origini, in " Giorn. dant. " XXVIII (1925) 169 ss.; E. Ragni, B. J., in Dizion. biogr. degli Ital. VII (1965) 757-759.