BOCCACCI, Iacopo
Tipico rappresentante della piccola borghesia senese intorno alla metà del sec. XIV, il B., figlio di Cecco, esercitava, al pari del fratello Pietro, la professione di pizzicagnolo nel terzo di Camollia. Della sua posizione sociale forniscono un'indicazione abbastanza fedele l'alto numero e la professione degli iscritti alla sua Arte, una fra le dodici della città, che raggruppava oltre ai pizzicagnoli e per un totale di circa duecentoventi nomi, anche "ferraiuoli" e "merciariori", "biadaiuoli" e "farinaiuoli". Pare così una benevola concessione di tardi genealogisti quella che attribuisce come antenato alla famiglia un Buoninsegna di Gregorio ambasciatore del Comune a Manfredi nel 1259, sindaco della città in varie paci, provveditore di Biccherna nel 1269.
Con l'arrivo a Siena di Carlo IV di Boemia, verso la fine di marzo del 1355 una momentanea coalizione tra "grandi", piccola e media borghesia e salariati della lana, rovesciò il governo dei Nove, che da un settantennio reggeva la città ed era espressione dell'oligarchia dei ricchi uomini d'affari. Ben presto, però, le forze eterogenee che si erano coalizzate per abbattere i Nove si divisero e il nuovo governo, detto dei Dodici, si resse prevalentemente sull'appoggio della media e piccola borghesia. A questa si unirono anche i Salimbeni, che, rompendo l'unità dei "grandi", miravano a instaurare un governo signorile.
La carriera politica del B. è strettamente legata alle fortune del governo dei Dodici. Nel novembre-dicembre del 1367 lo troviamo nel Consiglio generale insieme con il fratello Pietro, che ne faceva parte anche nei mesi di maggio e di giugno. Sempre nel novembre-dicembre il B. era entrato a far parte del governo cittadino (detto Concistoro) in rappresentanza del suo terzo, avendovi fra gli altri, come colleghi, un orefice, due lanaioli, un mercante e un notaio. Il 17 aprile dell'anno successivo, nel Consiglio generale, fu estratto fra i diciotto populares (sei per terzo) che avevano il compito di eleggere il nuovo conservatore della città. Per il secondo semestre dell'annata ricoprì la carica di "centurione" dei balestrieri cittadini del terzo di Camollia.
Dalla fine del 1368, in concomitanza con la nuova discesa in Italia di Carlo IV di Boemia, ma anche in conseguenza di altri fattori che fecero sentire i loro effetti negativi sulla vita cittadina (decadenza dell'Arte della lana, incursioni e razzie continue sul territorio da parte delle compagnie di ventura, pestilenze nel 1363 e 1374, grave carestia nell'inverno 1369-70) ha inizio un periodo particolarmente agitato della storia di Siena. Cadono i Dodici e fino al 1371 - anno in cui si ebbe un effimero governo di dipendenti dell'Arte della lana che anticipò di qualche anno la rivolta dei Ciompi fiorentini e come quella fu duramente repressa - è un susseguirsi di esperimenti in cui di volta in volta compaiono in posizione di maggiore o minore forza i "grandi" della città, il partito dei Nove, quello dei Dodici, il popolo minuto, che da strumento nelle varie sommosse aspira sempre più chiaramente a farsi soggetto della vita cittadina.
La divisione dei Dodici in due gruppi contrapposti favorì all'inizio di settembre del 1368 una breve vittoria dei "grandi" durata solo venti giorni, perché i Dodici e i Salimbeni inviarono segretamente all'imperatore in cerca d'aiuto un'ambasceria di cui faceva parte il Boccacci. L'ambasceria ottenne l'appoggio desiderato nella forma di una forte schiera di cavalieri guidati da Malatesta Unghero dei Malatesta da Rimini.
Il governo dei nobili fu abbattuto, ma nel nuovo che si costituì subito dopo, il partito dei Dodici, ormai incapace di dominare la vita cittadina, non ottenne la maggioranza, perché vi ebbero parte consistente il partito dei Nove e soprattutto il popolo minuto, che l'11 dicembre riuscì a rafforzare la sua prevalenza. I Dodici, uniti ai Salimbeni, sperarono di riconquistare le posizioni perdute tirando completamente dalla loro parte a suon di fiorini il Malatesta e Carlo IV, che il 22 dicembre era entrato in Siena.
Nel tumulto che i Dodici e i Salimbeni scatenarono il 18 del gennaio successivo e che si concluse sfortunatamente per loro e ignominiosamente per lo stesso imperatore, costretto a fuggire dalla città da una violenta insurrezione popolare, il B. ebbe un ruolo di primo piano insieme con Niccolò Salimbeni, Nuccio di Bigozzo "e molti altri simiglianti, con grande brigata armati", al grido di "viva el popolo" e "al fuoco, muoiano li traditori che voleano li gentiliomini", il B. corse "con furia e romore" per tutta la città, alla caccia dei Nove e dei loro partigiani.
Fallito il tumulto, il B. riuscì a salvarsi e forse a conservare, per tutta la durata legale, il governo di Montemassi che aveva ricevuto alla fine dell'anno precedente. Questo suggerisce con ogni probabilità una notizia del febbraio, di un mese esatto posteriore alla sua fuga dalla città al seguito dell'imperatore e alla successiva cattura, notizia fornita da un cronista senese: "I gentiliomini di Siena a dì 26 di febbraio cavalcaro con gente a piè e a cavallo in grande quantità, e presero e tolsero Batignano al Fonda, e sì presero el Fonda e Iacomo Boccacci e lassarli".
È ignota, al pari di quella della nascita, la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Arti, 165, c. sov; Concistoro, 44, cc. 57, 67; 46, cc. 1, 37; 47-48. c. 37v; 49, c. 23; 50, cc. 12v, 51v; Ibid., ms. A. 13-14: A. Sestigiani, Ordini,armi,residenze e altre memorie di famiglie nobili di Siena, I, c. 172r-v; Ibid., ms. A. 15: A. Aurieri, Raccolta di notizie riguardanti le famiglie nobili di Siena, c. 26v; Donato di Neri e figlio, Cronaca senese, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XV, 6, a cura di A. Lisini-F. Iacometti, pp. 619, 622, 624, 626, 627; O. Malavolti, Historia de' fatti e guerre de' Sanesi..., Venetia 1599, II, pp. 129v, 130v; G. Pirchan, Italien und Kaiser Karl IV. in der Zeit seiner 2. Romfahrt, Prag 1930, I, pp. 343, 359; II, p. 188.