BOTTRIGARI, Iacopo (Iacobus Butrigarius, Butrigarii, de Bottrigariis)
Nacque a Bologna intorno al 1274 da Salvetto di Grimaldo, di antica e nobile famiglia, e da Villana di Guglielmo Boccadicane. Morto il padre nel 1282, il B. fu posto sotto la tutela della madre e del fratello Bartolino. Fu avviato allo studio del diritto e, secondo una testimonianza di Bartolomeo da Saliceto, avrebbe avuto fra i suoi maestri Iacopo Baldovini (In primam et secundam Codicis... l. si qua mulier C. de Sacrosanctis eccl. [auth. 123.3 post C.1.2.13]): notizia priva di fondamento perché il Baldovini era già morto nel 1235. Nel 1293 figura nella matricola dei notai bolognesi e proprio da questa prima data sicura in relazione con certi atti da lui stipulati alcuni anni prima in cui figura ancora assistito da un tutore, abbiamo una conferma per la probabile veridicità della data della sua nascita (Fantuzzi, II, p. 331).
II B. non poté raggiungere rapidamente il titolo di doctor iuris, a causa delle particolari norme restrittive del collegio dei dottori di diritto, emesse tra il 1292 e il 1304, che limitavano l'iscrizione e il raggiungimento del dottorato ai Bolognesi non legati da vincoli di parentela con i componenti del collegio stesso. Sebbene il Consiglio della città avesse chiaramente disapprovato tali decreti, questi rimasero ugualmente in vigore; lo stesso Iacopo da Belviso fu costretto a conseguire il titolo fuori di Bologna. Come semplice bacchalarius il B. svolse, tuttavia, una certa attività didattica nello Studio: nel 1307 fu richiesto dai rettori perché svolgesse un corso di letture straordinarie sull'Infortiatum insieme con Tommaso Marzaloli e Filippo Ramponi. Ancora nel 1308 lesse nello Studio bolognese su istanza dei rettori. E finalmente nel 1309 appare in un atto con la qualifica di doctor iuris (Fantuzzi, II, p. 332).
Nel 1313 il B. fu chiamato a Pisa insieme con altri guelfi da Enrico VII, per dichiarare pubblicamente di non aver congiurato contro l'imperatore (Ghirardacci, I, p. 564). L'anno successivo venne chiamato a Treviso dal Consiglio dei trecento per l'insegnamento di diritto civile, ma rifiutò l'incarico insieme con Riccardo Malombra e Bliobarisio degli Azzoguidi (Besta, Riccardo Malombra, p. 18).
Nel 1321 si aprì una crisi nell'università bolognese. Il podestà Giustinello da Fermo aveva condannato a morte lo studente spagnolo Giacomo da Valenza, colpevole di aver rapito Costanza dei Zagnoni, figlia di uno dei più potenti cittadini e parente di Giovanni d'Andrea. Moltissimi studenti, per mostrare la loro opposizione alla sentenza, si allontanarono da Bologna insieme con alcuni professori e, dopo una breve sosta ad Imola, si spinsero fino a Siena (al riguardo cfr. F. Filippini, L'esodo degli studenti..., in Studi e mem. per la storia dell'univ. di Bologna, [1921], pp. 107 ss.). Il 7 aprile di quell'anno il B. fu inviato a Siena per tentare una riconciliazione: riuscì nel suo intento ottenendo il rientro degli studenti dietro promessa della revisione della sentenza. E infatti il podestà riconobbe - nella chiesa di S. Domenico, deposito caputio, - l'eccessiva severità della pena inflitta, mentre gli studenti, per ricordare l'accordo raggiunto con il governo cittadino, promisero di edificare una chiesa (Cavazza, p. 223).
Il 6 maggio 1321 il B. figura tra i quattro dottori eletti per provvedere al riordinamento dello Studio che era ancora in fermento (Sarti-Fattorini). Quando nel 1338 Bologna si liberò tumultuosamente dalla pesante protezione del legato apostolico Bertrando del Poggetto e il pontefice Benedetto XII sottopose a giudizio la città ribelle (il nome del B., con quello del figlio Lorenzo, compare tra i cittadini ritenuti responsabili della sollevazione), il governo bolognese inviò ad Avignone un'ambasceria, di cui faceva parte il B., per raggiungere un accordo. Se la missione non portò a una pacificazione, tuttavia contribuì certamente a rendere meno tesi i rapporti tra Bologna e la S. Sede: tanto che poco tempo dopo vennero aperti negoziati tra le due parti per il riconoscimento della signoria di Taddeo Pepoli, già operante di fatto dal 1337.Anche in questa occasione spettò al B. - insieme con il canonista Paolo dei Liazari - trattare la questione con il rappresentante pontificio Guignone di San Germano. Benedetto XII accolse le allegazioni dei due dottori bolognesi a favore del Pepoli (Ghirardacci, II, p. 147) e il B. - come membro del Consiglio generale di Bologna - fu presente nel 1340 all'atto di sottomissione presentato dal Pepoli e da tutti gli ordini della città nelle mani del nunzio apostolico Beltramino Parravicini.
Il B. morì di peste a Bologna il 9 apr. 1348 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco dinanzi a un altare che egli stesso aveva fatto costruire. Successivamente le sue ossa furono trasferite nella cappella che porta il nome della famiglia, e dove esiste una iscrizione che lo ricorda. Non si conosce il nome della moglie, da cui ebbe tre figli: Lorenzo, Bartolomeo e Iacopo e una figlia, Villana. Tra i suoi scolari il più famoso è certamente Bartolo da Sassoferrato.
Molte sono le opere attribuite al B., che godette di notevole fama in vita e fu ricordato spesso, anche dopo la morte, da giuristi come Cino, Bartolo e Baldo, che ne rinnovarono l'insegnamento. Il Savigny ne giudicò forse troppo affrettatamente l'opera, facendogli il torto di esprimere sulla sua produzione giuridica - peraltro ancora in attesa di essere esaminata criticamente - un giudizio che potrebbe risultare arbitrario.
I suoi commenti al Corpus iuris si aggiungono spesso al lavoro esegetico compiuto dalla Glossa puntualizzando e precisando qualche particolare soltanto; ma quando la norma da interpretare ne offre lo spunto, il discorso del giurista si fa più ampio preludendo i più diffusi commenti dei testi giustinianei svolti dai maestri che lo seguiranno.
Dei lavori del B. non è stato tentato - dopo il Fantuzzi - alcun elenco: quello che qui forniamo non ha pretesa di completezza.
Opere: Glosse. Al Digestum Vetus si rinvengono in alcuni mss. conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Pal. lat. 732, es. ai ff. 1v, 2r, 12v, 13v, 14rv, 15r, 24v, 151rv, 152v; Pal. lat. 733, ff. 1, 4v, 5v, 13rv, 20rv, 23rv [Maffei, p. 167 n. 13], 25rv, 175v, 177r, 178rv, 258r, 259rv [le glossulae sono assai frequenti e il testo è ampio]; Pal. lat. 736, ff. 1v, 2v, 7r, 272r; Pal. lat. 739, f. 189v; Pal. lat. 734, ff. 25rv, 32r, 50r, 257v). Il Besta (Bertrandus de Deucio, p. 2) ricorda glosse del B. nel ms. Z. L. XCVII della Biblioteca Marciana di Venezia. Al Digestum novum si trovano in alcuni mss. della Biblioteca Vaticana (Pal. lat. 749, ff. 5rv, 6r, 195r; Borghes. 223, ff. 1v, 2rv, 5v, 9rv, 59v, 69r, 88r, 100v, 169r, 206r, 207r, 232v; Ross. 586, f. 98v), e nel ms. Z. L. CCV della Marciana, ricordato dal Besta (Su due opere sconosciute, p. 16). Al Digestum Infortiatum restano glossulae in un ms. della Biblioteca Apostolica Vaticana (Pal. lat. 745, ff. 10v, 194r, 298v, 323r, 325r). Sul Codex abbiamo alcune glossulae attribuite al B. in alcuni mss. dalla Bibl. Ap. Vaticana (glossulae assai brevi, ma presenti in molti ff.: Pal. lat. 758, per es. nei ff. 5v, 6r, 24r, 218r; Pal. lat. 761, f. 71r; Borghes. 372, ff. 18r, 153v; Barb. lat. 1463, f. 207rv; Barb. lat. 1462, ff. 28v, 199r [198v]). Glosse del B., infine, a tutto il Corpus sono segnalate dal Besta (Bertrandus de Deucio, p. 11) nei mss. 15.2.4, 15.2.5, 15.2.6, 15.2.7 e 15.2.8 [Mazzatinti 629, 630, 631, 632 e 633] della Bibl. Comunale Bertoliana di Vicenza. E il catalogo della Marciana di Venezia, curato dal Valentinelli, segnala in vari codici la sua sigla.
Lecturae. Del B. sono conosciute due Lecturae, una al Digestum Vetus, l'altra al Codex. La prima venne stampata a Roma per la prima volta nel 1606 e poi sempre a Roma nel 1617. Se ne conoscono due mss.: quello del Collegio di Spagna, cod. 272 (antica segnatura) e quello della Bibl. Naz. Braidense di Milano, AE/XIV/15. Abbiamo poi notizia di due lecturae del B. al Codex (Diplovataccio, Alidosi, Fantuzzi): l'edizione parigina del 1516 dovrebbe contenere - secondo il Savigny - la più recente delle due (lectura nova).Ne possediamo due mss., uno a Lipsia ricordato dal Savigny, l'altro a Siena, Bibl. Comun. degli Intronati, I, IV, 12. Una lectura al Codex attribuibile al B. è anche nella Bibl. Nac. di Madrid, mss. 575 s.
Si ha notizia anche di un commento al titolo de actionibus delle Istituzioni (J.4.6), che figura come lectura nell'elenco delle opere possedute da Enrico da Trimonia [Fantuzzi] di cui il Diplovataccio indica l'incipit:"adevidentiam intellectum materiae...". Un ms. è conservato a Parigi (Bibl. Naz., Lat. 1491). Si ricorda anche che un Titulus de actionibus in Institutis del B. è tramandato dal ms. C.O. 196 della Biblioteca del Capitolo di Olomouc, ai ff. 68a-77a, e ai ff. 111rb-116rb del Cod. 32 della Stadtibliothek di Brunswich figura un'opera "super titulo de actionibus" attribuita al Bottrigari.
Tractatus: Tractatus de appellationibus, ricordato dal Diplovataccio. Tractatus de dote, un ms. si trova nella Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2618, ff. 304v-306v ed è edito nei Tractatus Universi Iuris, IX, pp. 448 ss. Tractatus de expensis, che si conserva manoscritto nella Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2656, ff. 92v-94. Tractatus de oppositione compromissi, edito nei Tractatus Univ. Iuris, III, 1, pp. 206 ss. (ms. Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 10726, f. 160rv). Tractatus de renunciationibus, edito nei Tractatus Univ. Iuris, VI, 2, pp. 404 es., e che si può trovare spesso in appendice alla Summa artis notariae di Rolandino dei Passeggeri. Venne stampato anche nei Tractatus de renunciationibus iuris, Parisii 1516, Lugduni 1538, Taurini 1607 e si può trovare anche nei Tractatus de assecurationibus variorum, Venetiis 1570. Tractatus de testibus, edito nei Tractatus Univ. Iuris, IV, pp. 6 ss., Tractatus de successionibus ab intestato, che si conserva manoscritto a Parigi, Bibl. Naz., Lat. 4514.
Quaestiones:esiste una raccolta di Quaestiones et disputationes edite a Bologna, "apud Anselmum Giacarellum", nel 1557. Alcune quaestiones attribuite al B. sono conservate in alcuni mss. della Biblioteca Apostolica Vaticana: Numquid dies termini computetur in termino (Vat. lat. 2656, ff. 94v-95v); Ordinata fuit dilatio ad Probandum alicui litigium... (Ottob. lat. 1726, ff. 88r-90v); Quidam pater familias habens fratrem habentem quasdam filias nuptas... (Vat. lat. 8069, ff. 304-305v). Una è conservata nel ms. C.O. 40 della Biblioteca del Capitolo di Olomouc, al f. 3 (a-b): Statuto cavetur quod quilibet civis vel extimatus...
Inoltre sono attribuite al B.: una Lectura ad logem Vicena ff.si quis cautionibus (D. 2. 11. 1) (Parigi, Bibl. Naz., Lat. 4773): una Inventari formula,incipit:"Domina G. filiam quondam domini" (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2638, f. 113r-v); una Repetitio in l. bonorum possessio (D.38, 1) (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2638, ff. 160-164v); alcuni schemi di Libellorum formae ad omnes modos agendi (formulette assai brevi, incipit:"Libellus in actione reali" [Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2683, ff. 105v-109v]).
Alcuni consilia del B. sono conservati nella Bibl. Apost. Vat. nel Vat. lat. 8069 (cfr. A. Campitelli-F. Liotta); un altro nel Vat. lat. 10726 (Quidam defloravit minorem... al f. 496v); un altro nel Vat. lat. 2640 (Revocatur in dubium,cum mater..., ff. 88v-89). Alcuni sono contenuti nella raccolta dello Ziletti, Consilia criminalia, Venetiis 1582. Secondo il Mazzuchelli e il Fantuzzi alcune repetitiones del B. dovrebbero essere stampate anche nei Commentaria accuratissima in quamplures iuris communis titulos ita ut fere dici possit per extentionem in Universum Ius, II, Venetiis 1617.
Gli aspetti della dottrina del B., che la storiografia giuridica contemporanea ha maggiormente sottolineato, riguardano essenzialmente tre punti: la sua teoria sulla fonte della sovranità politica, quella relativa al problema della validità della donazione di Costantino e, infine, quella sulla interpretazione delle norme statutarie.
In merito alla prima è stato posto in luce dal Woolf - e poi dai Carlyle - come il B., riallacciandosi al pensiero di Vacario, abbia sostenuto (specialmente nella Lectura super Digesto Veteri)la titolarità originaria della maiestas da parte del popolo romano. Questo l'ha poi trasferita all'imperatore e, pertanto, non può vantare più il diritto di fare leggi generali: tale diritto sarà, però, di nuovo nelle sue mani qualora decidesse di revocare la concessione fatta all'imperatore.
Tali concezioni politiche generali devono essere tenute presenti - come sottolinea il Maffei - per comprendere quale era il pensiero del B. sul problema della donazione costantiniana. In realtà l'esposizione che il giurista fa al riguardo, specialmente nella Lectura Codicis, è in sé contraddittoria. Nella prima parte, infatti, il B. sostiene la nullità della donazione facendola derivare proprio dalla sua convinzione sull'originario potere del popolo romano. Poiché l'imperatore ha ricevuto la iurisdictio da quest'ultimo, non può rassegnarla se non "in manu populi": se l'attribuisse ad altri, incorrerebbe in un eccesso dei poteri conferitigli dal mandato, eccesso che renderebbe nulla l'attribuzione stessa. Subito dopo, però, il B. muta il proprio pensiero: dice, cioè, che, trattando de facto il problema, si può sostenere che la iurisdictio spetta in origine al papa, il quale ne concede l'esercizio temporale all'imperatore; e quindi, se questi manca o se questi vuole rinunciare all'esercizio stesso, è ammissibile che il papa riacquisti la iurisdictio temporalis. A detta di Raffaele Fulgosio il B. fu costretto a ritrattare la sua opinione al fine di evitare rappresaglie da parte della Curia (Maffei). Il passo della Lectura Codicis deve essere perciò interpretato come un tentativo del giurista di non urtare le tesi canoniste, senza, peraltro, abbandonare la propria. Ne consegue che egli "adotta un criterio di doppia verità" (Maffei), esponendo due punti di vista del tutto diversi e facendo derivare da ciascuno le necessarie conclusioni.
Per quanto riguarda, infine, l'interpretazione degli statuti, il B., sulla scorta di Dino del Mugello, si oppose alla tesi di Raniero da Forlì, ed escluse la possibilità di una loro interpretazione estensiva perché - come diceva Dino - "quicquid est omissum pro omisso debet haberi" (Brandi).
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