BRUTO (Bruti, Bruturi), Iacopo
Nacque a Padova nella seconda metà del sec. XV e fu notaio addetto agli uffici del palazzo della Ragione. Esercitò anche la professione notarile e il 27 ag. 1509 rogò in casa di Luigi Capodivacca un atto con il quale il capitano Lucio Malvezzi rilasciava procura al suo cancelliere Nicolò da Udine per trattare con il governo della Repubblica di Venezia la concessione di una condotta di cento uomini d'arme e cento balestrieri a cavallo. Del B. non si ha altra notizia biografica, e il suo nome non sarebbe stato degno di ricordo se egli non avesse scritto in un rozzo latino una cronaca padovana dal 1509 al 1515. L'interesse di essa sta nel primo dei suoi termini cronologici che investiva una materia scottante: il 1509 fu infatti l'anno dell'effimera rivolta padovana, occasionata dalla sconfitta di Agnadello, a opera degli eserciti della lega di Cambrai, che sembrò travolgere il dominio veneziano di Terraferma.
Costruita secondo uno schema annalistico rigoroso, la cronaca del B. registra minutamente gli avvenimenti cittadini con una precisione e un'attenzione alla successione cronologica sconosciuta alle altre cronache padovane della rivolta. Delle quali condivide il generale orientamento politico antiveneziano, seppure nei limiti di una diversa considerazione degli opposti sentimenti popolari, notoriamente filoveneziani. All'uscita dei rettori veneziani dalla città, il 6 giugno 1509, il B. descrive la gioia dei notabili che per tre giorni suonarono le campane "in signum letitie et gaudii, quod civitas Padue exiverat de iugo et servitute Faraonis". Al rientro dei Veneziani, nel luglio, sottolineò l'adesione in massa dei popolari che parteciparono attivamente alla difesa della città assediata dagli Imperiali: chiuse le botteghe, gli artigiani accorrevano alle mura "et omnes liberter laborabant semper acclamantes 'Marco, Marco'". In effetti lo scrupolo annalistico del B. ha permesso di ricostruire con una certa ampiezza di particolari la vita interna della città divisa tra nobili e popolari nel breve periodo della sua indipendenza da Venezia. A lui si deve il resoconto più completo dell'assemblea generale, convocata il 2 giugno dai rettori veneziani nel palazzo della Ragione, alla quale intervennero ben tremila popolari. Alla proposta dei nobili di eleggere otto cittadini per coadiuvare in momenti tanto difficili i rettori nel governo della città, replicò un oscuro calzolaio che "surrexit nomine populi, et dixit non esse honestum, neque dignum, nec velle quod cives deberent amplius Paduam regere, quia per elapsum male rexerant pro pauperibus". Gli eletti furono così sedici, otto dei quali rappresentavano le corporazioni artigiane.
A questo atteggiamento il B. non fu indotto da simpatie filopopolari, ma semplicemente dall'abito di imparzialità acquisito nell'esercizio della professione notarile e corroborato dalla personale posizione di distacco dagli avvenimenti che gli impedì di compromettersi politicamente con una delle parti in causa. Funzionario comunale, egli poté seguire da vicino tutte le fasi della lotta politica padovana, ma senza scoprire mai le sue personali inclinazioni politiche che pure lo legavano all'oligarchia dominante cittadina.Con prudenza e abilità veramente degne della migliore tradizione notarile, il B. seppe uscire indenne dalla turbinosa vicenda politica della sua città: il suo nome non figura infatti nella lista dei condannati, né in quella dei fuorusciti. Come attesta l'atto del 27 agosto già citato, dopo il ritorno dei Veneziani egli continuò ad esercitare la sua professione senza che alcun provvedimento fosse stato preso a suo carico. Assai indicativo della sua cautela è del resto il solo episodio, nel quale, a quanto riferì il B. stesso, ebbe parte diretta. Presente all'assemblea popolare convocata il 5 giugno per decidere sulla intimazione di resa, presentata a nome dell'imperatore Massimiliano da un araldo di Leonardo Trissino, egli vi svolse però semplici funzioni di segretario. In tale veste infatti si limitò a dare lettura all'assemblea, come ricordò egli stesso, dell'invito del Trissino oltre che di una ducale che lasciava i Padovani liberi di negoziare la resa agli Imperiali.
Rimasta inedita, come tutte le altre cronache padovane della rivolta, questa del B. fu pubblicata in parte, limitatamente al periodo dal 14 maggio al 7 ott. 1509, da Andrea Gloria con il titolo Iacobi Bruti patavini annalia quedam in appendice al suo opuscolo DiPadova dopo la lega stretta in Cambrai dal maggio all'ottobre 1509. Cenni storici con documenti, Padova 1863, pp. 51-66.
Fonti e Bibl.: I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, p. 105; A. Bonardi, I Padovani ribelli alla Repubblica di Venezia (1509-1530), Padova 1902, pp. X s., 13, 19, 39, 58; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400e '500, Bari 1964, pp. 168, 180, 186.