CABIANCA, Iacopo
Nacque il 10 febbr. 1809 da Antonio e da Lucia Pasetti a Vicenza, dove il padre, discendente da un'antica e ricca famiglia padovana, si era trasferito da qualche anno. Compì i suoi primi studi in collegio, sotto la guida dell'abate G. B. Benatello, che lo orientò verso la lettura dei classici e soprattutto del Petrarca e del Tasso. L'ambiente era quello ancora legato alla tradizione arcadica che aveva solo in parte assorbito certe esperienze dell'ultimo Settecento: su questa linea si collocano le prime prove da lui composte, come il poemetto in ottave ColliBerici (composto a 15 anni e rimasto inedito). Il padre voleva indirizzarlo agli affari e all'amministrazione del patrimonio familiare: perciò nel 1830 lo mandò a studiare legge all'università di Padova, ancora sotto la tutela del Benatello. Qui il C. si avvicinò alle idee e alla letteratura romantica, Carrer anzitutto, ma anche Grossi, Berchet, Pellico, Manzoni: ne derivò alcuni temi che ritornano frequentemente nelle novelle in versi di questi anni (La veglia delle nozze, Padova 1830, Lucrezia degli Obizzi, Padova 1830, Speronella Dalesmanina, Padova 1832), dove si oscilla tra il movimento della ballata sentimentale e i toni più concitati della letteratura "nordica" allora in voga, ma sempre con risultati di scarso rilievo artistico.
Laureatosi in legge nel 1831 il C. continuò a dedicarsi alla letteratura, contro i desideri del padre che non cesserà di rimproverargli di trascurare e dissipare il patrimonio. Dell'anno successivo sono due ballate che, pubblicate a Milano nel 1835, costituiscono il primo nucleo della raccolta Ore di vita (Milano 1837), cui si aggiungeranno via via altre liriche fino all'edizione definitiva del 1877. Nel 1836 pubblicò a Milano un poema in tre canti in ottave, il Torquato Tasso;continuò inoltre la produzione di novelle in versi con La montagna di Santa Odilla (Padova 1838), tratta da una leggenda alsaziana; tentò anche il melodramma: La sposa di Messina (Venezia 1839), musicato da N. Vaccai; ma fu un insuccesso.
Intanto, a venticinque anni, il B. aveva conosciuto A. Maffei, letterato di gusti classicheggianti, ma aperto alla cultura europea e traduttore di vari poeti romantici: a lui il C. si legò di salda amicizia, e spesso ne accolse suggerimenti e consigli. Anzi proprio assieme al Maffei intraprese nel 1839 un viaggio attraverso la Liguria e la Toscana, per ripercorrere l'itinerario compiuto, poco prima di morire, da Maria di Württemberg, la figlia scultrice di Luigi Filippo, sulla cui vicenda egli si accingeva a scrivere una cantica.
Portatala a termine poco dopo, la inviò in lettura all'amico che, tuttavia, pur tra qualche lode generica, non se ne mostrò entusiasta e gli consigliò numerose correzioni stilistiche. Divisa in tre parti, la Maria di Württemberg (Milano 1840) riprende lo schema delle Visioni del Varano, che favorisce l'andamento descrittivo più che quello narrativo: ciò è particolarmente evidente nella seconda parte, quando si esaltano le bellezze naturali e artistiche delle città visitate da Maria; nella terza parte invece si accentua il tono patetico delle situazioni. La cantica ebbe notevole successo, legato anche alla commozione suscitata dalla vicenda umana della protagonista; raccolse inoltre lodi occasionali di vari letterati; il Prati invece espresse francamente le sue riserve di fondo in un articolo che suscitò un'ombrosa reazione nel C. e, per un'allusione poco benevola, un'astiosa ostilità nel Maffei (ora inE. Ventura, pp. 45-50).
Ancora nel 1840 il C. scrisse un breve romanzo storico, Giovanni Tonesio, che non poté pubblicare per il divieto della censura austriaca, resa sospettosa soprattutto dagli accenti patriottici che qua e là vi si incontrano; nel 1843 G. Montanelli lo fece stampare a Bastia e lo introdusse in Toscana.
Il C. prende lo spunto da una lapide, esistente presso l'università di Padova, che ricorda il bando contro G. B. Tonesio (1657), reo di aver ucciso il dottor G. A. Albanese. Nel racconto il protagonista si trasforma in un eroe dai sentimenti generosi, che lotta contro la povertà e si ribella contro i soprusi di ogni genere. Spesso la vicenda sembra diventare il pretesto per descrivere il folclore, goliardico della Padova del sec. XVII. Alle scene di vita quotidiana però mal si adattano il linguaggio, artificioso e trasandato nello stesso tempo, e l'innaturale forzatura drammatica dei personaggi. Il romanzo passò quasi inosservato nell'ambiente letterario; suscitò tuttavia reazioni ostili presso gli ebrei perché vi era descritto a tinte fosche un usuraio del ghetto: figura del resto quasi obbligata per il tema del racconto (cfr. per esempio: Lo studente di Padova, Padova 1847, parte II, vv. 133 e ss., di A. Fusinato).
Nel 1843 il C. sposò la baronessa Sofia Fioravanti Onesti; dal matrimonio nacquero tre figlie che educò al gusto della letteratura (una di esse, Lucia, scrisse dei versi) e delle arti figurative di cui anch'egli si interessò. Fu amico, all'occorrenza munifico, di pittori, come F. Hayez, di critici d'arte, come P. Selvatico; scrisse lui stesso, come collaboratore del CaffèPedrocchi, qualche articolo illustrativo di opere d'arte; e infine più di una volta nei suoi versi si soffermò a descrivere monumenti e affreschi.
Durante la prima guerra d'indipendenza, il C., che frequentava assieme ad altri letterati e patrioti la casa di Mariano Fogazzaro, padre del romanziere, confermò la sua posizione di liberale moderato, aperto all'ideale patriottico e unitario, sebbene i suoi sentimenti avessero una origine più letteraria che strettamente politica. Cacciati da Vicenza gli Austriaci (22 marzo 1848), egli fece parte del governo provvisorio e fu uno dei cittadini scelti per portare il saluto della città a Carlo Alberto. Al ritorno degli Austriaci (10 giugno 1848), lasciò per breve tempo la città, rifugiandosi prima a Ferrara poi a Lugano, ospite del carbonaro A. Chialiva. Tornato in patria, poté immergersi ancora nei suoi ozi letterari: scrisse drammi in versi, e soprattutto rielaborò, anzi rifece quasi interamente, il Torquato Tasso. Quando nel 1857 l'arciduca Massimiliano cercò, per mezzo dell'attore E. Rossi, di favorire a Milano la costituzione di una compagnia di teatro stabile che avrebbe dovuto riunire gli attori più famosi del tempo, anche il C. fu invitato a collaborare all'iniziativa, che però fallì; non mancarono tuttavia critiche al suo atteggiamento conciliante verso l'autorità austriaca. Del resto anche durante la seconda guerra d'indipendenza il C. mantenne un atteggiamento partecipe ma prudente e moderato: "si aspetta fidenti e decisi a non guastare con sciocche dimostrazioni una buona causa" scriveva all'amico V. Pasini, di fronte all'incalzare degli avvenimenti (lettera del 28 apr. 1859, in E. Ventura, p. 90). Frattanto nel 1858 aveva pubblicato a Venezia il nuovo Torquato Tasso in dodici canti.
Più che un poema è un romanzo, sulla scia del Saggio sugli amori del Tasso di G. Rosini. Il protagonista perde i suoi connotati storici per diventare l'amante nobile e sventurato, il genio perseguitato. Sebbene il C. tentasse maldestramente di giustificare anche dal punto di vista storico le vicende narrate, il suo vero intento era quello di commuovere il lettore accumulando situazioni patetiche e complicando l'intreccio degli amori del protagonista, per spremerne tutti gli effetti. Appunto perché concepito ormai come un romanzo d'amore, il racconto si allarga dalle tre scene descritte nella prima stesura a tutta la vita del Tasso. Il C. assecondava così il gusto diffuso di un certo pubblico del suo tempo; sarebbe vano però il tentativo di individuare nell'opera un significato estetico che vada oltre il fatto di costume.
Ad ogni modo egli era ormai uno dei letterati più noti della sua regione; oltre che col Maffei era in relazione con vari letterati e uomini di cultura del suo tempo, come G. Carcano, E. Fuà, A. Fusinato, G. Zanella; inoltre G. Capponi, C. Tenca e, più tardi, A. Fogazzaro. Su richiesta di C. Cantù collaborò all'Illustrazione del Lombardo-Veneto (1861), compilando, insieme a F. Lampertico, un sommario della storia di Vicenza. Negli anni che precedettero la liberazione del Veneto scrisse Canzonette e barcarole (Rovigo1865) e diffuse alla spicciolata canti e ballate veneziane, di argomento storico e patriottico, che poi raccolse in un volumetto (Venezia: canti e ballate, Venezia 1867). Intanto, oltre ai numerosi versi d'occasione che costellarono un po' tutta la sua vita, scriveva ancora novelle in versi e correggeva le Ore di vita (Milano 1877), che restano la prova più tipica della sua produzione lirica.
Vi prevale il tema amoroso, che tuttavia si incontra assai felicemente con quello idillico-elegiaco e anche patriottico. Questi temi sono calati entro una languorosa sensibilità musicale, cui non sono estranee certe suggestioni della poesia del Lamartine che fu assai famigliare al C., forse per suggerimento del Maffei che ne era stato il traduttore e divulgatore. Ma nel suo indifferenziato eclettismo culturale il C. accoglie anche l'eco di un esangue petrarchismo e, più spesso, ripiega verso cadenze arcadiche. Anche le pazienti correzioni dei suoi versi rivelano, più che la consapevolezza artistica, questa incertezza di fondo sulle scelte.
Dopo il 1866 il B. visse quasi sempre a Vicenza o nella signorile villa della Longa. Dal 1866 al 1870 fece parte del Consiglio comunale della sua città; membro del R. Istituto veneto, frequentò l'Accademia Olimpica e fu chiamato a pronunciare diversi discorsi di commemorazione. Negli ultimi anni di vita fu afflitto da una paralisi progressiva; morì alla Longa la notte tra il 27 e il 28 genn. 1878.
Come si è accennato, il C. scrisse anche per il teatro: drammi in versi di argomento storico-patriottico (per le sue idee il Buon Angelo di Siena, Milano 1857, fu proibito dalla censura austriaca; per la stessa ragione più tardi, nel 1867, l'Ausonia, rappresentata ma inedita, incontrò uneffimero successo di pubblico), due commedie sentimentali, inoltre dei Proverbi in versi martelliani. Lasciò infine, incompiuto, un canto in versi sciolti pubblicato postumo col titolo di Primo canto di un poema inedito su Venezia (Padova 1879), dove con stile prosaico descrive un episodio di vita borghese sullo sfondo delle passioni risorgimentali.
Fonti e Bibl.: Per la storia dell'"Archivio storico italiano", in Arch. stor. ital., XCIII (1935), 2, pp. 257 s.(lettera del Vieusseux al C. e risposta); A.Vannucci, Il T. Tasso di I. C., in Riv. di Firenze, II (1858), 2, p. 363;L. Fortis, Conversazioni, I, Milano 1877, pp. 271 s.;B. Morsolin, Commem. di I. C. ..., Vicenza 1878;G. Cittadella Vigodarzere, Di I. C. e delle sue opere..., Padova 1878;G. Zanella, Commem. di I. C. ..., Vicenza 1878;G. B. Mugna, Scritti vari in morte di I. C., Padova 1878;R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei…, Milano 1895, p. 120; Id., Poeti italiani del sec. XIX, II, Milano 1916, pp. 746 s.;Id., Voci e volti del passato, Milano 1920, pp. 162 s., S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secc. XVIII e XIX, in Miscellanea di storia veneta, s. 2, XI, parte I, Venezia 1905, pp. 314-21, E.Ventura, I. C., i suoi amici,il suo tempo, Treviso 1907;G. Brognoligo, Le voci del buon tempo, in Fanfulla della domenica, 20e 27ott. 1907;Id., Appunti per la storia della cultura in Italia nella seconda metà del sec. XIX. La cultura veneta, in La Critica, XXII (1924), 6, pp. 343 ss.; A.Bini-G. Fatini, I canti della patria..., II, Milano s.d. (ma 1916), pp.456-59; U. Bosco, Il Tasso come tema letterario nell'800 ital., in Giorn. stor. della letter. ital., VI (1928), 91, pp. 41-3;G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1964, I, p. 477; II, pp. 187, 262, 490; Encicl. Ital., VIII, p. 196; Encicl. dello Spettacolo, II, col.1441.