CASTELLI, Iacopo
Nacque a Verona nel 1791, figlio di Antonio, capitano del genio e istruttore nel Collegio militare. Questi, dopo le Pasque veronesi (aprile 1797), fu inviato a parlamentare col comando francese accampato presso la città; caduta la Repubblica veneta, fu costretto a rimanere nascosto per qualche tempo mentre la famiglia soffxiva la miseria. Laureatosi in legge a Pavia nel 1816, il C. si stabilì col padre a Venezia per esercitare l’avvocatura, segnalandosi per preparazione, doti oratorie e forte senso di giustizia. Nel 1820 sposava Matilde Dall’Acqua, da cui ebbe ben dodici figli; si dedicò alla famiglia e all’attività forense.
Nel luglio 1840 all’assemblea degli azionisti della Strada ferrata Ferdinandea il C. sostenne la modifica del tracciato da Brescia a Milano, per Bergamo, Trezzo e Monza. La proposta, sostenuta da uomini d’affari bergamaschi e da alcuni banchieri viennesi, venne approvata, e fu eletta una commissione di studio.
Si opponevano al progetto l’ing. G. Milani per motivi tecnici; il Manin, il Cattaneo e il Paleocapa con argomenti politici. All’assemblea degli azionisti di Milano (agosto ’41) la questione fu di nuovo sollevata, ma non si giunse a decisioni poiché vennero sollevate eccezioni legali e insorsero disordini. Il C. non se ne interessò più, vedendo che. la questione era stata portata sul terreno politico; del resto tutta ja materia ferroviaria fu poi riordinata dalla risoluzione sovrana del 19 dicembre. Più tardi i lavori vennero assunti dallo Stato. Le vivaci polemiche sul tracciato non alterarono i buoni rapporti fra il Manin e il C., il quale nel ’46 mandava il primogenito a far pratica d’avvocato nello studio di quello, e tra la fine del ’47 e l’inizio del ’48, pur prostrato dalla perdita di questo figlio e di una figlia, si adoperò perché il processo a carico dei Manin, arrestato col Tommaseo, avesse uno svolgimento favorevole.
Dopo i fatti rivoluzionari del 17 marzo 1848 e la liberazione degli arrestati, il 22 marzo il C. tentò nella Consulta municipale di far attuare il trapasso di governo nelle forme legali, consigliando di conformarsi alle decisioni dei Milanesi e degli altri Veneti. Invano però invitò il Manin a far parte della Consulta, poiché questi era coi rivoltosi all’Arsenale ed assunse poi direttamente la presidenza del governo provvisorio repubblicano. Il Manin vi volle però uomini competenti, anche di tendenza moderata, come il Paleocapa, il Pincherle e il C. stesso, che ebbe il ministero per gli Affari ecclesiastici, di Grazia e Giustizia. Il C. poté quindi esercitare notevole influenza sugli indirizzi di politica generale, ed in particolare introdusse il diritto alla difesa per gli imputati, l’eguaglianza dei diritti fra le diverse confessioni religiose, l’abolizione dei privilegi fiscali nelle cause civili. Le sue proposte d’annunciare come prossima la legge elettorale (29 marzo) e una leva regolare (1° maggio) vennero invece respinte; così pure – partito per Bologna, Firenze e Roma suo genero G. B. Castellani, in cerca di aiuti militari – il governo progettò un’Assemblea veneta in luogo di una lombardo-veneta come il C. proponeva e l’inviato milanese Restelli auspicava. Dopo che il Paleocapa s’era recato a chiedere aiuti militari a Carlo Alberto. e una deputazione (di cui il C. stesso faceva parte) era inviata il 17 maggio al gen. Durando perché s’affrettasse alla difesa di Treviso, il C. si venne persuadendo dei pericoli dell’isolamento: assunse perciò la direzione del movimento per la fusione con il Piemonte. Dissentendo ancora il Manin e il Tommaseo, egli fece prevalere in Consiglio la decisione d’aderire all’unificazione dei destini lombardo-veneti quali sarebbero stati stabiliti da un’assemblea. Mentre ormai non era più possibile la convocazione di un’assemblea unitaria, si verificarono però manifestazioni della guardia civica a favore della fusione (29 giugno), sicché venne riunita il 3 luglio l’Assemblea veneziana. Dopo la verifica dei mandati elettorali, il 4 luglio il Paleocapa e l’Avesani invitarono a votare la fusione e, su proposta del C., l’Assemblea con 127 vott contro 6 votò la formula già votata dalla Lombardia, con la precisazione che si voleva restare “perpetuamente incorporati negli Stati Sardi con la Lombardia”.
Il 5 luglio, dovendosi formare il nuovo governo provvisorio nel quale il Manin non intendeva accettare incarichi, il C. fu eletto alla presidenza con 89 voti; con lui fecero parte dei governo il Paleocapa, il Camerata, il Paulucci, il Martinengo, il Cavedalis e il Reali, che pubblicarono un proclama unitario e inviarono delegati a Carlo Alberto.
Urgevano gravi problemi finanziari. Il C. sollecitò il Martini a richiedere aiuti a Torino (13, 15, 16 luglio), e ricordò al ministro Pareto la promessa di 2.000 uomini e il soccorso finanziario necessario per non dover licenziare le truppe pontificie e napoletane (13 luglio). Essendo in crisi il governo piemontese, quello veneziano, poco energico contro l’opposizione repubblicana, decretava misure straordinarie: un prestito obbligatorio garantito dai preziosi di proprietà dei cittadini, le trattenute sui più alti stipendi, e l’istituzione della Banca veneta autorizzata a emettere biglietti a corso forzoso (19 luglio); avviava inoltre dei corsi d’addestramento militare, ed ordinava sortite a Marghera e contro il forte di Cavanella. Solo il 21 luglio il Parlamento subalpino accettava la fusione veneta ed il governo nominava commissari per Venezia il marchese V. Colli, poi L. Cibrario, ed infine portava i commissari a tre con l’inclusione dello stesso Castelli.
Intanto la situazione economica veneziana si aggravava, cresceva la irrequietudine repubblicana, giungevano le prime notizie, non ufficiali e contraddittorie, della sconfitta di Custoza. Il C., in costante contatto con il Paleocapa a Torino, rinviò la costituzione d’un Comitato di difesa, ed il 4 agosto rivolse un appello al governo francese chiedendo protezione per la città. Il 5 agosto giunsero finalmente da Torino i due commissari, cui si unì il C., e parteciparono il 6 alla seduta del governo provvisorio che si trasformava in Consulta cedendo ufficialmente i poteri il giorno seguente. L’8 si diffuse però la notizia della capitolazione di Milano, e i commissari dichiararono in un proclama Venezia “vero propugnacolo della libertà italiana”. Cadevano le illusioni d’un intervento francese, e Carlo Alberto autorizzava il gen. Salasco a trattare un armistizio con gli Austriaci, in cui si prevedeva il ritiro dei Piemontesi da Venezia. A tali notizie, scoppiarono in città agitazioni e tumulti e i commissari, mentre rifiutavano le offerte di resa del gen. Welden, dichiararono di rinunciare al mandato. Il 12 agosto il Manin riassumeva il governo e convocava l’Assemblea per il giorno seguente. Questa respingeva le accuse di tradimento rivolte da facinorosi al C., il quale, applaudito, proponeva che al dittatore venissero affiancati due militari: l’amm. Graziani e il col. Cavedalis, che invano insisteva per essere sostituito nel triunivirato dal C. stesso.
Il Colli e il Cibrario già avevano lasciato Venezia su una nave sarda. Il C. non ritenendo più gradita al governo la sua permanenza, partì anch’egli con quattro figli il 14 agosto, e via Ravenna raggiunse Firenze il 19 agosto. Qui riunì in casa sua il 2 settembre alcuni rappresentanti delle città venete, che decisero il 4 di trasferirsi a Torino per tentare di ricostituirvi la Consulta veneta e mantenere Venezia unita al Regno dell’Alta Italia contro ogni intrigo diplomatico. Il 7 ottobre il C., il Paleocapa, il Bonollo e il Tecchio presentarono un memoriale al ministero degli Esteri perché facesse rispettare l’armistizio tutelando Venezia da ogni offesa bellica. Il C. partecipava con lo stesso scopo al Congresso nazionale indetto dalla Società per la confederazione italiana promossa dal Gioberti. Esule, ammalato, economicamente rovinato, chiese qualche aiuto al ministero ed ottenne alla fine di novembre la nomina a consigliere di Stato. Ma una malattia al fegato gli impedì di prestare servizio e lo trasse a morte il 18 marzo 1849 a Torino, dove fu sepolto nella tomba della famiglia del Cibrario, che ne dettò l’epigrafe.
Tra i figli del C., si distinse Emilio (nato a Venezia il 30 marzo 1832 e morto a Quarto, Genova, il 19 dic. 1919), il quale combatté nelle guerre per l’indipendenza, raggiunse il grado di generale dell’esercito italiano, fu deputato moderato di Venezia alla Camera per la XVII legislatura e nel 1917 nominato senatore del Regno.
Fonti e Bibl.: C. Pagani, Di alcune lettere di I.C. e delle sue relaz. con la corte piemontese, in Ateneo veneto, CXX (1925), pp. 165 s.; Dal carteggio di I. C., a cura di R. Cessi, in La Repubblica veneta nel 1848-49. I documenti diplomatici, Padova 1949, pp. 563-826; P. Rigobon, Gli eletti alle Assemblee veneziane del 1848-49, Venezia 1950, pp. X s., 60, 66-68, 168, 193; A. Depoli, I rapporti tra il Regno di Sardegna e Venezia negli anni 1848 e 1849, Modena 1959, pp. 50-55, 124 s., 196 s., 251-254, 420 s., 428-432, 438-464, 516-519, 662 s.; E. Castelli, I. C. ovvero una pagina della storia di Venezia ..., Venezia 1890; A. Luzio, Garibaldi, Cavour, Verdi..., Torino 1924, pp. 495-505; A. Monti, Un italiano, F. Restelli, Milano 1933, pp. 420-431; Id., La formula della votazione per la fusione di Venezia con la Lombardia (4 luglio 1848), in Rass. stor. del Risorg., (XX), 1933, 2, pp. 401 s.; C. De Biase, Il problema delle ferrovie nel Risorg. ital., Modena 1940, pp. 26 s.; R.[oberto] C.[essi], Figure del 1848: I. C., in Il Mattino del Popolo (Venezia), 12 febbr. 1948; S. Cella, L’emigraz. veneta in Piemonte, I, Fino al 1848, in Nova Historia, XIII (1961), 3, p. 34; A. Mioni, Un caso di studio: la strada ferrata lombardo-veneta da Milano a Venezia, in C. Carozzi-A. Mioni L’Italia in formazione..., Bari 1970, p. 318; A. Bernardello, Un’impresa ferroviaria nel Lombardo-Veneto: la Società Ferdinandea da Milano a Venezia, in Rivista stor. ital.,. LXXXV (1973), 1, pp. 187, 198.