CAVALCANTI, Iacopo
Figlio di Cavalcante, nacque a Firenze probabilmente intorno alla metà del sec. XIII.
La notizia, spesso ripetuta dagli storici della letteratura italiana, che fosse fratello di Guido Cavalcanti, il poeta fiorentino amico di Dante, non solo non trova conferma nelle fonti a noi note, ma è anzi contraddetta da esse. Un documento del 1287 testimonia infatti esplicitamente contro l’identificazione del Cavalcante padre di Guido con l’omonimo genitore del C.: quest’ultimo vi appare come tuttora attivo e vivente, mentre è certo che nel 1280 il primo era già morto.
Sappiamo che nell’autunno del 1283 il C. studiava decretali a Bologna, e forse si trovava ancora nel capoluogo emiliano, quando lo raggiunse il bando decretato il 18 luglio 1285 contro di lui contumace dal podestà di Firenze, il padovano Ziliolo Macaruffi. Il C., che era stato condannato qualche tempo prima a una pesante multa insieme con parecchie altre persone, si era infatti rifiutato di pagarla e di presentarsi al podestà. I motivi della condanna non ci sono noti perché il testo della stessa non è stato inserito nell’apposito registro (Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, 11, ff. 54v e 58v), nel quale, in data 8 agosto 1301, si prende soltanto nota del fatto che un Iacopo di Adimaro Cavalcanti era stato escluso dal provvedimento perché troppo giovane nel 1285 per poter essere passibile di una simile pena.
Il termine ante quem per la morte del C. è quello del 18 luglio 1287, giorno in cui il prete Martino, rettore della chiesa fiorentina di S. Leo e procuratore di Cavalcante Cavalcanti “patris et heredis ab intestato domini Iacobi sui filii”, ricevette dal libraio Ardizzone di Guido vari volumi lasciatigli in deposito dal defunto (Zaccagnini, 1913, p. 237). È questa circostanza che ci permette di escludere che il C. fosse fratello del più famoso Guido, il cui nome nell’atto di pace del cardinal Latino del 1280 è seguito dall’espressione “quondam D. Cavalcantis de Cavalcantibus”. Non sono confermate da documenti le notizie date da alcuni biografi secondo le quali il C. ebbe un canonicato a Firenze e fu sepolto nel duomo.
Se non è possibile accertare, dato il silenzio delle fonti a noi note, l’esistenza e il grado di una parentela tra il C. e Guido Cavalcanti, è comunque sicuro che i due appartennero allo stesso ambiente culturale e frequentarono gli stessi circoli poetici. Una testimonianza in proposito è fornita dalle due ballate “I’ vidi donne co la donna mia” e “Sol per pietà ti prego, Giovanezza”, conservate al f. 6r-v del cod. Vaticano Chigiano L.VIII.305, e da questo poi passate, con diversi titoli, in altri manoscritti. Le ballate sono infatti precedute nel manoscritto dall’ambigua intestazione “Guido de caualcanti et Jacopo”, che più che a una duplice paternità di entrambe fa pensare, come nota giustamente il Pellegrini, a una sorta di tenzone tra i due poeti secondo la moda occitanica. Questa tesi trova conforto nel fatto che la seconda ballata, più oscura e faticosa nei concetti e nell’espressione, presenta caratteri di contenuto e stile molto simili a quelli dei tre sonetti composti sicuramente dal C., “Per gli occhi miei una donna et Amore”, “Amore, gli occhi di costei mi fanno”, “I’ ò udita nominar Merzede”. Sia nella ballata sia nel primo dei tre sonetti viene impiegata, ad esempio, la poco frequente rima in -aglia. I tre sonetti (l’ultimo dei quali è tramandato soltanto dal citato codice Chigiano al f. 85r) non si allontanano dagli schemi canonici della tradizione stilnovistica, né presentano particolari pregi formali. L’espressione contorta e lambiccata sottolinea anzi la povertà dell’ispirazione del C., cui rimasero estranei i motivi più profondi della poesia di Guido Cavalcanti e degli altri grandi modelli del suo tempo. L’opera poetica del C. è stata edita da L. Allacci, Poeti antichi raccolti da codici mss. della Bibl. Vaticana, e Barberina, Napoli 1661, pp. 444 s.; M. Molteni-E. Monaci, Il Canzoniere Chigiano L.VIII.305, Bologna 1878, pp. 21 s., 168 s.; M. Pelaez, Rime antiche ital. secondo la lezione del cod. Vaticano 3214 e del cod. Casanat. d. v. 5, Bologna 1895, nn. 79 s.
Bibl.: G. M. Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, Roma 1698, p. 5; Id., Comentarj intorno alla sua Istoria della volgar poesia, II, 2, Roma 1710, pp. 45 s.; III, ibid. 1711, pp. 51 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 325; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, II, Milano 1741, p. 166; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., II, Milano 1833, p. 172; V. Nannucci, Manuale della letter. del primo secolo della lingua italiana, I, Firenze 1874, p. 296; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, 2, Firenze 1880, p. 565 pp. 1; T. Casini, Sopra alcuni manoscritti di rime del secolo XIII, in Giorn. stor. d. lett. ital., III (1884), p. 176; t. IV (1884), pp. 117 s.; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secc. XIII e XIV, Bologna 1884, col. 261; Supplemento, a cura di S. Morpurgo, ibid. 1929, n. 108; G. Salvadori, La poesia giovanile e la canzone d’amore di Guido Cavalcanti, Roma 1895, pp. 10 s.; G. Zaccagnini, Per la storia letter. del Duecento. Notizie biogr. ed appunti dagli archivi bolognesi, in Il Libro e la Stampa, n. s., VII (1913), pp. 236 ss.; Id., Guido Guinizelli e le origini bolognesi del “dolce stil novo”, in Studi danteschi a cura della R. Dep. di st. patria per le prov. di Romagna nel VI cent. dalla morte del poeta, Bologna 1922, pp. 57 ss.; F. Pellegrini, L. C. rimatore fiorentino del sec. XIII, in La Rassegna, XXX (1922), pp. 137-150.