CAVAZZA, Iacopo (Gian Giacomo)
Modenese, il suo nome emerge dagli atti del processo a Pietro Antonio da Cervia l'ultimo giorno di febbraio del 1567. A quella data il C., era già morto, ma l'eretico di Cervia, riferendo dei suoi incontri modenesi del 1559, ricorda come nella bottega di Pietro Giovanni Biancolini egli incontrò e fece amicizia col C. che gli diede da leggere un libro di Calvino, forse il Petit Traiété de la Sainte Cène se vogliamo seguire un'indicazione degli editori dei costituti del Cervia, John A. Tedeschi e Josephine von Henneberg. Cervia presenta il C. come uomo ricco con casa sul Canal Grande, e racconta come si recasse spesso da lui (e da altri) per avere farina ed altre cose di cui necessitava per la propria famiglia.
Nella Cronaca del Lancellotti i Cavazza appaiono ripetutamente come famiglia di carpentieri e falegnami, particolarmente attivi negli anni in cui Modena si ampliava e si cingeva di nuove mura per impulso di Ercole II d'Este. Così troviamo un Andrea Cavazza, "maestro di lignamo", un Giovanni Cavazza con la stessa qualifica e un Francesco Cavazza. Vi è anche uno Iacopo Cavazza di cui si dice alla data dell'8 apr. 1551: "È morto M.ro Jacomo Cavaza già maestro de lignamo, homo da ben vechio de anni 93 o circa e de povero era venuto alquanto morboxe et ha lasato ha sua roba a sua fiola vidua et al fiolo della detta sua fiola". Che il C. fosse nipote del vecchio Iacopo è congettura, che qui si propone con ogni cautela.
In data impossibile da precisare egli aveva sposato una figlia di Francesco da Corte, figlio di Romano, la cui bottega, dove si lavorava la seta, è indicata in qualche processo come luogo in cui si tenevano discorsi ereticali. È il caso di ricordare che l'edilizia e la lavorazione della seta rappresentarono le attività di punta di Modena attorno al 550; e che sul corso Canal Grande si aprivano dimore nobili e altoborghesi. La notorietà ereticale del C. è, in un certo senso, postuma. Nell'estate del 1566 il processo a Cataldo Buzzale rilanciò in Modena, ritornata dopo la parentesi Foscherari al vescovado del cardinal Morone, una nuova serie di processi, che determinarono fughe di indiziati e durezze repressive sino a quel momento mai viste in Modena, come la condanna al rogo di Marco Magnavacca eseguita nel febbraio 1567. Nel marzo 1568 il Morone stesso assistette ad una serie di processi che dovevano chiudere il conto col dissenso religioso, facilitando il più possibile il ritorno alla Chiesa degli erranti. Ora, in un buon numero di questi processi il C., ormai morto, appare figura in molti sensi centrale.
Nel costituto di Geminiano Callegari si legge: "più volte F. Bordiga e Pier Giovanni Biancolini mi hanno invitato et voluto condurre in casa di Gio. Giacomo Cavazza ove dicevano che si legevano delli libri et però che andasse anch'io ad ascoltare...". Martino Saveri, che depone il 18 marzo 1568, ricorda di avere avuto familiarità "con messer Giangiacomo Cavazza mentre steti 10 nella bottega di Messer Francesco da Corte suocero del detto Giangiacomo"; e cita altri conoscenti "quali tutti per due volte trovai congregati insieme in casa di detto Giangiacomo in una camara a solaro ove anco io per due volte mi fermai et li ascoltai mentre il detto Gio. Giacomo leggeva il Testamento novo, cioè l'evangelo volgare sopra il quale discorrevamo et ragionavamo tutti...".
Il 25 marzo il costituto riassumeva i risultati delle conversazioni in casa Cavazza nei seguenti punti: rifiuto delle preghiere ai santi; le immagini dei santi sono solo sussidi della memoria; non c'è purgatorio, anzi il purgatorio è Cristo che ci ha redenti col suo sangue, quindi i suffragi dei vivi non giovano ai morti; i pellegrinaggi ai luoghi santi non hanno senso e le reliquie sono imbrogli come le indulgenze; si può mangiare carne, il venerdì; il papa non ha autorità temporale; più ancora: le opere non sono meritorie e l'uomo non ha libero arbitrio se non al male. Il Saveri ricordava come assidui della soffitta del C. Geminiano Tamburini, Antonio Maria detto il Ferrara, Francesco Bordiga, Gian Battista Magnanini, che nel 1568 era già morto come il C.; tutti questi uomini sono sottoposti a processo fra il 1567 e il 1568, chiamati in causa, del resto, dal processo bolognese del Cervia iniziato nel febbraio 1567.
Il primo del gruppo che depose fu Geminiano Tamburini, detenuto in carcere, il 27 ott. 1567: appaiono tutti i nomi del gruppo già citati e le letture più comuni (Le prediche di Giulio da Milano, Il dialogo di Mercurio et Cheronte, il Vangelo tradotto dal Brucioli, il Sommario della Scrittura e il Beneficio di Cristo). Dalle domande dell'inquisitore (su quanti si trovassero insieme e dove) traspare la volontà di cogliere la struttura di un gruppo, la conventicola. Il Tamburini risponde "non più di tre o quattro" e "non havevamo luoco particolare, ma nello andare in sollazzo per i giorni della festa". Ma abbiamo già visto il Saveri indicare il luogo: e del resto il Cervia aveva parlato della "casa del Cavazza in Canalgrande"; anche Francesco Bordiga, detenuto e interrogato il 14 marzo, come il Saveri indica la casa del Cavazza come uno dei luoghi dove "ditto Giangiacomo et li altri complici et io parlavamo delle suddette nostre opinioni".
La deposizione più circostanziata è quella di Antonio Maria detto il Ferrarese o il Ferrara, resa il 20 marzo 1568. Tessitore di velluto, abitante da quaranta anni in rua Muro in Modena, era in rapporto col C. dal 1558 e ne frequentava la casa: "in detta casa in una camera di sopra congregati ragionavamo delli suddetti errori consentendo... ivi si legevano diverse cose et specialmente mi ricordo di una predica di Fra Girolamo da Ferrara". Se il Ferrara era stato colpito da un testo del Savonarola, il Saveri ricorda che il C. aveva portato da Venezia, dove era stato con P. G. Biancolini, "un libro non ancora legato et era per modo di dialogo nel quale interlocutori erano Mutio et Betto" ed "alcuni libri di humanità". Sappiamo già del Dialogo di Mercurio et Cheronte; e dal processo del Cervia sappiamo che nel gruppo circolava il Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione. Questo viaggio a.Venezia si. porrà nel 1559 o 1560. È lo stesso anno in cui il C. fa conoscenza col Cervia.
Un'allusione del processo a Giulio Cesare Pazzani (aprile 1568) indica il C. come ancora vivo e attivo nel 1562. Certo è che era già morto quando si avviò la serie dei processi che, a partire dal 1566, colpirono il dissenso religioso modenese: di questo dissenso, ormai apertamente ereticale, la sua figura, e la sua casa sul Canal Grande era stata uno dei punti di riferimento.
Fonti e Bibl.: Il processo Contra Petrum Antonium a Cervia relapsum et Bononiae concrematum, pubblicato e commentato da J. A. Tedeschi e J. von Henneberg, si legge in Italian Reformation, Studies in Honor of L. Socinus, Firenze 1965, pp. 245-258; è solo uno tra i tanti conservati all'Arch. di Stato di Modena, Inquisizione, b. 4, in cui si trovano ragguagli sulle attività ereticali del Cavazza. Un "Giacomo Cavacio", forse identificabile col C., è elencato tra coloro che nella bottega di Giacomo Castelvetro ascoltano l'"Henricus teutonicus" denunciato all'inquisitore Angelo da Modena il 20 genn. 1530: vedi, in Arch. di Stato di Modena, Inquisizione, b. 2, fasc. III. I riferimenti ai Cavazza maestri di legname sono in T. de' Bianchi de' Lancellotti, Cronaca modenese, X, Parma 1878, pp. 237, 377, 408, 425. Il terminus post quem per la morte del C. si ricava dal processo a Giulio Cesare Pazzani, in Arch. di Stato di Modena, Inquisizione, b. 4, III, fasc. 19.